Frasi su condanna
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“Tutta la vita filosofica di Platone è stata determinata da un avvenimento eminentemente politico, la condanna a morte di Socrate.”

Alexandre Koyré (1892–1964) storico della scienza e filosofo francese

citazione necessaria, Se sai qual è la fonte di questa citazione, inseriscila, grazie.

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“Aristodemo: In ciel sta scritta ancora | La mia condanna, e ve la scrisse il sangue | D'un innocente.”

Vincenzo Monti (1754–1828) poeta italiano

Atto IV, Scena II, p. 306-307
Aristodemo

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“[Dopo la sentenza in primo grado nel processo penale dello Scandalo del calcio italiano del 2006 a Napoli, nel 2011] Le sentenze in linea di massima (cfr. il casino su Amanda Knox…) si rispettano, e se ne attendono le motivazioni: questo penso e questo farei se non vedessi un rischio preciso nella pesantissima, delicata e sorprendente sentenza di condanna del Tribunale di Napoli per Moggi e compagni. Non vorrei cioè che essa fosse un macigno a chiudere, invece che un argomento di riflessione. […] Machete adoperato a Napoli. Benissimo: la forza di gravità nei due sensi porta in basso e questo è il segnale che arriva dalla sentenza. Da un lato però mi basterebbe poter pensare che tutta questa vicenda fosse rimasta all'interno del recinto giudiziario, della verità processuale intendo, senza altre valutazioni politiche, o di opportunità ambientale, o di messaggio pubblico ecc. Con una sentenza opposta sarebbe crollato il potere istituzionale, non dimentichiamocelo (Figc, Alta corte del Coni ecc.). Dall'altro che se non sono state prese in considerazione altre prove finora, venga fatto nei successivi gradi di giudizio. Più verità, non un target prescelto. Senza cioè lasciare l'impressione che Moggi, bollato come l'Al Capone del calcio, sia servito perfettamente da tappo a una bottiglia di pessimo liquore per l'ubriacatura pubblica, finendo in un trappolone: sarebbe un rischio ancora peggiore.”

Oliviero Beha (1949–2017) giornalista, scrittore e saggista italiano

citato in "A Napoli con il machete" http://ilfattoquotidiano.it/2011/11/10/a-napoli-con-il-machete/169668/, il Fatto Quotidiano.it, 10 novembre 2011

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“[Sul legame tra lo Scandalo del calcio italiano del 2006 e quello del 2011] Senza indulgere su un fatto emerso come notorio durante il processo, cioè che il Presidente del Collegio, Teresa Casoria, riteneva tale processo penalmente una buffonata e invece i due giudici a latere, con le quali era in conflitto, pensavano il contrario, con l'esito di risultare maggioranza nella determinazione della sentenza, le motivazioni in 558 pagine si riassumono così. 1) Campionati non alterati (quindi scudetti tolti ingiustamente alla Juve…), partite non truccate, arbitri non corrotti, indagini condotte non correttamente dagli investigatori della Procura (intercettazioni dei carabinieri risultate addirittura manipolate nel confronto in Aula). 2) Le Sim, le schede telefoniche estere che Moggi ha distribuito a qualche arbitro e ai designatori, sarebbero la prova del tentativo di alterare e di condizionare il sistema, pur senza la dimostrazione effettiva del risultato truccato. 3) L'atteggiamento di Moggi, da vero boss "telefonico", è invasivo anche quando cerca di condizionare Federcalcio e Nazionale, vedi telefonate con Carraro e Lippi. 4) Che queste telefonate e questa promiscuità "mafiosa" o "submafiosa" o tesa a "fare associazione per delinquere" risultassero costume comune nell'ambiente come risulta evidente, non assolve Moggi e C.: e dunque ecco la condanna. […] Infine il punto 1), la cosiddetta parte positiva delle motivazioni, cioè nei fatti tutto regolare. E allora lo scandalo di "Scommettopoli”

