Frasi su tale
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“Chi si è liberato è tale solo in quanto intrattenga un rapporto con chi è incatenato - solo in quanto egli stesso in una certa misura condivida la condizione di chi è rimasto nella caverna, solo in quanto, come libero, coappartenga a chi è incatenato. Ciò perché "la verità non è un quieto possesso, godendo del quale ci sediamo in pace per pronunciare, da lì, sentenze all'indirizzo degli altri uomini, bensì la svelatezza accade solo nella storia della continua liberazione".
Una volta ritornato nella caverna, il libero, colui che "ha scorto lo spiraglio di luce", non potrà astenersi dal ricercare il confronto con coloro che di essa sono ancora prigionieri, non già perché si prefigga lo scopo di indurre un ravvedimento, né perché ritenga che essi debbano essere redenti. Non sono motivi filantropici quelli che sono all'origine della ridiscesa nelle tenebre. La propria, non l'altrui, salvezza è ciò che spinge il libero al rientro della caverna. Ivi giunto, egli non si limiterà a sopportare lo scherno e la derisione degli incatenare per la sua incapacità di discernere le ombre, ma muoverà all'offensiva. Egli cercherà, infatti, "di rendere loro comprensibile che, sì, sulla parete ha luogo un continuo velamento dell'ente e che essi stessi, gli incatenati, sono trascinati e irretiti da questo occultamento che si ripete di continuo."”

Umberto Curi (1941) filosofo italiano

Origine: Da Polemos. Filosofia come guerra, Bollati Boringhieri, Torino, 2013, p. 159. ISBN 9788833912523

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“Gran parte degli animali superiori hanno qualcosa come desideri, pulsioni volitive e scopi rudimentali, la cui mutua soddisfazione costituisce il loro benessere o bene. Naturalmente noi possiamo avere buone ragioni per considerarli semplicemente come un peso, e negare che possiedano diritti; e per molti di loro, in particolare per le specie inferiori, abbiamo ben poche alternative rispetto all'agire in questo modo. Ma a me pare chiaro che, nonostante tutto, in generale gli animali siano tra quegli esseri i cui diritti possono significativamente asserirsi o negarsi. Ora, se si concorda con questa conclusione, cioè che gli animali sono tra quanti possono avere diritti, e se si aderisce inoltre al principio morale secondo cui noi avremmo il dovere di essere umani nei loro confronti, manca solo un'ultima considerazione per poter concludere che certi animali sono in realtà dotati di diritti. […] se decidessimo non solo di dover trattare umanamente gli animali, ma anche di dover agire così per il loro stesso interesse, se cioè decidessimo che tale trattamento è qualcosa di dovuto di cui noi siamo debitori verso di loro, qualcosa che può essere reclamato per loro conto, qualcosa il cui rifiuto sarebbe uningiustizia e un male e non solamente un motivo di fastidio, allora risulterebbe che noi attribuiamo diritti agli animali. Ho l'impressione che il senso morale di molti di noi abbia superato questo tipo di test fenomenologico, e che quindi la maggior parte di noi sia convinta che gli animali abbiano dei diritti […].”

Joel Feinberg (1926–2004) filosofo statunitense

Origine: Da Gli animali possono avere diritti?, in Aa. Vv., Diritti animali, obblighi umani, Gruppo Abele, Torino, 1987, p. 196. ISBN 88-7670-097-8. La traduzione riportata in Diritti animali, obblighi umani è tratta da Silvana Castiglione (a cura di), I diritti degli animali: prospettive bioetiche e giuridiche, il Mulino, Bologna, 1985.

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“Nasce presto, e si mangia in un boccone il fungo, e tale appunto è l'occasione.”

Cristoforo Poggiali (1721–1811) bibliotecario, erudito ed ecclesiastico italiano

Origine: Proverbj, motti e sentenze ad uso ed istruzione del popolo, p. 89

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“Un deterioramento ulteriore potrebbe essere disastroso per l'Europa. Esso potrebbe provocare tali privazioni, tale smarrimento, una lotta così disperata per il controllo di risorse insufficienti da condurre a una diffusa rinuncia ai principi sui quali la civiltà moderna dell'Europa è stata costruita e per i quali, nella coscienza di molti, due guerre mondiali sono state combattute. I principi del diritto, della giustizia, dei limiti all'esercizio del potere politico, già largamente disattesi e attaccati, potrebbero da ultimo essere travolti; e con essi il principio vitale che l'integrità della società con un tutto deve posare sul rispetto per la dignità del singolo cittadino. Le implicazioni di questa crisi andrebbero assai aldilà delle comuni apprensioni relative al pericolo di un controllo comunista. Nella continuazione dell'attuale situazione in Europa e implicita niente meno che la possibilità che gli europei rinuncino ai valori della responsabilità individuale e dei controlli politici, che appartengono alla tradizione del loro continente. Ciò distruggerebbe secoli di progresso e causerebbe un danno che tale solo un lavoro di altri secoli potrebbe riparare.”

