Frasi su voce
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“Libertà: […] a ripeterla oggi, questa dolce parola che si può ancora gridare ad alta voce, il cuore trema come al primo incontro con l'amante ritrovata; e vien voglia di abbracciare, in nome di essa, il primo sconosciuto che s'incontra per via, tutti fratelli in questo nome, tutti rinati per essa a dignità di persone? Superata la prima emozione si rimane esitante: che vuol dire libertà? Qualcuno potrebbe osservare che tutto quello che è avvenuto, è avvenuto proprio per colpa della libertà: libertà dei ricchi, di oziare e accumulare altre ricchezze; libertà di una banda di criminali, d'impadronirsi del potere e di precipitare i popoli nell'abisso; libertà di un popolo di preparare scientificamente la schiavitù di altri popoli. Se a questo ha servito la parola libertà, cinquantacinque milioni di uomini si sarebbero dunque sacrificati soltanto per ricominciare tra dieci anni la stessa esperienza?
Non vogliamo crederlo. Se la carneficina deve avere un senso, se essa non è stata soltanto un fenomeno cieco e senza perché, bisogna che essa abbia servito ad arricchire la coscienza umana di una verità che va oltre la libertà: di una fede che non è contro la libertà, ma che è un approfondimento di essa, una libertà più piena e universale. Unità e indipendenza, il programma del Risorgimento, non basta più. Libertà intesa soltanto come indipendenza può voler dire, nelle relazioni tra singoli, rissa di egoismi, privilegio, sfruttamento, «homo homini lupus»; nelle relazioni tra regioni di una stessa patria, campanilismo e separatismo; nelle relazioni tra nazioni, nazionalismo e guerra. Indipendenza, ecco il tragico pregiudizio: l'orgoglio dell'uomo che considera la propria sorte staccata da quella degli altri, la cieca albagia nazionale che si illude di servire la patria collo schiacciare le patrie altrui. Non più indipendenza, ma "interdipendenza": questa è la parola non nuova in cui se non si vuol che il domani ripeta ed aggravi gli orrori di ieri, si dovrà riassumere in sintesi il nuovo senso della libertà, quello da cui potrà nascere da tanto dolore un avvenire diverso dal passato.”

Piero Calamandrei (1889–1956) politico italiano

Citazioni tratte da articoli de Il Ponte, Settembre 1945

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“Ti aspetti gloria?» disse Ba'alzamon. «Potere? Ti hanno detto che l'Occhio del Mondo sarà al tuo servizio? Quale gloria e quale potere toccano a un burattino? Le stringhe che ti muovono sono state intessute da secoli. Tuo padre fu scelto dalla Torre Bianca, come uno stallone legato alla cavezza e condotto al suo compito. Tua madre non era altro che una fattrice, per i loro piani. E questi piani portano alla tua morte.»
Rand strinse i pugni. «Mio padre è un brav'uomo e mia madre era una donna per bene. Non parlare di loro!»
Le fiamme risero. «C'è del coraggio in te, dopotutto. Forse sei proprio tu, quello che cerco. Ma il coraggio ti gioverà ben poco. L'Amyrlin Seat ti userà, finché non sarai consumato, proprio come furono usati Davian e Yurian Stonebow e Guaire Amalasan e Raolin Darksbane. Proprio come è usato Logain. Finché di te non resterà niente.»
«Non so…» Rand agitò la testa da una parte e dall'altra. Quel solo momento di pensiero chiaro, nato dall'ira, era sparito. I suoi pensieri continuavano a turbinare. Rand ne afferrò uno, zattera nel gorgo. Si costrinse a parlare, con voce man mano più forte. «Tu… sei imprigionato… a Shayol Ghul. Tu e tutti i Reietti… imprigionati dal Creatore fino alla fine del tempo.»
«La fine del tempo?» lo schernì Ba'alzamon. «Tu vivi come uno scarafaggio sotto la pietra e pensi che il tuo fango sia l'universo. La morte del tempo mi porterà un potere che non puoi nemmeno sognare, verme.»
«Tu sei imprigionato…»
«Sciocco, non sono mai stato imprigionato!» I fuochi del suo viso ruggirono con tanto calore che Rand indietreggiò, riparandosi con le mani. Il sudore sul palmo si asciugò per il calore. «Fui a fianco di Lews Therin Kinslayer, quando compì il misfatto che gli valse il soprannome. Fui io a dirgli di uccidere la propria moglie e i propri figli e tutta la propria stirpe e ogni persona che amava o da cui era amato. Fui io a dargli il momento di lucidità perché sapesse che cosa aveva fatto. Hai mai sentito un uomo urlare fino a perdere l'anima, verme? Poteva colpirmi, allora. Non avrebbe vinto, ma poteva tentare. Invece chiamò su di se il suo prezioso Potere, tanto che la terra si aprì e innalzò Montedrago per segnare la sua tomba. Mille anni dopo, mandai i Trolloc a depredare il meridione e per tre secoli essi devastarono il mondo. Quelle stolte e cieche di Tar Valon dissero che ero stato infine sconfitto, ma il Secondo Patto, il Patto delle Dieci Nazioni, era infranto senza rimedio e chi rimase a opporsi a me, allora? Io sussurrai nell'orecchio di Artur Hawkwing e la terra Aes Sedai morì in lungo e in largo. Io sussurrai di nuovo e il Gran Monarca mandò i suoi eserciti al di là dell'oceano Aryth e del Mare del Mondo, e con questo atto sancì due condanne. La condanna del suo sogno di una sola terra e di un solo popolo, e una condanna ancora da venire. Ero al suo capezzale, quando i consiglieri gli dissero che solo le Aes Sedai potevano salvargli la vita. Parlai, e lui ordinò d'impalare i consiglieri. Parlai, e le ultime parole del Gran Monarca furono l'ordine di distruggere Tar Valon. Se uomini del valore di costoro non hanno potuto opporsi a me, quale possibilità hai tu, rospo acquattato accanto a una pozza della foresta? Servirai me, oppure ballerai ai fili delle Aes Sedai, fino alla tua morte. E poi sarai mio! I morti appartengono a me!”

