Frasi su cielo
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“Eletta, prudente, di grazie piena, | di schiatta di re possenti, | dono a noi tu sei della casa Latina, | oh angelo di bellezza, ammirabile Ripsima! || Viandante al cielo | nelle leggi del cielo profonda, | rinnegasti te stessa, e il grado avito, | oh angelo di bellezza, ammirabile Ripsima! || Sapiente, santa, veneranda vergine, | al fuoco gettato dal Verbo in terra | accendesti la lampada della fede, | oh angelo di bellezza, ammirabile Ripsima! || Allo sposo, Cristo incarnato, | con intatta verginità sposata, | nel talamo inaccessibile riposasti, | oh angelo di bellezza, ammirabile Ripsima! || D'amor nutrita, pavone gentile, con fila d'oro lucenti e fine, | del crisma, e di triplice corona invidiabile, | oh angelo di bellezza, ammirabile Ripsima! || Dritto-volante colomba aerea, | l'arca del novello Noè è tuo riposo: | spegnitrice di serpi, cicogna giusta, | oh angelo di bellezza, ammirabile Ripsima! || Savia martire combattente | per la potenza del Verbo del Padre, | che forte pigiasti lo strettojo colmo, | oh angelo di bellezza, ammirabile Ripsima! || Oh colorita di colore purpureo, fronzuta, vermiglia qual mela, | inclita sposa, di sangue velata, | oh angelo di bellezza, ammirabile Ripsima!”

Nerses Shnorhali (1102–1173) scrittore e santo armeno

Inno a Santa Ripsima
Origine: In Orfeo, il tesoro della lirica universale, a cura di Vincenzo Errante e Emilio Mariano, sesta edizione rinnovata e accresciuta da Emilio Mariano, Sansoni, Firenze, traduzione di Anonimo Padre Mechitarista, pp. 277-278.

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“«Il cibo è il cielo dell'uomo» e grande virtù deve giudicarsi quella di un uomo che sa preparare un cibo gustoso.”

Yoshida Kenkō (1283–1350) scrittore giapponese

Origine: Citazione dallo Shu Ching, testo classico della letteratura cinese. Come il cielo è indispensabile alla vita di tutte le creature (ad esempio per la luce ed il calore del sole e la pioggia), così il cibo. nota a p. 164 di Ore d'ozio.
Origine: Ore d'ozio, p. 78

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“Si semina, si raccoglie, e non c'è nesso tra una cosa e l'altra. Ti insegnano che c'è, ma… non so, io non l'ho mai visto. Accade di seminare, accade di raccogliere, tutto lì. Per questo la saggezza è un rito inutile e la tristezza un sentimento inesatto, sempre. Seminammo con cura, tutti, quella volta, seminammo immaginazione, e follia e talento. Ecco cosa abbiamo raccolto, un frutto ambiguo: la luce bella di un ricordo e il privilegio di una commozione per sempre ci renderà eleganti, e misteriosi. Voglia il cielo che questo basti a salvarci, per tutto il tempo che ci sarà dato, ancora.”

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Variante: [... ] Si semina, si raccoglie, e non c'è nesso tra una cosa e l'altra. Ti insegnano che c'è, ma... Non so, io non l'ho mai visto. Accade di seminare, accade di raccogliere, tutto lì. Per questo la saggezza è un rito inutile e la tristezza un sentimento inesatto, sempre. Seminammo con cura, tutti, quella volta, seminammo immaginazione, follia e talento. Ecco cosa abbiamo raccolto, un frutto ambiguo: la luce bella di un ricordo e il privilegio di una commozione che per sempre ci renderà eleganti, e misteriosi. Voglia il cielo che questo basti a salvarci, per tutto il tempo che ci sarà dato, ancora.

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“Ho bisogno di cielo… | Io chiudo gli occhi | e sono infine | nell' infinito.”

