Frasi sulla distanza
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“Tutto ciò che si desidera con impazienza è sempre lontano!”
Longinquum est omne, quod cupiditas flagitat.

Publilio Siro scrittore e drammaturgo romano

Ciò che si brama è sempre lontano.
Sententiae

“Come è felice la vita lontana dagli affari!”
Quam felix vita transit sine negotiis!

Publilio Siro scrittore e drammaturgo romano

Sententiae

“Quando sei con i tuoi anche se lontano, non desideri la tua terra!”
Ubi sis cum tuis et absis, patriam non desideres.

Publilio Siro scrittore e drammaturgo romano

Se tu sei con i tuoi e lontano dalla patria, non te ne verrà desiderio.
Sententiae

“Lo «zio Walt» è ben lontano dal fornire l'immagine di un padre comprensivo e accogliente, sebbene il mondo che egli ha ideato (e, detto per dovere di cronaca, ottenuto tramite lo sfruttamento dei propri collaboratori, sotto-pagati e costretti a turni di lavoro fino a 16 ore) rappresenti un universo che esalta i valori della tranquilla vita di campagna del Midwest protestante americano, fatta di torte di mele e di sermoni domenicali. Un universo che, nonostante sia una monumentale celebrazione dei valori tradizionali della famiglia patriarcale, possiede un «marchio di fabbrica» ben preciso, e qui forse sta il punto. Quasi tutte le opere targate Disney raccontano una storia di inclusione: un individuo, abituato ad avere sempre la peggio, in affannosa ricerca di una famiglia che lo accolga. Secondo alcuni sarebbe questo uno dei motivi per cui i gay si sono via via appropriati di un simbolo e di un personaggio che nasce da un contesto – la personalità di Walt Disney e l'azienda da questi creata – così controverso, e per certi versi ostile. Quello che le storie Disney raccontano da quasi ottant'anni è che ogni emarginato, ogni escluso ha qualcosa di buono da offrire, se solo gliene viene data la possibilità. Niente di più che il classico american dream, con animali al posto degli uomini.”

da Il topo gaio, in Il secolo gay, Diario del mese, gennaio 2006, p. 132

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“Promettere e mantenere è una cosa che porta lontano.”

Pierre de Marivaux (1688–1763) drammaturgo e scrittore francese

da La vita di Marianna

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“Avevo lasciato questo pianeta, abbandonando i poveri terrestri alle loro occupazioni tanto molteplici quanto inutili; finalmente vivevo nello splendore scintillante delle stelle, che mi apparivano grandi come milioni di soli! In altre occasioni non ero riuscito ad ottenere quel tipo di illuminazione per le scene delle mie opere: nel grande teatro dell'Opéra i fondali troppo spesso rimangono in ombra. Ormai non dovevo più rispondere alle lettere, avevo detto addio alle prime rappresentazioni, alle discussioni letterarie e a tutto ciò che vi si mescolava.
Niente giornali, niente cene, niente notti agitate!
Ah! se avessi potuto consigliare ai miei amici di raggiungermi dove mi trovavo. Non avrei esitato a chiamarli a me. Ma l'avrebbero fatto?
Prima di ritirarmi in questo soggiorno lontano avevo scritto le mie ultime volontà (un marito infelice avrebbe approfittato di questa occasione testamentaria per scrivere con voluttà «Le Mie Prime Volontà»). Avevo soprattutto espresso il desiderio di essere inumato a Egreville, vicino alla dimora familiare nella quale avevo vissuto per tanto tempo. Oh! Il buon cimitero! In aperta campagna: in un silenzio che si conviene a coloro che vi abitano.
Avevo evitato che si evitasse di appendere alla mia porta quelle tende nere, fatte apposta per i clienti. Desideravo che una vettura anonima mi facesse lasciare Parigi. Il viaggio, secondo le mie volontà, aveva avuto luogo alle otto di mattina. Un paio di giornali della sera ritennero di dover informare i loro lettori della mia morte.
Alcuni amici – ne avevo ancora la sera prima – andarono ad informarsi dal mio portinaio se la notizia era vera, e lui rispose: «Ahimè! Monsieur è partito senza lasciare indirizzo.» E la sua risposta era vera, perché non sapeva dove mi portasse quella macchina.
All'ora di pranzo, alcuni conoscenti mi fecero l'onore di condolersi; nel pomeriggio si parlò dell'avvenimento addirittura nei teatri, qua e là:
«– Adesso che è morto non lo eseguiranno più così spesso, vero?
«– Sapete che ha lasciato un'opera inedita? Ma non smetterà mai di togliere il lavoro alla gente?
«– Io, parola mia, gli volevo bene! Nelle sue opere avevo sempre dei grossi successi!
Ed era una bella voce di donna a dire quest'ultima frase.
Dal mio editore, piangevano: mi volevano tanto bene!
A casa mia, Rue de Vaugirard, mia moglie e mia figlia, i miei nipoti i miei bisnipoti erano riuniti: e nei singhiozzi quasi provavano una consolazione.
La mia famiglia doveva arrivare a Egreville la sera stessa del mio seppellimento.
E la mia anima (l'anima sopravvive al corpo) sentiva venire tutti questi rumori dalla città che avevo abbandonata. Man mano che la macchina me ne allontanava, le parole, i rumori, si confondevano, e io sapevo, visto che mi ero fatto costruire da parecchio tempo la tomba, che la fatal pietra, una volta sigillata, sarebbe diventata nel giro di poche ore la porta dell'oblio.”

