Frasi su forse
pagina 38

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“Oh, ma con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d'infanzia che sono ancora inesplicati, ai genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (era una gioia per altri), a malattie dell'infanzia che cominciavano in modo così strano con tante trasformazioni così profonde e gravi, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti, e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.”

The Notebooks of Malte Laurids Brigge

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“Forse dovresti imparare a capire chi sono gli amici e chi i nemici.”

Elena Ferrante (1943) pseudonimo di una scrittrice

Those Who Leave and Those Who Stay

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“I Cristiani quando costruivano chiese nei luoghi dei santuari pagani e accoglievano antichi capitelli e fusti di colonne nelle loro navate, si comportavano come Eracle con il leone di Nemea, come Atena con la Gorgone. Nel rapporto con il mostro, essenziale è innanzi tutto questo: che il mostro possiede o protegge o addirittura è il tesoro. Ucciderlo vuol dire incorporarlo, sostituirlo. L'eroe diventerà egli stesso il nuovo mostro, rivestito della pelle del vecchio e ornato di qualche sua metonimica spoglia. Così la testa di Eracle non accetta più di mostrarsi se non tra le fauci inerti del leone che ha sconfitto.
Il mostro è il più prezioso tra i nemici: perciò è il nemico che si cerca. Gli altri nemici posso semplicemente assaltarci: sono i Giganti, i Titani, rappresentanti di un ordine che sta per essere soppiantato o vuole vendicarsi per essere stato soppiantato. Tutt'altra è la natura del mostro. Il mostro aspetta vicino alla sorgente. Il mostro è la sorgente. Non ha bisogna dell'eroe. E' l'eroe che ha bisogno di lui per esistere, perché la sua potenza sarà protetta dal mostro e al mostro va strappata. Quando l'eroe affronta il mostro, non ha ancora potere, né sapienza. Il mostro è il suo padre segreto, che lo investirà di un potere e di una sapienza che sono soltanto di un singolo, e soltanto il mostro gli può trasmettere.
Il mostro, in origine, stava al centro, al centro della terra e del cielo, là dove sgorgano le acque. Quando il mostro fu ucciso dall'eroe, il suo corpo smembrato migrò e si ricompose ai quattro angoli del mondo. Poi cinse il mondo in un cerchio, di squame e di acque. Era il margine composito del tutto. Era la cornice. Che la cornice fosse il luogo del mostro lo sapevano anche gli artefici delle cornici barocche: ben più intricate, ben più folte, ben più arcaiche di tutti gli idilli che racchiudevano - e forse, un giorno, avrebbero soffocato. Poi venne il momento in cui non si vollero più le cornici. I musei ospitarono quadri senza cornici, che sembravano spogliati. La cornice non è l'antiquato, ma il remoto. Scomparsa la cornice, il mostro perde la sua ultima dimora. E torna a vagare, ovunque.”

Roberto Calasso (1941) scrittore italiano

Οι γάμοι του Κάδμου και της Αρμονίας

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“Se Tess avesse potuto afferrare l'importanza dell'incontro si sarebbe chiesta perché quel giorno fosse destinata a essere notata e desiderata dall'uomo sbagliato e non
dall'altro: quello giusto amato sotto tutti gli aspetti; quasi che l'umanità fosse in grado di poter sempre offrire ciò che è giusto e che è desiderato. Ma l'uomo che poteva avvicinarsi al suo ideale, tra i ragazzi conosciuti, non era per Tess che un'impressione fugace e quasi dimenticata.
Nella difettosa esecuzione del piano ben disposto dell'universo, raramente l'invito provoca l'arrivo di chi si invoca, e raramente si incontra l'uomo da amare, quando viene l'ora per l'amore. La natura non dice troppo spesso "guarda" alla povera creatura nel momento in cui il guardare potrebbe
portare a una lieta conclusione; né risponde "qui" alla carne che grida "dove?"; finché tutto questo nascondersi e cercarsi diventa un gioco penoso e senza mordente.
Potremmo chiederci se all'acme e alla sommità dell'umano progresso questi anacronismi saranno modificati da un'intuizione migliore, da un più stretto rapporto reciproco nell'ingranaggio sociale, che non ci scuota in ogni direzione, come ora; ma non si può predire un simile ideale, forse nemmeno concepirlo come possibile. Così, anche nel caso attuale, come in milioni di altri, le due parti di un perfetto insieme non si sono incontrate al momento perfetto: la controparte assente,
vagando indipendente per la terra, aspetta in crassa ottusità un tempo che giungerà sempre troppo tardi.”

