Frasi su sveglia
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“Noterai che nessun animale tiene in poco conto il suo corpo o si disinteressa di esso. Anche quelli più stupidi e sciocchi, per quanto siano tardi in tutto il resto, sono ben svegli quando si tratta della loro vita.”

Lucio Anneo Seneca (-4–65 a.C.) filosofo, poeta, politico e drammaturgo romano

121, 24
Lettere a Lucilio
Origine: Citato in Gino Ditadi, I filosofi e gli animali, vol. 1, Isonomia editrice, Este, 1994, pp. 329-330. ISBN 88-85944-12-4

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“Il vero soldato mente a sé stesso quando dice di odiare la guerra. Egli ama in modo profondo la guerra. E non perché sia un uomo particolarmente malvagio, assetato di sangue, ma perché ama la vitalità che (per quanto paradossale possa sembrare) la guerra porta dentro di sé. Con la vitalità, la sfida e la scommessa e il mistero di cui essa si nutre. Sul palcoscenico della gran commedia che ha nome "pace" il mistero non esiste. Sai già che lo spettacolo si compone di alcuni atti e che dopo il primo atto vedrai il secondo, dopo il secondo vedrai il terzo: le incognite riguardano solo lo sviluppo della storia narrata e il suo epilogo. Sul palcoscenico della gran tragedia che ha nome "guerra", invece, non sai mai che cosa accadrà. Che tu ne sia spettatore o interprete, ti chiedi sempre se vedrai la fine del primo atto. E il secondo è una possibilità. Il terzo, una speranza. Il futuro, un'ipotesi. Puoi morire in qualsiasi momento, alla guerra, e in qualsiasi momento puoi restar ferito cioè venire tolto dal cast o dal recinto del pubblico. Tutto è un'incognita lì, un interrogativo che tiene col fiato sospeso, ma proprio per questo ci vibri d'una vitalità esasperata. I tuoi occhi sono più attenti, alla guerra, i tuoi sensi più svegli, i tuoi pensieri più lucidi. Scorgi ogni particolare, percepisci ogni odore, ogni rumore, ogni sapore. E, se hai cervello, puoi studiarvi l'esistenza come nessun filosofo potrà mai studiarla: puoi analizzarvi gli uomini come nessun psicologo potrà mai analizzarli, capirli come non potrai mai capirli in un tempo e in un luogo di pace. Se poi sei un cacciatore, un giocatore d'azzardo, ti ci diverti come non ti sei mai divertito e non ti divertirai mai nel bosco o nella tundra o al tavolo della roulette. Perché l'atroce gioco della guerra è la caccia delle cacce, la sfida delle sfide, la scommessa delle scommesse. La caccia all'Uomo, la sfida alla Morte, la scommessa con la Vita. Eccessi di cui il vero soldato ha bisogno.”

I, V, I; pp. 145–146
Insciallah

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“I dittatori sono propensi alla cinefilia. Lenin, che detestava la musica perché era irritato dal fatto che lo faceva diventare sentimentale, considerava che tra tutte le arti il cinema poteva essere la più utile alla causa del proletariato. Hitler vedeva quasi tutte le sere in una sala cinematografica perfettamente attrezzata operette viennesi d'epoca e musical americani, e regalò a Eva Braun una cinepresa per girare a colori scene che ancora oggi ci gelano il sangue, un misto di ridenti immagini domestiche e igure genocide che prendono il sole sulle terrazze con vista sulle Alpi. Anche a Stalin piacevano i musical americani e i film western e, dato che soffriva d'insonnia come Hitler e si divertiva a tenere svegli i suoi cortigiani fino a notte fonda, a volte prolungava la sessione cinematografica con una festa alcolica, durante la quale osservava in silenzio adulatori e future vittime come se stesse inventando per ognuno un copione sinistro dall'epilogo ignoto a tutti tranne che a lui. Il generale Franco non andava a letto tardi e non beveva, ma la sua passione per il cinema era altrettanto forte, al punto che scrisse la sceneggiatura di un film, Raza, che era una patetica fantasia ricamata sulla sua biografia, e una dimostrazione del fatto che il cinema può rovinare l'immaginazione di chiunque. Forse ai dittatori piacciono tanto i film perché hanno pochissime opportunità di uscire la sera e perché sono costantemente circondati da persone servili di cui non sanno più che fare.”

