Frasi su abitudine
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“La vita è un'abitudine, ma capita sempre di perderne.”

Dargen D'Amico (1980) rapper e cantautore italiano

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“Avremmo disperatamente bisogno dell'abitudine a vegliare in questo distratto mondo moderno. Se più uomini di notte camminassero e pensassero, ci sarebbero meno miserie sotto il sole.”

John Dos Passos (1896–1970) scrittore, saggista e giornalista statunitense

p. 15
Origine: In Ronzinante di nuovo in viaggio, a cura di Francesco Cappellini, Via del Vento, Pistoia, 2011. ISBN 9788862260589

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“Caro direttore [Indro Montanelli], sono quasi 6 anni che non ci sentiamo. Da quel 22 luglio 2001 quando, dopo avere speso gli ultimi respiri a mettere in guardia gli italiani dal virus Berlusconi, te ne volasti in cielo. Ora che sei in Paradiso, immagino che tu abbia di meglio da fare che occuparti dell'Italia: in 92 anni di vita, hai già dato. Ma qui succedono cose talmente strane che devo proprio raccontartele. Intanto Berlusconi non c'è più, al governo intendo. Ma non è che si noti molto. Anzi, forse torna. Il vaccino non ha funzionato. Ora c'è di nuovo Prodi, almeno fino a un paio di minuti fa c'era. Non sappiamo. Si parla, tanto per cambiare, di crisi della politica. E in quel vuoto s'infilano indovina chi? La Confindustria e il Vaticano. Come diceva Totò, quando vedo un buco ci entro. Tu eri un laico risorgimentale a 24 carati, ma due papi, Roncalli e poi Woytjla, ti vollero conoscere perché eri molto rispettoso della religione. Un po' meno di certi Preti e di certi Vescovi che s'impicciavano di politica. Dicevi: "Aborro i preti, esseri autoritari e prepotenti. Quando qualcuno mi dice che stiamo andando verso il fascismo, vorrei quasi rispondere: magari! Il fascismo è brutto, ma passa. Invece andiamo incontro a forme di vita clericale, anzi ci siamo dentro, perché non abbiam saputo amministrare il nostro libero esame. Abbiamo liquidato la coscienza, dandola in appalto al prete. Ecco dove nasce il più macroscopico difetto degli italiani: la mancanza di una coscienza morale. Non siamo religiosi: siamo cattolici per comodità, abitudine, tradizione, non per coscienza. Il problema di Dio gli italiani non se lo pongono. Perciò non siamo mai stati una Nazione: l'unico Stato che conosciamo è quello Pontificio". Ecco, ci siamo dentro fino al collo adesso, direttore. I cattolici liberali si sono estinti. Già tu rimpiangevi De Gasperi, "un democristiano che credeva in Dio e non aveva bisogno di fare il bigotto, forse perché era nato in Austria. In chiesa De Gasperi parlava con Dio, Andreotti col prete". Oggi con Dio ci parlano in pochi, persino tra i cardinali. In compenso tutti parlano con i preti e i cardinali. Ma anche con Andreotti, che a 90 anni è sempre un bijou: è vivo e lotta insieme a noi. Il Papa invece è cambiato: Woytjla non c'è più, ora c'è Ratzinger. Quando dice no alle coppie di fatto, si mettono tutti sull'attenti. Quando invece dice che il capitalismo non è molto meglio del socialismo, quando dice che bisogna salvaguardare l'occupazione, privilegiare i poveri, gli ultimi, difendere l'ambiente da uno sviluppo scriteriato, parlano d'altro e fanno finta di non sentire. Un giorno, di recente, ha detto addirittura che bisogna cacciare i corrotti dalla politica, e lì anche i politici più bigotti sono diventati anticlericali: come si permette di impicciarsi in affari che non gli riguardano? Ti parlo dallo studio di Santoro, che è tornato in tv dopo 5 anni di riposo, diciamo così: l'ultima volta che in Rai si sentì la tua voce fu da Biagi e da Santoro, entrambi i programmi furono subito chiusi. Stiamo per trasmettere un reportage della Bbc sulla pedofilia nel clero, già visto su internet da alcune decine di milioni di persone nel mondo e 3-4 milioni in Italia. Mi dirai: "dov'è il problema, già ai miei tempi tutti volevano una Rai modello Bbc". Appunto: adesso hanno visto cosa fa la Bbc e gli è passata la voglia. Persino la Cei ha detto: "Nessuna