Thomas Hardy (1840–1928) poeta e scrittore britannico

Tess of the D'Urbervilles

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“Sto leggendo Diderot anche riguardo agli attori e alla recitazione. Lui sapeva quanta vita passiamo a recitare una parte. Concepiva la vita come una forma di ipocrisia necessaria, in cui ciascuno recita la sua parte, fingendo di essere se stesso. È vero. Che altro sono mai stato se non un attore, seppur un cattivo attore, troppo coinvolto nel mio ruolo, non sufficientemente distaccato, non abbastanza freddo. Sì, sì, è così. Mi reputate freddo? Non lo sono. Crudo, forse, incurante della proprietà, troppo propenso agli scherzi di bassa lega, ma freddo no davvero, no. Proprio il contrario, anzi, caldo e sudato, in farsetto e calzabraca, cerco di non guardare le facce all'insù oltre le luci di scena, gli occhi avidi di disastro fissi su di me che incespico tra i miei compagni attori, balbettando le mie improbabili battute e saltandole del tutto nei momenti clou. Per questo non ho mai imparato a vivere come si deve in mezzo agli altri. La gente mi trova strano. Be’, io stesso mi trovo strano. Nono sono convincente, in qualche modo, neppure per me stesso. “L'uomo che ambisce a commuovere la folla dev'essere un attore che impersona se stesso”. È così, è davvero così? Ho trovato il bandolo? E sì che per tutto il tempo avevo creduto fossero gli altri che dovevo immaginarmi di far vivere. Bene bene. Questa ha l'aria di una grande scoperta. Dev'essere di certo un'illusione.”

Ghosts

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“Di colpo era come se Katherine fosse nella stanza accanto e l'avesse lasciata solo qualche istante prima. Sentì un pizzicore alle dita, come se la stesse toccando. Il senso di quella perdita, che aveva rinchiuso così a lungo dentro di sé, straripò sommergendolo mentre lui si lasciava portare alla deriva, oltre il controllo della sua volontà, perché ormai non voleva più salvarsi. Poi sorrise di gioia, come sull'onda di un ricordo: pensò che aveva quasi sessant'anni e avrebbe dovuto essersi lasciato alle spalle la forza di una tale passione, di un tale amore. Ma sapeva di non averlo fatto. Sapeva che non l'avrebbe fatto mai. Oltre il torpore, l'indifferenza, la rimozione, quell'amore era ancora lì, solido e intenso. Non se n'era mai andato. In gioventù l'aveva dato liberamente, senza pensarci; l'aveva dato a quella conoscenza che gli era stata rivelata - quanti anni prima? - da Archer Sloane. L'aveva dato a Edith, nei primi, ciechi, folli anni del corteggiamento e del matrimonio. E l'aveva dato a Katherine, come se fosse stata la prima volta. Stranamente, l'aveva dato a ogni momento della sua vita, e forse l'aveva dato più pienamente proprio quando non si rendeva conto di farlo. Non era una passione della mente e nemmeno dello spirito: era piuttosto una forza che comprendeva entrambi, come se non fossero che la materia, la sostanza specifica dell'amore stesso. A una donna o a una poesia, il suo amore diceva semplicemente: Guarda! Sono vivo!”

John Williams (1932) direttore d'orchestra e compositore statunitense

Stoner

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“Artù andò alla porta della fucina, la spalancò e fissò il cortile. Niente vi si muoveva, a parte i soliti cani. Si voltò.
- Sei un uomo onesto, figlio - ammise a malincuore. - Un uomo onesto. Sono orgoglioso di te. Ma hai un'idea troppo buona del mondo. C'è il male là fuori, il vero male, e tu non ci credi.
- Tu ci credevi, quando avevi la mia età?
Artù riconobbe con un mezzo sorriso l'acutezza della domanda. - Quando avevo la tua età, credevo di poter rifare il mondo. Credevo che il mondo avesse bisogno solo d'onestà e di gentilezza. Credevo che il trattare bene la gente, il mantenere la pace e il praticare la giustizia sarebbero stati ricompensati con la gratitudine. Credevo che il bene avrebbe annullato il male.
Rimase pensieroso per qualche attimo. - Forse pensavo che le persone fossero simili ai cani e che, offrendo loro abbastanza affetto, sarebbero state docili - riprese, amaro. - Ma le persone non sono cani, Gwydre, sono lupi. Un re deve governare migliaia di ambiziosi e ognuno di loro inganna. Sarai adulato e, alle tue spalle, deriso. Ti giureranno fedeltà eterna e intanto trameranno alle tue spalle.
Scrollò le spalle. - E se sopravviverai ai complotti, un giorno avrai la barba grigia come me, guarderai la tua vita e ti accorgerai di non aver realizzato niente. Un bel niente. I bambini da te ammirati in braccio alle madri saranno cresciuti e diventati assassini, la giustizia da te imposta sarà in vendita, la gente da te protetta sarà ancora affamata e il nemico da te sconfitto minaccerà ancora i confini.
Parlando, era diventato sempre più furioso. Ora con un sorriso addolcì la collera. - É questo che vuoi?
Gwydre lo guardò negli occhi. Pensai per un attimo che avrebbe esitato o forse discusso con il padre, invece diede ad Artù una buona risposta.
- Quello che voglio, padre, è trattare bene le persone, dare loro la pace e offrire loro giustizia.”

