Frasi su tenebra
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“Ha in suo potere luce e ombra: ma la sua luce non offende mai, e la sua tenebra lascia vedere ancora chiari i contorni.”

Ferruccio Busoni (1866–1924) pianista, compositore e direttore d'orchestra italiano

Scritti e pensieri sulla musica

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“Dobbiamo accendere una candela piuttosto che maledire la tenebra.”

La lotta spirituale nel mondo contemporaneo

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“[Michelangelo Merisi da Caravaggio] Dalle esperienze luministiche dei suoi precursori, fra cui erano anche quel Lotto che il Lomazzo […] chiama "maestro del dare il lume" e quel Savoldo in cui il Pino esalta "le ingegnose descrittioni dell'oscurità", il Caravaggio scopre "la forma delle ombre": uno stile dove il lume, non più asservito, finalmente, alla definizione plastica dei corpi su cui incide, è anzi arbitro coll'ombra seguace della loro esistenza stessa. Il principio era per la prima volta immateriale; non di corpo ma di sostanza; esterno ed ambiente all'uomo, non schiavo dell'uomo […] Che cosa importasse questo nuovo stile nei confronti col Rinascimento ch'era invece partito dall'uomo, e vi aveva sopra edificato una superba mole antropocentrica, cui anche la luce era anodina servente, è facile intendere. All'artificio, al simbolo drammatico dello stile attendeva ora il lume medesimo, non l'idea che l'uomo poteva aver formato di se stesso. Ma quando in un battito del lume una cosa assommasse, e poiché non era più luogo a preordinarla nella forma, nel disegno, nel costume, e neppure nella rarità del colore, essa non poteva sortire che terribilmente naturale. Il dirompersi delle tenebre rilevava l'accaduto e nient'altro che l'accaduto; donde la sua inesorabile naturalezza e la sua inevitabile varietà, la sua incapacità di "scelta". Uomini, oggetti, paesi, ogni cosa sullo stesso piano di costume, non in una scala gerarchica di degnità…”

Roberto Longhi (1890–1970) storico dell'arte italiano

da Quesiti caravaggeschi, "Pinacotheca", 1928-1929; citato in Caravaggio, pp. 186-187

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“I vivi muoiono perché i morti possano vivere.”

La potenza delle tenebre; 2005, p. 1225
Racconti

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“Il Signore delle Tenebre comanda la morte e può dare vita nella morte o morte nella vita, a suo piacimento.”

Robert Jordan (1948–2007) scrittore statunitense

Howel Gode: capitolo 32
La ruota del tempo. L'occhio del mondo

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“Scrivere è continuare, inseguire al di là della tenebra quel fanalino fuggente che è l'uomo.”

Gesualdo Bufalino (1920–1996) scrittore

Origine: Il malpensante, Febbraio, p. 22

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“Non vi è peggior schiavitù di quella che s'ignora.”

Leonardo Da Vinci (1452–1519) pittore, ingegnere e scienziato italiano

Origine: Aforismi, novelle e profezie, p. 65

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“Non c'è tregua, con l'Ombra. Non c'è pietà, per gli Amici delle Tenebre.”

Robert Jordan (1948–2007) scrittore statunitense

Jaret Byar, capitolo 30
La ruota del tempo. L'occhio del mondo

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“Costei è il nero fatto carne viva | per l'alta ebbrezza nostra ed il tormento; | certo costei dal buio abbracciamento | degli uragani e della notte usciva. || Certo nata è costei, tigre lasciva, | cupa tigre dal passo ambiguo e lento, | quando, o Trinacria, te comprime il vento | d'Africa e strugge la gran vampa estiva. || Qual nome darti, o audace imperio, o muto | fascino delle chiome atre? Chi sei | tu, fatta d'ombra e fatta di velluto || come una bara? Quale a saziarti | basterà, o tigre, fra i rei, | o implacabile rea, quale a placarti?”