Antonio Muñoz Molina (1956) scrittore e saggista spagnolo

Origine: Da El tirano cinéfilo, País; tradotto in Il tiranno cinefilo, Internazionale n. 1101, 8 maggio 2015.

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“Un uomo esce dalla clinica dove si è appena sottoposto a una colonscopia di controllo. «Il dottore dice che sono a posto», confida alla moglie che lo aspetta in macchina. «Per i prossimi cinque anni non c'è bisogno che mi faccia più controllare». «Fantastico! Hai sentito male?». «Be', ecco…», balbetta. «A dir la verità non ricordo, non mi ricordo niente. Strano… è come se non l'avessi fatta».
Il motivo di tutto ciò è che il medico gli ha somministrato un farmaco in grado di cancellare ogni ricordo di questo evento. Si chiama midazolam […]: è infatti un farmaco di routine per piccole operazioni chirurgiche. Poco importa se la colonscopia sia andata liscia come l'olio o se sia stata insostenibilmente dolorosa. In teoria, il gruppo di medici avrebbe potuto anche saltare sul tavolo operatorio per cantare una canzonaccia da osteria, tanto il paziente, seppur sveglio, non si sarebbe ricordato nulla. E anche se i pazienti potrebbero avere da ridire su di un farmaco che cancella pezzi di memoria, questa pratica è abituale come quella di lavarsi le mani.
Una volta ho chiesto a un'infermiera come mai usassero sistematicamente il midazolam per le colonscopie. «Così i pazienti ritornano a farsi controllare», rispose. Se si ricordassero tutti i dettagli dell'esame, compresi quelli più dolorosi e umilianti, sarebbero molto meno contenti di ripeterla.”

Neal D. Barnard (1953) medico statunitense

Origine: Super cibi per la mente, p. 146

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“Vi sono momenti in cui, rinchiuso in queste grandi chiese [di Firenze], tra questi antichi palazzi, sotto le volte dei portici, mi credo decisamente un uomo del tredicesimo o quattordicesimo secolo. L'aria che si respira, i luoghi che si vedono, tutto contribuisce a modificare il pensiero, a far dimenticare le abitudini più familiari, e spesso mi sveglio stupito di non incontrare il gonfaloniere e il suo seguito, un Uberti o un Buondelmonte, Masaccio o Michelangelo. È certo che la storia si aggira per le strade in questo paese.”

Étienne-Jean Delécluze (1781–1863) pittore e scrittore francese

da Quatorzième lettre à un Parisien sur l'Italie, «Journal des Débats», 29 ottobre 1823.
Origine: Citato in Emanuele Kanceff, L'avventura dei francesi in Toscana; in Emanuele Kanceff, Attilio Brilli, Giorgio Cusatelli, Renato Risaliti, Silvia Meloni Trkulja, Mara Miniati e Maurizio Bossi, Firenze dei grandi viaggiatori, a cura di Franco Paloscia, Edizioni Abete, 1993, p. 44. ISBN 88-7047-053-9

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“Mi sono svegliato un'ora prima che la sveglia suonasse, ed eccomi subito a cercare di baciarti l'anima.”

Filippo Timi (1974) scrittore, attore e regista italiano

E lasciamole cadere queste stelle

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“Non importa se si lotta contro il cancro al seno o contro l'Aids, basta tenere sveglia la coscienza della gente su questi temi.”

Anastacia (1968) cantautrice e stilista statunitense

Origine: Dal discorso al Life Ball, Vienna, 2006; citato in A Vienna vip e star contro l'Aids. Madrine Stone, Campbell e Deneuve http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/persone/vienna-life-ball/vienna-life-ball/vienna-life-ball.html?ref=search, Repubblica.it, 20 maggio 2006.