La spada perduta

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“La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall'involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche che dall'ultimo modello d'apparecchio.

Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti di Leonia d'ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo i tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d'imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose di ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurit à. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell'esistenza di ieri è circondato d'un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare.

Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori dalla città, certo; ma ogni anno la città s'espande, e gli immondezzai devono arrestrare più lontano; l'imponenza del gettito aumenta e le cataste s'inalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l'arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermantazioni e combustioni. E' una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.

Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che s'ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale, immondezzai d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé le montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell'una e dell'altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.

Più ne cresce l'altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d'anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle altre città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai.”

Invisible Cities

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“Eccola dunque col pensiero laggiù.
Le par d’essere ancora fanciulla, arrampicata sul belvedere del prete, in una sera di maggio. Una grande luna di rame sorge dal mare, e tutto il mondo pare d’oro e di perla. La fisarmonica riempie coi suoi gridi lamentosi il cortile illuminato da un fuoco d’alaterni il cui chiarore rossastro fa spiccare sul grigio del muro la figura svelta e bruna del suonatore, i visi violacei delle donne e dei ragazzi che ballano il ballo sardo. Le ombre si muovono fantastiche sull’erba calpestata e sui muri della chiesa; brillano i bottoni d’oro, i galloni argentei dei costumi, i tasti della fisarmonica: il resto si perde nella penombra perlacea della notte lunare. Noemi ricordava di non aver mai preso parte diretta alla festa, mentre le sorelle maggiori ridevano e si divertivano, e Lia accovacciata come una lepre in un angolo erboso del cortile forse fin da quel tempo meditava la fuga.
La festa durava nove giorni di cui gli ultimi tre diventavano un ballo tondo continuo accompagnato da suoni e canti: Noemi stava sempre sul belvedere, tra gli avanzi del banchetto; intorno a lei scintillavano le bottiglie vuote, i piatti rotti, qualche mela d’un verde ghiacciato, un vassoio e un cucchiaino dimenticati; anche le stelle oscillavano sopra il cortile come scosse dal ritmo della danza. No, ella non ballava, non rideva, ma le bastava veder la gente a divertirsi perché sperava di poter anche lei prender parte alla festa della vita.
Ma gli anni eran passati e la festa della vita s’era svolta lontana dal paesetto, e per poterne prender parte sua sorella Lia era fuggita di casa…
Lei, Noemi, era rimasta sul balcone cadente della vecchia dimora come un tempo sul belvedere del prete.”

Grazia Deledda (1871–1936) scrittrice italiana

Reeds in the Wind

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“A volte ci amiamo perché ci conosciamo, e altre, forse il più delle volte, ci amiamo perché ci ignoriamo.”

Santiago Ramón y Cajal (1852–1934) medico spagnolo

Unas veces nos amamos porque nos conocemos, y otras, acaso las más, nos amamos porque nos ignoramos.
Origine: Citato in Eduardo Palomo Trigueros, Cita-logía, p. 32

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“Sono stata un sex symbol, molti uomini sulle mie foto ci hanno fatto dei pensierini, e forse anche qualcosa d'altro. Non me ne importava un gran che di essere considerata sexy, e francamente non riuscivo a capire neppure perché mi considerassero un symbol. Mi sono sempre sentita libera di esibire il mio corpo e la mia nudità, e [spogliandomi] davanti all'obiettivo […] mi divertivo a interpretare vari tipi di donna. Il mio corpo era il tramite fra me e il mondo, era il mio mezzo di comunicazione e, quando sei giovane e ti senti immortale, può capitare.”

Stefania Casini (1948) attrice italiana

Variante: Sono stata un sex symbol, molti uomini sulle mie foto ci hanno fatto dei pensierini, e forse anche qualcosa d'altro. Non me ne importava un gran che di essere considerata sexy, e francamente non riuscivo a capire neppure perché mi considerassero un symbol. Mi sono sempre sentita libera di esibire il mio corpo e la mia nudità, e [spogliandomi] davanti all'obiettivo [... ] mi divertivo a interpretare vari tipi di donna. Il mio corpo era il tramite fra me e il mondo, era il mio mezzo di comunicazione e, quando sei giovane e ti senti immortale, può capitare.
Origine: Citato in Anche a Stefania benvenuta nel club delle tumorate http://chemioavventurediwondy.vanityfair.it/2014/07/18/anche-a-stefania-benvenuta-nel-club-delle-tumorate/, Vanityfair.it, 18 luglio 2014.