George F. Kennan (1904–2005) diplomatico, storico e ambasciatore statunitense

Origine: Citato in Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. [Dal 1918 ai giorni nostri], Editori Laterza, Roma, 2008, p. 698. ISBN 978-88-420-8734-2

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“Devo dire che l'esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. […] C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.”

Primo Levi (1918–1987) scrittore, partigiano e chimico italiano

Origine: Queste due ultime frasi furono aggiunte a matita sul dattiloscritto dell'intervista con Camon da Primo Levi stesso.
Origine: Da Ferdinando Camon, Conversazione con Primo Levi, Guanda

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“Nel maggio del 1949 fu istituito a Strasburgo il Consiglio d'Europa, organismo allora privo di poteri politici effettivi e incaricato solo di «porre le basi per la costruzione di una federazione europea». Così nell'atto della sua fondazione. L'anno dopo – dunque, nel 1950 – quel Consiglio bandì un concorso di idee, aperto a tutti gli artisti, per una bandiera della futura Europa unita. Un allora giovane disgnatore alsaziano, Arsène Heitz, partecipò con un bozzetto, dove dodici stelle bianche campeggiavano in un cerchio su uno sfondo azzurro. Come rivelò poi, l'idea non era casuale: devoto della Madonna, recitava ogni giorno il rosario. Proprio quando seppe del concorso europeo e decise di partecipare stava leggendo la storia di santa Catherine Labouré e – stimolato da quella lettura – si era deciso a procurarsi, per sé e per la moglie, una «Medaglia miracolosa», che sino allora non conosceva. Le stelle, dunque, del suo disegno vennero da lì: e, lì, venivano direttamente dall'Apocalisse e dalla sua «Donna vestita di sole» con la corona attorno al capo. Quanto all'azzurro, era il colore tradizionale della Vergine. Tra i 101 bozzetti giunti da tutto il mondo, «inspiegabilmente», come disse lo stesso Heitz (che aveva partecipato al concorso senza troppe speranze, quasi solo per rispondere a un impulso datogli dalla scoperta della Medaglia), il Consiglio d'Europa scelse proprio il suo. Si noti, tra l'altro, che il responsabile della commissione che procedeva alla scelta era un ebreo, Paul M. G. Lévy, direttore del Servizio di stampa e informazione del Consiglio. Non agirono, dunque, motivazioni confessionali […] Inoltre, a conferma della singolarità della scelta, contro la proposta di Heitz stava il fatto che, se dodici erano le stelle sulla bandiera proposta, non altrettanti erano allora gli Stati del Consiglio. In effetti, di fronte alle critiche, il disegnatore dovette replicare che il dodici rappresentava un «simbolo di pienezza» (e tale è, infatti, anche nell'Antico Testamento: dodici, tra l'altro, i figli di Giacobbe, come dodici le tribù di Israele; ed è perciò che dodici è il numero voluto da Gesù per i suoi apostoli, a significare che la Chiesa è il «nuovo popolo eletto»). Avendo adottato questa prospettiva simbolica, le autorità comunitarie, quando gli Stati membri dell'Europa finirono col superare la dozzina, stabilirono ufficialmente che il numero delle stelle sulla bandiera era da considerare immutabile.”

Origine: Ipotesi su Maria, pp. 107-108

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“Nel canto XI tale linguaggio, ma d'un'ebbrezza divina che conserva tutta la sua lucidità. Manca a Dante il balbettamento del mistico che esce dall'estasi; questo uomo cammina nell'azzurro come su una strada.”

