Frasi su osservazione
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“[…] costruisce per sognare sulle trovate della sua fantasia, Canaletto si radduce alla varia realtà e su quella adagia la sua calma letizia. Con lui specialmente incomincia un nuovo modo di "vedere", ossia di contemplare e di effettuare. A distanziare convenientemente Canaletto dai veri e propri vedutisti suoi contemporanei, si è soliti osservare che l'essenziale della sua novità fu d'essersi giovato d'un punto d'osservazione arbitrario, scelto volta a volta secondo contingenze personali, al di fuori delle formalizzate acconciature prospettiche in uso presso quei manieristi. La ragione è tutt'altra e superiore a simili risorse pratiche: si tratta per lui di una condizione morale che gli assicura la trasposizione lirica del soggetto prescelto. Proprio la sua effettività per il soggetto lo sostiene il più delle volte in quel suo stato di grazia. Tutta quella argentina mareggiatura di riflessi in cielo e nell'acqua gli servirà quale appoggio stilistico per comunicarci il suo stato d'animo aggentilito e soddisfatto.”

Antonio De Witt (1876–1967) pittore italiano

da L'incisione italiana, 1941
Origine: Citato in Canaletto, I Classici dell'arte, a cura di Cinzia Manco, pagg. 181 - 188, Milano, Rizzoli/Skira, 2003. IT\ICCU\CAG\0608462 http://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=solr_iccu&rpnquery=%2540attrset%2Bbib-1%2B%2540and%2B%2540and%2B%2B%2540attr%2B1%253D13%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522759.5%2522%2B%2B%2540attr%2B1%253D4005%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522classici%2Bdell%2527arte%2522%2B%2B%2540attr%2B1%253D4018%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522rizzoli%252Fskira%2522&totalResult=13&select_db=solr_iccu&nentries=1&rpnlabel=+Codice+Classificazione+Dewey+%3D+759.5+&format=xml&resultForward=opac%2Ficcu%2Ffull.jsp&searchForm=opac%2Ficcu%2Ferror.jsp&do_cmd=search_show_cmd&refine=4005%7C%7C%7Cclassici+dell%27arte%7C%7C%7Cclassici+dell%27arte%7C%7C%7CCollezione%404018%7C%7C%7Crizzoli%2Fskira%7C%7C%7Crizzoli%2Fskira%7C%7C%7CEditore&saveparams=false&&fname=none&from=11

