Frasi su adolescenza

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema adolescenza, vita, infanzia, essere.

Frasi su adolescenza

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“Ancora sedicenne, li osservavo con cupa meraviglia; già allora mi stupivano la grettezza del loro pensiero, la stupidità delle occupazioni, dei giochi, dei discorsi loro. Non capivano certe cose cosí indispensabili, non s'interessavano di argomenti cosí suggestivi e impressionanti che per forza presi a considerarli inferiori a me. Non era la vanità offesa che mi ci spingeva, e, per amor di Dio, non venitemi avanti con le obiezioni convenzionali, rancide fino alla nausea, che io non facevo che sognare, mentre essi già allora capivano la vita reale. Nulla essi capivano, nessuna vita reale, e vi giuro che questo, appunto, era ciò che piú m'indignava in loro. Al contrario, la realtà piú evidente, piú abbagliante la percepivano in modo fantasticamente sciocco e già allora si abituavano ad inchinarsi nient'altro che al successo. Di tutto ciò che era giusto, ma umiliato e oppresso, ridevano crudelmente e vergognosamente. La posizione la consideravano ingegno; a sedici anni discorrevano già di comodi posticini. Naturalmente, in questo molto derivava dalla stupidità, dal cattivo esempio che aveva sempre circondato la loro infanzia e adolescenza. Erano depravati fino alla mostruosità. S'intende che anche qui c'era soprattutto esteriorità, soprattutto cinismo ostentato, s'intende che la giovinezza e una certa freschezza trasparivano anche in loro perfino attraverso la depravazione; ma in loro non era attraente nemmeno la freschezza e si manifestava come una specie di bricconeria. Io li odiavo tremendamente, sebbene fossi magari peggio di loro. Essi mi ripagavano della stessa moneta, e non nascondevano la propria ripugnanza per me. Ma io non desideravo piú il loro affetto; al contrario, avevo sempre sete della loro umiliazione.”

Fëdor Dostoevskij (1821–1881) scrittore e filosofo russo

A proposito della neve bagnata, III; 2002, p. 70

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“Vorrei che le bambine si tenessero il più a lungo possibile l'adolescenza. Senza fretta. Invece di correre dietro alla tecnologia. E che praticassero sport, ma perché fa bene, senza aspettative particolari. Imparando a perdere, prima di vincere.”

Roger Federer (1981) tennista svizzero

2011
Origine: Citato in Paolo Rossi, "Alle mie bambine insegnerò a perdere" http://www.repubblica.it/sport/tennis/2011/05/11/news/federer-16088251/index.html?ref=search, la Repubblica, 11 maggio 2011.

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“Fino all'adolescenza non ho avuto complessi per la statura, perché i miei familiari erano più piccoli di me.”

Natalie Imbruglia (1975) cantante, compositrice e attrice australiana

Origine: Citato in Un metro e mezzo di successo, dive in miniatura http://www.corriere.it/speciali/kylieminogue/laffranchi.shtml, corriere.it, 19 giugno 2002.

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“Fanciullezza venti anni, adolescenza venti, giovinezza venti, vecchiaia venti.”

Pitagora (-585–-495 a.C.) matematico, legislatore, filosofo, astronomo, scienziato e politico greco

8, 10
Citato in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi

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“Si ripensa all'adolescenza, quando si avevano grandi velleità e si pensava che il mondo era nostro: ma potevamo acciuffare poco, perché troppo giovani.”

Mario Luzi (1914–2005) poeta e scrittore italiano

dall'intervista di Sebastiano Grasso, Mario Luzi. I versi, la pittura, gli amori. E quel duello mancato, Corriere della sera, 10 ottobre 2004, p. 29

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“Che stagione l'adolescenza. Senti di poter esser tutto e ancora non sei nulla e proprio questa è la ragione della tua onnipotenza mentale.”

Eugenio Scalfari (1924) giornalista, scrittore e politico italiano

Origine: L'uomo che non credeva in Dio, p. 29

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“Un'adolescenza troppo casta porta a una vecchiaia dissoluta. È più facile rinunciare a una cosa conosciuta che a una soltanto immaginata.”

André Gide (1869–1951) scrittore francese

Origine: Citato in Focus, n. 112, p. 98.