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“Nessun limite a Parigi. Nessuna città ha avuto questa dominazione che dileggiava talvolta coloro ch'essa soggioga: Piacervi o ateniesi! esclamava Alessandro. Parigi fa più che la legge, fa la moda; e più che la moda, l'abitudine. Se le piace, può esser stupida, e talvolta si concede questo lusso, allora l'universo è stupido con lei. Poi Parigi si sveglia, si frega gli occhi e dice: «Come sono sciocca!» e sbotta a ridere in faccia al genere umano. Quale meraviglia, una simile città! Quanto è strano che questo grandioso e questo burlesco si faccian buona compagnia, che tutta questa maestà non sia turbata da tutta questa parodia e che la stessa bocca possa oggi soffiare nella tromba del giudizio finale e domani nello zufolo campestre! Parigi ha una giocondità suprema: la sua allegrezza folgora e la sua farsa regge uno scettro. Il suo uragano esce talvolta da una smorfia; le sue esplosioni, le sue giornate, i suoi capolavori, i suoi prodigi e le sue epopee giungono fino in capo al mondo, e i suoi spropositi anche. La sua risata è una bocca di vulcano che inzacchera tutta la terra, i suoi lazzi sono faville; essa impone ai popoli le sue caricature, così come il suo ideale, ed i più alti monumenti della civiltà umana ne accettano le ironie e prestano la loro eternità alle sue monellerie. È superba: ha un 14 luglio prodigioso, che libera l'universo; fa fare il giuramento della palla corda a tutte le nazioni; la sua notte del 4 agosto dissolve in tre ore mille anni di feudalismo; fa della sua logica il muscolo della volontà unanime; si moltiplica sotto tutte le forme del sublime; riempie del suo bagliore Washington, Kosciusko, Bolivar, Botzaris, Riego, Bem, Manin, Lopez, John Brown, Garibaldi; è dappertutto dove s'accende l'avvenire, a Boston nel 1779, all'isola di Leon nel 1820, a Budapest nel 1848, a Palermo nel 1860; sussurra la possente parola d'ordine: Libertà, all'orecchio degli abolizionisti americani radunati al traghetto di Harper's Ferry ed all'orecchio dei patrioti d'Ancona, riuniti nell'ombra degli Archi, davanti all'albergo Gozzi, in riva al mare; crea Canaris, Quiroga, Pisacane; irraggia la grandezza sulla terra; e Byron muore a Missolungi e Mazet muore a Barcellona, andando là dove il suo alito li spinge; è tribuna sotto i piedi di Mirabeau, cratere sotto i piedi di Robespierre; i suoi libri, il suo teatro, la sua arte, la sua scienza, la sua letteratura, la sua filosofia sono i manuali del genere umano; vi sono Pascal, Régnier, Corneille, Descartes, Gian Giacomo; Voltaire per tutti i minuti, Molière per tutti i secoli; fa parlar la sua lingua alla bocca universale e questa lingua diventa il Verbo; costruisce in tutte le menti l'idea del progresso; i dogmi liberatori da lei formulati sono per le generazioni altrettanti cavalli di battaglia, e appunto coll'anima dei suoi pensatori e dei suoi poeti si sono fatti dal 1789 in poi gli eroi di tutti i popoli. Il che non le impedisce d'esser birichina; e quel genio enorme che si chiama Parigi, mentre trasfigura il mondo colla sua luce, disegna col carboncino il naso di Bourginier sul muro del tempio di Teseo e scrive Crédeville, ladro, sulle piramidi.

Parigi mostra sempre i denti; quando non brontola, ride.

Siffatta è questa Parigi. I fumacchi dei suoi tetti sono le idee dell'universo. Mucchio di fango e di pietre, se si vuole; ma, soprattutto, essere morale: è più che grande, è immensa. Perché? Perché osa.

Osare: il più progresso si ottiene a questo prezzo. Tutte le conquiste sublimi sono, più o meno, premî al coraggio, perché la rivoluzione sia, non basta che Montesquieu la presagisca, che Diderot la predichi, che Beaumarchais l'annunci, che Condorcet la calcoli, che Arouet la prepari e che Rousseau la premediti: bisogna che Danton l'osi.”

