Frasi su poco
pagina 11

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“È povero non chi possiede poco, ma chi brama avere di più.”

lettera 2; 1975
Epistulae morales ad Lucilium

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“[Intervista a Raoul Casadei] Queste canzoni mi ricordano un poco le donne degli anni cinquanta. Mia madre ad esempio! Che vedevano nell'uomo il viziato, un uomo per essere definito tale doveva fumare, bere, tradire… insomma un personaggio di Renzo Arbore ha detto: "L'uomo addà puzzà". (Da Casa Casadei San Marino RTV del 20 novembre 1995).”

Roberto Mattioli (1963) conduttore televisivo e conduttore radiofonico italiano

http://www.youtube.com/watch?v=JYyHLMoFP4w
Origine: Frase attribuita a Giorgio Bracardi dal programma radiofonico Alto Gradimento. 13 luglio 1970 – 2 ottobre 1976.

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“Non a caso per celebrare l'estate piena indosso questi boxer poco ortodossi televisivamente parlando e questa palandrana ieratica che contrasta con i colori variopinti sottostanti… troppo sottostanti (Da Summer Blu”

Roberto Mattioli (1963) conduttore televisivo e conduttore radiofonico italiano

Rete Blu – del 30 luglio 1993).
Origine: La palandrana ieratica altro non era che la camicia dell'abito sacerdotale di Don Mario Pieracci.

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“E a poco a poco capisco chi sono. Io sono quel che mi è di fronte. Chiunque mi è di fronte io sono. Ma pur essendo in tutti continuo a non essere nessuno.”

Antonio Rezza (1965) attore, regista e scrittore italiano

pag. 26
Citazioni tratte dalle opere letterarie, Credo in un solo oblio

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“Una storia di poco falsa…”

Marcello Macchia (1978) comico italiano

Voce fuori campo
Altri, Rocchio 47

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“Ma sarà meglio parlarvi di un altro individuo, che conobbi or fa un anno. C'era, nel suo caso, una circostanza strana: dico strana, perché rara. Era stato condannato, insieme con altri, alla fucilazione. Per non so che delitto politico, doveva essere giustiziato. Gli fu letta la sentenza di morte. Se non che, venti minuti dopo, arrivò la grazia, cioè la commutazione della pena. Nondimeno, durante quei venti o quindici minuti, egli visse nella ferma convinzione che di lì a poco sarebbe morto. […] E così egli distribuì il suo tempo: due minuti per dire addio ai compagni, due altri per raccogliersi e pensare a sé, un minuto per dare un'occhiata intorno. Aveva ventisette anni; era sano e robusto. Accomiatandosi da uno dei compagni, si ricordava di aver fatto una domanda insignificante e di averne aspettato con interesse la risposta. Agli addii successero i due minuti di raccoglimento. Sapeva già a che cosa avrebbe pensato: "Adesso sono vivo; ma fra tre minuti, che sarò? Qualcuno o qualche cosa, e dove?". Non lontano sorgeva una chiesa, e la cupola dorata splendeva nel sole. Aveva guardato fisso a quella cupola: gli pareva che quei raggi ripercossi fossero la sua nuova natura e che fra tre minuti egli si sarebbe con essi confuso. L'ignoto che lo attendeva era certamente terribile; ma più assai l'atterriva l'assiduo pensiero: "E se non morissi? se la vita continuasse?… che eternità! e tutta, tutta a mia disposizione… Oh allora, di ogni minuto io farei una esistenza e non un solo ne perderei!" Questo pensiero a tal segno lo invadeva, che avrebbe voluto esser fucilato all'istante."
[…] "Siete un po' saltuario, principe", osservò Aleksandra. "Che volete provare, insomma? che ogni attimo della vita è prezioso, e che a volte cinque minuti valgono più di un tesoro? E sia, ammettiamolo pure… Ma, scusate, a quel vostro amico che vi contava i suoi spasimi gli commutarono la pena, non è così?… In altri termini, secondo lui e secondo voi, gli fecero dono di una vita senza fine, di un tesoro. E che ne fece egli di questo tesoro? tenne poi conto scrupoloso di ogni minuto?"
"Nient'affatto! Glielo domandai una volta, e mi confessò di averne perduti molti."
"Cosí abbiamo una prova che utilizzare tutti, tutti i minuti della vita è impossibile… Per una ragione o per l'altra, fatto sta che non è possibile.”