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“Per quello che posso ricordare io», dice il dottor Vittorio, «è sempre stata una festa di pessimo gusto. Violenza e rumore, questa era Piedigrotta. Che oggi poi, a distanza di tanti anni, ci ricordiamo di Piedigrotta come di una festa divertente lo posso pure capire, ma è chiaro che il merito del ricordo è solo per la nostra adolescenza e non per la manifestazione che in se stessa non ha mai avuto nulla di edificante.»
«Ecco qua», dice il professore, «mò è venuto Vittorio e mi ha fatto diventare una fetenzia pure il ricordo di Piedigrotta!»
«Ma andiamo, siamo seri. Lo vogliamo capire o no che la morte di Napoli è stato il folklore! Tutti noi sappiamo che quando c'era Piedigrotta cercavamo di evitare le strade dove si svolgeva la festa, e allora confessiamolo onestamente che noi, a Piedigrotta, non ci siamo divertiti mai.»
«Ma come non ci siamo divertiti mai, dottò!» dice Saverio. «Io ero piccolo è vero ma i carri me li ricordo ancora: e ci stava il carro con le maschere d'Italia, con Pulcinella, Arlecchino e compagnia cantando, e poi c'era il carro dei frutti di mare con le femmine con le cosce da fuori che uscivano da dentro alle cozze, e poi c'era il carro con il Vesuvio che fumava overamente, con la funicolare illuminata e con la gente che cantava: Iamme, Iamme. Era bella dottò Piedigrotta.”

cap. 23; pp. 167-168
Così parlò Bellavista

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“Capiva e amava l'umorismo nero, Sal, e sapeva bene che cos'è l'assurdo. Per forza: era un simbolo dell'adolescenza che andava per i quaranta e non aveva mai avuto un'infanzia.”

Peter Bogdanovich (1939) regista, attore e sceneggiatore statunitense

Origine: Chi c'è in quel film? Ritratti e conversazioni con le stelle di Hollywood, p. 345

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“Nella giovinezza, se non addirittura nell'adolescenza, la contemplazione dell'amore e la contemplazione della morte sono veramente nel nostro sguardo. Ma direi di più. Sono il nostro sguardo.”

Alfonso Gatto (1909–1976) poeta e scrittore italiano

Origine: citato in Jolanda Insana, A colloquio con Alfonso Gatto, La Fiera Letteraria, n. 17, aprile 1973

“Nulla di più bello che veder sbocciare l'anima di una donna da un'adolescenza in fiore.”

Nino Salvaneschi (1886–1968) scrittore, giornalista e poeta italiano

Saper amare

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“È che proprio i trentenni non esistono più, come gli gnomi, il dodo e gli esquimesi. Adesso c'è l'adolescenza, la postadolescenza e la fossa comune. I trentenni sono una categoria superata, a cui ci si attacca per nostalgia, come il posto fisso.”

Zerocalcare (1983) fumettista italiano

Strisce, Zerocalcare.it
Origine: Da Perché non possiamo dirci trentenni http://www.zerocalcare.it/2012/03/12/perch-non-possiamo-dirci-trentenni/, 12 marzo 2012.

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“Molti artisti contemporanei, – compreso l'autore di questo articolo – hanno subito crisi simili e confuso l'énorme con il grande, la violenza con l'energia. Ma è generalmente una follia romantica della gioventù e quella d'un tempo in cui il cuore si esalta a caso prima che il gusto abbia scelto. Il fatto strano è che essa si sia verificata in Van Lerberghe all'età di quarant'anni, come un improvviso richiamo delle forze dell'adolescenza in un'anima poco a poco rinnovata. Questo ribollire disordinato non è certo inutile ed il genio di Emile Verhaeren ha potuto trarne soprendenti capolavori. In Van Lerberghe esso si è presto contenuto e si è risolto in lirismo.
No, certo, questo nuovo stato non si è riflesso direttamente nella sua opera, ma senza dubbio è servito a darle una più viva ampiezza. Lui, Charles Van Lerberghe non somigliava più al poeta. Aveva da poco iniziato l'ammirevole Chanson d'Eve, e mi mostrò anche l'abbozzo di una commedia leggendaria in tre atti che nulla doveva allo stoicismo. Era una sorta di satira, di spirito pagano, insieme ironica e veemente. Io terminavo le ultime pagine di Clartés e lavoravo ancora ad alcune Banalités indiscrètes impertinenti e talvolta sbrigliate. Essendoci scambiati i nostri scritti, restammo stupefatti; poiché singolare era il contrasto fra il profondo accordo di tutte le nostre tendenze di artisti e la divergenza del nostro spirito. Ma la trasformazione proseguiva in Charles Van Lerberghe e a sua insaputa. A Firenze, dove vivemmo insieme per molti mesi era improvvisamente ridivenuto il sognatore di un tempo. Non lo stesso, tuttavia; era gioioso, più appassionato di ciò che la vita contiene, più lirico. E, in verità, il lirismo trionfa lungo tutti questi poemi della Chanson d'Eve, molti dei quali furono scritti in un giardino di oleandri, all'ombra della vecchia torre che corona la collina di Arcetri, mentre un immenso paesaggio mostrava in lontananza l'Arno che bagnava i palazzi fiorentini.”

