Frasi su poco
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“Quanto poco c'è da fidarsi di una donna che si fa cogliere in flagrante fedeltà! Oggi fedele a te, domani a un altro.”

Karl Kraus (1874–1936) scrittore, giornalista e aforista austriaco

Detti e contraddetti

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“Morirò un poco, molto, | Senza passione, ma con interesse | E poi quando tutto sarà finito | Morirò.”

Boris Vian (1920–1959) scrittore, paroliere e drammaturgo francese

da Morirò di cancro alla colonna vertebrale; 1993
Non vorrei crepare

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“Quell'altro che ne' fianchi è così poco, | Michele Scotto fu, che veramente | de le magiche frode seppe 'l gioco.”

Dante Alighieri (1265–1321) poeta italiano autore della Divina Commedia

Virgilio: XX, 115-117

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“Noi abbiamo poco controllo sopra i nostri pensieri. Siamo prigionieri delle idee.”

Ralph Waldo Emerson (1803–1882) filosofo, scrittore e saggista statunitense

Intelletto, p. 237
Saggi, Prima serie

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“Apri anche l'altra imposta per fare entrare un poco più di luce.”

Johann Wolfgang von Goethe (1749–1832) drammaturgo, poeta, saggista, scrittore, pittore, teologo, filosofo, umanista, scienziato, critico d'arte e…

22 marzo 1832, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, pp. 285 e 294

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“La freddezza inalterabile, il crudele piacere della vendetta finiscono per muovere il nostro sdegno; tanto che per avere un marito servo, l'insulso scioglimento ci soddisfa poco o punto.”

Johann Wolfgang von Goethe (1749–1832) drammaturgo, poeta, saggista, scrittore, pittore, teologo, filosofo, umanista, scienziato, critico d'arte e…

Varie
Origine: Citato in Gerolamo Bottoni, prefazione a Carlo Goldoni, La locandiera, Carlo Signorelli Editore, Milano, 1934.

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“Una vita libera è ancora aperta alle anime grandi. Chi poco possiede tanto meno è posseduto: sia lodata la piccola povertà.”

Friedrich Nietzsche (1844–1900) filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco

I, Del nuovo idolo, 1963

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“Per essere felici, quanto poco basta per essere felici!”

Friedrich Nietzsche (1844–1900) filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco

IV, Mezzogiorno, Montinari 1972

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“Poco importa che cosa odiamo, purché odiamo qualcosa.”

Samuel Butler (1612–1680) scrittore britannico

Taccuini

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“Quando si crede troppo, si rischia tanto quanto si crede troppo poco.”

Denis Diderot (1713–1784) filosofo, enciclopedista, scrittore e critico d'arte francese

Origine: Citato in Karlheinz Deschner, Sopra di noi... niente, Ariele, 2008.

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“M'accingevo a dare più minuti particolari, quando il padrone m'ingiunse di tacere. "Chiunque conosce" egli disse "l'indole degli yahoo può agevolmente capire che un animale così abietto diventi capace di commettere tutte le orribili azioni da voi menzionate, sol che forza ed accortezza eguaglino la tristizia. Poiché il vostro discorso ha fatto aumentare il mio aborrimento per l'intera razza yahoo, provo, a sentirvi parlare, un turbamento mentale affatto nuovo. Non è escluso che col tempo le mie orecchie si abituino alle parole detestabili che vi escono dalla bocca, e imparino poco per volta ad accoglierle con minore ripugnanza. Odio, sì, gli yahoo di questo paese, ma non li biasimo per i loro abominevoli difetti più di un gnnayh (uccello rapace) per la sua crudeltà, o d'una pietra acuminata per la sua qualità di ferirmi lo zoccolo. Ma quando un essere che si vanta ragionevole può essere capace di tutte le atrocità cui avete accennato, comincio allora a temere che la ragione male adoperata sia qualche cosa di peggio della stessa naturale bestialità. Voglio, dunque, credere che voi siate dotati, non già di ragione, ma d'una facoltà atta ad accrescere i vostri difetti naturali; quale un torbido ruscello che riflette l'immagine d'un corpo deforme, non soltanto ingrandita, ma più stravolta che mai."”

da Opere, traduzione di Masolino d'Amico, Mondadori, Milano, 1983
I viaggi di Gulliver

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“Chi poco sa, vada sempre per la strada maestra […].”