Giovanni Camerana (1845–1905) poeta, critico d'arte e magistrato italiano

Tenebre, in Poesie, a cura di G. Finzi, Einaudi, Torino, 1968.
Origine: Citato in A. Tocco, G. Domestico, A. Maiorano e A. Palmieri, Parole nel tempo, [Testi, contesti, generi e percorsi attraverso la letteratura italiana, 2B, La letteratura dell'Ottocento], Loffredo Editore, Napoli, p. 1269. ISBN 978887564209-9

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“Una meravigliosa serenità, simile a questo dolce mattino di primavera, mi è scesa nell'anima e io ne godo con tutto il mio cuore. Sono solo e sono lieto di essere vivo in questo luogo creato per anime come la mia. Sono così felice, mio caro, così perduto nel senso di questa serena esistenza che la mia arte ne soffre. Ora non saprei disegnare nemmeno una linea, eppure non sono mai stato un pittore così grande come in questi momenti. Quando la bella valle effonde intorno a me i suoi vapori e il sole alto investe l'impenetrabile tenebra di questo bosco e solo qua e là qualche raggio riesce a penetrare in questo sacrario, e io mi stendo nell'erba alta accanto al torrente e, così vicino alla terra, scopro le piante più diverse e più singolari; quando sento vicino al mio cuore il brulichio del piccolo mondo in mezzo agli steli, le innumerevoli, incomprensibili figure dei bruchi e degli insetti e sento la presenza dell'Onnipotente che ci ha creati secondo la Sua immagine, l'alito del Supremo Amore che ci porta e ci sostiene in un'eterna beatitudine; quando, oh, amico mio!, i miei occhi si smarriscono in questa vertigine e l'universo e il cielo riposano nella mia anima come la figura di una donna amata, io provo allora l'angoscia di un desiderio e penso: oh, se tu potessi esprimere tutto questo, se potessi effondere sulla carta lo spirito di ciò che in te vive con tanta pienezza e con tanto calore, in modo da farne lo specchio della tua anima, come la tua anima è lo specchio del Dio infinito! Amico mio, io mi sento morire e soccombo alla forza e alla magnificenza di queste immagini!”

10 maggio; 1998, p. 9
I dolori del giovane Werther, Libro primo

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“Chi si è liberato è tale solo in quanto intrattenga un rapporto con chi è incatenato - solo in quanto egli stesso in una certa misura condivida la condizione di chi è rimasto nella caverna, solo in quanto, come libero, coappartenga a chi è incatenato. Ciò perché "la verità non è un quieto possesso, godendo del quale ci sediamo in pace per pronunciare, da lì, sentenze all'indirizzo degli altri uomini, bensì la svelatezza accade solo nella storia della continua liberazione".
Una volta ritornato nella caverna, il libero, colui che "ha scorto lo spiraglio di luce", non potrà astenersi dal ricercare il confronto con coloro che di essa sono ancora prigionieri, non già perché si prefigga lo scopo di indurre un ravvedimento, né perché ritenga che essi debbano essere redenti. Non sono motivi filantropici quelli che sono all'origine della ridiscesa nelle tenebre. La propria, non l'altrui, salvezza è ciò che spinge il libero al rientro della caverna. Ivi giunto, egli non si limiterà a sopportare lo scherno e la derisione degli incatenare per la sua incapacità di discernere le ombre, ma muoverà all'offensiva. Egli cercherà, infatti, "di rendere loro comprensibile che, sì, sulla parete ha luogo un continuo velamento dell'ente e che essi stessi, gli incatenati, sono trascinati e irretiti da questo occultamento che si ripete di continuo."”

Umberto Curi (1941) filosofo italiano

Origine: Da Polemos. Filosofia come guerra, Bollati Boringhieri, Torino, 2013, p. 159. ISBN 9788833912523

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“Sono stufo di scappare» disse, stupito per la calma del proprio tono. «Stufo di vederti minacciare i miei amici. Non scapperò più.»
Anche Ba'alzamon aveva un cordone ombelicale: nero, molto più grosso del suo, così grande che avrebbe reso minuscolo il corpo umano e che invece era reso minuscolo da Ba'alzamon. Ogni pulsazione di quella vena nera consumava luce.
«Credi che faccia differenza, se scappi o ti fermi?» Le fiamme nella bocca di Ba'alzamon risero. Le facce nel focolare piansero all'ilarità del loro padrone. «Sei fuggito da me in molte occasioni, ma ogni volta ti raggiungo e ti costringo a ingoiare il tuo orgoglio condito di lacrime e di piagnistei. In molte occasioni ti sei fermato a combattere e poi, sconfitto, hai strisciato implorando pietà. Hai questa scelta, verme, e solo questa: mettiti in ginocchio ai miei piedi, servimi bene e ti darò potere sopra i troni; oppure diventa il burattino di Tar Valon e urla mentre vieni sgretolato nella polvere del tempo.»
Rand cambiò posizione, con un'occhiata al di là della porta, quasi a cercare una via di fuga. Che il Tenebroso lo pensasse pure. Al di là della porta c'era sempre il nero del nulla, diviso in due dal cavo lucente che partiva dal suo corpo. E c'era anche il cordone ombelicale di Ba'alzamon, così nero da risaltare nella tenebra come sulla neve. I due cordoni pulsavano fuori fase, uno al contrario dell'altro, e la luce resisteva a stento alle ondate di tenebra.
«Ci sono altre scelte» disse Rand. «La Ruota, non tu, tesse il Disegno. Sono sfuggito a tutte le trappole che hai predisposto per me. Sono sfuggito ai Fade e ai Trolloc e ai tuoi Amici delle Tenebre. Ti ho rintracciato qui e ho distrutto il tuo esercito. Non sei tu, a tessere il Disegno.”