Victor Hugo (1802–1885) scrittore francese

“Ieri sera un grosso ratto mi ha attraversato la strada in Fifty-seventh Street. È uscito da sotto lo steccato di un terreno vuoto vicino a Bendel's, ha aspettato una pausa nel traffico, poi è filato verso il lato nord della strada, si è fermato per un po' sul marciapiede buio ed è scomparso. Era il mio secondo ratto della settimana. Il primo è stato in un ristorante greco con le finestre dai davanzali all'altezza dei fianchi. Il ratto è sfrecciato lungo i davanzali puntando dritto verso di me, poi mi ha superata.
«L'hai visto» ha detto Will, sorseggiando la sua birra.
«Un grosso topo» ho risposto. «Ormai anche nei buoni alberghi si trova qualche topino, nel bar o nell'atrio». L'ultima volta che avevo visto Will era stato a Oakland; prima ancora, in Louisiana. Lavorava nel settore legale. Poi qualcosa, forse un senso di allarme ai margini del mio campo visivo, è spuntato da sinistra, correndo verso la mia faccia. Ho sentito l'acciottolio della forchetta.
«Stavi andando alla grande» ha detto Will, ghignando, «finché non hai perso la calma».
Il secondo ratto, naturalmente, poteva anche essere il primo che si era spostato più a nord, nel qual caso o il ratto mi segue, oppure fa i miei stessi tragitti e orari. Tuttavia sono convinta che la sanità mentale sia la scelta etica più profonda del nostro tempo. Due ratti, dunque. I tassisti non sentono neppure le indicazioni attraverso quei nuovi divisori, che a me non sembrano davvero antiproiettile, anche se, naturalmente, non ho mai verificato. Antirumore. Le dita s'incastrano, questo è certo, nei nuovi recipienti per i soldi. Be', qualcuno ha venduto i divisori. Qualcuno li ha comprati. Disonesti, chiaramente. Sembra che non esista uno spirito dei tempi. Stavo per alzarmi assurdamente presto, quando Will, che si butta nel sonno con una violenza pari alla sua mitezza da sveglio, mi ha detto: «Stai qui. è normale». Invece ho trovato un taxi per tornare a casa, sotto la pioggia, davanti a un'armeria.”

Renata Adler (1938) scrittore, critico cinematografico, giornalista

Mai ci eravamo annoiati

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“Con la fantasia, Bridget tornò mille volte a quel primo bacio appassionato, rendendolo sempre più perfetto.
Ma non andò oltre.
Per molte ore, dopo avere lasciato Eric, rimase sveglia nel sacco a pelo.
Tremava.
Aveva gli occhi pieni di lacrime.
Ecco che cominciavano a scendere.
Lacrime di tristezza, di disagio, d’amore.
Erano il genere di lacrime che le venivano quando si sentiva troppo colma: aveva bisogno di fare un po’ di spazio.
Guardò il cielo.
Era più grande, quella notte.
Quella notte i suoi pensieri si avventuravano negli spazi infiniti e, come diceva Diana, non trovavano alcun ostacolo su cui rimbalzare per tornare indietro.
Andavano avanti e avanti, finché nulla sembrava più reale.
Neppure il pensiero. Bridget si era stretta a Eric, piena di desiderio, insicura, spavalda e impaurita.
C’era una tempesta nel suo corpo, e quando era diventata troppo violenta, lei era andata via. Si era lasciata levitare fino alle fronde delle palme.
Lo aveva già fatto altre volte.
Avrebbe lasciato affondare la nave senza il capitano.
Quello che era successo con Eric era insondabile, indescrivibile.
Ora tutto questo era lì con lei, incerto, desideroso di qualcuno che se ne prendesse cura: ma Bridget non sapeva come.
Richiamò indietro i propri pensieri, raccogliendoli ad anello come il filo di un aquilone.
Si arrotolò il sacco a pelo sotto il braccio e tornò furtiva alla baracca. Si distese sul letto.
Quella notte non avrebbe concesso ai suoi pensieri di avventurarsi oltre le travi sbiadite del soffitto”