Baltasar Gracián (1601–1658) gesuita, scrittore e filosofo spagnolo

da Chi poco sa, s'attenga sempre a ciò che è più sicuro in ogni affermazione, p. 157
Oracolo manuale e arte di prudenza

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“Ciò che costa poco vale anche poco.”

Baltasar Gracián (1601–1658) gesuita, scrittore e filosofo spagnolo
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“Ella era venuta in India desiderosa di qualche avvenimento che desse un senso alla sua vita, ed ora standosene sul balcone di legno, capì che qualcosa di terribile, come una vendetta superante qualsiasi immaginazione, le stava accadendo. Ella non era morta, ma avrebbe potuto morire prima che molti altri giorni fossero passati, se non addirittura ore o minuti. Non aveva mai pensato molto alle case fino a quel momento, ma ora la casa del signor Bannerjee, pur avendo resistito al duplice assalto del terremoto e della inondazione, le sembrava eccessivamente debole e ridicola di fronte alla catastrofe che li circondava. Questa considerazione la indusse a pensare a se stessa, alla propria infinita fragilità, alla propria inutilità. V'era qualcosa di comico nell'assistere a uno spasimo della Natura, vestita d'un abito leggero di crespo di Cina bianco e ricoperta di gioelli. Un poco divertito, il suo spirito si mise a vagabondare, chiedendosi quale abito sarebbe stato adatto per una simile occasione. Pantaloni sportivi, direi, pensò, e una camicia di seta. Sarebbe elegante e pratico. Molte volte in Hill Street, a Cannes, in campagna, nel suo letto, stanca di leggere e semiaddormentata, s'era pigramente chiesta che cosa avrebbe provato nel trovarsi ad un tratto di fronte alla morte con la coscienza d'avere solo poche ore da vivere. Spingendo l'idea ancor più lontano s'era chiesta che cosa avrebbe fatto, indifferente ed annoiata com'era, se si fosse trovata dinanzi alla morte in compagnia di un uomo attraente. E s'era detta: Ci sarebbe una sola cosa da fare per ammazzare il tempo. Qualunque altra cosa sarebbe una noia.”

Louis Bromfield (1896–1956) scrittore (riformatore agrario)

Ella s'era anche detta che fare all'amore in tali circostanze sarebbe stato un piacere nuovo e selvaggio, nato da qualche atavica necessità profondamente radicata nella natura umana.
La grande pioggia