censura, discutiamo pure con equilibrio". La censura la invocano i politici e alcuni papaveri Rai, che sono più papisti del Papa. C'è un tale Landolfi, lo stesso capo della Vigilanza che nel 2001 ti accusò di linciare Berlusconi e chiese addirittura a Ciampi di intervenire per la tua intervista a Biagi a ridare dignità al servizio pubblico, che 10 giorni fa già sapeva che avremmo imbastito un processo mediatico contro la Chiesa: una specie di Nostradamus. E ha aggiunto: "Non sono queste le finalità del servizio pubblico, non è per questo che i cittadini pagano il canone". Lui li conosce uno per uno, gli telefona tutti i giorni per sapere che cosa vogliono. Poi c'è Fassino, che una volta era comunista, però ha studiato dai gesuiti: ora parla come don Abbondio e ci invita al massimo equilibrio e alla massima prudenza. Fini l'altra sera ha annunciato a "Ballarò" che il nostro programma non andrà mai in onda: deve averglielo detto in sogno l'Arcangelo Gabriele, ma era un imitatore: infatti siamo in onda. Casini chiese un programma riparatore che raccontasse tutto il bene che fa la Chiesa nel mondo. Potrebbe commissionarlo ai suoi uomini alla Rai, che sono un po' più numerosi di quelli che aveva la Dc una volta, però la Dc aveva anche il decuplo dei suoi voti; oppure potrebbe chiederlo a Buttiglione, che ha mezza famiglia in Rai e l'altra mezza a Mediaset; invece chiede a noi. Tu dirai: che c'entrano i politici con la libera informazione? Da quando i giornalisti prendono ordini dai segretari di partiti? Ecco, il problema è che ormai non se lo domanda più nessuno. Trovano tutto ciò molto normale. I politici non si accontentano di lottizzare la Rai: vogliono fare i palinsesti e i critici televisivi; prima o poi condurranno direttamente programmi e si intervisteranno da soli. Ricordi Giuliano Ferrara? L'avevi lasciato ateo. Bene, adesso è rimasto ateo ma è diventato anche clericale, nel frattempo. Dice che il reportage Bbc è una schifezza. E lui se ne intende. C'è perfino chi pretendeva che mostrassimo in anticipo all'editore una scaletta sicura prima di decidere se mandarci in onda oppure no. Come se l'amministratore della Fiat Marchionne volesse leggere gli articoli della Stampa o De Benedetti quelli della Repubblica, prima di mandare in stampa i giornali. Anche questo, è un po' strano, è passato sotto silenzio, come una cosa normale. La nostra categoria non ha brillato, ma questa per te non è una novità: già 30 anni fa tu scrivevi che "il giornalismo italiano è servo per vecchia abitudine: i potenti vogliono il monumento equestre e il piedistallo, e noi glielo diamo". Non ti dico gli intellettuali sedicenti liberali: tutti zitti, o addirittura solidali con i censori. Sono quelli che tu definivi "una grossa camorra al servizio di ogni potere". L'altro giorno, rileggendo i tuoi ultimi articoli, mi è capitata una lettera a Franco Modigliani, Nobel dell'Economia, in cui tu parlavi della corruzione e dicevi: "Dopo tanti secoli che la pratichiamo, dietro l'esempio e sotto il magistero di nostra Santa Madre Chiesa, ineguagliabile maestra d'indulgenze, perdoni e condoni, noi italiani siamo riusciti a corrompere anche la corruzione e a stabilire con essa il rapporto di pacifica convivenza che alcuni popoli africani hanno stabilito con la sifilide, diventata nel loro sangue un'afflizioncella di ordine genetico senza più gravi controindicazioni… Un popolo italiano consapevole della propria identità e ben deciso a difenderla, non c'è. E non c'è perché, nei secoli in cui questa coscienza nazionale maturava nel resto dell'Occidente, in Italia veniva soffocata da una Chiesa timorosa che il cittadino soppiantasse il fedele e creasse un potere temporale laico contrapposto al suo". Questo scrivevi sulla prima pagina del Corriere della Sera non 1000 anni fa, 6 anni fa. Oggi passeresti per un nemico della fede, della famiglia, dell'Occidente, forse per un fiancheggiatore di Al Qaeda. Non è che potresti prenderti una libera uscita e tornare giù un po' da noi per un paio di giorni, non di più? Ci manchi tanto, e non sai quanto. Ciao, direttore.”