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“Vent'anni fa, Leopold Mapple era il giovane scienziato più brillante del nostro corso per studenti superdotati all'Istituto di Scienze di Londra. Era un ragazzone di cento chili, roseo e ben vestito. Lo si sarebbe potuto prendere per un ricco rampollo nullafacente: invece era lo scienziato più importante nella ricerca sulla fisica subatomica. Ma era anche il più inveterato gaudente, mangione, bevitore, tabagista, donnaiolo e cultore di ogni altra cosa dai più chiamata vizio. Spesso veniva richiamato dal nostro rettore, gran lucertolone calvinista, ad un atteggiamento più morale, ma Apple gli rispondeva sempre: "Sono uno scienziato e ho studiato con attenzione il mondo: e dico mai, nelle mie osservazioni, né col microscopio, né con con la camera a bolle, né con le analisi chimiche, né coi raggi X ho mai visto apparirmi una cosa chiamata 'morale'. Era infatti Leopold Mapple, l'uomo più radicalmente ateo, più rigidamente materialista, più lontano da qualsiasi sbavatura filosofica o mistica, che io avessi conosciuto. Per lui tutto era materia, numero, osservazione, confronto, realtà: su tutto il resto egli spargeva abbondantemente la sua risata fragorosa, ben conosciuta in tutte le birrerie londinesi. "C'è un solo mezzo", egli ripeteva spesso, "per elevarsi da questa terra: ed è possedere una velocità superiore a 11,45 chilometri al secondo: tutto il resto è carburante per la superstizione e l'ignoranza." E a questo suo monolitico approccio all'esistenza, egli si manteneva coerente. Radunava un gruppo di amici, io, il dottor Hyde, e Bohr, e Fermi e Jacobson e ci trascinava nella Londra notturna. Mangiava e beveva smodatamente: "Nulla teoria, sine hosteria,"diceva e aggiungeva: "Certo non ci si ciba in fondo che di molecole, ma tra un piatto di idrogeno e un pasticcio di maiale, c'è una bella differenza." E a chi gli diceva che diventa sempre più grasso, rispondeva: "Nell'Universo, le cose grosse sono più rare delle piccole: pochi elefanti, molte zanzare, pochi grandi stelle, tanti pianetini." Insomma, un tipo piuttosto bizzarro, l'avrete capito: ma l'eccezionale bravura scientifica e l'allegria contagiosa, lo rendevano simpatico a tutti. Piaceva anche alle donne, anche se lui ripeteva spesso:"Considero ogni parola detta a letto, oltre le sei, come una conferenza, e come tale mi riservo di abbandonarla." Questo suo carattere gli causava anche qualche guaio, come una volta, quando vide alcuni bambini fermi davanti a un presepe sotto Natale. Subito volle spiegare loro: uno, che Gesù Bambino non poteva essere nato seminudo nella capanna perché sarebbe morto assiderato entro pochi minuti, due, che la Madonna non poteva averlo partorito restando vergine perché la fecondazione artificiale è stata inventata quasi duemila anni dopo, e tre, che se veramente sulla capanna fosse arrivata una cometa avrebbe ridotto tutta la Palestina a una voragine fumante. Inoltre i pastori che arrivavano con le pecore probabilmente non erano venuti per regalarle, ma per venderle come è loro abitudine, e che i tre re magi erano la più grande delle fandonie perché mai nella storia un re si è fatto una cammellata nella notte per andare a portare dei doni a un bambino nudo, magari a una bambina di sedici anni sì, ma a un neonato mai nei secoli dei secoli amen e dopo, siccome i bambini erano piuttosto choccati, li portò tutti in una pasticceria e offrì loro una montagna di kraffen dicendo: prendete e mangiate, eccovi dio infinitamente buono nella sua santa trinità di crema, marmellata di arance e cioccolato. Fu denunciato dai genitori, e si guadagnò una nota di biasimo dal rettore, che però non lo espulse perché proprio in quei mesi Mapple stava ultimando un esperimento straordinario: era riuscito a costruire una camera a bolle speciale dove era sicuro di scoprire la terza forza elementare, la forza che, diceva, sta all'origine di tutte, e non è né onda né particella, qualcosa di completamente diverso, e definitivo. "Farò l'ultimo strip-tease alla cosiddetta materia," ci disse, troneggiando tra macerie di lattine di birre, a una festa organizzata la sera prima dell'esperimento. "E quello che resterà alla fine, sarà il principio: altroché Buddha e Javeh e Visnù e altri figuri metà uomo e metà cane e splendenti e resuscitanti e volanti e sibilanti su e giù per il cielo. Basta con il traffico aereo degli impostori! Quello che troveremo al