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“Io sono seduto nella mia camera con la faccia rivolta al fuoco, e tutti gli oggetti che colpiscono i miei sensi sono contenuti in pochi metri intorno a me. La memoria, invero, mi fa presente l'esistenza di molti oggetti; ma questa sua testimonianza non si estende oltre la loro precedente esistenza, né i sensi né la memoria attestano la continuità del loro essere. Mentre sono ancora seduto e rivolgo per la mente questi pensieri, sento ad un tratto un rumore, come di una porta che gira sopra i suoi cardini, e poco dopo vedo il portiere che avanza verso di me. Ciò mi dà occasione a molte riflessioni e nuovi ragionamenti. Anzitutto, io non ho mai osservato che quel rumore possa provenire da altro fuorché dal movimento di una porta, e quindi concludo che il presente fenomeno sarebbe in contraddizione con tutte le precedenti esperienze, qualora io non ammettessi che la porta, che ricordo dall'altra parte della camera, continua ad esistere. Ancora: ho sempre visto che un corpo umano possiede una qualità ch'io chiamo gravità, e che gl'impedisce di volare, come questo portiere dovrebbe aver fatto per giungere nella mia camera, se pensassi che la scala, di cui ho il ricordo, fosse stata distrutta nella mia assenza. Ma non è tutto. Io ricevo una lettera: aprendola, vedo dal carattere e dalla firma che viene da un amico che mi dice esser distante duecento leghe. È evidente che non posso mai rendermi ragione di questo fenomeno in conformità della mia esperienza in altri casi, senza far passare nella mia mente tutto il mare e il continente che ci separano, e senza supporre gli effetti e l'esistenza continuata dei corrieri e dei battelli, conforme alla mia memoria e osservazione. I fenomeni, dunque, del portiere e della lettera, sotto un certo aspetto sono in contraddizione con l'esperienza comune, e possono esser giudicati come obiezioni alle massime riguardanti la connessione tra cause ed effetti. Io, infatti, sono abituato a udire un certo suono nello stesso tempo che vedo un certo oggetto in movimento; in questo caso, invece, non ho ricevuto le due percezioni insieme. Sì che queste due osservazioni sono contrarie, a meno ch'io non supponga che la porta rimanga ancora, e che sia stata aperta senza ch'io ne abbia avuto la percezione. E questa supposizione, da principio arbitraria e ipotetica, acquista forza ed evidenza per essere la sola che possa conciliare quella contraddizione. Di questi casi se ne offrono continuamente nella mia vita, e mi spingono a supporre una continuata esistenza degli oggetti al fine di collegare le passate con le presenti loro apparizioni, e dare loro quella reciproca unione che ho trovato per esperienza convenire alla loro particolare natura e alle circostanze. Io sono, così, naturalmente portato a considerare il mondo come qualcosa di reale e di durevole, che mantiene la sua esistenza anche quando cessa di esser presente alla mia percezione.”

Trattato sulla natura umana

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“[Sull'Inter] Non dobbiamo avere paura di raccontare i fatti negativi o poco piacevoli. Noi abbiamo una storia diversa dalle altre squadre. Nel bene e soprattutto nel male.”

Oliviero Toscani (1942) pubblicitario, fotografo

Origine: Citato in Filippo Grassia e Giampiero Lotito, Inter. Il calcio siamo noi, Sperling & Kupfer editori, 2010. ISBN 8820049678

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“[Si riporta l'esempio, divenuto celebre, della manifattura di spilli usato da Smith per illustrare gli effetti della divisione del lavoro. ] In queste grandi produzioni destinate a soddisfare i bisogni di un gran numero di persone, ogni ramo differente del lavoro richiede un gran numero di lavoratori, che rende impossibile radunare tutti nella stessa casa lavoro. Noi raramente possiamo vedere in una volta sola più di quelli impegnati in un singolo ramo. Sebbene in simili produzioni, di conseguenza, il lavoro può essere davvero diviso in un gran numero di parto, rispetto a quelle di natura più frivola, la divisione non è così ovvia, ed è stata perciò poco osservata.
Prendiamo dunque un esempio in una manifattura di poco conto dove la divisione del lavoro è stata molto spesso citata, quella, cioè, dello spillettaio; un operaio non educato in questa manifattura (che la divisione del lavoro ha reso uno speciale mestiere), non preparato all'uso del macchinario realizzato per questo (la cui invenzione probabilmente è stata resa possibile dalla stessa divisone), può a fatica, forse, con la sua laboriosità, produrre uno spillo al giorno, e di certo non può produrne 20. Dato il modo in cui viene svolto oggi questo compito, non solo tale lavoro nel suo complesso è divenuto mestiere particolare, diviso in un certo numero di specialità, la maggior parte delle quali sono anch'esse mestieri particolari. Un uomo trafila in metallo, un altro raddrizza il filo, il terzo lo taglia, un quarto gli fa la punta, un quinto lo schiaccia l'estremità dove deve inserirsi la capocchia; fare la capocchia richiede due o tre operazioni distinte; inserirle in attività distinta, pulire gli spilli è un'altra, e persino il metterli nella carta un'altra occupazione se stante, sicché l'importante attività di fabbricare uno spillo viene divisa, in tal modo in circa 18 distinte operazioni che, in alcune manifatture, sono tutte compiute da mani diverse, sebbene si diano casi in cui la stessa persona ne compie due o tre. Io ho visto una piccola manifattura di questo tipo dove erano impiegati solo 10 uomini, e dove alcuni di essi di conseguenza compivano due o tre distinte operazioni. Ma sebbene loro fossero assai poveri, e perciò non disponessero molto delle macchine necessarie, potevano, quando si impegnavano a vicenda, fare all'incirca dodici libbre di spilli in un giorno. Una libbra contiene più di mille spilli di grandezza media. Quelle 10 persone, quindi, riuscivano a fare più di 40.000 spilli al giorno. Ciascuno di loro 10 dunque, facendo una decima parte di 48000 spilli, può essere considerato come se ne fabbricasse 4800 in un giorno. Se invece avessero lavorato tutti separatamente e indipendentemente senza che alcuno di loro fosse stato previamente addestrato a questo compito particolare, non avrebbero certamente potuto fabbricare neanche 20 spilli al giorno per ciascuno, forse neanche un solo spillo al giorno; cioè certamente non la duecentoquarantesima parte, e forse neanche la quattromilaottocentesima parte di quel che sono intanto capaci di compiere in conseguenza di una appropriata divisione e combinazione delle loro differenti operazioni.
In tutte le altre arti e manifatture, gli effetti della divisione del lavoro sono analoghi a quelli che abbiamo riscontrato in quest'attività di modestissimo rilievo; sebbene, in molte di esse, il lavoro non possa essere suddiviso fino a questo punto, né ridotto a una tale semplicità di operazioni. La divisione del lavoro, comunque, nella misura in cui può essere introdotta, determina in ogni mestiere un aumento proporzionale delle capacità produttive del lavoro.”