Julien Green (1900–1998) scrittore e drammaturgo statunitense

dalla nota di diario del 27 giugno 1941, p. 92
Diario 1940 – 1943

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“Le questioni principali che affrontiamo in Inchiesta su Gesù sono quattro. Quattro domande in particolare. Primo. Gesù era un cristiano o invece era un ebreo che è rimasto sempre tale e non mai voluto fondare una nuova religione? E se il cristianesimo è nato dopo la sua morte, quando e perché si è formato e in che misura gli è fedele? Se Gesù era un ebreo la nostra civiltà occidentale ha alla sua base anche l'ebraismo o solo il cristianesimo? Secondo. Gesù era convinto che l'avvento del Regno di Dio fosse imminente? Pensava davvero che avrebbe posto fine alle ingiustizie, portato la salute ai malati e la liberazione ai poveri e agli schiavi? Oppure attendeva solo la risurrezione ed era portatore di un messaggio di salvezza ultraterrena? Terzo. La responsabilità della morte di Gesù fu dei Romani che lo giustiziarono con la pena romana della crocifissione oppure fu prevalentemente degli ebrei? E infine, quarto. I Vangeli canonici (Marco, Luca, Matteo e Giovanni) datano all'incirca tra il 70 e il 100 dopo Cristo? Oppure a scriverli furono dei testimoni oculari? Le loro informazioni sempre sono esatte? Oppure a volte si contraddicono? Per sapere chi fu realmente Gesù è necessario utilizzare anche fonti non canoniche come la Didachè, l'Ascensione di Isaia, il Vangelo di Pietro, ecc.? Oppure devono bastare i quattro Vangeli canonici e le lettere di Paolo? E ancora. Gesù era un celibe come vuole la tradizione o invece era sposato o addirittura gay come vorrebbe tutto un filone di film e romanzi torbidi?”

Mauro Pesce (1941) docente, biblista e storico italiano

da Inchiesta su Gesù http://www.magazine.unibo.it/Magazine/Attualita/2006/12/14/gesu.htm, in magazine.unibo.it, 14 dicembre 2006

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“Viktor Orbán non sta difendendo nessuno. Si attacca quasi a tutto. Riaprendo il dibattito sulla pena di morte, vuole portare l'Ungheria indietro nella storia. È questa la verità. La criminalità non è mai stata fermata dalla minaccia di morte. La giustizia non è tale se diventa un crimine.”

Louis Michel (1947) politico belga

Origine: Citato in Ungheria: Viktor Orbán rilancia il dibattito sulla pena di morte http://it.euronews.com/2015/05/09/ungheria-viktor-orban-rilancia-il-dibattito-sulla-pena-di-morte/, Euronews.com, 9 maggio 2015.

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“Sappiamo che una teoria della coscienza richiede un qualcosa in più che risulti basilare per la nostra ontologia, dato che qualsiasi cosa in fisica è compatibile con l'assenza di coscienza. Potremmo considerare questo qualcosa una caratteristica decisamente non fisica, dal quale derivare poi l'esperienza [del soggetto cosciente], ma è difficile immaginare quale possa essere tale caratteristica. Più verosimilmente, possiamo prendere l'esperienza stessa come caratteristica basilare, come facciamo con la massa, la carica, lo spazio-tempo. Se assumiamo l'esperienza come basilare, allora possiamo proseguire con la formulazione di una teoria dell'esperienza.”

David Chalmers (1966) filosofo australiano

Origine: We know that a theory of consciousness requires the addition of something fundamental to our ontology, as everything in physical theory is compatible with the absence of consciousness. We might add some entirely new nonphysical feature, from which experience can be derived, but it is hard to see what such a feature would be like. More likely, we will take experience itself as a fundamental feature of the world, alongside mass, charge, and space-time. If we take experience as fundamental, then we can go about the business of constructing a theory of experience..