termine del mio esperimento, sarà Dio a tutti gli effetti di legge: ciò da cui tutto è composto, e creato, e causato: una particella, un'onda, una relazione. Non lancerà fulmini, nel suo nome nessun profeta sarà costretto a massacri, non avrà bisogno di travestirsi da toro di legno per scopare: sarà una formula, tutto lì. Gioiosa, semplice, tangibile, consistente, divulgabile nelle scuole, utilizzabile in industria. Ragazzi quel giorno andrò dal rettore e gli dirò: 'faccia mettere questa formula nel presepe al posto di Gesù Bambino. E vedrà se giuseppi e marie e pastori e pecorelle e reganti cammellari e angeli trombettieri non ci faranno la figura dei fessi!" Noi scoppiammo a ridere, qualcuno era un po' scandalizzato, ma Mapple ci travolse, beveva e cantava e petava come un cavallo gridando: "In interiore hominis vox veritatis!" e passammo in rassegna tutte le bettolacce di Sub-Chelsea e per contare i tappi di birra fatti saltare Bohr disse che ci sarebbe voluta un'equazione complessa, e tornammo a casa ubriachi fradici. Il giorno dopo, fragoroso come sempre, Mapple arrivò all'Istituto per l'esperimento. "Bene," disse "ora prendiamo un bell'atomo grassotto e prendiamolo a cazzotti finché non gli cascano giù tutti gli elettrodentoni." Era questo un suo modo colorito di definire gli esperimenti subatomici. Un giovane tecnico si calò nella grande camera a bolle, dentro la quale sarebbe avvenuto il bombardamento, fino all'ultima particella. Quella mattina Mapple era particolarmente euforico, e ben farcito di birra. Non si accorse che il tecnico si era sdraiato a terra per controllare la temperatura del suolo. Così lo chiuse senza accorgersene dentro la camera e iniziò il bombardamento. L'esperimento durò otto giorni: per quel tempo, il reparto restò chiuso a tutti. Il nono giorno ecco arrivare Mapple in smoking, reduce dalla solita notte di baldoria. C'eravamo tutti con lui, mentre si avviava alla camera nucleare: "Ragazzi", egli gridava, facendo roteare il bastone d'avorio, "le nuvole di duemila anni di incensi religiosi stanno finalmente per dissolversi. Migliaia di preti invaderanno gli uffici di disoccupazione in tutto il mondo. Nessun bambino verrà mai più atterrito da purgatori e inferni! Le marmellate in cima agli armadi verranno sterminate, senza paura di ritorsioni. Nelle chiese risuonerà, liberatorio, il tintinnio dei brindisi. Suore nude si concederanno a rabbini infoiati, ex voto, ex stole, ex messali, tiare, sottanoni e paramenti e ultime cene tutto brucerà, nello stesso fuoco in cui la chiesa ha bruciato i libri, gli eretici, i villaggi degli infedeli. L'ultima crociata è giunta! L'umanità è salva! Cristo è disceso in terra, anzi è sempre stato lì, e io ve lo mostrerò! La causa causarum, la sacra particula, il colui da cui, il primo motore, l'ordo initialis, l'uovo cosmico, il fabbro celeste, il danzatore eterno, l'occhio del Buddha, il kkien, il waugwa, il primo bit, il supremo artefice! Presto a voi in tutto il suo scientifico splendore! Seguitemi!" E noi lo seguimmo, eccitati, fin davanti la porta sigillata della camera dell'esperimento, e trattenemmo il fiato insieme a lui, quando lui aprì la porta e vide… vide… Vide il tecnico, con la barba lunga, i capelli incolti, con il viso scavato da otto giorni di digiuno, e il camice bianco strappato, che alzava al cielo le mani bruciate dalle ustioni radioattive e gridava: "Sono qui! Sono io, Mapple, finalmente mi hai trovato!" Descrivere il viso di Mapple in quel momento, non mi è possibile: diventò bianco come un marmo, gli occhi sembrarono uscirgli dalle orbite, ed egli lanciò un urlo, un urlo che fece tremare i vetri dell'Istituto, e i nostri cuori. "Nooooooooooooooooo!" Fuggì, travolgendo tutti. Nessuno di noi riuscì a raggiungerlo per spiegargli cos'era veramente successo. Sparì nel nulla e riapparve solo dopo molti giorni, la barba lunga, gli occhi rossi: capimmo subito che era uscito di senno. "Mapple," cercammo di spiegargli "quello che hai visto era solo il tecnico dell'Istituto, rimasto chiuso nella tua camera atomica per otto giorni!" "No amici," egli disse con voce ispirata, "era Dio! In fondo a ogni atomo c'è Dio." Due mesi dopo partì, con questa strana astronave, nello spazio. Da quel giorno egli vola per le galassie, portando la Religione ovunque, nelle stazioni spaziali, nei pianeti, nelle astronavi: non c'è culto o rito o confessione che egli non conosca e commerci. Cosi sia.”