Pietro Nigro (1939) poeta italiano

da Dentro, qualcosa, vv. 18-21
L' attimo e l' infinito

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“Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti. Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.”

cap. VIII
I promessi sposi

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“Beh, guarda… io… Noi due non ci conosciamo, sicuramente non ci conosciamo. Però… apro una parentesi veloce, senza polemiche e senza niente. Credo che tu non sia stato… non sei molto al corrente della mia carriera., la Fiorentina anc… eh però, però nel mio curriculum… Però, se ti devo dire la verità, ti devo dir la verità… arrivato qua mi sembra di esser tornato ai tempi del Chievo. Però cosa c'è qua? Che respiri un'aria, pur essendo piccola… ecco la differenza, eh… c'è, c'è aria di una società mol… importante, secondo me. Ecco, queste sono le mie prime sensazioni quando mi son calato nel nero-verde.
[…] E quando vieni fuori da una situazione di 'sto tipo qua, che comunque poi ti hanno scelto, beh, parti ancora più rinvigorito, perché vuol dire che… che tu li hai convinti e… e che è una cosa bella! Se tu invece vieni fuori da situazioni forzate, eccetera, non sta bene, capisci? Ecco, questa l'ho vissuta molto bene. Perché comunque credo che alla fine dopo, o per un motivo o per l'altro, la scelta è caduta su di me perché ero quello… quello a cui la scoietà voleva arrivare.
[…] Esonero se tu fai… Allora, chiaro che se tu fai 2 anni di carriera, la statistica, magari fai 2 esoneri di fila, è un conto. Se tu fai 20 anni di Serie A e lavori anche all'estero qualche esonero ci sta, vai a vedere le carriere degli allenatori… Poi dopo, sai… un conto è lavorare in un posto, un conto è lavorare in un altro posto. È una cosa normale in un… in un trand, diciamo di lavoro di un allenatore. La vivo, l'ho sempre vissuta… chiaro che non fa mai piacere essere esonerati, però bisogna sempre trovare l'energia e la forza di andare avanti, di capire perché comunque sei stato esonerato, di cercare di, di, di, di… di avere quel coraggio di insistere e di migliorarti in modo che poi di far ricredere anche chi ti ha esonerato, ecco, questo ti deve sempre animare secondo me. […] Modena, Modena fu… il mio esonero è stato perché c'è stata incompatibilità col direttore sportivo Tosi. Non è stato un esonero di quelli… e non c'era incompatibilità, io purtroppo ho un carattere di quelli, allora magari più di adesso, avevo un carattere che io non, non… non ci si deve sposare per forza nella vita, se c'è incompatibilità ci si lascia. Ecco, di Modena ho 'sto ricordo qua.
[…] Però sono parito dalle giovanili, ho fatto un percorso, un cammino credo giusto e mi hanno scelto per allenare la prima squadra, ho fatto 2 anni di allenatore in seconda, ho imparato; poi mi hanno dato in mano la squadra, l'ho portata in Serie B, credo che se non è un'impresa come il Sassuolo, ci manca poco. Perché il Chievo, chi sa dov'è Verona, era un posto dove c'era la diga, ci passa l'Adige… ci sono 500 persone, e lì siamo andati in Serie B. In Serie B ho fatto 3 anni, tutti in miglioramento fino alla soglia della Serie A. Poi l'ho lasciato… l'ho lasciato perché sai, e lo sa anche il Sassuolo, tu quando vai, ad esempio il Sassuolo va in Serie A e cerca il giocatore di grande esperianze, eccetera, a volte ti senti dire di no. Quindi al Chievo c'era questo grande enigma. Noi eravamo in B madovevamo fare ancora con giocatori di C. Quindi sono state grandi imprese quelle lì. Perché, chi veniva al Chievo? Capisci? Chi veniva… adesso al Chievo ci va anche il grande giocatore, ma allora figurati. Quindi, abbiamo seminato insieme anche là con una grande società insieme con buon lavoro di gruppo, e siamo arrivati alla soglia della Serie A, che dopo l'ha ottenuta Del Neri dopo 2 anni. Però bisogna guardare anche il lavoro precedente, perché non è che tutto quanto è da buttare a mare, capito? Ecco, questo voglio dire.
[…] Io quando la mattina apro gli occhi e guardo il cielo ringrazio il Signore, perché credo che bisogna anche nella vita essere… Io credo di aver fatto, di avere avuto la fortuna di fare il lavoro che mi piace e di averlo svolto in maniera professionale al massimo e sono ancora qua dopo 20 che ho questa voglia qua perché penso che sia… per me è il più bel lavoro del mondo. E mi limito a dire questo, capito? Cioè, non ho nessun rimpianto, non ho nessun rammarico. La carriera di un allenatore purtroppo, o bene o male, ha degli alti e bassi e bisogna accetarli, bisogna sempre essere lì sul pezzo, a migliorarsi, a… la voglia di, di… altrimenti quando non c'è quella voglia lì bisogna smettere. Se non c'hai quella voglia lì bisogna smettere, qualsiasi tipo di lavoro. Oppure cambiare lavoro. Io questa voglia qua ce l'ho ancora, quindi sono qua con la voglia di, di, di… di trasmettere le, le, le, le, le, le mie sensazioni e le mie motivazioni a questa società ma soprattutto ai ragazzi.”