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“La forza, la scaltrezza ed il pericoloso suo morso ne fanno il signore della foresta. Non teme nessun nemico e non si spaventa dello scoppio dell'arma da fuoco. Le sue passioni sono d'una tale violenza da far credere che sotto il loro impero diventi affatto furioso e perda l'intelletto. Paragonata alla loro, la collera delle altre scimmie rassomiglia, a detta d'uno scrittore inglese, ad un lieve sospiro di vento, mentre quella del mandrillo può paragonarsi alla bufera che rovina tutto sul suo passaggio. Se il tremendo animale e inviperito (e a ciò basta uno sguardo, una parola, una minaccia) raggiunge un tale grado di furore da dimenticare tutto e precipitarsi a capo basso furente sul nemico. Un lampo diabolico sfolgora dagli occhi del mostro, che pare invero dotato di una forza e d'una cattiveria infernale. Si assicura che le sue tempestose passioni lo scrollano al segno da farlo cadere senza vita in mezzo ad urli e rantoli selvaggi. Si dice ancora che serba il rancore assai più a lungo degli altri cinocefali, e che mai perdona ad un nemico. Non v'ha quindi da maravigliarsi che gli indigeni non attacchino mai briga con lui: anzi non penetrano nei boschi in cui abita il mandrillo se non in gran numero e bene armati. Come la collera, la sua sensualità non conosce limiti, ed oltrepassa di gran lunga in svergognatezza e impudenza quella delle altre scimmie. I maschi non assaltano solo le loro femmine, bensì anche le donne, e sono perciò abbastanza pericolosi.”

Alfred Edmund Brehm (1829–1884) biologo e scrittore tedesco

Origine: La vita degli animali, Volume 1, Mammiferi, p. 127

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“Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio. Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. […]Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere.”

Charles Antoine Manhès (1777–1854) generale francese

Pietro Colletta

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“Il Partito d'Azione è scomparso dalla scena della nostra storia politica appena vi si è affacciato. Gli azionisti hanno dato un contributo e hanno pagato un prezzo molto alto nella lotta di liberazione dell'occupazione tedesca e fascista del Norditalia. Non mi pare che siano ricordati con particolare gratitudine. Anzi, sono diventati un concetto – l'azionismo – non solo esecrabile, ma che in quanto tale si è trasformato in qualcosa che ha a che vedere esclusivamente con un atteggiamento di etica politica (questo sì ha dato e dà fastidio, a destra come a sinistra). "Azionista" racchiude tante e diverse cose: tutte brutte e ormai totalmente sganciate dalle persone e dalle azioni. L'azionismo è diventato una categoria dello spirito, una categoria culturale. Qual è l'immagine che si vuole dare dell'azionista, allora? Innanzitutto è un intellettuale elitario che, in fondo, disprezza la massa, vuole fare la lezione, per di più con la presunzione che sia per il suo bene. Poi, è una "mosca cocchiera", un'anima bella, un generale senza truppe. Infine. è un rigorista che vorrebbe portare nella politica l'etica dei princìpi e delle convinzioni, senza pragmatismi e compromessi. Insomma, dal punto di vista delle capacità politiche, è un pedagogo moralista e velleitario. Ce lo immaginiamo – questo "azionista" – anche come un tipo antropologico a sé: un vecchio trombone (se non nel corpo, nell'anima), magari un "professorone", un moralista che tratta quotidianamente con le grandi idee che non sporcano le mani, mentre gli altri si danno da fare e le mani se le sporcano e si compromettono (loro sì!) nella "feconda bassura" dell'esperienza (espressione kantiana), cioè della "vera vita": insomma, l'azionista è un morto vivente. Un vero disastro umano. In più, è anche un ipocrita perché, mentre incita gli altri all'azione (azionista, appunto) e a correre i rischi, lui se ne sta nella biblioteca di casa sua, oppure con gli amici, come lui "radical chic" che, se hanno un cane, ha il pedigree oppure, ostentatamente, è un cane di strada e coltivano rancore per il mondo e il popolo bue, a caviale e champagne (la gauche-caviar).”

Gustavo Zagrebelsky (1943) giurista italiano
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“La divisione dell'Europa, come in altre stagioni, può far correre rischi gravi: quella tra un'Europa ricca e un'Europa in difficoltà. Ma ormai esistono connessioni così profonde tra i nostri mondi nazionali che tale divisione mette tutti in crisi. È su questa connessione, che abbiamo investito, credendo che alimentare le relazioni, le amicizie, le sinergie, le imprese comuni, valga di più che una dichiarazione.”

Andrea Riccardi (1950) storico, accademico e pacifista italiano

Con data
Origine: Dal discorso alla consegna dell'onoreficenza di Commandeur de la Légion d'Honneur, 11 luglio 2012; in Santegidio.org http://www.santegidio.org/pageID/1165/langID/it/itemID/75/Il_discorso_di_Andrea_Riccardi.html.

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“Palermo mi piace moltissimo. È una città splendida… gli alberi… Hanno anche un orto botanico che ho visto anni fa, meraviglioso. Ho visto un paio di volte la sala di Serpotta. Lo trovo magnifico. Queste statue sono di una tale eleganza! Sono tra le donne più belle del mondo, si potrebbe dire. Son bellissime.”