Stefano Benni (1947) scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano
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“Caro Piero,
ho ripensato alla nostra discussione e ti faccio qui di seguito alcune osservazioni.
Innanzi tutto provo a riesporre le tue tesi, in modo che tu possa controllare se le ho capite bene.
La tua prima proposizione è stata questa: dallo schema di Produzione di merci a mezzo merci risulta che non esiste altra originale del profitto al di fuori del fatto che il salario è minore del prodotto netto; l'unico modo corretto di interpretare il profitto è perciò quello di considerarlo come un «minus-salario.»”

Claudio Napoleoni (1924–1988) economista e politico italiano

Nel tuo schema che il valore del saggio profitto sia determinato solo dal livello del salario risulta già dal fatto che, con qualunque unità di misura, r è funzione soltanto di w, cioè dal fatto che la funzione che dà il saggio del profitto possiede un'unica variabile indipendente, ossia appunto il salario. La forma di questa funzione mi pare inessenziale rispetto al fatto (questo, sì, essenziale) che si tratti di una funzione di un'unica variabile, e quindi al fatto, da cui quest'ultimo deriva, che il tuo schema presenta, come direbbe un matematico, un solo grado di libertà. (p. 25-26)
Origine: Dalla scienza all'utopia, p. 23

“Checché ne sia di questi racconti favolosi, certo, Cecco per ingegno poetico non è neppure paragonabile al genio sovrano dell'Alighieri; e l'Acerba, al cui grandioso disegno non poté dare il debito svolgimento, rimane una nebulosa di fronte al sole sfolgorante della Commedia; ciò non pertanto anch'egli fu molto stimato nei tempi suoi e nei posteriori, e godette di una certa popolarità, anche alla stregua dei codici e delle edizioni della sua Acerba.
Né vi è storia politica e letteraria, che occupandosi di Dante non consacri un ricordo a Cecco d'Ascoli, e alle loro relazioni; e non celebri più o meno la sua Acerba. Basti rammentare che l'Alidosi la chiamò opera divina, certo esagerandone il merito. Dante, che è Dante, non ebbe sempre lo stesso culto, stando al numero delle edizioni della sua Commedia, il quale nel sec. XVII fu scarsissimo, a cagione del cattivo gusto predominante.
La civiltà italiana si può misurare alla stregua della varia fortuna di Dante, come direbbe il Carducci, ossia del culto di Dante rivelato principalmente dalle edizioni e dalle illustrazioni del suo poema. Qui cade opportuna la osservazione del Labriola, che essendo stata composta lAcerba quando appena si conosceva e forse non intera la Commedia, non aveva ancora potuto aver luogo quella educazione letteraria, che poi andò facendosi sul gran Poema, dal quale data e non prima lo svolgimento largo e magnifico della nostra letteratura.”

Carlo Lozzi (1829–1915)

da Cecco d'Ascoli e la musa popolare, pp. 35-36

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“Ritengo Travaglio una delle poche voci libere nel mondo dell'informazione, un serio professionista che svolge pienamente il ruolo di cane da guardia della democrazia. Le osservazioni e critiche di Marco, delle quali io stesso sono stato spesso oggetto, dovrebbero servire da monito per i politici.”

Antonio Di Pietro (1950) politico e avvocato italiano

Origine: Citato in Scontro De Luca – Travaglio: Di Pietro elogia il giornalista http://www.newnotizie.it/2010/03/06/scontro-de-luca-travaglio-di-pietro-elogia-il-giornalista/, NewNotizie.it, 6 marzo 2010.