Albert Mockel (1866–1945)
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“Intervistare Benito Jacovitti è come intervistare la nostra adolescenza, o meglio ancora quella parte del nostro cervello dove vivono le risate.”

Vincenzo Mollica (1953) giornalista e scrittore italiano

Origine: Dall' intervista http://www.mollica.rai.it/cellulosa/jacovitti/index.htm a Benito Jacovitti, Rai.it.

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“Non sto dicendo che Gesù fosse omosessuale o transessuale ma che dall'adolescenza fino alla fine della vita ha subito la medesima discriminazione degli omosessuali.”

Mauro Leonardi (1959) giornalista italiano

Origine: Da «Giornata contro la transfobia: Gesù ha patito le stesse discriminazioni di omosessuali e transessuali» http://www.huffingtonpost.it/mauro-leonardi/giornata-transfobia-gesu-discriminazioni-omosessuali-transessuali_b_6184230.html, Huffington Post.it, 19 novembre 2014.

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“Non posso più credere alla rivoluzione, ma non posso non stare dalla parte dei giovani che si battono per essa. È già un'illusione scrivere poesia, eppure continuo a scriverne, pure se per me la poesia non è più quel meraviglioso mito classico che ha esaltato la mia adolescenza. […] Non credo più nella dialettica e nella contraddizione, ma alle pure opposizioni. […] Tuttavia sono sempre più affascinato da quell'alleanza esemplare che si compie nei santi, come san Paolo, fra vita attiva e vita contemplativa.”

Pier Paolo Pasolini (1922–1975) poeta, giornalista, regista, sceneggiatore, attore, paroliere e scrittore italiano

Origine: Citato in Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, Bruno Mondadori, Milano, 1998, p. 34 https://books.google.it/books?id=tzjjfELunEsC&pg=PA34#v=onepage&q&f=false. ISBN 88-424-9460-7; citato anche in Francesco Cataluccio, Ripensando Pasolini http://www.ilpost.it/francescocataluccio/2015/10/30/pier-paolo-pasolini-2/, ilPost.it, 30 ottobre 2015.

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“Quella mattina pioveva e grandinava sui vetri dell'aula di seconda liceo, sezione C, liceo-ginnasio Cassini, Sanremo. Eravamo trentuno studenti in quella classe. I ripetenti quattro o cinque, confinati negli ultimi banchi come si usava allora.
Ma lo ricordo quel temporale, a Sanremo capitava di rado, c'era un clima un po' speciale, infatti le famiglie facoltose di Torino e di Milano rivenivano a svernare per sopportare meglio gli acciacchi. E per giocare al Casinò.
Me lo ricordo perché quel giorno ci fu uno degli incontri importanti della mia adolescenza: l'insegnante di filosofia, che teneva lezione due volte alla settimana, aveva preannunciato il tema nella lezione precedente. Aspettò chela grandine finisse e tornassimo a sederci ai nostri banchi. Poi cominciò a parlare di Cartesio: la vita, la morte, le opere di geometria, di matematica, di filosofia, il suo tempo. Disse che Cartesio era, nella storia delle idee, un punto di arrivo e anche una ripartenza con tante biforcazioni. Insomma un crocevia dal quale comincia la modernità. «Se non capite Cartesio non capirete niente di quello che è venuto dopo e non capirete niente di voi stessi e del mondo che vi circonda».
Ci mise molto calore in quella perorazione, non l'aveva mai fatto con gli altri filosofi che già avevamo studiato con lui sul manuale del Lamanna. Forse con Socrate l'anno prima, ma non con quelle parole e quel tono che sembrava voler coinvolgere la vita di ciascuno di noi.
E mio compagno di banco alzò la mano. «Dica pure», disse il docente che, insieme al prete che insegnava italiano e latino, rifiutava di usare il "voi" prescritto dal regime. «Secondo lei, professore, chi non fa il liceo e nemmeno sa che è esistito un certo Cartesio non potrà dunque dare nessun senso alla sua vita?».
Ci fu un gran silenzio in classe, perfino i ripetenti degli ultimi banchi in qualche modo chiamati in causa da quella domanda si fecero attenti. n professore guardò fisso il mio compagno e ricordo che rispose con una domanda: «Lei, Calvino, ha già trovato il senso della sua vita?»”