Alberto Malesani (1954) allenatore di calcio e ex calciatore italiano
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“Io e te, come bellissime stelle, 30 mila metri sopra il cielo”

Federico Moccia (1963) scrittore, sceneggiatore e regista italiano

citato in Corriere della sera, 22 ottobre 2009

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“Hai freddo? Aspetta, ti copro col cielo, | sui tuoi capelli poggia il mazzo delle stelle | ricamate ed io soffio una luna | sopra i tuoi occhi.”

Miklós Radnóti (1909–1944) poeta ungherese

da Poesia d'amore nel giorno dell'Immacolata
Origine: In Poeti ungheresi del '900, a cura di Umberto Albini, ERI, Torino, 1976, p. 95.

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“La terra è riempita di cielo, | e ogni banale cespuglio | è ardente di Dio: | ma soltanto colui che vede | si toglie i calzari.”

Elizabeth Barrett Browning (1806–1861) poetessa inglese

Origine: Citato in Piccolo beviario zen, a cura di David Schiller, traduzione di Francesco Saba Sardi, Sonzogno, p. 233. ISBN 8845407187

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“A Ulisse, personaggio pagano interpretato dal cristiano Dante, nel suo libero e coraggioso vagare su una superficie orizzontale, manca la spinta ideale verso l'alto. Quando l'asse verticale e le sue coordinate spaziali gli si presentano alla fine della vita (il «turbo», «la montagna bruna e alta quanto veduta non avea alcuna»), il loro significato resta per lui incomprensibile e il movimento della nave dall'alto verso il basso, causa della sua morte gli viene imposto da una forza che egli non è in grado di riconoscere. Al contrario per Dante personaggio ad essere imposto da una realtà terrena che gli appare caotica e catastrofica e della quale gli sfugge il significato non negativo di profonda trasformazione di un'epoca di trapasso, è il movimento secondo l'asse orizzontale: la partenza da Firenze, il vagare di corte in corte, la proibizione di fare ritorno. Lo slancio verso l'alto, il suo movimento lungo l'asse verticale, è strettamente legato all'esperienza tutta terrena del movimento orizzontale imposto dall'esilio che a Dante personaggio minacciosamente si prepara – come parte della sua missione e del suo grande destino – e che Dante autore vive durante la stesura della Commedia: immane sforzo per ristabilire, in un tentativo «a cui  pongono mano cielo e terra», quell'equilibrio che rendeva l'uomo parte integrante di un'armonica costruzione cosmica e insieme mezzo per sollevarsi al di sopra del caos di un mondo fortemente squilibrato e diviso nella divina perfezione dell'Empireo.”

Jurij Michajlovič Lotman (1922–1993) linguista e semiologo russo

da Testo e contesto: semiotica dell'arte e della cultura, a cura di Simonetta Salvestroni, Laterza, Roma-Bari, 1980.
Origine: Citato in A. Tocco, G. Domestico, A. Maiorano e A. Palmieri, Parole nel tempo, [Testi, contesti, generi e percorsi attraverso la letteratura italiana, 1A, Dalle origini al Trecento], Loffredo Editore, Napoli, p. 345. ISBN 978887564209-9

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“… altro non resta che alzare lo sguardo al cielo | la mente assorta a riguardar le stelle.”