Fëdor Dostoevskij (1821–1881) scrittore e filosofo russo

II, 5)

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“La vecchiarella è una bazzecola! – pensava con foga ed a scatti. – La vecchia sarà stata un errore, ma non è di lei che si tratta! La vecchia è stata soltanto una malattia… io volevo al piú presto scavalcare l'ostacolo… io non ho ucciso una persona, io, io ho ucciso un principio! Il principio, sí, l'ho ucciso, ma quanto a scavalcare, non ho scavalcato, son rimasto da questa parte… soltanto uccidere ho saputo. E anche quello non l'ho saputo fare, si vede… Un principio? Per che cosa quello stupidello di Razumichin poco fa criticava i socialisti? Sono gente laboriosa e trafficante; si occupano della "felicità generale"… no, a me la vita è data una volta sola e poi non l'avrò mai piú: io non voglio aspettare la "felicità universale". Voglio vivere anch'io, se no è meglio non vivere addirittura. […] Oh, che ignobiltà! Oh, che viltà!… Oh, come io comprendo il "profeta", con la spada, a cavallo: Allah lo vuole, e obbedisci, "tremante" creatura! Ha ragione, ha ragione, il "profeta" quando pianta in mezzo alla strada una b-b-buona batteria e tira sugli innocenti e sui colpevoli, senza nemmeno degnarsi di una spiegazione! Obbedisci, tremante creatura, e… non aver desiderî, perché non è affar tuo!… Oh, per nulla, per nulla al mondo perdonerò a quella vecchia!”

Fëdor Dostoevskij (1821–1881) scrittore e filosofo russo

Raskòl'nikov; III, VI; pp. 328-9

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“Mentre la maggior parte dei teorici sociali sembrava non avere sufficiente consapevolezza del potere della gente di creare le proprie istituzioni e le proprie forme di organizzazione, ci sono molti esempi di questo potere che mi incoraggiano. Uno dei miei favoriti ha avuto luogo a New York negli ultimi anni '70. Questa esperienza si chiamava il "Movimento della undicesima strada est". Inizialmente il movimento era un'organizzazione di quartiere di portoricani, una delle tante del Lower East Side di Manhattan, che aveva formato un'alleanza con alcuni giovani ecologisti radicali per riabilitare un palazzo abbandonato che era stato completamente distrutto da un incendio. L'isolato stesso, uno dei peggiori nel ghetto ispanico, sarebbe divenuto un ritrovo per tossicodipendenti, ladri di auto, rapinatori e piromani. Dopo essere stato occupato illegalmente da una comunità di squatter, l'edificio fu completamente ricostruito dagli operai di una cooperativa, composti per la maggioranza da portoricani, una manciata di neri e qualche bianco. Il tentativo del movimento di acquistare la proprietà dell'edificio per finanziare la sua riabilitazione e allargare le sue attività ad altre strutture abbandonate, sarebbe divenuta una cause célèbre che ispirò imprese simili nel Lower East Side e in altri quartieri. […] Alla fine, l'edificio stesso fu non solo ricostruito, ma fu "ristrutturato ecologicamente" con dispositivi salva-energia, isolanti, pannelli solari per scaldare l'acqua e un generatore eolico per fornire una parte dell'energia elettrica. Si parlò di giardini pensili, riciclo dei rifiuti e di trasformare i terreni abbandonati nei paraggi in piccoli parchi di quartiere. Sarebbe troppo lungo fare un resoconto completo delle lotte del "Movimento della undicesima strada est". Tuttavia, sono felice di dire che alcune persone dell'Institute for Social Ecology giocarono un ruolo ispiratore e tecnico in questi progetti. Questo è, penso, un esempio poco conosciuto, ma notevole di come giovani ecologisti sociali bianchi hanno lavorato mano nella mano con persone ispaniche oppresse per ottenere un ambiente umano in maniera autenticamente ecologica. […] È stato un meraviglioso esempio della pratica dell'ecologia sociale che contrasta marcatamente con le carattaristiche bellicose, autoindulgenti e a volte misantropiche che trovo spesso nell'ecologia profonda e nell'ambientalismo della classe media.”