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“È illegittimo dire o supporre che il mondo costituito delle idee esista in qualche luogo. In quale maniera esso sia organizzato, lo ricaveremo dall'attenta osservazione di certe analogie con esso presenti nelle cose del nostro mondo. Quando si fonda una città, per soddisfare la smisurata ambizione di un re o di un qualche governante… capita a volte che si presenti un architetto provvisto di una specifica formazione il quale… in un primo momento abbozza nella propria mente un piano di quasi tutte le parti che dovranno costituire la futura città… poi, dopo aver fissato nella propria anima, come su un modello di cera, la delineazione di ogni singola parte, porta impressa in sé l'immagine della città creata dal suo pensiero. In seguito, grazie alla memoria innata in lui, rievoca le immagini e, mentre ne accentua ancora più i caratteri, alla maniera di un valente artigiano comincia a costruire la città fatta di pietre e di legname, con l'occhio della mente fisso al modello, adeguando le realtà materiali a ciascuna delle idee incorporee. Qualche cosa di analogo si deve appunto pensare riguardo a Dio e supporre che, quando concepí il disegno di fondare "la grande città", in una prima fase ne strutturò nella propria mente i modelli secondo cui sarebbe stata creata, componendo i quali portò a compimento prima il mondo intelleggibile e poi, servendosi di esso come prototipo, quello sensibile.”

Filone di Alessandria (-15–45 a.C.) filosofo ellenistico di cultura ebraica

Origine: Da De opificio mundi; citato in Giulio Busi, Qabbalah visiva.

“«Il testimone» di Pif è un compendio di osservazioni psicologiche più che sociologiche, sia che si parli di arte contemporanea o dell'oscuro cantante Fabio Roma. Da lui non bisogna pretendere discorsi sistematici, ma piccole osservazioni, graffi, discontinuità, una sorta di antropologia dell'inafferrabile e dell'incompiuto.”

Aldo Grasso (1948) giornalista, critico televisivo e docente italiano

Origine: Da Pif, antropologia dell'inafferrabile https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2013/marzo/07/Pif_antropologia_dell_inafferrabile_co_0_20130307_6f91151a-86f1-11e2-be69-c13993ffdb2b.shtml, Corriere della sera, 7 marzo 2013, p. 63.

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“Nella scienza nulla vi è di certo: né le asserzioni generali né le asserzioni di osservazione.”

Dario Antiseri (1940) filosofo italiano

Origine: Cristiano perché relativista, relativista perché cristiano: per un razionalismo della contingenza, p. 7

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“È sempre meglio che chi ci incute paura abbia più paura di noi.”

Adso riprendendo un'osservazione di Guglielmo: Secondo giorno, Compieta
Il nome della rosa

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“[Albert Einstein] Dopo aver ricordato che fin da bambino «la vanità delle speranze e degli sforzi che travolgono incessantemente la maggior parte degli uomini in una corsa affannosa attraverso la vita» l'aveva colpito profondamente, egli ricorda che dapprima divenne religiosissimo, ma cessò improvvisamente di esserlo all'età di dodici anni, perché leggendo libri di divulgazione scientifica si era «ben presto convinto che le storie che raccontava la Bibbia non potevano essere vere». Questa esperienza gli fece capire come «i giovani fossero coscientemente ingannati dallo Stato con insegnamenti bugiardi, e fu un'impressione sconvolgente», da cui il precoce pensatore trasse un atteggiamento di sospetto verso ogni genere di autorità, e di scetticismo verso le convenzioni sociali, che non l'avrebbe più abbandonato. Da allora egli trovò la liberazione nel «possesso intellettuale del mondo che esiste indipendentemente da noi, esseri umani, e che ci sta di fronte come un grande, eterno enigma, accessibile solo parzialmente alla nostra osservazione e al nostro pensiero». Naturalmente, conclude Einstein, «la strada verso questo paradiso non era così comoda e allettante come quella del paradiso religioso, ma si è dimostrata una strada sicura, e non ho mai più rimpianto di averla scelta.»”