Robert Jordan (1948–2007) scrittore statunitense

Rand al'Thor e Ba'alazamon, capitolo 51
La ruota del tempo. L'occhio del mondo

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“L'importante è come giudichiamo le cose: con la luce che viene dal vero tesoro nel nostro cuore? O con le tenebre di un cuore di pietra?”

Papa Francesco (1936) 266° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

Origine: Messa nella Cappella della Domus Sanctae Marthae, 21 giugno 2013 http://www.vatican.va/holy_father/francesco/cotidie/2013/it/papa-francesco-cotidie_20130621_vero-tesoro_it.html

“Nella sua opera Proust si allontanava dalla vita per penetrarne l'essenza, si immergeva nel regno delle tenebre per scoprirvi la luce.”

Francesco Mei (giornalista) (1923–1990) giornalista e anglista italiano

Citazioni di Francesco Mei
Origine: Da Proust visto dal di fuori http://digital.sturzo.it/periodici/Il%20Popolo/1990/01/19900119, Il Popolo, anno XLVI, n. 16, 19 gennaio 1990, p. 10.

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“L'omosessualità è un'invasione della Tenebra, hanno un bel volerla normale e alla luce del sole, è pratica ctonia, necrofilia.”

Guido Ceronetti (1927–2018) poeta, filosofo e scrittore italiano

Origine: Da Un tentativo di colmare l'abisso. Lettere 1968-1996, con Sergio Quinzio, Adelphi, Milano, 2014; citato in Camillo Langone, Preghiera http://www.ilfoglio.it/preghiera/2014/05/17/___1-vr-105316-rubriche_c398.htm, Il Foglio, 17 maggio 2014.

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“eterna crocifissione di un Servo del Signore agli orrori della Materia, e non tenerne conto è da storiografia amputata e complice delle tenebre.”

Guido Ceronetti (1927–2018) poeta, filosofo e scrittore italiano

Origine: La pazienza dell'arrostito, p. 180

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“Quello veramente da tener di mira è la sua nuova concezione stilistica. La nota che la caratterizza è una ricerca così tenace di concisione, da ricordare la sobrietà dei grandi periodi arcaici. A tal fine il Caravaggio si serve principalmente di due mezzi: della luce e della composizione. Egli, come è noto, immerge le sue scene nell'oscurità, investendole di un getto violento di luce radente, in modo che alcune parti soltanto affiorino dalle tenebre nella luce. Questa, creduta fino ad oggi, e forse dagli stessi suoi seguaci, una trovata realistica fu, caso mai, una concessione alla fantasia – come pare la interpretasse lo stesso Rembrandt –, ma soprattutto una ricerca di unità e di stile: un mezzo a mettere in valore certe parti e linee essenziali delle cose, facendole affiorare nella luce e ad eliminarne nelle tenebre altre secondarie, inutili o dannose ad una concisa rappresentazione. L'altro mezzo che il Caravaggio impiega per raggiungere l'unità stilistica riguarda, dunque, la composizione del quadro. Per il primo Michelangiolo aveva decisamente spezzato la secolare uniformità degli schemi compositivi a linee e piani paralleli "al quadro", e aveva mostrato quante maggiori risorse di movimento e di energia offrisse l'impostatura, diciamo, in tralice di certe sue figure; risorsa che il Tintoretto aveva spinto al colmo, limitandola però anche lui troppo a singole figure isolate. Era riserbato al Caravaggio di coronare la geniale iniziativa dei suoi precursori estendendo questo stesso sistema costruttivo a tutta quanta la compagine della composizione, in modo da ottenere in un sol tratto, con sintesi insuperata, il massimo risultato di senso plastico e dinamico. (da [http://books.google.it/books?id=euFBAQAAIAAJ Il Caravaggio], 1922; citato in * Caravaggio”

Matteo Marangoni (1876–1958) critico d'arte e compositore italiano

pag. 186
Francesca Marini, 2003
s)

“Le tenebre mi fluttuavano intorno come un temporale e mi avvolsero, e tutto si fece buio. La pace è meravigliosa.”