Murray Bookchin (1921–2006) scrittore statunitense

da Aa. Vv., Defending the Earth, A debate between Murray Bookchin and Dave Foreman, Black Rose Books, Montreal/New York, 1991, pp. 101-102
Origine: Citato in Ermanno Castanò, Ecologia e potere. Un saggio su Murray Bookchin, p. 114, Mimesis, Milano, 2011. ISBN 88-57-50501-4

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“Canaletto (acquafortista) non cerca i neri intensi; è il maestro dei grigi argentati, entro i quali si spande a larghi fiotti la luce. Dappertutto appare la carta. Incurvati come piccole onde, i segni sembrano ritmare; si muovono, ricevono e riflettono il sole, danno la sensazione dell'atmosfera che ondeggia attorno alle forme e che ci permette di concepirle, non come figure secche delimitate da campiture, ma come volumi calati in una dimensione mutevole. […] Manette rimprovera a Canaletto "il tocco troppo uniforme e troppo poco delicato"; ed è ingiusto.”

Henri Focillon (1881–1943) storico dell'arte, storico e poeta francese

da Piranesi, 1918
Origine: Citato in Canaletto, I Classici dell'arte, a cura di Cinzia Manco, pagg. 181 - 188, Milano, Rizzoli/Skira, 2003. IT\ICCU\CAG\0608462 http://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=solr_iccu&rpnquery=%2540attrset%2Bbib-1%2B%2540and%2B%2540and%2B%2B%2540attr%2B1%253D13%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522759.5%2522%2B%2B%2540attr%2B1%253D4005%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522classici%2Bdell%2527arte%2522%2B%2B%2540attr%2B1%253D4018%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522rizzoli%252Fskira%2522&totalResult=13&select_db=solr_iccu&nentries=1&rpnlabel=+Codice+Classificazione+Dewey+%3D+759.5+&format=xml&resultForward=opac%2Ficcu%2Ffull.jsp&searchForm=opac%2Ficcu%2Ferror.jsp&do_cmd=search_show_cmd&refine=4005%7C%7C%7Cclassici+dell%27arte%7C%7C%7Cclassici+dell%27arte%7C%7C%7CCollezione%404018%7C%7C%7Crizzoli%2Fskira%7C%7C%7Crizzoli%2Fskira%7C%7C%7CEditore&saveparams=false&&fname=none&from=11

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“Il primo giorno che vi si recò, si sedette un poco a caso; era prima della guerra, in un tempo in cui si poteva ancora scegliere il proprio posto.”

Raymond Queneau (1903–1976) scrittore, poeta e matematico francese

da La piccola gloria
Racconti e ragionamenti

“Il miglior fabbro della nostra recente narrativa (cui si rimpiange abbia arriso in vita — sia detto in pieno spirito polemico — una fortuna altrettanto diffusa e plenaria che impressionistica, tecnicamente inadeguata, tutta di blanda natura recensiva quando non agiograficamente prefatoria) lascia pressoché intatto un territorio di ricerca nel quale campeggia, ormai ineludibile, un dilemma di portata capitale: se sia lecito, e soprattutto euristicamente remunerativo, confinare il più splendido modello d'italiano degli ultimi decennî (sempreché il predicato suoni ancora laudatorio in un'epoca soggiogata, come l'attuale, dal falso idolo della semplicità e dell'uniformità denotativa) nell'alveo angusto d'un virtuosismo formalistico di matrice rondesco-dannunziana e d'una ricercatezza basata sul recupero acritico di materiali aulici e preziosissimi; o non piuttosto riconoscere in esso lo statuto d'una scrittura duttile, densa, sorprendentemente viva e vitale, capace di contrastare la dilagante mediocrità espressiva e insieme di conciliare con assoluto rigore e straordinaria intelligenza le ragioni della letterarietà tradizionale (mai, beninteso, passivamente accolte, bensì filtrate, in un folto coimplicarsi d'echi intertestuali, attraverso una sensibilità originale, austeramente selettiva) con la tensione analitica e di scavo, la trasfigurazione lirica, la compromissione estrema di chi assegna alla letteratura una funzione taumaturgica, poco meno che salvifica, essenzialmente sacrale. E tanto basti a legittimare l'equazione, se inusitata plausibilissima, letterarietà-autenticità, o, a dir tutto, artificio-affabilità comunicativa.”