Robert Jordan (1948–2007) scrittore statunitense

Rand e Ba'alzamon, capitolo 14
La ruota del tempo. L'occhio del mondo

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“"Sai che cosa significa?" chiese improvvisamente Black a Harry, mentre procedevano lentamente lungo il tunnel. "Consegnare Minus?"
"Che tu sei libero" disse Harry.
"Sì…" disse Black. "Ma io sono anche… non so se nessuno te l'ha mai detto… io sono il tuo padrino".
"Sì, lo sapevo" disse Harry.
"Be'… i tuoi genitori mi hanno nominato tuo tutore" disse Black seccamente. "Se fosse successo qualcosa a loro…"
Harry rimase in attesa. Black intendeva dire quello che anche lui pensava?
"Lo capisco, naturalmente, se vuoi restare con i tuoi zii" disse Black. "Ma… be'… riflettici. Una volta che avranno riconosciuto la mia innocenza… se tu volessi una… una casa diversa…"
Qualcosa parve esplodere in fondo allo stomaco di Harry.
"Co… vivere con te?" chiese, battendo la testa contro una roccia che sporgeva dal soffitto. "Lasciare i Dursley?"
"Certo, lo sapevo che non avresti voluto" disse Black in fretta. "Capisco, credevo solo che…"
"Sei matto?" disse Harry, la voce di colpo roca come quella di Black. "Ma certo che voglio lasciare i Dursley! Tu hai una casa? Quando posso venire?"
Black vi voltò a guardarlo; la testa di Piton strisciava contro il soffitto, ma Black non ci fece caso.
"Lo desideri davvero?" chiese. "Sul serio?"
"Sì, sul serio!" rispose Harry.
Il volto tormentato di Black si aprì nel primo vero sorriso che Harry vi avesse scorto finora.”

Origine: Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, p. 321

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“O buon Gesù, che invecchi sulla croce, | scendi, ripiglia la tua veste bianca; | vedi l'umanità, che a te la stanca | mano distende e stanca alza la voce.”

Emilio De Marchi (1851–1901) scrittore italiano

da Ad un vecchio Crocifisso, in I Capolavori, U. Mursia, 1979, p. 871

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“La voce umana è la voce articolata e proveniente dal pensiero.”

