Frasi su peste

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema peste, mondo, prima, vita.

Frasi su peste

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“La tristezza è un ricatto è il delictum perfecto | cha fa vittime più della peste e non desta sospetto.”

Jovanotti (1966) cantautore, rapper e disc jockey italiano

da La porta è aperta, n. 14
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“L'egoismo è sempre stata la peste della società, e quanto è stato maggiore, tanto peggiore è stata la condizione della società.”

Giacomo Leopardi (1798–1837) poeta, filosofo e scrittore italiano

670–671; 1898, Vol. II, p. 123

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“Chi comanda dev'essere conciso, preciso. E sempre saldo al timone.”

Charles de Gaulle (1890–1970) generale e politico francese

Origine: Citato in Roberto Gervaso, Peste e corna.

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“[La peste è] poco vantaggiosa per i medici e tale da farli vergognare, poiché essi non osavano visitare i malati per paura di essere contagiati; e quando li visitavano poco o nulla facevano e non guadagnavano niente. Quasi tutti i malati infatti morivano.”

Guy de Chauliac (1300–1368) medico francese

Origine: Citato in Giorgio Cosmacini, L'arte lunga: storia della medicina dall'antichità a oggi, Laterza, 1997, p. 212, ISBN 8842053597.

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“La seconda spiacevole verità è che l'Aids, come 7 secoli fa la peste, e 5 secoli fa le malattie infettive euroasiatiche che sconvolsero e quasi distrussero le popolazioni indigene d'America, è un frutto avvelenato della globalizzazione. I microbi non pagano dazio e non s'arrestano alle frontiere.”

Massimo Livi Bacci (1936) politico e docente italiano

Origine: Da L'Aids non è uguale per tutti http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/07/09/aids-non-uguale-per-tutti.html, la Repubblica, 9 luglio 2002.

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“[Descrivendo la peste] Una tal causa di contagio un tale | mortifero bollor già le campagne | ne' cecropi confin rese funeste, | fe' diserte le vie, di cittadini | spopolò la città. Poiché, venendo | da' confin dell'Egitto ond'ebbe il primo | origin suo, molto di cielo e molto | valicato di mar, le genti al fine | di Pandïone assalse. Indi appestati | tutti a schiere morían. Primieramente | essi avean d'un fervore acre infiammata | la testa e gli occhi rosseggianti e sparsi | di sanguinosa luce. Entro le fauci | colavan marcia; e da maligne e tetre | ulcere intorno assediato e chiuso | era il varco alla voce; e degli umani | sensi e segreti interprete la lingua | d'atro sangue piovea, debilitata | dal male, al moto grave, aspra a toccarsi. | Indi, poi che 'l mortifero veleno | sceso era al petto per le fauci e giunto | all'affannato cuor, tutti i vitali | claustri allor vacillavano. Un orrendo | puzzo volgea fuor per la bocca il fiato, | similissimo a quel che spira intorno | da' corrotti cadaveri. Già tutte | languian dell'alma e della mente affatto | l'abbattute potenze, e su la stessa | soglia omai della morte il corpo infermo | languiva anch'egli. Un'ansïosa angoscia | del male intollerabile compagna | era: e misto col fremito un lamento | continuo e spesso un singhiozzar dirotto, | notte e dì, senza requie, a ritirarsi | sforzando i nervi e le convulse membra, | sciogliea dal corpo i travagliati spirti, | noia a noia aggiugnendo | e duolo a duolo.”

Tito Lucrezio Caro (-94–-55 a.C.) poeta e filosofo romano

1909, pp. 143-145

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“La carestia, la peste e la guerra sono i tre ingredienti più famosi di questo mondo.”

Voltaire (1694–1778) filosofo, drammaturgo, storico, scrittore, poeta, aforista, enciclopedista, autore di fiabe, romanziere e s…

Dizionario filosofico

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“Perché i vampiri evitano come la peste i loro simili che odorano di spinaci.”

Gudrun Pausewang (1928–2020) scrittrice tedesca

Origine: Basilio, vampiro vegetariano, p. 44

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“Ella è convinta che il suo sguardo lacrimoso sia irresistibile – e se pensasse lo stesso del suo riso certamente non farebbe che sorridere.”

Alexander Sergejevič Puškin (1799–1837) poeta, saggista, scrittore e drammaturgo russo

da Un festino durante la peste, in Opere

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“Il crudele è un po' più debole e la paura vive in un'anima languente di passioni.”