Piergiorgio Odifreddi (1950) matematico, logico e saggista italiano

dalla relazione al Festival della Mente, Sarzana, Dio secondo Einstein, la Repubblica, 31 agosto 2007
Origine: In Albert Einstein, Autobiografia scientifica, 1949.

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“Si discuteva una sera a Jasnaja Poljana della divisione del lavoro. In quel tempo mio padre stava scrivendo il saggio Cosa bisogna fare?, opera colma di appassionata rivolta contro lo sfruttamento dei lavoratori da parte della classe privilegiata, che dimostra l'ingiustizia della cosiddetta «divisione del lavoro».
«Il lavoro manuale è sempre necessario,» diceva, «mentre il più delle volte il nostro lavoro, scientifico o artistico, non serve che a un cerchio ristretto di persone […].»
Il pittore Repin, nostro ospite, l'interruppe:
«Permettete Lev Nikolaevič, una mia osservazione personale. […] Mi capita spesso di vedere operai attaccati ai cavi, che alano parti del battello in costruzione. Un giorno che il pezzo era più pesante del solito, e gli operai sembravano esausti dalla fatica, vidi due di loro staccarsi dal gruppo e saltare sulla trave che stavano trascinando. Con bella voce vigorosa, intonarono un'allegra canzone. La loro energia si comunicò ai compagni che, ritrovate le forze, sentirono meno grave il loro compito.»
«E allora?» chiese mio padre, che aveva ascoltato attentamente e aspettava la conclusione.
«Ebbene,» disse Repin in modo discreto, «penso che debbano pure esistere coloro che confortano la vita dei lavoratori con la loro arte. Hanno un compito da assolvere. Mi sento uno di loro. Voglio essere fra coloro che cantano.»
«Molto bene,» riprese mio padre ridendo. «Il male è che sono in troppi a voler saltare sulla cosa che si sta trascinando e pochi a trascinarla. Il problema è questo!»”

Tat'jana L'vovna Tolstaja (1864–1950) attivista russa

Origine: Anni con mio padre, pp. 199-200

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“Iura novit curia? L'interrogativo, più che lecito, è doveroso di fronte al principio di diritto affermato dalla I Sezione penale della Corte di cassazione nella presente sentenza (così definita dalla stessa Corte, anche se parrebbe trattarsi di una ordinanza), a proposito dei criteri di computo dei termini di durata della custodia cautelare fissati per le diverse fasi del giudizio, con particolare riguardo all'incidenza su tale computo dei giorni in cui si sono tenute le udienze. […] Perché mai la Corte di cassazione sia incorsa in un simile sbandamento interpretativo, tanto più in una vicenda processuale di estrema delicatezza, che di per sé avrebbe richiesto il massimo di ponderazione da parte dei giudici della I Sezione penale (i quali, invece, non sembrano essersi impegnati come avrebbero dovuto, almeno a giudicare dalla frettolosità e dalla modestia della motivazione addotta a sostegno della loro pronuncia), è un quesito cui non saprebbe darsi una risposta soddisfacente. Probabilmente la Corte è stata sviata, oltreché dall'andamento della discussione di fronte alla Corte d'assise d'appello, e dall'erronea impostazione già emergente dalle ordinanze impugnate), anche dalla sorprendente assenza di iniziativa mostrata dal rappresentante della procura generale, che nel chiedere l'annullamento delle medesime ordinanze non si è neppure prospettato — a quanto pare — il problema della necessaria neutralizzazione ope legis dei giorni di udienza ai sensi dell'art. 297, 4° comma c. p. p. Senonché tutto ciò non basta a giustificare il contenuto approssimativo e superficiale della decisione annotata, almeno per chi creda ancora nella Corte di cassazione quale «organo supremo della giustizia», cui compete di assicurare «l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge». Il bilancio è mortificante, come sempre quando capita — e non è la prima volta, sebbene si tratti fortunatamente di episodi isolati — di registrare errori di diritto tanto vistosi da parte della Corte di cassazione. Ed allora, se è permesso riprendere l'interrogativo con cui si sono aperte queste brevi osservazioni «a caldo», occorre davvero domandarsi fino a che punto sia consentito ai giudici della Corte regolatrice di ignorare il diritto di cui dovrebbero essere i massimi tutori: o forse si deve ritenere che, almeno per certi giudici, debba ormai valere l'inedito brocardo per cui ignorantia legis excusat?”