Gualberto Alvino (1953) filologo, critico letterario e scrittore italiano

da Artificio e pietà. Contributo allo studio di Gesualdo Bufalino, in Gualberto Alvino, Tra linguistica e letteratura. Scritti su D'Arrigo, Consolo, Bufalino, introduzione di Rosalba Galvagno, Roma, Fondazione Antonio Pizzuto, 1998

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“La povertà religiosa è poco ben conosciuta e anche meno osservata.”

Maria Maddalena de' Pazzi (1566–1607) monaca e mistica italiana

Detti e sentenze memorabili, Detti e sentenze circa i tre voti religiosi

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“Una retta, e in particolare una breve retta che si ispessisce, rappresenta un caso analogo a quello del punto che cresce: anche qui c'è da domandarsi: "In quale momento si estingue la linea come tale e in quale momento nasce una superficie?". Ma non possiamo dare una risposta precisa. Come si potrebbe rispondere alla domanda: "Quando finisce il fiume e quando comincia il mare?". I limiti sono sempre mal distinguibili e immobili. Qui tutto dipende dalle proporzioni, come nel caso del punto – l'assoluto viene portato dal relativo a un suono indistinto e diminuito. Nella prassi il movimento verso il limite è espresso in modo più preciso che nella formulazione puramente teorica. Il movimento verso il limite è una grande possibilità di espressione, un mezzo potente (in definitiva un elemento) per i fini compositivi. Quando gli elementi principali di una composizione sono di una rigorosa sobrietà, questo mezzo genera una certa vibrazione fra gli elementi, porta un rilassamento maggiore nell'atmosfera rigida del tutto e può, se usato in misura esagerata, portare quasi a raffinatezze repellenti. In ogni modo qui dobbiamo fare ricorso ancora una volta alle reazioni della sensibilità. Per ora non è possibile disporre di una distinzione generalmente accettata fra linea e superficie – fatto che forse è legato alla situazione ancora poco evoluta della pittura, alla sua condizione tuttora quasi embrionale, a meno che non sia forse determinato proprio dalla natura di quest'arte.”

Vasilij Vasil'evič Kandinskij (1866–1944) pittore russo

1968
Punto, linea, superficie

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“Non bisogna già che si smarrisca il Cristiano né punto né poco, o che s'arresti, se le cose esterne fanno la loro impressione sopra di lui.”

Antonio Rosmini (1797–1855) filosofo e sacerdote italiano

Lezione II, 7
Massime di perfezione cristiana

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“«Ha fatto però una cosa non da poco: ha mescolato parole greche alle parole latine». O ritardatari delle belle lettere, ritenete davvero difficile e meravigliosa una cosa che riesce perfino a Pitoleone da Rodi”
«At magnum fecit, quod verbis graeca latinis miscuit». O seri studiorum, quine putetis difficile et mirum, Rhodio quod Pitholeonti contigit?