Alexander Sergejevič Puškin (1799–1837) poeta, saggista, scrittore e drammaturgo russo

da Un festino durante la peste

“La "spagnola" uccise in un anno più persone che la Peste Nera del Medioevo in un secolo e in ventiquattro settimane quanto l'AIDS ha ucciso in ventiquattro anni.”

John M. Barry (1947)

Origine: Da The Great Influenza; citato in Lucio Villari, Spagnola, la peste di novant'anni fa http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/07/30/spagnola-la-peste-di-novant-anni-fa.html, la Repubblica, 30 luglio 2008.

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“Per gli adolescenti i genitori sono come la peste.”

Sarah Palmer: p. 135
Il diario segreto di Laura Palmer

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“Peste della patria è il giornalismo che accetta le notizie senza vagliarle, quando pur non le inventa.”

Cesare Cantù (1804–1895) storico, letterato e politico italiano

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“Chi non beve con me, peste lo colga!”

Sem Benelli (1877–1949) poeta, scrittore e drammaturgo italiano

da La cena delle beffe, 1908

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“Ai fatti della città mi sono sempre interessato | e per questo sono malato, | c'è chi ha la pesta e chi non ce l'ha.”

Rino Gaetano (1950–1981) cantautore italiano

da Chi ha la peste?, 57a composizione, p. 83
Ma il cielo è sempre più blu. Pensieri, racconti e canzoni inedite, Canzoni inedite, Primo quaderno

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“A chi di peste ha da morir, non giova mutar paese, e cercar aria nuova.”

Cristoforo Poggiali (1721–1811) bibliotecario, erudito ed ecclesiastico italiano

Origine: Proverbj, motti e sentenze ad uso ed istruzione del popolo, p. 102

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“De' corpi fa la peste orrido scempio; dell'alme il fa maggiore, il mal esempio.”

Cristoforo Poggiali (1721–1811) bibliotecario, erudito ed ecclesiastico italiano

Origine: Proverbj, motti e sentenze ad uso ed istruzione del popolo, p. 125

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“D'onde è la peste, fuggi, e torna tardi, con pregar sempre Dio, che te ne guardi.”

Cristoforo Poggiali (1721–1811) bibliotecario, erudito ed ecclesiastico italiano

Origine: Proverbj, motti e sentenze ad uso ed istruzione del popolo, p. 174

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“Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu Garibaldi che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu Giolitti che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, Orlando, che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo Andreotti? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli in loco. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. […] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

da Il tribunale della storia https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml, 24 ottobre 1999, p. 1
Corriere della Sera

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“L'Americanismo è la peste che avanza volgarizzando, rimbecillendo, imbestialendo il mondo, avvilendo e distruggendo alte, luminose, gloriose civiltà millenarie.”

Ardengo Soffici (1879–1964) scrittore italiano

Origine: Da Il Selvaggio; citato in Luigi Cavallo, Soffici e Malaparte. Vento d'Europa a Strapaese, Prato, Comune di Poggio a Caiano, Assessorato alla Cultura, 1999, p. 73 http://books.google.it/books?hl=it&id=ITddAAAAMAAJ&focus=searchwithinvolume&q=L%27Americanismo. ISBN 9788886855082

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“Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio. Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. […]Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere.”

Charles Antoine Manhès (1777–1854) generale francese

Pietro Colletta

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“Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio.
Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. […]
Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere. (Libro VII, Regno di Gioacchino Murat”

Pietro Colletta (1775–1831) patriota, storico e generale italiano

1808-1815), Capo II "Fatti di guerra e di brigantaggio, poi distrutto.", XXVII-XXVIII, Tip. e libreria Elvetica, Capolago, 1834
Storia del reame di Napoli