Jules Massenet (1842–1912) compositore francese

da Epilogo in cielo, l'Echo de Paris, 11 luglio 1912; citato nell'epilogo a Don Quichotte, prefazione di Piero Faggioni, Stagione Lirica 1985-86, E. A. Teatro San Carlo, Napoli 1985, p. 84

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“Sembra di calare nel fondo di un immenso pozzo; la nebbia grigia rotola giù dall'orlo lontano, si ammucchia, soffoca fino il respiro.”

Giuseppe Fanciulli (1881–1951) pedagogista e scrittore italiano

da Sulla neve
Lisa-Betta

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“I vostri figli sono povere | Sfortunate vittime delle bugie in cui credete | Sia dannata la vostra ignoranza che tiene | I giovani lontani dalla verità che si meritano.”

Frank Zappa (1940–1993) chitarrista, compositore e arrangiatore statunitense

da What's the ugliest part of your body?, in We're only in it for the money; 2011

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“Quando i tempi nuovi compariscono in un lontano orizzonte, la prima forma che li preannunzia, è l'ironia. Che cos'è l'ironia? È il sentimento della realtà, che si mette dirimpetto quel mondo già tanto venerato, e ride.”

Francesco de Sanctis (1817–1883) scrittore, critico letterario e politico italiano

Origine: Da L'Armando, in Nuova Antologia di scienze, lettere e arti, anno III, vol. VIII, fasc. VII, luglio 1868, p. 452 https://books.google.it/books?id=5n8LmY5oZ9UC&pg=PA452.

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“I semidei, gli eroi, i santi non sono altro che l'espressione storica meno lontana dall'ideale.”

Francesco de Sanctis (1817–1883) scrittore, critico letterario e politico italiano

Origine: Nuovi saggi critici, Studio sopra Emilio Zola, p. 384

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“La vita è un paradosso. Per arrivare vicino devi viaggiare lontano, e ciò che è già conseguito lo devi conseguire un'altra volta.”