Quinto Orazio Flacco (-65–-8 a.C.) poeta romano

da I, 10, 20-23 - Mario Labate

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“A proposito di Wikipedia, caro Magini, posso dirle soltanto che questa enciclopedia online è uno dei frutti più sorprendenti della grande rivoluzione che il computer personale e Internet hanno provocato nel campo della comunicazione. In un articolo pubblicato dal settimanale Mondo del 13 luglio, Andrea Turi ricorda che la parola "wiki" viene dal linguaggio parlato nelle isole Hawaii e significa "rapido". La parola allude alla rapidità con cui le informazioni appaiono sullo schermo, ma vale anche per il suo straordinario sviluppo in pochi anni. È nata in inglese il 15 gennaio 2001, ma sono bastati soltanto quattro mesi perché venissero create 13 edizioni fra cui una italiana. Oggi il suo sito è uno dei dieci più frequentati nel mondo e registra ogni sei mesi circa sei miliardi di accessi. È una enciclopedia in cui tutti possono scrivere e a cui tutti possono attingere. Si compone di circa sette milioni di voci (poco meno di 350.000 in italiano) ed è scritta in circa 250 lingue da uno stuolo di collaboratori anonimi, curiosi, appassionati di temi particolari e ansiosi di gettare le loro informazioni nel grande mondo della rete. Insomma Wikipedia è una cattedrale che cresce spontaneamente, senza disegni e architetti grazie alla collaborazione di parecchie migliaia di muratori volontari. È inevitabile, in queste condizioni, che qualche colonna sia sghemba, qualche arco mal calcolato, qualche pietra difettosa, qualche prospettiva ingannevole. Ma gli errori ideologici, le sviste e i partiti presi non mi impediranno di continuare a consultarla. Raccomando ai lettori di fare altrettanto con il tradizionale ammonimento che accompagna le buone medicine: usare con cautela.”

Sergio Romano (1929) storico, scrittore e giornalista italiano

da Come insegnare il friulano e leggere Wikipedia http://www.corriere.it/solferino/romano/07-09-25/01.spm, 25 settembre 2007
Lettere al Corriere, Corriere della Sera
Origine: Rispondendo a un lettore preoccupato dell'attendibilità di Wikipedia, il quale citava una versione vandalizzata della voce Sergio Romano contenente opinioni personali e accuse di fascismo.

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“Io sono nato il 23 giugno 1923. Dal 28 ottobre 1922, da otto mesi, poco meno, Benito Mussolini era salito al potere con la sua solita ridicola marcia su Roma, fatta in vagone letto. Penso Mussolini in pigiama, o forse in camicia (non nera, speriamo!) farsi la barba la mattina del 27 ottobre all'arrivo a Roma, dopo la sveglia del conduttore, con il giornale ed il caffè! Otto mesi dopo, in Piazza Calderini sono nato: e debbo quindi arguire di essere stato concepito un po' prima di quei fatidici giorni, in una Bologna ormai attesa al destino, ormai quasi pacificata, in vista di un futuro finalmente pieno di promesse. Alla fine di settembre del 1922, mio padre [Aldo Valori] era ancora al Resto del Carlino, il giornale degli agrari emiliani e romagnoli, il giornale liberal-massonico-conservatore che Missiroli aveva diretto e Monicelli spinto verso il fascismo alla fine di un processo di evoluzione incerto e prudente, ma senza speranza di liberazione dell'ormai decisiva rivoluzione reazionaria. Mio padre si trovò coinvolto in quella vicenda. Mi sono chiesto spesso negli ultimi anni dopo la seconda guerra mondiale, perché il babbo aderisse al fascismo. Se ripenso a tutta la vicenda, durata in fondo pochi anni, debbo concludere che noi non comprenderemo mai completamente questo dramma. Il babbo, per educazione e carattere, per formazione culturale e morale, non poteva essere fascista nel senso che ha acquistato in seguito questa parola. Estraneo ad ogni violenza, mansueto di carattere e di modi, anche se molto passionale ed impulsivo, (specialmente negli anni della giovinezza e della maturità), non poteva trovare la sua adesione al Fascismo squadrista. Né poteva trovare, romantico e liberale com'era affinità con il Mussolinismo (culto puerile e comodo della personalità).”

Michele Valori (1923–1979) urbanista e architetto italiano

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