Oliviero Beha (1949–2017) giornalista, scrittore e saggista italiano

lo scandalo del calcio italiano del 2011, ndr. ] in cui sta uscendo che nel suo complesso il campionato 2010-2011 a colpi di trucchi è da considerarsi davvero e decisamente irregolare? Lo dice per ora il Procuratore Capo di Cremona, Di Martino, mentre la giustizia sportiva prende tempo come sempre, ma temo che presto lo ribadiranno in parecchi, a meno che non venga messo tutto a tacere. Con buona pace di chi vuole la verità e pensa che Moggi sia oggettivamente diventato il "capro espiatorio". Il quadro dell'informazione che non indaga, non analizza, non confronta e si schiera per ignoranza o partito preso così vi sembra leggermente più chiaro? (Citato da "Il "caso Moggi" e le colpe della stampa: non fa inchieste, (di)pende dai verbali, non sa leggere le sentenze", notizie. tiscali. it, 7 febbraio 2012)

“Sembra talvolta che ci siano due Tolstoj. Uno, il più conosciuto, è il romanziere celebre […].
L'altro Tolstoj, che pare nascere, già vecchio, dopo il 1880, è il pensatore anarchico e cristiano che mette sotto accusa la società com'è e condanna la ricchezza, il sesso, l'arte come «vizi» del nostro mondo; contrapposto a quello vitalistico, è un Tolstoj etico (non moralista, com'è talvolta detto: Tolstoj non è un moralista, se mai il contrario) e razionalista, uno che a ogni passo si guarda vivere, e vivendo cerca le ragioni della vita. Per questo verifica di continuo, come in una colossale equazione, i dati della coscienza con quelli della realtà. L'esercizio, anche se svolto con forza logica prodigiosa (tanto che Ludwig Wittgenstein considerava Tolstoj uno dei suoi maestri), appare a molti vagamente maniacale e, alla fine, noioso. I biografi tolstoiani simpatizzano di solito col primo Tolstoj, che si presta al cliché facile del genio sregolato e fa più scena, e mettono il secondo, dato che non possono ignorarlo, come dietro un vetro spesso: si vede il gesticolare, ma non si capisce quel che dice, e l'effetto è curioso.
I Diari di Tolstoj (che tiene, con qualche interruzione, per sessantatré anni) fanno giustizia di questa dicotomia. La forza vitale e il pensiero, la vita e la riflessione su di essa, che possono sembrare contrastanti, appaiono qui complementari e inscindibili, fusi, per tutto il corso dell'esistenza tolstoiana, in un unico modo di capire e sentire il mondo. Essi ci mostrano il filo ininterrotto che lega il primo e il secondo Tolstoj […].”

dall'introduzione a Lev Nikolaevič Tolstoj, I diari, Longanesi, Milano, 1980, pp. 9-10

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“Come alla caduta di altri regimi, occorre una nuova Resistenza, un nuovo riscatto e poi una vera, radicale, impietosa epurazione… Il processo è già cominciato e per buona parte dell'opinione pubblica già chiuso con una condanna.”

Marcello Pera (1943) filosofo e politico italiano

La Stampa, 19 luglio 1992
Origine: Citato in Gianni Barbacetto, Campioni d'Italia, Marco Tropea editore. Citato in Sono "giustizialista". Da quando Marcello Pera è diventato garantista http://iltafano.typepad.com/il_tafano/2007/05/sono_giustizial.html, iltafano.typepad.com, 17 maggio 2007.

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“Nessuno mai condannò la sapienza alla povertà.”

Nemo sapientiam paupertate damnavit.
Epistulae morales ad Lucilium

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“[Dopo la condanna in primo grado a 5 anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici] Sono confortato, non sono colluso con la mafia e per questo resto presidente della Regione. Da domani torno al lavoro.”

Salvatore Cuffaro (1958) politico e medico italiano

Origine: Citato in Mafia, Cuffaro condannato a 5 anni http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/cuffaro-processo/cuffaro-sentenza/cuffaro-sentenza.html, la Repubblica, 18 gennaio 2008.