Ann Brashares (1967) scrittrice statunitense

The Sisterhood of the Traveling Pants

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“Lo so, lo so, ma ascoltami. Hai letto L’idiota, vero? Sì. Beh, L’idiota è un libro molto inquietante per me. Mi ha fatto così effetto che dopo non ho quasi più letto romanzi, a parte roba tipo ‘Uomini che odiano le donne’. Perché… provavo a intromettermi, …be’, magari me lo dici dopo, a cosa pensavi, lasciami finire di dirti perché l’ho trovato inquietante. Perché tutto quello che Myškin fa è buono… altruista… tratta tutti con compassione e comprensione e a cosa porta tutta quella bontà? Omicidi! Disastri! Una volta mi preoccupavo un sacco di questa cosa. Me ne stavo sveglio a letto di notte e mi preoccupavo! Perché – perché? Com'era possibile? Ho letto quel libro tre volte, pensando di non averlo capito. Myškin era gentile, amava la gente, era tenero, perdonava sempre, non faceva mai niente di sbagliato – ma si fidava di tutte le persone sbagliate, prendeva solo decisioni sbagliate, faceva soffrire tutti quelli che gli stavano intorno. Quel libro contiene un messaggio oscuro. “A che pro essere buoni?” Ma – questo è ciò che ho capito ieri notte, mentre guidavo. E se… se fosse più complicato di così? Se fosse vero anche il contrario? Perché se è vero che il male può discendere dalle buone azioni… dove sta scritto che da quelle cattive può venire solo il male? Magari a volte – il modo sbagliato è quello giusto? Magari prendi la strada sbagliata e ti porta comunque dove volevi? O vedila in un altro modo, certe volte puoi sbagliare tutto, e alla fine viene fuori che andava bene?”

The Goldfinch

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“Passò per vie rumorose piene di luce, per gallerie dalla risonanza profonda, su cui, con rumore di tuono, rotolavano pesantemente i treni e che eran tutte tappezzate di annunzi reclamistici dai colori vistosi, vide splendidi palazzi, e case a quattro piani, strette, con finestre polverose che ammiccavan sulla via sporca; risalì file di strade che si somigliavano come orfanelle o ciechi, condotti in fila.
Infine si svegliò lentamente alla realtà, e si sentì vecchia, triste e stanca, per aver vegliato e corso.
Miserabili bottegucce si schiacciavano l'un l'altra per mettersi in evidenza: abiti vecchi per i più poveri, biancheria grigia per gli operai, e per tutti viveri a buon mercato. Ceste di pere, dure e verdi, e di prugne, nere e secche, aspettavano di sedurre una clientela infantile, coperte da una rete a maglie strette che le salvava dai ladruncoli. In una botteguccia vide una donna obesa, che con le mani tremanti, secche e gialle, accendeva una lampada a petrolio. Ai suoi piedi un ragazzino la guardava con curiosità, con una carota, mezzo rosicchiata, nella sua mano di bambino sporco.
Le strade, i cumuli di mercanzie, le camicie grigie, le pere, la rete, i visi stanchi delle persone, tutto era annerito dalla fuliggine grassa delle locomotive che passavano, brontolando, e dal fumo di tutti i camini degli stabilimenti che erano là, stretti gli uni vicino agli altri, come alberi di una foresta.
“Ecco il tuo giorno di festa” pensava Franzi.
Ella era ferita e inasprita fino al pianto, come se tutto: la strada grigia, la bruttezza della miseria, la tristezza della povertà, fossero state accumulate in quest'angolo di città straniera per disprezzarla.
“Ecco il tuo giorno di festa” diceva in lei una voce chiara. E questa creatura che detestava sognare, che non comprendeva la morte, che non si attaccava che alla realtà, che non voleva conquistare e non desiderava che ciò che si può afferrare, ciò che è vibrante di vita: questa creatura si svegliava qui, nella grigia strada di un quartiere popolare di Praga, Zizkov, che nel crepuscolo confuso di una sera di primavera si prolungava a perdita d'occhio.
“Ecco il tuo giorno di festa” pensava Franzi.
Ella sentiva che non era solo questo giorno che la condannava, ma la troppo lunga fila di giorni di lavoro, fra cui essa aveva il suo posto: ancora grigio su grigio, come un orfanello in una lunga fila, come un seguito di ore vuote in un mondo vuoto. Vuoto? Non stava più la sua vita sulle ali della musica, la più umana di tutte le arti? Perchè dunque il suo passato restava così freddo, così paurosamente squallido, senza un sorriso, senza un ricordo, senza altro che tante pagine voltate, in un gran quaderno di musica? Aveva sempre suonato per se stessa e per la propria soddisfazione. A finestre e porte chiuse si era ubriacata di musica come di un vizio segreto.
Che significato aveva per lei? Tanto? Ancora ieri ella vi aveva trovato consolazione, speranza, entusiasmo e pace, terra e cielo, letizia e dolore. Oggi tutto era lontano. Nessuno mai l'aveva ascoltata; mai nessuna delle sue parole si era riflessa nel sorriso di un'altra creatura; mai nessuno era stato dietro a lei e le aveva passato la mano sulla spalla all'ultimo accordo del pianoforte…”