Marco Travaglio (1964) giornalista, saggista e scrittore italiano

dalla coperina di Annozero, 31 maggio 2007
Annozero

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“«Ma insomma, che cos'avete oggi?» domandò la professoressa McGranitt, tornando se stessa con un debole pop e guardandoli tutti quanti uno a uno. «Non che sia importante, ma è la prima volta che la mia trasformazione non viene accolta da un applauso».
Tutti si voltarono di nuovo verso Harry, ma nessuno parlò. Poi Hermio-ne alzò la mano.
«Ci scusi, professoressa, abbiamo appena avuto la prima ora di Divinazione, e stavamo leggendo le foglie di tè e…»
«Ah, certo» esclamò la professoressa McGranitt accigliata. «Non c'è bi-sogno di aggiungere altro, signorina Granger. Ditemi, chi di voi morirà quest'anno?»
Tutti la fissarono.
«Io» disse Harry alla fine."Capisco" commentò la professoressa McGranitt guardando Harry con i suoi occhi piccoli e lucenti. "Allora è bene che tu sappia, Potter, che Sibilla Cooman ha predetto la morte di uno studente all'anno da quando è arrivata in questa scuola. Nessuno è ancora morto. Vedere presagi di morte dappertutto è il suo modo preferito di dare il benvenuto a una nuova classe. Se non fosse che non ho l'abitudine di parlar male dei miei colleghi…"
La professoressa McGranitt si interruppe, e tutti notarono che aveva le narici bianche e dilatate. Poi riprese, più tranquilla: "La divinazione è uno dei settori più imprecisi della magia. Non vi nasconderò che faccio fatica a tollerarla. I veri Veggenti sono molto rari, e la professoressa Cooman…"
Si interruppe di nuovo, e poi disse in tono molto pratico: "A me sembri in perfetta salute, Potter, quindi mi scuserai se non ti dispenso dai compiti oggi. Ti assicuro che se dovessi morire non sei tenuto a consegnarli."”

Origine: Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, p. 94

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“La vita ha tutti noi ospitato un poco, | Vivere è soltanto un'abitudine.”

Anna Andreevna Achmatova (1889–1966) poetessa russa

da VIII - Noi quattro, 1961, in Serto ai defunti, in Io sono la vostra voce...

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“Se disprezzi tanto le abitudini, è perché non ti rendi conto che nessuno può farne a meno.”

Fausto Cercignani (1941) filologo, critico letterario e poeta italiano

p. 22

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“Pertanto la nostra evoluzione naturale, con tutti i nostri impulsi e i nostri istinti più profondi, è avvenuta al fine di risolvere il problema economico. Ove questo fosse risolto, l'umanità rimarrebbe priva del suo scopo tradizionale. Sarà un bene? Se crediamo almeno un poco nei valori della vita, si apre per lo meno una possibilità che diventi un bene. Eppure io penso con terrore al ridimensionamento di abitudini e istinti dell'uomo comune, abitudini e istinti concresciuti in lui per innumerevoli generazioni e che gli sarà chiesto di scartare nel giro di pochi decenni.
Per adoperare il linguaggio moderno, non dobbiamo forse attenderci un "collasso nervoso" generale? […] Per chi suda il pane quotidiano il tempo libero è un piacere agognato: fino al momento in cui l'ottiene. Ricordiamo l'epitaffio che scrisse per la sua tomba quella vecchia donna di servizio: "Non portate il lutto, amici, non piangete per me che finalmente non farò niente, niente per l'eternità." Questo era il suo paradiso. Come altri che aspirano al tempo libero, la donna di servizio immaginava solo quanto sarebbe stato bello passare il tempo a fare da spettatore. C'erano, infatti, altri due versi nell'epitaffio: "Il paradiso risuonerà di salmi e di dolci musiche ma io non farò la fatica di cantare." Eppure la vita sarà tollerabile solo per quelli che partecipano al canto: e quanto pochi di noi sanno cantare!
Per la prima volta dalla sua creazione, l'uomo si troverà di fronte al suo vero, costante problema: come impiegare la sua libertà dalle cure economiche più pressanti, come impiegare il tempo libero che la scienza e l'interesse composto gli avranno guadagnato, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza. […] Per ancora molte generazioni l'istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi che avremo bisogno di un qualche lavoro per essere soddisfatti. Faremo, per servire noi stessi, più cose di quante ne facciano di solito i ricchi d'oggi, e saremo fin troppo felici di avere limitati doveri, compiti, routines. Ma oltre a ciò dovremo adoperarci a far parti accurate di questo "pane" affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito tra quanta più gente possibile. Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi.”