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“Tutti siamo nati per morire, già nella culla il momento della condanna è deciso.”

Mario Soldati (1906–1999) scrittore e regista italiano

da Rami secchi, Rizzoli

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“Gregorio IX nel 1231 crea l'Inquisizione pontificia per processi sommari con immediate condanne al rogo.”

Claudio Rendina (1938) scrittore, poeta e giornalista italiano

Origine: I peccati del Vaticano, p. 210

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“[Dopo la squalifica di 6 mesi inflittagli dalla Commissione Disciplinare Nazionale in merito al filone Cremona-quater del Calcioscommesse] Sono contento per la mia Lazio che non dovrà partire con punti di penalizzazione, ma anche questa condanna per omessa denuncia a me sembra un'ingiustizia.”

Stefano Mauri (1980) calciatore italiano

Origine: Citato in Calcioscommesse Lazio, Mauri squalificato per 6 mesi e multa di 40.000 euro alla società http://www.ilmessaggero.it/SPORT/SSLAZIO/calcioscommesse_mauri_squalificato/notizie/311202.shtml, Il Messaggero, 2 agosto 2013.

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“Per sette o otto anni io non sono andato più a Palermo, non sono andato più… non avevo più voglia neanche di vedere quei posti dove era stato ammazzato mio fratello. Nel 2007, se ben ricordo, dopo aver scritto quella lettera: "1992, una strage di Stato", andai a Palermo, e andai proprio il 19 luglio in via D'Amelio, e in via D'Amelio fui costretto a vedere Schifani, il presidente Schifani, una di quelle persone che vilipendono le istituzioni, perché vedete, io ritengo… io ritengo che il più grosso vilipendio alle istituzioni sia il fatto che persone non degne di occupare quelle istituzioni le occupino, perché io rispetto profondamente le istituzioni, però non sempre gli uomini che occupano le istituzioni sono degni di rappresentarle, e allora, io, vedete, non faccio il magistrato, quindi non condanno nessuno, non… non è che dico che Schifani sia colpevole di qualcosa, non posso dirlo perché una persona viene riconosciuta colpevole di qualcosa quando la magistratura l'ha giudicato, non è passato attraverso i tre gradi di giudizio, eccetera, eccetera, ma mi chiedo perché una persona nel momento in cui gli si chiede, come ha fatto il giornalista, come ha fatto Marco Travaglio, gli ha chiesto quali erano i suoi trascorsi societari in Sicilia, invece di rispondere, è la cosa più normale che si può chiedere: con chi aveva fatto delle società in Sicilia, perché invece di rispondere si è ammantato della carica che riveste e ha minacciato querele contro lo stesso Travaglio, che poi, querelato, è stato anche assolto da… dalla sua… da… per… per le sue domande, perche erano delle semplici domande, erano quelle stesse domande che il… che su… su la Repubblica il… quel giornalista… come si chiamava… D'Avanzo poneva a Berlusconi dieci domande alle quali non ha avuto mai… mai una risposta, non faceva altro che porgli quelle domande. E perché Schifani non ha risposto? Avrebbe potuto rispondere ma non lo ha fatto. E allora magari sarebbe stato… avrebbe acquistato la dignità di occupare quel posto. Allora io quando, sette anni, fino al 2007, arrivai in via D'Amelio, e vidi che c'era Schifani che stava deponendo una corona davanti all'albero di olivo che è stato piantato nella buca che era stata scavata dal… dall'esplosione che ha ucciso mio fratello, io ebbi l'istinto di andare lì e di andargli a dire: "Le sue corone le vada a portare davanti alla tomba di…", volevo dirgli… volevo dirgli… volevo dirgli: "Questo è il nostro eroe, questi sono i nostri eroi, questi eroi li lasci onorare a noi come noi sappiamo onorarli.". Io quell'anno ebbi quell'impulso ma non lo feci, non lo feci perché in quel momento, mentre io proprio stavo andando, ero da solo, davanti non c'erano questi ragazzi delle agende rosse, c'ero soltanto io, e mentre stavo andando e l'avrei fatto, mi ci sarei parato davanti e glie l'avrei detto, però arrivò mia… mia cognata, Agnese. Mia cognata Agnese ha scelto un'altra… un'altra linea di condotta: lei, diciamo, partecipa alle cerimonie istituzionali e io rispetto le decisioni degli altri, quello che fa, io reagisco in maniera diversa, però, diciamo, fu quello che mi frenò.”