Fleur Jaeggy (1940) scrittrice svizzera

Origine: Dall'intervista Fleur Jaeggy: "Sciascia e il mio amore per la Sicilia" http://video.repubblica.it/cronaca/fleur-jaeggy-sciascia-e-il-mio-amore-per-la-sicilia/209072/208186, Repubblica.it, 8 agosto 2015.

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“A me dà fastidio chi parla male della Sicilia, ma ne parla male perché il giudizio non è tale, è mal motivato, è piuttosto un qualcosa di non corrisposto, un risentimento.”

Manlio Sgalambro (1924–2014) filosofo, scrittore e poeta italiano

Origine: Citato in Addio a Sgalambro, filosofo e poeta del pessimismo siciliano http://www.europaquotidiano.it/2014/03/06/addio-a-sgalambro-filosofo-e-poeta-del-pessimismo-siciliano-video/, EuropaQuotidiano.it, 6 marzo 2014.

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“[…] a chi ha posto il concetto della dignità umana alla base della campagna contro le case chiuse non resterebbe che consigliare di guardarsi intorno, e non solo in basso, e, se è ancora convinto della dignità dell'uomo d'oggi, di recarsi da un oculista dello spirito, se tale esistesse, per provvedersi d'un paio di buone lenti.”

Mario Praz (1896–1982) critico d'arte, critico letterario e saggista italiano

Origine: Da L'etèra letteraria, Il Giornale Nuovo, 13 settembre 1978; ora in Geometrie anamorfiche: saggi di arte, letteratura e bizzarrie varie, a cura di Graziella Pulce, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2002, p. 185.

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“Dal tempo della divisione avvenuta dopo l'ultima Grande Congiunzione, un avvenimento di tantissimo tempo prima, gli Skeksis avevano abbandonato gli urRu a se stessi nella loro valle. Avevano dovuto fare così: l'oggetto e la sua immagine speculare potevano unirsi solo annullandosi a vicenda. Inoltre gli Skeksis non avevano mai avuto bisogno degli urRu, vecchi visionari, privi di senso pratico e ossessionati solo dalla loro vita collettiva interiore, i cui valori erano diametralmente opposti a quelli degli Skeksis.
Poco dopo la divisione, gli Skeksis avevano scoperto che, scheggiando il Cristallo, potevano intrappolare energie malvagie che, a livello molecolare, erano visibili solo nella sfumatura più cupa che il Cristallo aveva assunto. Dopo alcune ricerche, lo Scienziato aveva spiegato che il Cristallo possedeva una connessione a spirale nella sua struttura, da cui derivava la proprietà di far ruotare il piano di polarizzazione di un raggio di luce polarizzata. Quando i tre soli erano congiunti direttamente al di sopra di esso, emanavano una forza polarizzata tale da svolgere la spirale, rischiarare il colore del cristallo e produrre un raggio focalizzato della massima concentrazione. Ma se il Cristallo fosse stato scheggiato, il collegamento a spirale sarebbe rimasto intatto. La luce della Grande Congiunzione avrebbe irradiato d'energia solo gli Skeksis, ma di un'energia tutta particolare, oscura, piena di malvagità.
Gli Skeksis si erano avvantaggiati di questa cognizione e ne avevano approfittato tenendo sotto il loro controllo il Cristallo nella fortezza, che avevano ricavato dalla montagna che lo conteneva. Attraverso le linee di energia che circondavano il pianeta, essi avevano trasmesso incessantemente impulsi dannosi, fomentando la miseria e la debolezza e risucchiando per i loro fini tutte le energie geodinamiche. Il lampo che Jen aveva visto era stato concentrato sulle Pietre Erette e di lì rinviato al castello. Gli Skeksis controllavano i punti nevralgici del pianeta mediante l'agopuntura terrestre. Per tutti questi motivi essi avevano sempre ignorato gli urRu. Le spie di cristallo non li avevano mai sorvegliati, né erano stati fatti oggetto delle scorrerie dei Garthim. All'infuori delle Pietre Erette, nulla, in quella valle remota, avrebbe potuto costituire una minaccia per la tirannia degli Skeksis. La valle degli urRu era un'enclave di nozioni, la provincia delle nuvole, nient'altro.”

Dark Crystal

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