Richard S. Prather (1921–2007) scrittore statunitense

Origine: Non passa più, p. 27

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“[Michelangelo Merisi da Caravaggio] La sua ostinata deferenza al vero poté anzi confermarlo nella ingenua credenza che fosse "l'occhio della camera" a guardar lui e a suggerirgli tutto. Molte volte dovette incantarsi di fronte a quella "magia naturale"; e ciò che più lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non è punto necessaria la figura umana, se, uscita questa dal suo campo, esso seguita a specchiare il pavimento inclinato, l'ombra sul muro, il nastro caduto a terra. Che altro potesse conseguire a questa risoluzione di procedere dipingendo per specchiatura diretta della realtà, non è troppo difficile intendere. Ne conseguiva la tabula rasa del costume pittorico del tempo che, preparandosi gli argomenti in carta e matita per via di erudizione storica e di astrazione stilizzante, aveva elaborato una complessa classificazione del rappresentabile, dove, per meglio servire alla società di allora, non poteva che preferirsi l'aspetto della classe dominante. Ma il Caravaggio pensa invece alla vita comune, ai sentimenti semplici, all'aspetto feriale delle cose che valgono, nello specchio, come gli uomini. […] Anche il Caravaggio avvertiva il pericolo di ricadere nell'apologetica del corpo umano, sublimata da Raffaello o Michelangelo, o magari nel chiaroscuro melodrammatico del Tintoretto. Ma ciò che gli andava confusamente balenando era ormai non tanto il rilievo dei corpi quanto la forma delle tenebre che li interrompono. Lì era il dramma della realtà più portante ch'egli intravedeva dopo le calme specchiature dell'adolescenza. E la storia della religione, di cui ora si impadroniva, gli tornava come un seguito di drammi brevi e risolutivi la cui punta non può indugiarsi nella durata sentimentale delle trasparenze, anzi inevitabilmente s'investe del lampo abrupto della luce rivelante, fra gli strappi inconoscibili dell'ombra. Uomini e santi si sarebbero impigliati in quel tragico scherzo. Giacché, per restar fedeli alla natura del mondo, occorreva far sì che il calcolo dell'ombra apparisse come casuale, e non causato dai corpi; ove volesse esimersi dal riattribuire all'uomo la sua funzione umanistica dirimente, di eterno protagonista e signore del creato. Perciò il Caravaggio seguitò, e fu fatica di anni, ad osservare la natura della luce e dell'ombra incidentali. […] Chi non sa che il Tintoretto studiava al lume di lucerna, non già il vero, ma i modellini della Cappella Medicea? E che i modellini del Greco erano cere dove si stiravano in una poetica follia le ultime spire laocoontiche del disegno 'serpentinato'? Ma ora è la realtà stessa a venir sopraggiunta dal lume per 'incidenza': il caso, l'incidente luminoso, diventano causa efficiente della nuova pittura (o poesia). Non v'è Vocazione di Matteo senza che il raggio, assieme col Cristo, entri dalla porta socchiusa e ferisca quel turpe spettacolo dei giocatori d'azzardo. In effetto Caravaggio stagliò questa sua "descrizione di luce", questo poetico "fotogramma", quando l'attimo di cronaca gli parve emergere, non dico con un rilievo, ma con uno spicco, con un'evidenza così memorabile, invariabile, monumentale, come dopo Masaccio non s'era più visto.”

Roberto Longhi (1890–1970) storico dell'arte italiano

citato in Caravaggio, pp. 187-188
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“Il licaone anche agli occhi del profano appare quale perfetto prodotto della luce, mentre la iena è una figlia delle tenebre per ogni riguardo.”

Alfred Edmund Brehm (1829–1884) biologo e scrittore tedesco

Origine: La vita degli animali, Volume 1, Mammiferi, p. 499

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