Pietro Nigro (1939) poeta italiano

da Forse i fiori mi sogneranno, vv. 18-19
Il deserto e il cactus

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“La pace è sempre bella, | il mito del cielo significa pace e notte.”

7, p. 539
Foglie d'erba, I dormienti

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“Si sentiva stremata, l'appiglio sfuggente al presente, l'appiglio al mondo e alla vita, le sarebbe presto scivolato dalle mani. Era questa la morte? Stava forse per morire? Non avrebbe più rivisto il cielo, la terra, il sorgo, suo figlio, e il suo amante che combatteva alla testa dei soldati? Gli spari risuonavano in lontananza oltre la fitta cortina di nebbia. Douguan! Douguan! Figlio mio, aiutami, tienimi stretta, tua madre non vuole morire. Oh, cielo! Cielo… mi hai donato un amante, un figlio, la ricchezza, e questi trenta anni di vita densa come il sorgo rosso. Cielo, me le hai donate queste cose, non puoi riprendertele, perdonami, ma lasciami andare! Cielo, pensi che io sia in colpa? Credi che se avessi diviso il cuscino con un lebbroso, e generato un mostro rognoso e purulento insozzando questo bel mondo sarei stata nel giusto? Cielo, cos'è la castità? Cos'è la giusta via? Cos'è la bontà? Cos'è il male? Non me l'hai mai detto, ho sempre dovuto sbrigarmela da sola. Amo la felicità, amo la forza, amo la bellezza, il mio corpo mi appartiene, sono padrona di me stessa, non ho paura di sbagliare, non ho paura della punizione, non ho paura di entrare nei diciotto gironi del tuo inferno. Ho fatto tutto ciò che dovevo fare e ciò che andava fatto, e non temo nulla. Ma non voglio morire, voglio vivere, voglio vedere ancora un po' di mondo. Cielo…”

Mo Yan (1955) scrittore e sceneggiatore cinese

da Sorgo rosso, pp. 94-95

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“Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c'è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l'orizzonte con sorrisi di intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e teneri desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo. Ancora molto? No, basta attraversare quel fiume laggiù in fondo, oltrepassare quelle verdi colline. O non si è per caso già arrivati? Non sono forse questi alberi, questi prati, questa bianca casa quello che cercavamo? Per qualche istante si ha l'impressione di sì e ci si vorrebbe fermare. Poi si sente dire che il meglio è più avanti e si riprende senza affanno la strada. Così continua il cammino in un'attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto. Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualcosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa in tempo a fissarlo che già precipita verso il confine dell'orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l'una all'altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire. Chiudono a un certo punto alla nostre spalle un pesante cancello, lo rinserrano con velocità fulminea e non si fa in tempo a tornare.”

The Tartar Steppe

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“E solo per un attimo avevo raggiunto quell'apice d'estasi che avevo sempre desiderato raggiungere, che era il completo passaggio attraverso il tempo cronologico nelle ombre senza tempo, e stupore nella desolazione del regno mortale, e la sensazione di morte che mi batteva ai calcagni perché andassi avanti, con un fantasma che stava alle calcagna di se stesso, e io che correvo verso un trampolino dal quale si tuffavano tutti gli angeli per volare nel vuoto sacro della vacuità non creata, le potenti e inconcepibili radiazioni che splendono nella luminosa Essenza Mentale, innumerevoli regioni del loto che sbocciavano in un magico sciamare di falene nel cielo. Potevo sentire un indescrivibile rombo ribollente che non era nelle mie orecchie ma dovunque e non aveva niente a che fare col suono. Capii che ero morto ed ero tornato alla luce innumerevoli volte ma solo non me lo ricordavo, soprattutto perché i passaggi dalla vita alla morte e di nuovo alla vita sono così fantomaticamente facili, una magica azione per nulla, come cadere addormentati e svegliarsi di nuovo un milione di volte, la pura casualità e la profonda ignoranza di ciò. Capii che era solo a causa della stabilità della Mente intrinseca che aveva luogo questo lieve ondeggiare del nascere e del morire, come l'azione del vento su una distesa di acqua pura, serena, simile a uno specchio. Provavo un senso di benedizione dolce, travolgente, come un grosso getto di eroina nella vena principale; come un sorso di vino nel tardo pomeriggio che ti fa rabbrividire; i piedi mi formicolavano. Mi pareva che sarei morto da un momento all'altro. Ma non morii…”