Vittorio Grevi (1942–2010) giurista e editorialista italiano

da Una erronea interpretazione in tema di congelamento dei giorni di udienza ai fini dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio, In Giurisprudenza italiana, 1991, Disp. 5a, Parte II

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“Buon giallo con interessanti osservazioni sulla struttura sociale.”

Leonard Maltin (1950) critico cinematografico statunitense

Guida ai film 2007

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“[Su Via Castellana Bandiera] Il film è una metafora del momento che stiamo vivendo, le protagoniste sono in uno stallo che ricorda quello che stiamo vivendo come società. Il mio non è un film sul Sud, racconta uno stato dell'essere non uno stato geografico. È ambientato a Palermo perché quelle sono le mie radici, il Sud è una torretta di osservazione sul mondo.”

Emma Dante (1967) attrice teatrale, regista teatrale e drammaturga italiana

Origine: Citato in Chiara Ugolini, "Via Castellana Bandiera" di Emma Dante: tanti applausi per il western al femminile http://www.repubblica.it/speciali/cinema/venezia/edizione2013/2013/08/29/news/via_castella_bandiera-65474173/, Repubblica.it, 29 agosto 2013.

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“Ricordo male le donne belle: un viso che abbaglia impedisce l'osservazione tranquilla.”

Gesualdo Bufalino (1920–1996) scrittore

Origine: Il malpensante, Ottobre, p. 115

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“L'introspezione, l'osservazione e la storia del comportamento umano nei tempi passati e in quelli presenti ci dicono chiaramente che il bisogno di autotrascendenza è quasi altrettanto diffuso e, qualche volta, altrettanto potente quanto il bisogno di autoaffermazione. Gli uomini desiderano intensificare la coscienza di essere ciò che essi considerano "se stessi", ma desiderano anche – e lo desiderano, molto spesso, con irresistibile violenza – la coscienza di essere qualcun altro. Insomma, essi bramano di uscire da se stessi, di oltrepassare i limiti di quel minuscolo universo-isola entro il quale ogni individuo si trova confinato. Questo desiderio di autotrascendenza non è identico al desiderio di sfuggire al dolore fisico o morale. In molti casi, è vero, il desiderio di sfuggire la pena rinforza il desiderio di autotrascendenza. Ma questo può esistere senza l'altro. Se cosí non fosse, gli individui sani e fortunati, i quali (nel linguaggio psichiatrico) «si sono adattati alla vita in maniera eccellente», non sentirebbero mai il bisogno di uscire da se stessi. Mentre lo fanno. Anche tra coloro che la natura e la ricchezza hanno piú generosamente dotati, troviamo e non infrequentemente, un orrore profondamente radicato di se stessi, un'ansia appassionata di liberarsi della piccola ripugnante identità alla quale sono stati condannati proprio dalla perfezione del loro "adattamento alla vita". Chiunque, uomo o donna, che sia felice (secondo i criteri del mondo) oppure disgraziato, può arrivare, improvvisamente o gradatamente, a ciò che l'autore della Nuvola dell'Inconoscibile chiama "la conoscenza e la sensazione nude del tuo proprio essere". Questa immediata consapevolezza di sé produce uno struggente desiderio di andare al di là dell'io isolato.”