Diogene di Babilonia (-240–-150 a.C.) filosofo greco antico

fr. 17; citato in La Stoa, p. 64

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“In ogni occasione il telecronista Paolo Frajese si fa interprete e voce delle manifestazioni più fanatiche del tifo contradaiolo, con frasi come "vivono tutto un anno per due minuti di corsa", "in questi minuti passano di mano enormi somme di denaro", rievocando ogni volta un folclore tramandato, fatto di violenze, di demenze e di incoscienze, "passato ogni volta per buono": come direbbero i sociologi, per valore positivo da incoraggiare. Le scene immediatamente successive, con gente in lacrime che abbraccia e bacia un cavallo, altri che si scazzottano belluinamente, altri che vengono portati via in barella, vengono accomunate alle "scene di esultanza" con cui gli alfieri sventolano i gonfaloni delle contrade. Se vogliamo ammazzarci, sembra essere la filosofia della piazza e del suo telecronista, lasciate che lo facciamo in festa. Si dice: il Palio è una tradizione, un rito. E anche: è un colossale affare economico. Erano riti, anche, i sacrifici umani, un tempo. E sono colossali affari economici moderni, per esempio, il gioco del calcio e la caccia. Eppure quelli, e tanti altri meno sanguinosi, li si è aboliti; e questi lì si sta sottoponendo a limitazioni e controlli.”

Gianluigi Melega (1935–2014) giornalista, scrittore e politico italiano

Origine: Da "Siena merita un volto migliore" http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/08/18/siena-merita-un-volto-migliore.html, la Repubblica, 18 agosto 1985, p. 12.

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“È necessario che il letterato sia la voce dei suoi simili, ma per tale non basta volgere gli occhi attorno e parlare se non quando la parola è indice di una 'azione' e può diventare in lui 'azione.”

Giovanni Cena (1870–1917) scrittore italiano

citato in Salvator Gotta, La più bella favola del mondo: Giovanni Cena, poeta e filantropo, SEI, Torino 1962

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“Antigone riemerge nei secoli – e continua ad emergere ancor oggi – ogniqualvolta il conflitto fra dovere e ribellione, legge morale, valori assoluti e responsabilità politica divampa con bruciante violenza e attualità. È figura della purezza assoluta e della colpa che quest'ultima può implicare; ha dato volto e voce a lacerazioni e contraddizioni drammatiche, dalla resistenza al terrorismo all'eutanasia.”

Claudio Magris (1939) scrittore italiano

Origine: Da Il mito di Antigone secondo Claudio Magris http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2015/03/20/news/il-mito-di-antigone-a-haiti-sbarco-prima-del-terrore-del-sanguinario-papa-doc-1.11085924, Il Piccolo.it, 21 marzo 2015.

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“Siamo due legati dentro | da un amore che ci dà | la profonda convinzione | che nessuno ci dividerà.”

Adriano Celentano (1938) cantautore, ballerino e showman italiano

da L'emozione non ha voce, n. 2
Io non so parlar d'amore

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“[Intervento sull'abolizione del reato di clandestinità] L'impressione che io e i miei colleghi abbiamo avuto è che i colleghi che ci hanno preceduto [alludendo ai senatori della Lega Nord] o non sanno di cosa stiamo parlando, oppure lo sanno benissimo, però, svolgendo il loro preciso ruolo di sollecitatori delle pance del proprio elettorato, sono disposti a sostenere le più grandi falsità e bugie pur di riuscire a mantenere il consenso, che evidentemente sentono che si sta sgretolando. […] Se un collega della Lega o di Forza Italia è in grado di dimostrare che l'articolo 10‑bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, inserito nell'anno 2009 con il «pacchetto Maroni», è servito a scoraggiare l'arrivo di un solo cittadino extracomunitario clandestino o è servito o serve tutt'ora all'espulsione effettiva di un solo clandestino, cortesemente ci porti le prove. Quello che sostengo, a differenza di chi mi ha preceduto e magari mi seguirà, è che io posso dire la verità. Anche per la mia esperienza personale – sono un modesto avvocato di provincia, difensore d'ufficio talvolta di imputati per il reato di cui all'articolo 10-bis davanti ai giudici di pace del Salento, la terra da cui provengo – vi assicuro che, in anni di esercizio professionale, commentando con colleghi, con magistrati, con poliziotti costretti a venire a testimoniare di aver trovato quel clandestino sbarcato dal gommone a una data ora, ovviamente con costi e con sovraccarico di lavoro per le cancellerie e per i fax da mandare ai CIE e ai CARA (un lavoro incredibile e un dispendio di energie), tutti quanti in udienza ci chiedevamo: a che serve questa norma, questo reato? Non serve a niente. Lo sapete anche voi che la sanzione applicabile, superstite alle varie censure che la Corte costituzionale e le Corti europee hanno ovviamente dovuto pronunciare rispetto al testo originario, oggi è solo un'ammenda pecuniaria di 5.000 euro, e sapete benissimo che non viene mai recuperata: non è stato recuperato un euro dalle persone condannate per il reato di clandestinità. Il reato di clandestinità non serve ad espellere nessuno. Cari radioascoltatori di Radio Padania, se mai avrete la possibilità di ascoltare questa voce, dopo aver preso in considerazione quello che i vostri rappresentanti hanno detto legittimamente… Scusate, siccome Radio Padania la pago anch'io, perché gode di finanziamenti pubblici, mi piacerebbe avere spazio - uno contro dieci che hanno parlato - anche su quel canale comunicativo, che merita di essere considerato. Cari ascoltatori di Radio Padania, sappiate che l'articolo 10-bis della legge Bossi-Fini, che probabilmente il Senato oggi proverà ad abrogare, non serve a niente. È un articolo inutile, perché non serve a scoraggiare l'arrivo di clandestini. La prova è nei dati e nei fatti. Dal 2009 il numero di arrivi clandestini non è diminuito in alcuna maniera.”