On the Road

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“Qui soffriamo dolore e pena qui c'incontriamo per separarci ancora; solo in cielo non ci divideremo più”

Thomas Hardy (1840–1928) poeta e scrittore britannico

Tess of the D'Urbervilles

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“« Quello che avrei potuto dirle, per aiutarla, l'ho capito solo più tardi ripensando a quel giorno, al suo salto, alla sua follia. Le avrei dovuto dire che tanti saltano nello stesso modo via dalla loro vita, oltre se stessi, rischiando tutto per sentirsi davvero vivi. Avrei dovuto dirle che tutti lo fanno chiusi nelle loro paure, chiusi dentro la botte mefitica delle loro paure. Un posto piccolissimo, molto nero, dove sei solo, e fai fatica a respirare. Non c'è nulla che si possa fare per cambiare le cose e già si è fortunati se qualcuno ha avuto per noi l'attenzione di mettere una piccola musica, là dentro; o se capita di avere un amico ad aspettarci in un'ansa del fiume per riportarci a casa, in una qualche casa.
Questo, le avrei dovuto dire. Invece solo la strinsi fa le mie braccia, e non fui capace di dire niente. Piccola Rachel…
Davvero si sarebbe meritata un giorno di gloria, lei e quegli altri due matti, sa il cielo come mi mancano. Ma non è andata così, spesso non va così. Si semina, si raccoglie, e non c'è nesso tra una cosa e l'altra. Ti insegnano che c'è, ma… non so, io non l'ho mai visto. Accade di seminare, accade di raccogliere, tutto lì.
Per questo la saggezza è un rito inutile e la tristezza un sentimento inesatto, sempre.
Seminammo con cura, tutti, quella volta, seminammo immaginazione, e follia e talento. Ecco cosa abbiamo raccolto, un frutto ambiguo: la luce bella di un ricordo e il privilegio di una commozione che per sempre ci renderà eleganti, e misteriosi. Voglia il cielo che questo basti a salvarci, per tutto il tempo che ci sarà dato, ancora. »”

Alessandro Baricco (1958) scrittore e saggista italiano
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“Con la fantasia, Bridget tornò mille volte a quel primo bacio appassionato, rendendolo sempre più perfetto.
Ma non andò oltre.
Per molte ore, dopo avere lasciato Eric, rimase sveglia nel sacco a pelo.
Tremava.
Aveva gli occhi pieni di lacrime.
Ecco che cominciavano a scendere.
Lacrime di tristezza, di disagio, d’amore.
Erano il genere di lacrime che le venivano quando si sentiva troppo colma: aveva bisogno di fare un po’ di spazio.
Guardò il cielo.
Era più grande, quella notte.
Quella notte i suoi pensieri si avventuravano negli spazi infiniti e, come diceva Diana, non trovavano alcun ostacolo su cui rimbalzare per tornare indietro.
Andavano avanti e avanti, finché nulla sembrava più reale.
Neppure il pensiero. Bridget si era stretta a Eric, piena di desiderio, insicura, spavalda e impaurita.
C’era una tempesta nel suo corpo, e quando era diventata troppo violenta, lei era andata via. Si era lasciata levitare fino alle fronde delle palme.
Lo aveva già fatto altre volte.
Avrebbe lasciato affondare la nave senza il capitano.
Quello che era successo con Eric era insondabile, indescrivibile.
Ora tutto questo era lì con lei, incerto, desideroso di qualcuno che se ne prendesse cura: ma Bridget non sapeva come.
Richiamò indietro i propri pensieri, raccogliendoli ad anello come il filo di un aquilone.
Si arrotolò il sacco a pelo sotto il braccio e tornò furtiva alla baracca. Si distese sul letto.
Quella notte non avrebbe concesso ai suoi pensieri di avventurarsi oltre le travi sbiadite del soffitto”