John Maynard Keynes (1883–1946) economista britannico

Prospettive economiche per i nostri nipoti
Variante: La nostra evoluzione naturale, con tutti i nostri impulsi e i nostri istinti più profondi, è avvenuta al fine di risolvere il problema economico. Ove questo fosse risolto, l’umanità rimarrebbe priva del suo scopo tradizionale. Sarà un bene? Se crediamo almeno un poco nei valori della vita, si apre per lo meno una possibilità che diventi un bene. Eppure io penso con terrore al ridimensionamento di abitudini e istinti dell’uomo comune, abitudini e istinti concresciuti in lui per innumerevoli generazioni e che gli sarà chiesto di scartare nel giro di pochi decenni.
Per adoperare il linguaggio moderno, non dobbiamo forse attenderci un ‘collasso nervoso’ generale’?... Per chi suda il pane quotidiano il tempo libero è un piacere agognato: fino al momento in cui l’ottiene. Ricordiamo l’epitaffio che scrisse per la sua tomba quella vecchia donna di servizio: "Non portate il lutto, amici, non piangete per me che finalmente non farò niente, niente per l’eternità." Questo era il suo paradiso. Come altri che aspirano al tempo libero, la donna di servizio immaginava solo quanto sarebbe stato bello passare il tempo a fare da spettatore. C’erano, infatti, altri due versi nell’epitaffio: "Il paradiso risuonerà di salmi e di dolci musiche ma io non farò la fatica di cantare." Eppure la vita sarà tollerabile solo per quelli che partecipano al canto: e quanto pochi di noi sanno cantare!
Per la prima volta dalla sua creazione, l’uomo si troverà di fronte al suo vero, costante problema: come impiegare la sua libertà dalle cure economiche più pressanti, come impiegare il tempo libero che la scienza e l’interesse composto gli avranno guadagnato, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza.... Per ancora molte generazioni l’istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi che avremo bisogno di un qualche lavoro per essere soddisfatti. Faremo, per servire noi stessi, più cose di quante ne facciano di solito i ricchi d’oggi, e saremo fin troppo felici di avere limitati doveri, compiti, routines. Ma oltre a ciò dovremo adoperarci a far parti accurate di questo ‘pane’ affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito tra quanta più gente possibile. Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi.

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“Le massime rimangono insignificanti finché non si concretizzano in abitudini.”

Khalil Gibran (1883–1931) poeta, pittore e filosofo libanese

Massime spirituali

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“L'intelligenza non è attivata che quando lindividuo si trova di fronte ad una situazione che né l'istinto né l'abitudine sono in grado di risolvere.”

Edouard Claparéde (1873–1940) psicologo e pedagogista svizzero

Origine: Citato in Renzo Titone, Claparède, La Scuola Editrice, Brescia 1958.

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“Non imitate mai le abitudini di altri vecchi, ma fatevene di proprie calcate sopra la perfetta conoscenza di voi stessi.”

Paolo Mantegazza (1831–1910) fisiologo, antropologo e patriota italiano

Elogio della vecchiaia

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“La giovinezza cambia i suoi gusti con l'ardore del sangue, la vecchiaia conserva i suoi per abitudine.”

François de La Rochefoucauld (1613–1680) scrittore, filosofo e aforista francese

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Massime, Riflessioni morali

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“Tale è la forza dell'abitudine che ci si abitua perfino a vivere.”