Osho Rajneesh (1931–1990) filosofo indiano

Origine: Il libro dei segreti, I segreti del Tantra (vol. III), p. 219

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“Ma sarà meglio parlarvi di un altro individuo, che conobbi or fa un anno. C'era, nel suo caso, una circostanza strana: dico strana, perché rara. Era stato condannato, insieme con altri, alla fucilazione. Per non so che delitto politico, doveva essere giustiziato. Gli fu letta la sentenza di morte. Se non che, venti minuti dopo, arrivò la grazia, cioè la commutazione della pena. Nondimeno, durante quei venti o quindici minuti, egli visse nella ferma convinzione che di lì a poco sarebbe morto. […] E così egli distribuì il suo tempo: due minuti per dire addio ai compagni, due altri per raccogliersi e pensare a sé, un minuto per dare un'occhiata intorno. Aveva ventisette anni; era sano e robusto. Accomiatandosi da uno dei compagni, si ricordava di aver fatto una domanda insignificante e di averne aspettato con interesse la risposta. Agli addii successero i due minuti di raccoglimento. Sapeva già a che cosa avrebbe pensato: "Adesso sono vivo; ma fra tre minuti, che sarò? Qualcuno o qualche cosa, e dove?". Non lontano sorgeva una chiesa, e la cupola dorata splendeva nel sole. Aveva guardato fisso a quella cupola: gli pareva che quei raggi ripercossi fossero la sua nuova natura e che fra tre minuti egli si sarebbe con essi confuso. L'ignoto che lo attendeva era certamente terribile; ma più assai l'atterriva l'assiduo pensiero: "E se non morissi? se la vita continuasse?… che eternità! e tutta, tutta a mia disposizione… Oh allora, di ogni minuto io farei una esistenza e non un solo ne perderei!" Questo pensiero a tal segno lo invadeva, che avrebbe voluto esser fucilato all'istante."
[…] "Siete un po' saltuario, principe", osservò Aleksandra. "Che volete provare, insomma? che ogni attimo della vita è prezioso, e che a volte cinque minuti valgono più di un tesoro? E sia, ammettiamolo pure… Ma, scusate, a quel vostro amico che vi contava i suoi spasimi gli commutarono la pena, non è così?… In altri termini, secondo lui e secondo voi, gli fecero dono di una vita senza fine, di un tesoro. E che ne fece egli di questo tesoro? tenne poi conto scrupoloso di ogni minuto?"
"Nient'affatto! Glielo domandai una volta, e mi confessò di averne perduti molti."
"Cosí abbiamo una prova che utilizzare tutti, tutti i minuti della vita è impossibile… Per una ragione o per l'altra, fatto sta che non è possibile.”

Fëdor Dostoevskij (1821–1881) scrittore e filosofo russo

II, 5)

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“Niente è più lontano dal pensiero di Max Müller, secondo il quale il discorso mitico è un prodotto inconscio del linguaggio, di cui l'uomo è sempre la vittima e mai il creatore.”

Marcel Detienne (1935–2019) storico e storico delle religioni belga

Origine: Mito e linguaggio da Max Müller a Claude Lévi-Strauss, p. 5

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“I giudici americani litigavano per beghe di potere spiandosi dalla finestra, gli innamoramenti di ciascuno di noi, lontano da casa, i valzer nei week end, l'interprete sovietica che rifiutava di guardare le foto con i corpi nudi dei prigionieri nei lager. Era drammatico e ti veniva da ridere.”

Telford Taylor (1908–1998)

da "Quel nazista non dovevamo impiccarlo" https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1992/ottobre/31/Quel_nazista_non_dovevamo_impiccarlo_co_0_9210319337.shtml, Corriere della sera, 31 ottobre 1992

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“Di fronte a questo imbarbarimento, il Santo Bambino resta l'unica via, l'unica verità, l'unica vita dell'universo. Gli sforzi per costruire un mondo giusto e pacifico, al di fuori di Cristo, non sono che schiuma in un mare in tempesta. per raggiungere la pce e la tranquillità, il mondo non ha bisogno di incontri al vertice, di convegni internazionali, di discussioni tra esperti, ma solo di quella semplicità di cuore che penetra fin nel fondo delle cose, svelandone gli aspetti più reconditi. Oggi la pace è lontana dal mondo, quanto lo è la ricerca della gloria di Dio. Le radici cristiane sono estirpate e la notte è tornata a calare nel mondo, con il brivido di paura che l'accompagna. La Chiesa e la società vivono ore non di pace e di tranquillità, ma di dramma. Gli occhi si volgono verso il cielo e non vi scorgono che l'oscurità della notte più fonda. Ma il cristiano sa che il mistero del Natale, come quello della Resurrezione, è il simbolo, e la luminosa realtà, della luce che squarcia le tenebre più profonde. Così avvenne a Betlemme, così accadde spesso nella storia. "Natale" fu il grido di entusiasmo con cui nella notte del 25 dicembre dell'anno 496, i Franchi salutarono il battesimo del loro Re Clodoveo. La stessa acclamazione riecheggiò sotto le volte di San Pietro nella notte di Natale dell'anno 800, quando Carlo Magno fu incoronato Imperatore dal Papa san Leone III. I cuori orgogliosi rifiutano con sufficienza l'idea di una grande rinascita cristiana nel secolo XXI. I cuori semplici, pregando ai piedi del presepio, vedono nel Natale una luce di speranza nella tragedia del nostro tempo. Nel mondo, oggi, tutto è frastuono e disordine; nel Presepio tutto è ordine, raccoglimento, spirito soprannturale. Il Presepio è lo specchio di una società capace di rendere gloria a Dio e pace agli uomini di buona volontà.”