Ann Brashares (1967) scrittrice statunitense

The Sisterhood of the Traveling Pants

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“«Una volta» disse mia madre «non esisteva il buio totale. Persino di notte, la luna era luminosa quanto il sole. L’unica differenza stava nella luce, che era blu. Vedevi tutto per chilometri e chilometri e non faceva mai freddo. Si chiamava crepuscolo».
«Perché crepuscolo?».
«Perché è una parola in codice per cielo blu». Mi ero ricordata che si diceva codice blu quando moriva qualcuno, e anche questo aveva a che fare con il cielo.
Un giorno Dio aveva chiamato il pipistrello per dargli una cesta da portare sulla Luna. La cesta era piena di buio, ma Dio non aveva detto al pipistrello cos’era, solo “Portala sulla luna, poi quando torni ti spiego tutto”. Così il pipistrello parte in cerca della luna con la cesta in groppa. Mentre vola verso il cielo, la luna lo vede e si nasconde dietro una nuvola. Il pipistrello è stanco, e si ferma a riposare. Depone la cesta e va in cerca di qualcosa da mangiare. Mentre è a caccia, arrivano altri animali (più che altro lupi e cani, e anche un tasso con una zampa rotta). Pensando che nella cesta ci sia del cibo, gli animali alzano il coperchio, ma dentro c’è solo il buio, e loro non l’hanno mai visto. I cani e i lupi cercano di tirarlo fuori e di giocarci, ma gli guizza tra i denti e scivola via. In quel momento torna il pipistrello, apre la cesta e la trova vuota. Gli altri animali spariscono nella notte e il pipistrello si alza in volo per andare a riprendere il buio. Lo vede dappertutto, ma non riesce proprio a infilarlo di nuovo nella cesta. Per questo il pipistrello ancora oggi dorme tutto il giorno e vola di notte. Cerca sempre di riprendere il buio.”

Jenny Offill (1968)

Le cose che restano

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“Le stelle in cielo

Non conoscono l'ira

Bla, bla, bla, fine”

Chuck Palahniuk (1962) scrittore statunitense

Fight Club

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“Questa è la fattoria Hale.
Ecco la vecchia stalla per la mungitura, l’entrata buia che dice Vieni a cercarmi.
Ecco la banderuola, la catasta di legna.
Ecco la casa, echeggiante di storie.
È presto. Il falco vola lento nel cielo sgombro. Una sottile piuma blu volteggia nel vuoto. L’aria è fredda, limpida. La casa è silenziosa, come la cucina, il divano di velluto blu, la piccola tazza da tè bianca.
Da sempre la fattoria canta per noi, le sue famiglie perdute, i suoi soldati e le mogli. Durante la guerra, quando arrivarono con le baionette, entrando con la forza, gli stivali infangati sulle scale. Patrioti. Banditi. Mariti. Padri. Dormivano nei letti freddi. Razziavano la cantina in cerca di barattoli di pesche sciroppate e barbabietole da zucchero. Accendevano grandi fuochi nel campo, e le fiamme si contorcevano, schioccando alte verso il cielo. Fuochi che ridevano. Le facce calde brillavano e le mani erano in tasca, al riparo. Arrostivano un maiale e strappavano la carne dolce e rosea dall’osso. Dopo, si succhiavano via il grasso dalle dita, un sapore familiare, strano.
Ce ne sono stati altri – molti – che hanno rubato, smantellato e saccheggiato. Perfino i tubi di rame, perfino le mattonelle di ceramica. Quello che potevano prendere, prendevano. Hanno lasciato solo i muri, i pavimenti spogli. Il cuore pulsante in cantina.
Noi aspettiamo. Siamo pazienti. Aspettiamo notizie. Aspettiamo che ci venga detto qualcosa. Il vento sta provando a farlo. Gli alberi ondeggiano. È la fine di qualcosa; lo sentiamo. Presto sapremo.”