III, 2; pp. 71-72
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“Non si può creare un personaggio basandosi sulla semplice osservazione: se vogliamo che prenda vita dev'essere almeno in qualche misura una rappresentazione di noi stessi.”

William Somerset Maugham (1874–1965) scrittore e commediografo britannico

Origine: Da Scrivere. Corso di Scrittura creativa, Fabbri Editori, volume 3, p. 46, 1996.

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“[Diego Velázquez] Egli sapeva dipingere l'essenza della dignità di un essere umano, anche quando quell'essere era fisicamente o mentalmente anormale: lo testimoniano i suoi straordinari dipinti di nani e buffoni. Aveva la capacità dell'osservazione psicologica propria dell'introverso; se fosse vissuto oggi, invece di un pittore sarebbe forse stato uno psichiatra.”

Joan Evans (storica dell'arte) (1893–1977) storica dell'arte britannica

da Taste and Temperament, 1939
Citazioni di Joan Evans
Origine: Citato in Velázquez, I Classici dell'arte, a cura di Elena Ragusa, pagg. 183 - 188, Milano, Rizzoli/Skira, 2003. IT\ICCU\TO0\1279609 http://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?select_db=solr_iccu&searchForm=opac%2Ficcu%2Favanzata.jsp&do_cmd=search_show_cmd&db=solr_iccu&Invia=Avvia+la+ricerca&saveparams=false&resultForward=opac%2Ficcu%2Ffull.jsp&nentries=1&rpnlabel=+Identificativo+SBN+%3D+IT%5CICCU%5CTO0%5C1279609+%28parole+in+AND%29+&rpnquery=%2540attrset%2Bbib-1%2B%2B%2540attr%2B1%253D1032%2B%2540attr%2B4%253D6%2B%2522IT%255C%255CICCU%255C%255CTO0%255C%255C1279609%2522&&fname=none&from=1

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“Il talento del Signor Manet è fatto di semplicità e di esattezza. Senza dubbio, davanti alla natura incredibile di alcuni dei suoi colleghi si sarà deciso ad interrogare la realtà, solo con sé stesso: avrà rifiutato tutta la perizia acquisita, tutta l'antica esperienza, avrà voluto prendere l'arte dall'inizio, cioè dall'osservazione esatta degli oggetti. Si è dunque messo coraggiosamente di fronte a un soggetto, ha visto questo soggetto per larghe macchie, per opposizioni vigorose, e ha dipinto ogni cosa così come la vedeva.”

Emile Zola (1840–1902) giornalista e scrittore francese

Origine: Le talent de M. Manet est fait de simplicité et de justesse. Sans doute, devant la nature incroyable de certains de ses confrères il se sera décidé à interroger la realité, seul à seul: il aura refusé toute la science acquise, toute l'expérience ancienne, il aura voulu prendre l'art au commencement, c'est à dire à l'observation exacte des objects. Il s'est donc mis courageusement en face d'un sujet, il a vu ce sujet par larges taches, par oppositions vigoureuses, et il a peint chaque chose telle qu'il la voyait. (citato in Lionello Venturi Storia della critica d'arte, Einaudi, Torino, 1966, p. 270)

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“[…] a giudicare dalle osservazioni sugli animali nel corso della storia, sembrerebbe che la nostra sia la prima cultura che studi effettivamente gli animali nella loro condizione naturale e forse la prima che si preoccupa se quanto viene detto di loro corrisponda o meno a verità.”

Kenneth Dover (1920–2010) filologo classico britannico

Origine: Da Greek Popular Morality in the Time of Plato and Aristotle; citato in Stephen R. L. Clark, Umani, animali e "comportamento animale", in Aa. Vv., Etica e animali, traduzione di Brunella Casalini, Liguori Editore, Napoli, 1998, p. 196. ISBN 88-207-2686-6

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