Roberto de Mattei (1948) storico italiano

N. 20, p. 3
Editoriali in Radici Cristiane

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“E in questo sabato qualunque un sabato italiano | Il peggio sembra essere passato | La notte è un dirigibile che ci porta via lontano.”

Sergio Caputo (1954) cantautore e musicista italiano

Un sabato italiano, n. 6
Un sabato italiano

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“Che poi un Esercito fosse a vista, o in poca lontananza dall'altro, cioè quello di Annibale da quello de' Romani; osservandosi tutto il contesto di che dice Tito Livio, non può dirsi diversamente; riflettendosi tra l'altre cose, che avendo inviato Annibale un distaccamento da foraggiare ne' Campi Larinati, resto egli alla posta, guardando per dar soccorso, caso che i suoi soldati fussero assaliti da' nemici; e Minucio Maestro de' Cavalieri, che guidava una parte dell' Esercito de' Romani, alloggiando sul Monte, cominciò a calare in piano, facendo disegno d'incontrare quei, che si conducevano al foraggio, o di assaltare le munizioni; Annibale in osservarlo, si pose sopra un monticello in faccia al nemico, discosto due miglia da Gerione per meglio farsi scuoprire: Deinde Castra ipse propius hostem movit [parla di Annibale] duo ferme a Gerione millia in tumulum hosti conspectum : or se la Cirignola, o Dragonara, fusse il Gerione di Annibale, certamente che non può capirsi, come avrebbe egli potuto far tutto questo, e stare a vista del nemico, che si ritrovava ne' Campi Larinati, e due miglia lontano da Gerione : all'incontro ritenendo Annibale il sito del monticello, da dove scuopriva l'accampamento del nemico, che stava ne' Campi Larinati, ben si accorda la distanza di due miglia dal nostro vero Gerione, situato tra Larino, e Casacalenda, quattro da Larino, e due miglia lontano da Casacalenda, come sopra.”

Giovanni Andrea Tria (1676–1761) filosofo, teologo e vescovo cattolico italiano

da Memorie Storiche Civili, ed Ecclesiastiche della città e Diocesi di Larino, lib. I, cap. V, num. 7
Origine: Tito Livio. Ab Urbe Condit. op. cit. lib. XXII, num. 24. – «... dein castra ipsa propius hostem movit, duo ferme a Geronio milia, in tumulum hosti conspectum, ut intentum [se] sciret esse ad frumentatores, ...»

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“Beato colui che, lontano dalle cure cittadine, | come gli uomini dell'età più antica, | ara i campi paterni con buoi che gli appartengono.”

(II, 1-3)
Beatus ille, qui procul negotiis, | ut prisca gens mortalium, | paterna rura bubus exercet suis.
Epodi

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“La Chiesa è saggia e Iddio è lontano.”