All Things Cease to Appear

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“Non ti crucciare, don Camillo" sussurrò il Cristo. "Lo so che il vedere uomini che lasciano deperire la grazia di Dio è per te peccato mortale perchè sai che io sono sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane. Ma bisogna perdonarli perchè non lo fanno per offendere Dio. Essi cercano affannosamente la giustizia in terra perchè non hanno più fede nella giustizia divina, e ricercano affannosamente i beni della terra perchè non hanno fede nella ricompensa divina. E perciò credono soltanto a quello che si tocca e si vede, e le macchine volanti sono per essi angeli infernali di questo inferno terrestre che essi tentano invano di far diventare un Paradiso. E' la troppa cultura che porta all'ignoranza, perchè se la cultura non è sorretta dalla fede, a un certo punto l'uomo vede soltanto la matematica delle cose. E l'armonia di questa matematica diventa il suo Dio, e dimentica che è Dio che ha creato questa matematica e questa armonia. Ma il tuo Dio non è fatto di numeri, don Camillo, e nel cielo del tuo Paradiso volano gli angeli del bene. Il progresso fa diventare sempre più piccolo il mondo per gli uomini: un giorno, quando le macchine correranno a cento miglia al minuto, il mondo sembrerà agli uomini microscopico, e allora l'uomo si troverà come un passero sul pomolo di un altissimo pennone e si affaccerà sull'infinito, e nell'infinito ritroverà Dio e la fede nella vera vita. E odierà le machine che hanno ridotto il mondo ad una manciata d numeri e le distruggerà con le sue stesse mani. Ma ci vorrà del tempo ancora, don Camillo. Quindi rassicurati: la tua bicicletta e il tuo motorino non corrono per ora nessun pericolo.”

The Little World of Don Camillo

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“Se qualcun altro avesse voluto percepire il senso di infinito del tempo e dell'esistenza, quello che doveva fare era guardare il cielo notturno e sentire i propri cari che ricambiavano lo sguardo.
Era la grande dualità dell'unione e della separazione.”

Jessica Bird (1969) scrittrice statunitense

The Shadows
Variante: Se qualcun altro avesse voluto percepire il senso di infinito del tempo e dell’esistenza, quello che doveva fare era guardare il cielo notturno e sentire i propri cari che ricambiavano lo sguardo. Era la grande dualità dell’unione e della separazione.

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“Santo cielo, per amore divento un idiota.”

The Darkest Pleasure

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“Da quando mio padre è morto, gli chiedo di intervenire nella mia vita. Guardo il cielo e gli parlo con voce confidenziale e veemente. È l’unico essere a cui possa rivolgermi quando mi sento impotente. All’infuori di lui non conosco nessuno che potrebbe preoccuparsi di me nell’aldilà. Non mi viene mai in mente di parlare con Dio. Ho sempre ritenuto che non si possa disturbare Dio. Non si può parlare con lui direttamente. Dio non ha tempo di interessarsi ai singoli casi. A meno che non si tratti di casi eccezionalmente gravi. Nella scala delle suppliche, le mie sono diciamo così ridicole. Io la penso come la mia amica Pauline, quando ha ritrovato una collana che aveva ereditato dalla madre e perso nell’erba alta. Passando da un paese, suo marito ha fermato la macchina per precipitarsi in chiesa. Il portone era chiuso, e lui si è messo a scuotere freneticamente il catenaccio. Ma cosa fai? Voglio ringraziare Dio, ha risposto. – Dio se ne frega! – Voglio ringraziare la Madonna. – Ascolta Hervé, se mai c’è un Dio, se mai c’è una Madonna, credi che con tutto quello che succede nell’universo, con tutti i mali del mondo, gliene importi qualcosa della mia collana?!… Per cui io invoco mio padre, che mi sembra più accessibile. Gli chiedo dei favori ben determinati. Forse perché le circostanze mi portano a desiderare cose precise, ma anche, sotto sotto, per testare le sue capacità. È sempre la stessa richiesta d’aiuto. Una preghiera affinché succeda qualcosa. Ma mio padre è un disastro. Non mi sente, oppure non possiede alcun potere. È deprecabile che i morti non abbiano alcun potere. Disapprovo questa divisione radicale dei mondi. Ogni tanto gli attribuisco un sapere profetico. Penso: non soddisfa le tue richieste perché sa che non sarebbe un bene per te. Questo mi dà sui nervi, ho voglia di dire, non sono affari tuoi, ma almeno posso considerare il suo non intervento come un gesto deliberato. [Da].”

Yasmina Reza (1959) drammaturga, scrittrice e attrice francese

Heureux les heureux