Gesualdo Bufalino (1920–1996) scrittore

Origine: Il malpensante, Luglio, p. 75

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“Chi t'ha dato una filosofia così allegra»?
«L'abitudine alla sventura.”

Pierre-Augustin de Beaumarchais (1732–1799) drammaturgo francese

citato in prefazione a Peccatori di provincia di Gabriel Chevallier

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“Il tempo è soprattutto una questione di abitudine.”

Terry Pratchett (1948–2015) scrittore e glottoteta britannico

Serie del Mondo Disco, 15. All'anima della musica (1994)

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“Con i princìpi si vuole tiranneggiare o giustificare oppure onorare o vituperare o nascondere le proprie abitudini.”

Friedrich Nietzsche (1844–1900) filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco

77; 2007

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“Abitudine. Ogni abitudine rende la nostra mano più arguta e la nostra arguzia meno agile.”

Friedrich Nietzsche (1844–1900) filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco

247; 1993

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“Io amo le abitudini brevi e le ritengo uno strumento inestimabile per conoscere molte cose e circostanze.”

Friedrich Nietzsche (1844–1900) filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco

295; 1993

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“La rassegnazione, modalità dell'abitudine, permette a certe forze di accrescersi indefinitamente.”

1990, p. 148
Alla ricerca del tempo perduto, All'ombra delle fanciulle in fiore

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“La costanza di un'abitudine è di solito proporzionale alla sua assurdità.”

Marcel Proust (1871–1922) scrittore, saggista e critico letterario francese
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“È pessima l'abitudine di scusarsi in anticipo, dando così all'avversario l'opportunità di lamentarsi.”

Gerald Durrell (1925–1995) biologo, zoologo e esploratore britannico

da Luoghi sotto spirito, traduzione di Carla Esposito Fuà, Adelphi, 1980

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“Ho imposto questa penitenza alla signora, non per giuoco o crudeltà, ma per il migliore dei motivi; e non me ne scuserò pertanto con lei quando ritornerà:—L'ho fatto per rintuzzare un gusto pernicioso insinuatosi in altre migliaia di persone oltre a lei,—di leggere tutto di seguito, più in cerca dell'avventura, che della profonda erudizione e conoscenza che un libro di questo stampo, se letto come dovrebbe, non può mancare di impartire loro.——La mente dovrebbe abituarsi a fare sagge riflessioni e trarre interessanti conclusioni mentre procede nella lettura; un'abitudine che fece affermare a Plinio il Giovane, «Di non avere mai letto un libro tanto brutto, da non averne tratto alcun profitto». La storia della Grecia e di Roma, letta affrettatamente senza questa attitudine e applicazione,—è meno utile, dico io, della storia di Parismus e Parismenus, o dei Sette Campioni di Inghilterra, per sopra mercato. […]
È una terribile sfortuna per questo mio libro, ma ancor più per la Repubblica delle Lettere;—tanto che lamia viene inghiottita senza sforzo se si considera quella,--che questa stessa abbietta brama di nuove avventure in ogni cosa, si sia così profondamente insinuata nelle nostre abitudini e umori,—e che siamo così intenti a soddisfare l'impazienza della nostra concupiscenza per questa via,—che non mandiamo giù se non le parti più grossolane e carnali di una composizione:—Le sottili allusioni e le scaltrite informazioni della scienza fuggono, come spiriti, verso l'alto;——le pesanti digressioni morali verso il basso; e tanto le une che le altre sono perdute per il mondo non più di quanto lo sarebbero se fossero rimaste in fondo al calamaio.
Mi auguro che al lettore non ne siano sfuggite molte, interessanti e curiose come questa, nella quale è stata pizzicata la lettrice. Vorrei che ottenesse il suo effetto;—e che tutta la brava gente, maschi e femmine, potesse apprendere, dal suo esempio, non solo a leggere ma a pensare.”

vol. I, cap. XX; 1982, p. 57
Vita e opinioni di Tristram Shandy

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“Abitudine: Catena ai piedi dell'uomo libero.”

Ambrose Bierce (1842–1914) scrittore, giornalista e aforista statunitense
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“L'abitudine alla sottomissione è una delle prime condizioni dell'ordine umano.”

Auguste Comte (1798–1857) filosofo e sociologo francese

Origine: Citato in Focus, n. 49, pag. 114.