Antonio Beltramelli (1879–1930) poeta e giornalista italiano

Origine: L'ombra del mandorlo, p. 99

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“Vent'anni fa, Leopold Mapple era il giovane scienziato più brillante del nostro corso per studenti superdotati all'Istituto di Scienze di Londra. Era un ragazzone di cento chili, roseo e ben vestito. Lo si sarebbe potuto prendere per un ricco rampollo nullafacente: invece era lo scienziato più importante nella ricerca sulla fisica subatomica. Ma era anche il più inveterato gaudente, mangione, bevitore, tabagista, donnaiolo e cultore di ogni altra cosa dai più chiamata vizio. Spesso veniva richiamato dal nostro rettore, gran lucertolone calvinista, ad un atteggiamento più morale, ma Apple gli rispondeva sempre: "Sono uno scienziato e ho studiato con attenzione il mondo: e dico mai, nelle mie osservazioni, né col microscopio, né con con la camera a bolle, né con le analisi chimiche, né coi raggi X ho mai visto apparirmi una cosa chiamata 'morale'. Era infatti Leopold Mapple, l'uomo più radicalmente ateo, più rigidamente materialista, più lontano da qualsiasi sbavatura filosofica o mistica, che io avessi conosciuto. Per lui tutto era materia, numero, osservazione, confronto, realtà: su tutto il resto egli spargeva abbondantemente la sua risata fragorosa, ben conosciuta in tutte le birrerie londinesi. "C'è un solo mezzo", egli ripeteva spesso, "per elevarsi da questa terra: ed è possedere una velocità superiore a 11,45 chilometri al secondo: tutto il resto è carburante per la superstizione e l'ignoranza." E a questo suo monolitico approccio all'esistenza, egli si manteneva coerente. Radunava un gruppo di amici, io, il dottor Hyde, e Bohr, e Fermi e Jacobson e ci trascinava nella Londra notturna. Mangiava e beveva smodatamente: "Nulla teoria, sine hosteria,"diceva e aggiungeva: "Certo non ci si ciba in fondo che di molecole, ma tra un piatto di idrogeno e un pasticcio di maiale, c'è una bella differenza." E a chi gli diceva che diventa sempre più grasso, rispondeva: "Nell'Universo, le cose grosse sono più rare delle piccole: pochi elefanti, molte zanzare, pochi grandi stelle, tanti pianetini." Insomma, un tipo piuttosto bizzarro, l'avrete capito: ma l'eccezionale bravura scientifica e l'allegria contagiosa, lo rendevano simpatico a tutti. Piaceva anche alle donne, anche se lui ripeteva spesso:"Considero ogni parola detta a letto, oltre le sei, come una conferenza, e come tale mi riservo di abbandonarla." Questo suo carattere gli causava anche qualche guaio, come una volta, quando vide alcuni bambini fermi davanti a un presepe sotto Natale. Subito volle spiegare loro: uno, che Gesù Bambino non poteva essere nato seminudo nella capanna perché sarebbe morto assiderato entro pochi minuti, due, che la Madonna non poteva averlo partorito restando vergine perché la fecondazione artificiale è stata inventata quasi duemila anni dopo, e tre, che se veramente sulla capanna fosse arrivata una cometa avrebbe ridotto tutta la Palestina a una voragine fumante. Inoltre i pastori che arrivavano con le pecore probabilmente non erano venuti per regalarle, ma per venderle come è loro abitudine, e che i tre re magi erano la più grande delle fandonie perché mai nella storia un re si è fatto una cammellata nella notte per andare a portare dei doni a un bambino nudo, magari a una bambina di sedici anni sì, ma a un neonato mai nei secoli dei secoli amen e dopo, siccome i bambini erano piuttosto choccati, li portò tutti in una pasticceria e offrì loro una montagna di kraffen dicendo: prendete e mangiate, eccovi dio infinitamente buono nella sua santa trinità di crema, marmellata di arance e cioccolato. Fu denunciato dai genitori, e si guadagnò una nota di biasimo dal rettore, che però non lo espulse perché proprio in quei mesi Mapple stava ultimando un esperimento straordinario: era riuscito a costruire una camera a bolle speciale dove era sicuro di scoprire la terza forza elementare, la forza che, diceva, sta all'origine di tutte, e non è né onda né particella, qualcosa di completamente diverso, e definitivo. "Farò l'ultimo strip-tease alla cosiddetta materia," ci disse, troneggiando tra macerie di lattine di birre, a una festa organizzata la sera prima dell'esperimento. "E quello che resterà alla fine, sarà il principio: altroché Buddha e Javeh e Visnù e altri figuri metà uomo e metà cane e splendenti e resuscitanti e volanti e sibilanti su e giù per il cielo. Basta con il traffico aereo degli impostori! Quello che troveremo al termine del mio esperimento, sarà Dio a tutti gli effetti di legge: ciò da cui tutto è composto, e creato, e causato: una particella, un'onda, una relazione. Non lancerà fulmini, nel suo nome nessun profeta sarà costretto a massacri, non avrà bisogno di travestirsi da toro di legno per scopare: sarà una formula, tutto