Maurizio Buccarella (1964) avvocato e politico italiano

Origine: Dall'intervento al Senato durante la seduta n. 165 del 14 gennaio 2014 della XVII Legislatura - Resoconto stenografico dell'Assemblea http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=00734924&part=doc_dc-ressten_rs-ddltit_rdddddl925ecpdncemap-intervento_buccarellam5s&parse=no&stampa=si&toc=no.

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“[Fabrizio] chiedeva perdono a Dio per molte cose; ma, fatto notevole, non pensò neppure ad annoverare tra i suoi peccati il progetto di diventare arcivescovo, per la semplice ragione che il conte Mosca era primo ministro e giudicava quel posto e i suoi svariati privilegi convenienti al nipote della duchessa. Fabrizio l'aveva desiderato senza eccessivo slancio, è vero, però ci aveva pensato spesso, proprio come avrebbe fatto per un posto di ministro o di generale. Non gli era mai passato per la testa che la sua coscienza potesse avere voce in capitolo nel progetto della duchessa: e questo è un esempio concreto della strana forma di religione imparata da Fabrizio presso i gesuiti di Milano. È una religione che toglie il coraggio di pensare alle cose che non rientrano nelle abitudini, e vede nell'esame di coscienza il più grave di tutti i peccati, perché rappresenta un passo avanti verso il protestantesimo. Per sapere di cosa si è colpevoli, bisogna chiederlo al prete, oppure leggere la lista dei peccati così come appare nei libri intitolati "Preparazione al sacramento della Penitenza". Fabrizio sapeva a memoria la lista dei peccati redatta in latino; l'aveva imparata all'Accademia Ecclesiastica di Napoli. Mentre la recitava, arrivato alla voce "delitto", si era accusato davanti a Dio di avere ucciso un uomo, anche se per legittima difesa. Aveva rapidamente elencato, ma senza farci attenzione, i diversi articoli relativi al peccato di simonia (procurarsi attraverso il denaro le dignità ecclesiastiche). Se gli avessero chiesto cento luigi per diventare primo gran vicario dell'arcivescovo di Parma, avrebbe respinto la proposta con sdegno; ma, pur non mancando di intelligenza né di logica, non gli venne mai in mente che impiegare a suo vantaggio l'autorità del conte Mosca fosse una simonia. E qui trionfa l'educazione gesuitica: abituare la gente a non fare attenzione a cose più chiare della luce del sole. Un francese cresciuto all'insegna dell'interesse personale e nutrito di ironia parigina avrebbe facilmente, e in buona fede, accusato Fabrizio di ipocrisia, proprio nel momento in cui il nostro eroe apriva il suo cuore a Dio con la più grande sincerità e la più profonda commozione.”