Franziska

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“Il telefono è la sveglia dei svegli.”

Ramón Gómez De La Serna (1888–1963) scrittore e aforista spagnolo

Origine: Mille e una greguería, Greguería‎s‎, p. 74

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“Prego, la sera prima di addormentarmi, qualche volta alla mattina quando mi sveglio, non sempre. Mi rivolgo, a chi non so, Dio, credo, e non chiedo niente. Mica prego per vincere la Champions, non ha senso, non capisco quelli che pregano prima di una partita. Io dico solo grazie per quel che ho avuto”

Mario Balotelli (1990) calciatore italiano

Origine: Dall'intervista a Vanity Fair; citato in Balotelli: "Ammiravo Totti Il suo insulto mi ha fatto male" http://www.gazzetta.it/Speciali/Calcio/Inter-Bayern/18-05-2010/balotelli-ammiravo-totti-604027269221.shtml, Gazzetta.it, 18 maggio 2010.

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“I sogni sono proiezioni dei nostri desideri o riflessi delle nostre sconfitte, delle nostre paure. Quando siamo svegli, siamo costretti ad occuparci di quei desideri, sconfitte, speranze, frustrazioni. Dobbiamo confrontarci con esse, combatterle, accettarle. È molto più aspro, fisico e brutale che in sogno.”

Danijel Žeželj (1966) fumettista, illustratore e pittore croato

Origine: Dall'intervista di Michele Quitadamo, The dream is mightier than the gravity – Danijel Zezelj https://www.lospaziobianco.it/the-dream-is-mightier-than-the-gravity-danijel-zezelj/, LoSpazioBianco.it, 6 aprile 2005.

Questa traduzione è in attesa di revisione. È corretto?
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“Anche quando dormiamo o siamo svegli, vaghiamo e cavalchiamo, fugge il tempo e non aspetta nessun uomo.”

I racconti di Canterbury
Origine: Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 71. ISBN 9788858024416

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“Ci sono giorni in cui lo spirito si sveglia al mattino, con la spada fuori del fodero, e vorrebbe devastare tutto.”

Charles Augustin de Sainte-Beuve (1804–1869) critico letterario, scrittore e aforista francese

XLIV
Massime facenti seguito a un portrait di La Rochefoucauld

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“Non vedevo l’ora di sentire di nuovo Di Battista, il villeggiante eterno. In qualche modo, Di Battista è un simbolo dell’Italia attuale: gente che si sveglia la mattina e che parla a capocchia, fra una villeggiatura e un’altra, al di fuori di ogni principio di responsabilità e di logica.”

Vincenzo De Luca (1949) politico italiano

Origine: Gisella Ruccia, Conte2, De Luca: “Un governo mistico, ricco di miracolati”. Poi attacca M5s e Di Battista: “Un villeggiante eterno che parla a capocchia” http://archive.is/IzDgB/, su Il Fatto Quotidiano, 21 settembre 2019.