Salvatore Borsellino (1942) attivista italiano

da Salvatore Borsellino a Pescara - 30 settembre 2011 http://www.youtube.com/watch?v=aPhlwAEpB1E, YouTube; filmato caricato il 1° ottobre 2011

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“Il monopolio di Stati Uniti e Europa nel processo di selezione condanna invece Banca mondiale e Fondo monetario ad essere viste come mere emanazioni degli interessi strategici dei Paesi industrializzati. La scelta di chi guida queste istituzioni è troppo importante per essere affidata a meccanismi poco trasparenti, non democratici e sempre meno in grado di garantire che a prevalere sarà il candidato migliore.”

Tito Boeri (1958) economista italiano

Origine: Da «Con lui si rischia un uso politico degli aiuti» https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2005/marzo/31/Con_lui_rischia_uso_politico_co_9_050331202.shtml, Corriere della sera, 31 marzo 2005.

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“So bene che una "verità" giudiziaria non esonera dall'obbligo di andare oltre. Ma sembra quasi che, attraverso quelle spiegazioni, si cerchi di essere liberati dall'onere di analizzare fatti precisi e responsabilità personali. Riaffora un vecchio vizio della nostra cultura politica: parlar di cose generali per eludere quelle concrete. Proprio come faceva la critica dell'extrasinistra, tutto viene attribuito alla dinamica, a suo modo invincibile, del "sistema". Il risultato è una grande condanna o una grande assoluzione: conclusioni apparentemente antitetiche, ma nella sostanza coincidenti; che incarnano una volontà politica, perfino comprensibile, di voltar pagina e di avviare un'epoca nuova, ma che possono divenire un ostacolo a un lavoro di scavo, di analisi puntuale. Molte tra le tesi ricordate assomigliano assai più a un alibi che a una spiegazione. Alcune, tra l'altro, non reggono neppure a una banale prova basata sul principio di non contraddizione. Si ricorda, ad esempio, che era impossibile per il PCI aver ingresso nel governo. E poi si imputa al PCI di non aver reso possibile quell'alternanza che avrebbe immunizzato il sistema dal virus della corruzione. Poiché i sostenitori di tesi del genere non sono stupidi (o, almeno, non sempre lo sono), è evidente che il loro obiettivo è soltanto quello di impedire che si possa distinguere o graduare le responsabilità, accomunando in un'unica condanna partiti di governo e di opposizione.”

Stefano Rodotà (1933–2017) giurista e politico italiano
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“I giudici di Palermo scherzano con il fuoco.”

Silvio Berlusconi (1936) politico e imprenditore italiano

riguardo alla condanna di Marcello Dell'Utri a 9 anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, 11 dicembre 2004