Libro Primo – Capitolo XII
La Certosa di Parma

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“Fate che anche un uomo del volgo vegga un malato pallido, debole, tossicotoso, emaciato, egli vi dirà costui essere un tisico. Allorché taluni vi sono, che sebbene non abbiano i polmoni ulcerati, tuttavia sono consunti da diuturne febbri, hanno la tosse, ma secca, dura e senza sputi, anche questi propriamente sono chiamati tisici. Hanno anche questi una oppressione di petto, una infermità di polmone, l'angoscia, l'intolleranza, la nausea, i brividi vespertini e calori mattutini, un molesto sudore vaporoso sino al petto, emettono nella espettorazione materie di diversa qualità, come di sopra notammo: hanno la voce rauca, il collo alquanto ritorto e gracile, non pieghevole ma come irrigidito: le dita sottili, e grosse le loro articolazioni, talché sembra che le sole ossa ne siano rimaste. Diresti che tabidi ne sono i muscoli: le unghie si rendono adunche, il polpaccio di esse si fa rugoso e spianato, imperocchè per il dimagrimento perdono le parti molli circolari, e la loro rotondità. Tutta la l'orza è circoscritta alle loro estremità e nelle loro unghia uncinate, colle quali soltanto come membra solide sostengono alcune fatiche. Similmente le narici diventano acuminate e gracili: le guance prominenti e rossastre: gli occhi incavati lucidi splendenti: tumefatta emaciata, pallida o livida è la faccia: le labbra assottigliate stringonsi sui denti, sicché somigliano a chi ride: in tutto finalmente ti rappresentano un cadavere.”

Areteo di Cappadocia medico greco antico

Origine: Delle cause, dei segni e della cura delle malattie acute e croniche, pp. 34-35

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“Terra, terra silenziosa. | Silenziosa, | con la pelle bruciata, la statura nuda, | perdona, Hiroshima… | Perdona ogni passo | che sfiora una tua ferita, rompe una cicatrice… | Perdona uno sguardo | che ti fa male anche se t'accarezza… | Perdona qualsiasi parola | che smuove l'aria in cui cerchi | i tuoi bambini, | popoli di bambini perduti per sempre. | Non c'è | non può esistere | una tomba! Vento c'è… vento… vento… | È la loro voce | che risuona | di giorno in giorno più debole | soltanto nel ricordo.”

Eugen Jebeleanu (1911–1991) Scrittore e traduttore Rumeno

da Il primo incontro
Origine: In Il sorriso di Hiroshima, brano pubblicato nella rivista L'Europa letteraria del dicembre 1961, traduzione di Dragos Vranceanu e Franco Costabile; citato in Giuseppe Passarello, Voci del tempo nostro, antologia di letture moderne e contemporanee, Società editrice internazionale, Torino, 1968, p. 904.

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“[Riferito al film L'attimo fuggente] Molto riconoscibile la voce del professor John Keating, ovvero di Robin Williams che, citando Walt Whitman, insegna ai ragazzi molto più che delle nozioni: insegna ad apprezzare la vita, la bellezza, la poesia.”

Aldo Grasso (1948) giornalista, critico televisivo e docente italiano

Origine: Da Se «L'attimo fuggente» diventa l'occasione per celebrare l'Ipad https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2014/febbraio/17/attimo_fuggente_diventa_occasione_per_ce_0_20140217_bc27c692-97a0-11e3-9d91-25e51c2150f5.shtml, Corriere della Sera, 17 febbraio 2014, p. 15.

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“Pronunciate da un buon attore – ed ogni grande predicatore, ogni avvocato o politico di successo è, tra le altre cose, un attore consumato – le parole possono esercitare un potere quasi magico sugli ascoltatori. A causa dell'essenziale irrazionalità di questo potere, l'oratore pubblico anche meglio intenzionato, probabilmente fa piú male che bene. Quando un oratore, con la sola magia delle parole e di una voce d'oro, persuade il suo pubblico della giustizia di una causa falsa, ne rimaniamo terribilmente impressionati. Dovremmo provare la stessa costernazione ogni qual volta osserviamo gli stessi inopportuni artifici usati per persuadere la gente della giustizia di una buona causa. La convinzione inculcata può essere desiderabile, ma queste basi sono intrinsecamente false, e coloro che usano gli stratagemmi oratorii per istillare convinzioni anche giuste sono colpevoli di favorire gli elementi meno apprezzabili della natura umana. Esercitando il disastroso dono della parola, essi approfondiscono il trance quasi ipnotico in cui vivono la maggioranza degli esseri umani e da cui è scopo e fine di ogni vera filosofia, di ogni religione genuinamente spirituale, di liberarli. Non solo, ma non vi può essere effettiva oratoria senza supersemplificazione. E non si può supersemplificare senza deformare i fatti. Anche quando fa del suo meglio per dire la verità, l'oratore di successo è ipso facto un bugiardo. E la maggioranza degli oratori di successo, è appena necessario aggiungerlo, non cercano neppure di dire la verità; essi cercano di suscitare simpatia per i loro amici e antipatia per gli opponenti.”