“Il Padre Cristoforo è certamente la persona più alta, più ideale del romanzo, è quella che rivela di più le vie misteriose che congiungono il finito con l'infinito. Pare che in lui la religione non sia, a così dire, che una forma che ha assunto la sua stoica virtù, il suo sentimento imprescindibile del dovere. Gli altri personaggi, se ebbero qualche merito in terra, ebbero pure in terra la loro ricompensa. Renzo e Lucia hanno sopravvissuto alla peste per unirsi insieme con nodi che non li separeranno più. Don Abbondio ha la consolazione, grandissima per lui, di veder sparire dal mondo colui che lo teneva in tanta paura. L'Innominato vede quelli stessi ch'egli aveva offeso, rispettarlo e riverirlo. Ma il Padre Cristoforo è cacciato, fatto viaggiare lungi da ciò che aveva di più caro; egli va attraverso la vita oscuro, mendico, paziente; egli va a raccogliersi dove sono più guai, dove più l'uomo soffre tra le piaghe e il tanfo, estenuato, col corpo oppresso ma coll'anima pronta e placida. Il nostro cuore che è affezionato a lui, che lo ammira, gode di vederlo uscire da tanta miseria, e appena ci si sottrae all'occhio qui sulla terra, noi non possiamo a meno di vederlo in cielo. È il Padre Cristoforo solo, adunque, che ci eleva l'anima a dire: dove e quando che sia la virtù non può fallire a una ricompensa. Se questo non fosse vero, la vita sarebbe un campo di guerra e di dolori spaventosi. L'anima ne sarebbe atterrita, ella non vorrebbe sostenerla. Dimenticate il cappuccio di P. Cristoforo, dimenticate i suoi zoccoli e la sua sporta che vi hanno talvolta fatto adirare, e troverete in lui un filosofo: non di coloro che gridano nelle cattedre per raccogliere a sera i plausi nei circoli, ma caritatevole e umile, e non rimane del cappuccino che quella cieca obbedienza colla quale lascia la contrada e Renzo e Lucia negli impacci.”

Giovita Scalvini (1791–1843) scrittore, poeta e patriota italiano

Origine: Foscolo, Manzoni, Goethe, pp. 245-246; in 1973, pp. 265-266

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“Il governo nazionalsocialista può fare quanto vuole, impunemente. La Germania è nazista. Il Völkischer Beobachter la definisce "una giornata storica. Il sistema parlamentare capitola di fronte alla nuova Germania. In quattro anni, Hitler potrà fare tutto ciò che ritiene necessario: lo sradicamento di tutte le forze corruttrici del marxismo e la costituzione di una nuova comunità popolare. La grande impresa ha avuto inizio! È giunto il giorno del Terzo Reich!". L'impresa ha avuto inizio: è giunto il giorno dei libri. Che cos'è un libro? Domanda abissale: un libro è un santo eretico, un impiccio che fa scivolare i re, la condensazione di visuali alternative e soprannaturali, la morale in azione travolgente, il virus della libertà. Esso agisce per contagio. Tale contagio fu sempre avvertito e si tentò di debellarlo: infezioni e cure simili ebbero luogo in Cina nel III secolo a. C., nel corso del Medioevo a opera dell'Inquisizione, dopo la distruzione dell'Impero Azteco, nella Spagna della Reconquista, fino ai nostri giorni. Laddove il contagio è appiccato, si appicca il fuoco. Lo scrittore è un untore, si sa. Per fare fronte alla diffusione della peste in Venezia devastata dai bubboni, si dispose il rogo di molti libri, strumento di contagio a causa del contatto con le pagine. Quando alcuni umanisti scrissero al vescovo Ghislieri di evitare questa azione, egli rispose che, al pari della peste reale, bisognava debellare la "peste dell'eresia". Nel 1644 John Milton scrisse nell'opera Areopagitica: "Uccidere un buon libro equivale a uccidere un essere umano; chi uccide un essere umano uccide una creatura ragionevole, l'immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la ragione medesima". Nella Tempesta di Shakespeare, Calibano consiglia Trinculo e Stefano per sottrarre il potere a Prospero: "Egli è abituato a fare un pisolino nel pomeriggio, cosicché, dopo esserti impadronito dei suoi libri, potrai strappargli le cervella; oppure con un bastone potrai spezzargli il cranio, o sventrarlo con una pertica, o tagliargli un'arteria col tuo coltello. Però ricordati di impadronirti prima dei suoi libri; senza di essi egli è solo uno sciocco come me, e nessuno spirito potrebbe obbedirgli. Solo i suoi libri devi bruciare."”

Giuseppe Genna (1969) scrittore italiano

da Hitler – Romanzo

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“Si devono schivare come peste i pettegolezzi e le animosità atte a guastare per un pezzo la quiete degli animi e l'armonia della casa.”

Luigi Guanella (1842–1915) presbitero italiano

Regolamento interno dei Figli del Sacro Cuore nella Casa divina Provvidenza

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