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“Omero descrive amicizie maschili di intensità affettiva così forte da far inevitabilmente pensare a legami ben diversi da una semplice solidarietà fra compagni d'arme: e l'amicizia che a questo punto è quasi di prammatica citare è quella fra Achille e Patroclo. Un rapporto così forte da far sì che Achille, dopo la morte di Patroclo, dichiari di avere un solo scopo di vita: dopo aver vendicato l'amico, giacere con lui nella stessa fossa, per sempre, unito a lui nella morte come gli era stato in vita. Un rapporto assai diverso da quello che Achille aveva avuto con Briseide, la schiava concubina che Agamennone gli aveva sottratto quando era stato privato della schiava Criseide. Le schiave erano compagne intercambiabili: come dimostra, appunto, il gesto di Agamennone che si consola immediatamente sostituendola con un'altra, della perdita di Criseide. Il legame tra Achille e Patroclo, invece, era insostituibile: ed è non poco significativo, a questo proposito, il discorso di Teti, la madre dell'eroe, al figlio disperato ed inconsolabile: Achille, dice Teti, deve continuare a vivere e dimenticato Patrocolo, deve prendere moglie "come giusto che sia". Un rimprovero, forse? La prova che Teti riprovava l'amore omosessuale del figlio? A prima vista così potrebbe sembrare. Ma, a ben vedere, le cose stanno diversamente. Quello che risulta in realtà della parole di Teti, è che il legame con Patroclo era stata la ragione per la quale l'eroe non aveva ancora preso moglie: una conferma, dunque, del carattere amoroso del rapporto. Ma l'esortazione della madre al figlio a compiere finalmente il suo dovere sociale non è – ciononostante – una condanna assoluta della sua relazione con Patroclo. Essa sembra, piuttosto, un invito ad accettare quella che, per i greci, era una regola naturale: raggiunta una certa età, bisogna por fine alla fase omosessuale della vita e assumere il ruolo virile con una donna. E per Achille, ormai, questa età era giunta: se un rimprovero può essere colto, nelle parole di Teti, è quello di aver prolungato troppo – per eccessivo amore per Patroclo – la fase dell'amore omosessuale.”

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Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico

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“La sfida della grande poesia è il male più brutto, il male tragico, l'irreparabile perdizione o distruzione o condanna dell'innocente.”

Guido Sommavilla (1920–2007) religioso, scrittore, critico letterario e teologo cattolico italiano

Il bello e il vero

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“In altri paesi e in altre condizioni, in prigioni normali, il luogo di questo breve grido di disperazione è tenuto da una vera preghie­ra o dalla sottrazione di un giorno dalla condanna totale, perché è fin troppo comprensibile che un uomo, privato di tutto tranne che della speranza, incominci la sua giornata volgendo i pensieri alla speranza. I prigionieri sovietici sono stati privati perfino del conforto di sperare, perché nessuno di essi può mai sapere con certezza se la sua condanna avrà fine: e può ricordare centinaia di casi in cui le condanne sono state prolungate di altri dieci an­ni con un tratto di penna al Consiglio speciale della Nkvd a Mosca. Solo chi è stato in prigione può intendere tutto il crudele si­gnificato del fatto che, durante l'anno e mezzo che trascorsi nel campo, solo poche volte udii prigionieri contare ad alta voce il numero di anni, mesi, giorni e ore, che restavano ancora delle loro condanne. Questo silenzio si sarebbe detto un tacito accor­do a non tentare la Provvidenza: quanto meno parlavamo delle nostre condanne, quanto meno nutrivamo la speranza di mai riacquistare la libertà, tanto più sembrava probabile che "pro­prio questa volta" ogni cosa sarebbe andata bene. La speranza racchiude il tremendo pericolo della disillusione. Nel nostro si­lenzio, alquanto simile al tabù che proibisce agli uomini di alcune tribù primitive di pronunziare i nomi delle divinità vendicatrici, l'umiltà si univa a una segreta rassegnazione, e al presenti­mento del peggio. Il disinganno era un colpo mortale per un prigioniero privo di questa armatura contro il fato.”

Gustaw Herling-Grudziński (1919–2000) scrittore polacco

cap. III, p. 48
Un mondo a parte

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“Ciascuno di noi forse porta scritta in una recondita particella del corpo, la propria finale condanna. Ma perché andare determinatamente a disseppellirla?”

Origine: Da Revisione dell'ultracinquantenne, in Cronache terrestri, a cura di Domenico Porzio, introduzione di Claudio Toscani, Mondadori, Milano, 2014, p. 183 https://books.google.it/books?id=5CcwBQAAQBAJ&pg=PT183#v=onepage&q&f=false.