I; pp. 23-24
I diavoli di Loudun

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“Riconosci le mie rime dall'autenticità | tu sul tuo disco cambi faccia e cambi voce, pubertà!.”

Rayden (1985) rapper e beatmaker italiano

da L'uomo senza qualità, n. 1
L'Uomo Senza Qualità

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“La storia nell'anima di Carducci, con buona pace del suo metodo storico, è quasi sempre una proiezione di presente negli sfondi lontani, per dargli autorità e obiettività. La storia in Carducci è polemica. Poeta della storia potrebbe al più significare poeta drammatico, e Carducci non creò una persona artistica fuori della sua personalità lirica.”

Scipio Slataper (1888–1915) scrittore e militare italiano

da E i cipressi di San Guido?, «Voce», 5 ottobre 1911, ristampato in Scritti letterari e critici, Roma, 1920, pp. 172-178.
Origine: Citato in I classici italiani nella storia della critica, opera diretta da Walter Binni, vol. II, da Vico a D'Annunzio, La Nuova Italia, Firenze, 1973, pp. 580-581.

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“Tu hai le parole che non hanno voce | e che pure traversano le mura.”

Madre diletta, mia sognata
Lettere al dottor G

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“A volte, in certi periodi, poesia era per me il prestarmi alla vita, alla gente analfabeta che non sapeva esprimersi: e diventavo la sua penna o la sua voce.”

Giacinto Spagnoletti (1920–2003) critico letterario, poeta e romanziere italiano

da Conversazioni con Danilo Dolci, Mondadori, 1977

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“[Su Lucio Piccolo] Il suono del corno che ci giunge dal Capo d'Orlando non è l'Olifante di un sopravvissuto, ma una voce che ognuno può sentire echeggiare in sé.”

Eugenio Montale (1896–1981) poeta, giornalista e critico musicale italiano

Origine: Citato in Corrado Stajano, Lucio Piccolo, l'ultimo poeta barone https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/22/Lucio_Piccolo_ultimo_poeta_barone_co_0_9808224939.shtml?refresh_ce-cp, Corriere della Sera, 22 agosto 1998, p. 29.

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“Pochi sono gli animali la cui storia sia stata adorna di tante favole, di tante straordinarie dicerie, come quella delle iene. Gli antichi stessi narravano di esse le più incredibili cose. Si asseriva che il cane il quale vedeva l'ombra d'una iena ne perdesse incontanente la voce ed i sensi; si assicurava che l'odiosa belva sapeva imitare la voce dell'uomo per meglio adescarlo, poi d'un tratto aggredirlo ed ucciderlo; si credeva che il medesimo individuo radunasse in sè i due sessi, e persino mutasse a piacimento di sesso, ora presentandosi come essere maschio, ora come femmina. Il più notevole si è che siffatte fiabe trovarono credito presso tutte le popolazioni che conebbero le iene. Gli Arabi principalmente sono ricchi di leggende sopra questi animali. Si crede da essi solamente che l'uomo diventi furioso mangiando cervella di iena; si sottera il capo della belva uccisa per togliere malvagi stregoni il mezzo di fare soprannaturali sortilegi. Persino si crede dai più, e con certezza, che le iene non son altro che stregoni travestiti, che di giorno vanno attorno in figura umana, ma di notte pigliano la maschera di iena e danno di ogni giustizia. Io stesso fui varie volte ammonito dai miei servi arabi con premura di non isparare sulle iene, e mi vennero narrate spaventose storie sulla potenza degli spiriti infernali mascherati.”

Alfred Edmund Brehm (1829–1884) biologo e scrittore tedesco

Origine: La vita degli animali, Volume 1, Mammiferi, p. 500

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“La coscienza è la voce interiore che ci avverte che qualcuno potrebbe vederci.”

Henry Louis Mencken (1880–1956) giornalista e saggista statunitense

Citato in Le Formiche, § 1871

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“Una fonte di luce | è il cantore, lodato | in mezzo ai suoi fratelli. | Scoppia la folgore – | e i boschi se ne stanno silenziosi: | il cantore ora leva | la sua voce, versando | dalle labbra rugiada di canti. | Taciti, intorno a lui, | come rocce sul mare | stanno in ascolto i popoli.”