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“Quasi tutti i ragionamenti in questo libro vengono ricondotti all'esperienza; e la credenza, che accompagna l'esperienza, viene spiegata soltanto come un sentimento peculiare, o una concezione vivace prodotta dall'abitudine. Né questo è tutto; quando noi crediamo che qualche cosa abbia un'esistenza esterna, o quando supponiamo che un oggetto esista un istante dopo che esso cessa di essere percepito, questa credenza non è che un sentimento della stessa specie. Il nostro autore insiste su parecchie altre tesi scettiche ed infine conclude che noi prestiamo fede alle nostre facoltà ed adoperiamo la ragione soltanto perché non possiamo farne a meno. La filosofia ci renderebbe interamente pirroniani, se la natura non fosse troppo forte su questo punto. Concluderò la logica di quest'autore dando ragione di due opinioni, che sembrano a lui peculiari, come sono, del resto, la maggior parte delle sue opinioni. Egli afferma che l'anima in quanto la possiamo concepire, non è che un sistema, una serie di percezioni differenti, di caldo e di freddo, di amore e di collera, di pensieri e di sensazioni, tutte unite insieme, ma senza alcuna perfetta semplicità o identità. Cartesio sosteneva che l'essenza della mente è il pensiero, non questo o quel pensiero, ma il pensiero in generale. Ma ciò pare del tutto inintelligibile, poiché ogni cosa che esiste è particolare, e perciò devono essere le nostre distinte percezioni particolari che compongono la mente. Dico, compongono la mente, non appartengono ad essa. La mente non è una sostanza, alla quale le percezioni ineriscano. Questa nozione è altrettanto inintelligibile di quella cartesiana secondo la quale il pensiero o la percezione in generale è l'essenza della mente. Noi non abbiamo alcuna idea di una sostanza di qualsiasi genere, perché non abbiamo alcuna idea che non sia derivata da qualche impressione e non abbiamo impressione alcuna di una qualsiasi sostanza, materiale o spirituale che sia. Noi conosciamo soltanto qualità e percezioni particolari. Come la nostra idea di un corpo, per esempio di una pesca, non è che l'idea di un particolare sapore, colore, figura, grandezza, solidità ecc., così la nostra idea di una mente non è che quella di particolari percezioni, senza la nozione di tutto quello che chiamiamo sostanza, semplice o composta che sia.
Il solo mezzo per cui possiamo sperare di ottenere un successo nelle nostre ricerche filosofiche è quello di abbandonare il tedioso ed estenuante metodo seguito fino ad oggi; invece d'impadronirci, di tanto in tanto, d'un castello o d'un villaggio alla frontiera, marciamo direttamente sulla capitale, ossia al centro di queste scienze, alla natura umana: padroni di esso, potremo sperare di ottenere ovunque una facile vittoria. Movendo di qui, potremo estendere la nostra conquista a tutte le scienze piú intimamente legate con la vita umana e procedere poi con agio a quelle che sono oggetto di pura curiosità. Non c'è questione di qualche importanza, la cui soluzione non sia compresa nella scienza dell'uomo, e non c'è nessuna che possa venire risolta con certezza se prima non la padroneggiamo. Accingendoci quindi a spiegare i princípi della natura umana, noi miriamo in realtà a un sistema completo delle scienze costruito su di un fondamento quasi del tutto nuovo e tale che solo su esso possano poggiare con sicurezza.”

Trattato sulla natura umana

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“L'abitudine […] è la grande guida della vita umana.”

David Hume (1711–1776) filosofo e storico scozzese

Origine: Da Ricerche sull'intelletto umano, 5, 1; citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, 2013.

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“L'abitudine è una massima vivente diventata istinto e carne.”

Henri Fréderic Amiel (1821–1881) filosofo, poeta e critico letterario svizzero

Diario intimo

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“Unico risultato dei costumi e dell'educazione è ciò che si chiama un'abitudine.”

Donatien Alphonse François de Sade (1740–1814) scrittore, filosofo e poeta francese

da Juliette ou le prospèritès du vice

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“Un poeta che legge i suoi versi in pubblico può avere altre abitudini infami.”

Robert Anson Heinlein (1907–1988) autore di fantascienza statunitense

Lazarus Long l'Immortale