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“Non già che la mia severità vi condanni a una donna sola. Non piaccia agli dei! Soltanto una sposina può seguire una simile norma. Divertitevi, ma nascondete la colpa sotto un velo prudente; non si deve trarre gloria alcuna dal proprio peccato.”

Nec mea vos uni damnat censura puellae; | di melius! vix hox nupta tenere potest. | Ludite, sed furto celetur culpa modesto: | gloria peccati nulla petenda suist.
Ars Amatoria

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“Ricordate, non si può emettere una fatwa di condanna a morte contro una risata.”

Ali Eteraz scrittore e giornalista pakistano

Il bambino che leggeva il Corano
Origine: Forse.

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“Dal luogo in cui era stato rinchiuso in attesa della condanna, Socrate è invitato dai discepoli a fuggire. Ma la sua risposta è perentoria: "Vi ho insegnato per tutta la vita a ubbidire alle leggi e voi mi invitate a trasgredirle al termine della mia esistenza. Quello che avevo da insegnarvi ve l'ho comunicato. Il mio ciclo si è concluso". Non c'è traccia d'angoscia, senso di disperazione, malinconia per una vita giunta alla fine, c'è solo coerenza tra un insegnamento e una vita. Anche la drammaticità del momento viene asservita alle esigenze dell'insegnamento per renderlo più persuasivo, più efficace. E se il momento è vigilia di morte, lo si affronti in tutta dignità. "Ma infine, Socrate, dicci in quale modo dobbiamo seppellirti?", incalzano i discepoli. "Come volete", rispose. E, ridendo tranquillamente, proseguì: "O amici, io non riesco a convincere Critone che il vero Socrate è quello che ora qui discute con voi e non quello che, da qui a poco, egli vedrà morto”

Umberto Galimberti (1942) filosofo e psicoanalista italiano

Fedone 115 e). I discepoli lo pregano di attendere, come altri avevano fatto, il tramonto del sole. Ma Socrate vuole evitare di rendersi ridicolo aggrappandosi alla vita quando ormai non ce n'è più. Beve d'un fiato il veleno "senza temere, senza alterare il colore né l'espressione del viso, ma, guardando com'era solito i discepoli con i suoi occhi da toro, disse: 'Che ne pensi? Con questa bevanda è lecito fare libagione a qualcuno o no?'" (Fedone 117 b). Indi riprese a passeggiare finché non sentì le gambe pesanti, allora si sdraiò, e quando le parti del corpo cominciarono a farsi fredde disse: "'Critone, dobbiamo un gallo ad Esculapio; dateglielo e non dimenticatevené. 'Sarà fatto', rispose Critone, 'ma vedi se hai qualcos'altro da dire'. A questa domanda Socrate non rispose più nulla" (Fedone 118 a).

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“[…] l'operazione fatta in questi anni da Benigni è stata proprio questa: trasformare Dante in un autore "politically correct". […] Infatti Benigni, per renderlo digeribile al delicato stomaco della sinistra salottiera, ha "appannato" il vero Dante, quello "politicamente scorretto", scomodo e urticante. […] Oggi il vero Dante, redivivo, sarebbe letteralmente schifato e considerato quasi un appestato, sia nelle curie ecclesiastiche che in quelle laiche, come del resto gli accadde in vita. […] Ma il Poema sacro […] contiene pure un'impressionante e "spudorata" serie di violazioni del politically correct, tale da fare impallidire l'odierna mentalità dominante. […] Infine, come se non bastasse, condanna con parole di fuoco diversi papi del suo tempo, mettendoli all'inferno e sparando a zero sulla corte pontificia, pur professandosi cattolicissimo. Anzi, proprio perché cattolico. Cosa che oggi, in tempo di bigottismo imperante, sarebbe ritenuta inammissibile: ma lui era cattolico, non clericale, né papolatra, mentre oggi tutti sono clericali e papolatri, senza però professare la fede cattolica. […] Dante non fu solo il più grande dei poeti, ma – essendo davvero cristiano – fu un uomo libero. E per questo scomodo.”