Kristian Jaak Peterson (1801–1822) poeta estone

da Il vate, Laulja
Origine: In Canti, diario e lettere, Laulud, päevaraamat ja kirjad, 1922; in Poeti estoni, a cura di Margherita Guidacci e Vello Salo, Edizioni Abete, Roma, 1973, pp. 23-24.

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“[A chi stava percuotendo un cagnolino] Cessa, non percuoterlo, poiché d'un uomo amico è l'anima che io riconobbi, udendo la sua voce.”

Pitagora (-585–-495 a.C.) matematico, legislatore, filosofo, astronomo, scienziato e politico greco

8, 36
Citato in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi

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“Sottili fili di acciaio, avvolti intorno a quella stessa sorta di viti di legno che negli strumenti musicali servono a tender le corde, tenevano aperte le labbra di quelle orrende ferite: si vedeva il cuore nudo pulsare, i polmoni dalle venature dei bronchi simili a rami d'albero, gonfiarsi proprio come fa la chioma di un albero nel respiro del vento, il rosso, lucido fegato contrarsi adagio adagio, lievi fremiti correre sulla polpa bianca e rosea del cervello come in uno specchio appannato, il groviglio degli intestini districarsi pigro come un nodo di serpi all'uscir dal letargo. E non un gemito usciva dalle bocche socchiuse dei cani crocifissi. […] A un tratto, vidi Febo. Era disteso sul dorso, il ventre aperto, una sonda immersa nel fegato. Mi guardava fisso, e gli occhi aveva pieno di lacrime. Aveva nello sguardo una meravigliosa dolcezza. Non mandava un gemito, respirava lievemente, con la bocca socchiusa, scosso da un tremito orribile. Mi guardava fisso, e un dolore atroce mi scavava il petto. "Febo" dissi a voce bassa. E Febo mi guardava con una meravigliosa dolcezza negli occhi. Io vidi Cristo in lui, vidi Cristo in lui crocifisso, vidi Cristo che mi guardava con gli occhi pieni di una dolcezza meravigliosa. "Febo" dissi a voce bassa, curvandomi su di lui, accarezzandogli la fronte. Febo mi baciò la mano, e non emise un gemito. Il medico mi si avvicinò, mi toccò il braccio: "Non potrei interrompere l'esperienza", disse, "è proibito. Ma per voi… Gli farò una puntura. Non soffrirà". […] Anche gli altri cani, distesi sul dorso nelle loro culle, mi guardavano fisso, tutti avevano negli occhi una dolcezza meravigliosa, e non il più lieve gemito usciva delle loro bocche. A un tratto un grido di spavento mi ruppe il petto: "Perché questo silenzio?", gridai, "che è questo silenzio?"”

Era un silenzio orribile. Un silenzio immenso, gelido, morto, un silenzio di neve. Il medico mi si avvicinò con una siringa in mano: "Prima di operarli", disse, "gli tagliamo le corde vocali".
La pelle, Il vento nero

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“Un giorno d'improvviso m'apparve l'idea, che l'eco stava alla mia voce come l'immagine nello specchio alla mia persona visibile.”

Massimo Bontempelli (1878–1960) scrittore, saggista e giornalista italiano

da Mia vita morte e miracoli, in Racconti e romanzi, a cura di P. Masino, Mondadori, Milano, 1961, p. 931.

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“Lo strumento parlava da solo. Era un universo in sé. E io dovevo essere e sentirmi parte di quell'universo. Questo più grande Sé, universale, che noi chiamiamo dai-ga, doveva incorporarmi. E quando sono diventato consapevole dell'esistenza di questo grande Sé, solo allora ho fatto esperienza del vuoto, del silenzio: sono diventato davvero parte del cosmo.”

Stomu Yamashta (1947) percussionista e compositore giapponese

da La voce del fiume, p. 79
Origine: La sanukite, pietra paleolitica che colpita genera un suono metallico suggestivamente evocativo di un tempo cosmico originario. Dall'osservazione, lo studio e la sperimentazione – durati cinque anni – delle possibilità sonore di questa pietra nasce l'opera Sogno solare: fantasia della sanukite. saggio introduttivo di Donatella Trotta a La voce del fiume, p. 78.

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