lì. Gioiosa, semplice, tangibile, consistente, divulgabile nelle scuole, utilizzabile in industria. Ragazzi quel giorno andrò dal rettore e gli dirò: 'faccia mettere questa formula nel presepe al posto di Gesù Bambino. E vedrà se giuseppi e marie e pastori e pecorelle e reganti cammellari e angeli trombettieri non ci faranno la figura dei fessi!" Noi scoppiammo a ridere, qualcuno era un po' scandalizzato, ma Mapple ci travolse, beveva e cantava e petava come un cavallo gridando: "In interiore hominis vox veritatis!" e passammo in rassegna tutte le bettolacce di Sub-Chelsea e per contare i tappi di birra fatti saltare Bohr disse che ci sarebbe voluta un'equazione complessa, e tornammo a casa ubriachi fradici. Il giorno dopo, fragoroso come sempre, Mapple arrivò all'Istituto per l'esperimento. "Bene," disse "ora prendiamo un bell'atomo grassotto e prendiamolo a cazzotti finché non gli cascano giù tutti gli elettrodentoni." Era questo un suo modo colorito di definire gli esperimenti subatomici. Un giovane tecnico si calò nella grande camera a bolle, dentro la quale sarebbe avvenuto il bombardamento, fino all'ultima particella. Quella mattina Mapple era particolarmente euforico, e ben farcito di birra. Non si accorse che il tecnico si era sdraiato a terra per controllare la temperatura del suolo. Così lo chiuse senza accorgersene dentro la camera e iniziò il bombardamento. L'esperimento durò otto giorni: per quel tempo, il reparto restò chiuso a tutti. Il nono giorno ecco arrivare Mapple in smoking, reduce dalla solita notte di baldoria. C'eravamo tutti con lui, mentre si avviava alla camera nucleare: "Ragazzi", egli gridava, facendo roteare il bastone d'avorio, "le nuvole di duemila anni di incensi religiosi stanno finalmente per dissolversi. Migliaia di preti invaderanno gli uffici di disoccupazione in tutto il mondo. Nessun bambino verrà mai più atterrito da purgatori e inferni! Le marmellate in cima agli armadi verranno sterminate, senza paura di ritorsioni. Nelle chiese risuonerà, liberatorio, il tintinnio dei brindisi. Suore nude si concederanno a rabbini infoiati, ex voto, ex stole, ex messali, tiare, sottanoni e paramenti e ultime cene tutto brucerà, nello stesso fuoco in cui la chiesa ha bruciato i libri, gli eretici, i villaggi degli infedeli. L'ultima crociata è giunta! L'umanità è salva! Cristo è disceso in terra, anzi è sempre stato lì, e io ve lo mostrerò! La causa causarum, la sacra particula, il colui da cui, il primo motore, l'ordo initialis, l'uovo cosmico, il fabbro celeste, il danzatore eterno, l'occhio del Buddha, il kkien, il waugwa, il primo bit, il supremo artefice! Presto a voi in tutto il suo scientifico splendore! Seguitemi!" E noi lo seguimmo, eccitati, fin davanti la porta sigillata della camera dell'esperimento, e trattenemmo il fiato insieme a lui, quando lui aprì la porta e vide… vide… Vide il tecnico, con la barba lunga, i capelli incolti, con il viso scavato da otto giorni di digiuno, e il camice bianco strappato, che alzava al cielo le mani bruciate dalle ustioni radioattive e gridava: "Sono qui! Sono io, Mapple, finalmente mi hai trovato!" Descrivere il viso di Mapple in quel momento, non mi è possibile: diventò bianco come un marmo, gli occhi sembrarono uscirgli dalle orbite, ed egli lanciò un urlo, un urlo che fece tremare i vetri dell'Istituto, e i nostri cuori. "Nooooooooooooooooo!" Fuggì, travolgendo tutti. Nessuno di noi riuscì a raggiungerlo per spiegargli cos'era veramente successo. Sparì nel nulla e riapparve solo dopo molti giorni, la barba lunga, gli occhi rossi: capimmo subito che era uscito di senno. "Mapple," cercammo di spiegargli "quello che hai visto era solo il tecnico dell'Istituto, rimasto chiuso nella tua camera atomica per otto giorni!" "No amici," egli disse con voce ispirata, "era Dio! In fondo a ogni atomo c'è Dio." Due mesi dopo partì, con questa strana astronave, nello spazio. Da quel giorno egli vola per le galassie, portando la Religione ovunque, nelle stazioni spaziali, nei pianeti, nelle astronavi: non c'è culto o rito o confessione che egli non conosca e commerci. Cosi sia.”

Stefano Benni (1947) scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano
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“Talora il loro [dei lontani] anticlericalismo nasconde uno sdegnato rispetto verso le cose sacre che credono svilite nei ministri.”

Papa Paolo VI (1897–1978) 262° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

Origine: Citato in Cristina Siccardi, Paolo VI: il papa della luce, Paoline, 2008.

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“Trovammo Desenzano sette miglia lontano da Peschiera, e tre miglia più oltre Lonato, castelletti, l'uno e l'altro cinti di mura, che non mostrano però gran cosa.”

Andrea Minucci medico, arcivescovo e scrittore italiano

Descrizione di un viaggio fatto da Venezia a Parigi