Antonio Socci (1959) giornalista e scrittore italiano

10 marzo 2015
Libero
Origine: Citato in Il (vero) Dante che non sentite da Benigni http://www.antoniosocci.com/il-vero-dante-che-non-sentite-da-benigni/, Lo Straniero, 10 marzo 2015.

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“Manders: Ha l'impressione che letture di questo genere la rendano migliore o più felice?
Signora: Mi sembra che mi diano una specie di serenità.
Manders: Curioso. In che modo?
Signora: Ci trovo come la spiegazione e la conferma di molte cose alle quali ho già riflettuto per conto mio. Questa appunto è la cosa strana, signor pastore… in quei libri, in fondo, non c'è nulla di nuovo; nulla più di quel che il mondo pensa e crede in generale. Ma il fatto è che il mondo non se ne rende conto e non vuole confessarselo.
Manders: Oh, per l'amor di Dio! Crede sul serio che il mondo…
Signora: Certo che lo credo.
Manders: Sì, ma non in questo paese? Non qui da noi?
Signora: Ma sì, anche qui da noi.
Manders: Bene, le garantisco che…!
Signora: D'altronde che cosa ha da obiettare contro questi libri?
Manders: Obiettare? Non vorrà già credere ch'io mi sia mai dato all'esame di opere di quel genere?
Signora: In altri termini, lei non conosce affatto ciò che condanna?
Manders: Ho letto abbastanza di quel che si scrive intorno a questi libri per disapprovarli.
Signora: Sì, ma la sua opinione personale…
Manders: Cara signora Alving, nella vita vi sono casi in cui bisogna fidarsi dell'opinione altrui. Così è in questo mondo; ed è bene che sia così. Altrimenti che ne sarebbe della società umana?”

Henrik Ibsen (1828–1906) scrittore, drammaturgo e poeta norvegese

1959, p. 21
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Origine: Helene Alvig

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“Da 15 anni è irrevocabilmente accertato che l'assassinio di Calabresi fu organizzato nel servizio d'ordine di Lotta continua, ordinato da Giorgio Pietrostefani con l'assenso del leader Adriano Sofri e materialmente eseguito da Ovidio Bompressi, con la complicità di Leonardo Marino, che rubò e guidò l'auto durante l'agguato, e di altri fiancheggiatori miracolati dalla mancanza di prove certe. […] Eppure, nella fiction, queste quattro figure diventano invisibili. Non pervenute, se non nei titoli di coda che danno conto delle quattro condanne. Uno degli aspetti più positivi del film-tv di Graziano Diana è quello di mostrare la campagna d'odio che si scatenò contro Calabresi dopo la tragica fine alla questura di Milano dell'anarchico Pinelli, ingiustamente sospettato di aver avuto un ruolo nella strage di Piazza Fontana: prime pagine di Lotta continua e altri giornali, appelli di intellettuali, manifestazioni con slogan assassini. […] Ma il peccato originale della fiction è che mancano i volti e le imprese dei colpevoli. Non c'è la riunione in cui si decise l'omicidio, non c'è l'ordine di uccidere, non c'è il viaggio di Marino a Pisa dove Sofri gli confermò il mandato, non c'è il processo costellato dalle bugie degli imputati e ancor più dei falsi testimoni ingaggiati dalla nota lobby. Nulla di nulla: nel 2013, alla Rai, è ancora proibito. […] Eppure questo banalissimo rilievo nessuno degli ipercritici della libera stampa ha osato muoverlo. Strano, eh? Chissà come mai.”

Marco Travaglio (1964) giornalista, saggista e scrittore italiano

da Il suicidio Calabresi, 11 gennaio 2014
Il Fatto Quotidiano