cap. 1 http://www.wsu.edu/~dee/ENLIGHT/WEALTH1.HTM
La ricchezza delle nazioni

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“Le teorie generali e il nulla sono, presso a poco, la stessa cosa.”

Ferdinando Galiani (1728–1787) economista

da Sentenze e motti di spirito, a cura di Marco Catucci, Salerno, 1991

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“Cristo si è fermato a Eboli, L'Orologio, sono i momenti di un'autobiografia che non può svolgersi altrimenti che ricostruendo la storia della società italiana, dal fascismo ai primi anni del dopoguerra. Carlo Levi — qui è il centro della sua arte — non dipinge un quadro d'insieme di codesta società per poi, subito dopo, inserirvisi; non procede verso l'universale astratto. Nella sua opera il moto di universalizzazione è tutt'uno con l'approfondimento del concreto. Dai suoi inizi ci ha posto, sempre, contemporaneamente su due piani: quello della Storia e quello delle sue storie, specchiantisi l'uno nell'altro. Mi sia consentito affermare, in questa occasione, il mio totale consenso a un'arte dello scrivere cosí concepita. Io credo che, attualmente, non possiamo tentare nient'altro che collocare i nostri lettori in questa doppia prospettiva: di una vita che si singola-rizza, avida di gustare il sapore di tutte le altre vite, e di una universalità strutturata del vissuto che si totalizza soltanto nelle vite particolari. […] Quella curiosità di cui poco fa ho parlato, e che ha fatto di lui lo scrittore di cui non possiamo mai dimenticarci, è nata dalla passione di vivere, che lo induce a cogliere come un valore, in se stesso e negli altri, ogni esperienza vissuta. In Levi tutto si accorda, tutto si tiene. Medico dapprima, poi scrittore e artista per una sola identica ragione: l'immenso rispetto per la vita. E questo stesso rispetto è all'origine del suo impegno politico, cosí come alla sorgente della sua arte.”

Jean Paul Sartre (1905–1980) filosofo, scrittore, drammaturgo e critico letterario francese

Origine: Da Galleria, 3-6 (1967), pp. 259-60, a cura di Aldo Marcovecchio; citato in Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, 1990, p. XII.

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