Eugenio Scalfari (1924) giornalista, scrittore e politico italiano

cap. II, La gabbia dell'io, p. 20
L'uomo che non credeva in Dio

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“Ci sono adolescenze che si innescano a novanta anni.”

Alda Merini (1931–2009) poetessa italiana

La vita facile

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“[Michelangelo Merisi da Caravaggio] La sua ostinata deferenza al vero poté anzi confermarlo nella ingenua credenza che fosse "l'occhio della camera" a guardar lui e a suggerirgli tutto. Molte volte dovette incantarsi di fronte a quella "magia naturale"; e ciò che più lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non è punto necessaria la figura umana, se, uscita questa dal suo campo, esso seguita a specchiare il pavimento inclinato, l'ombra sul muro, il nastro caduto a terra. Che altro potesse conseguire a questa risoluzione di procedere dipingendo per specchiatura diretta della realtà, non è troppo difficile intendere. Ne conseguiva la tabula rasa del costume pittorico del tempo che, preparandosi gli argomenti in carta e matita per via di erudizione storica e di astrazione stilizzante, aveva elaborato una complessa classificazione del rappresentabile, dove, per meglio servire alla società di allora, non poteva che preferirsi l'aspetto della classe dominante. Ma il Caravaggio pensa invece alla vita comune, ai sentimenti semplici, all'aspetto feriale delle cose che valgono, nello specchio, come gli uomini. […] Anche il Caravaggio avvertiva il pericolo di ricadere nell'apologetica del corpo umano, sublimata da Raffaello o Michelangelo, o magari nel chiaroscuro melodrammatico del Tintoretto. Ma ciò che gli andava confusamente balenando era ormai non tanto il rilievo dei corpi quanto la forma delle tenebre che li interrompono. Lì era il dramma della realtà più portante ch'egli intravedeva dopo le calme specchiature dell'adolescenza. E la storia della religione, di cui ora si impadroniva, gli tornava come un seguito di drammi brevi e risolutivi la cui punta non può indugiarsi nella durata sentimentale delle trasparenze, anzi inevitabilmente s'investe del lampo abrupto della luce rivelante, fra gli strappi inconoscibili dell'ombra. Uomini e santi si sarebbero impigliati in quel tragico scherzo. Giacché, per restar fedeli alla natura del mondo, occorreva far sì che il calcolo dell'ombra apparisse come casuale, e non causato dai corpi; ove volesse esimersi dal riattribuire all'uomo la sua funzione umanistica dirimente, di eterno protagonista e signore del creato. Perciò il Caravaggio seguitò, e fu fatica di anni, ad osservare la natura della luce e dell'ombra incidentali. […] Chi non sa che il Tintoretto studiava al lume di lucerna, non già il vero, ma i modellini della Cappella Medicea? E che i modellini del Greco erano cere dove si stiravano in una poetica follia le ultime spire laocoontiche del disegno 'serpentinato'? Ma ora è la realtà stessa a venir sopraggiunta dal lume per 'incidenza': il caso, l'incidente luminoso, diventano causa efficiente della nuova pittura (o poesia). Non v'è Vocazione di Matteo senza che il raggio, assieme col Cristo, entri dalla porta socchiusa e ferisca quel turpe spettacolo dei giocatori d'azzardo. In effetto Caravaggio stagliò questa sua "descrizione di luce", questo poetico "fotogramma", quando l'attimo di cronaca gli parve emergere, non dico con un rilievo, ma con uno spicco, con un'evidenza così memorabile, invariabile, monumentale, come dopo Masaccio non s'era più visto.”

Roberto Longhi (1890–1970) storico dell'arte italiano

citato in Caravaggio, pp. 187-188
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