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“Io sono arrivato alla convinzione che di utile, di cose che valgano ne esistono poche. Se rifletto, non mi rendo nemmeno conto perché ho scritto i miei libri. Perché? Forse per comunicare, per l'appunto, il mio sentimento dell'inutilità: che è l'unica cosa vera che sono riuscito a scoprire. E non è cosa da poco, intendiamoci: poiché sull'inutilità, camuffata o dissimulata da utilità, gira il mondo e gira la vita. Del resto, guai se non fosse così. Non si farebbe più nulla. Eppure bisogna fare qualche cosa, dal momento che si è in questo mondo, per vivere. E questo qualche cosa consiste, per somma stranezza, nella scoperta della reale sostanza della vita, di quel che effettivamente è e perché serve. No, non sono un ateo, non vorrei che lei se ne andasse con questa opinione. Dio! Penso che Dio sia immensamente grande e noi immensamente picccoli; così piccoli che non riusciamo ad intuire nulla, o quasi nulla, di questa grandezza; nulla dei fini per i quali siamo nati. E, nella nostra miseria che è poi ignoranza, ci dibattiamo, ci affanniamo, ci straziamo, ci disperiamo per arrivare a collocarci in un sistema del quale tutto ci sfugge. Ci mettiamo allora a indagare, a escogitare, a inventare. Sì, invenzioni dovute alla nostra incapacità di comprendere i veri fini della creazione. Sicché, quel che noi crediamo di avere scoperto e per cui crediamo di agire, è nulla nulla nulla rispetto alla realtà vera che c'è stata data. E gli anni trascorrono nella illusione.”

Henry De Montherlant (1895–1972) scrittore e drammaturgo francese

Origine: Dall'intervista di Luigi Maria Personè, Il Bacione di Montherlant, La Gazzetta del Mezzogiorno, 7 ottobre 1972, p. 3.

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“Se avessimo meno da dire a quelli che amiamo, forse lo diremmo più spesso, ma arriva il tentativo, poi l'inondazione, poi è tutto finito, come si dice dei morti. (a Louise e Frances Norcross, 14 gennaio 1885, 962)”

Emily Dickinson (1830–1886) scrittrice e poetessa inglese

Lettere
Variante: Se avessimo meno da dire a quelli che amiamo, forse lo diremmo più spesso, ma arriva il tentativo, poi l'inondazione, poi è tutto finito, come si dice dei morti. (a Louise e Frances Norcross, 14 gennaio 1885, 962

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“Forse nessun'altra invenzione architettonica esercitò un'influenza più duratura dell'arco trionfale, che i romani eressero in tutto il loro impero: Italia, Francia, Africa settentrionale e Asia. L'architettura greca in generale era composta da elementi identici, e lo stesso si può dire anche del Colosseo: gli archi trionfali, invece, adoperano gli ordini per incorniciare e mettere in risalto il grande passaggio centrale affiancandogli aperture più strette. Era una disposizione atta a essere usata nella composizione architettonica quasi come si usa un accordo in musica. (5. I conquistatori del mondo, Romani, buddisti, ebrei e cristiani”

Ernst Hans Josef Gombrich (1909–2001) storico dell'arte austriaco

I-IV secolo d.C.), p. 117
La storia dell'arte
Variante: Forse nessun'altra invenzione architettonica esercitò un'influenza più duratura dell'arco trionfale, che i romani eressero in tutto il loro impero: Italia, Francia, Africa settentrionale e Asia. L'architettura greca in generale era composta da elementi identici, e lo stesso si può dire anche del Colosseo: gli archi trionfali, invece, adoperano gli ordini per incorniciare e mettere in risalto il grande passaggio centrale affiancandogli aperture più strette. Era una disposizione atta a essere usata nella composizione architettonica quasi come si usa un accordo in musica. (5. I conquistatori del mondo, Romani, buddisti, ebrei e cristiani (I-IV secolo d. C.), p. 117)
Origine: voce su Wikipedia

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“Nessuno di noi la strada della ribellione la battè sino in fondo, come voleva Ricci: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

Variante: Nessuno di noi la strada della ribellione la battè sino in fondo, come voleva Ricci: per la semplice ragione che si trattava di una strada che fondi non ne aveva. Qualcuno poi scantonò in questo o in quello dei sette o otto partiti che aprirono le porte a questa generazione perduta. E forse si illuse di aver trovato un’altra bandiera. Io sono tra i rassegnati: so benissimo che di bandiere non posso averne altre e che l’unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai, prima che cadesse. (Proibito ai minori di quarant’anni, 4 febbraio 1955)
Origine: Citato in Mario Bernardi Guardi, La giovinezza di Montanelli ebbe un nome: Berto Ricci, Il Primato Nazionale, 3 maggio 2016.

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“Non sono mai stato tormentato dal dubbio di chiedermi se forse ho sbagliato.”

Pieter Willem Botha (1916–2006) politico sudafricano

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“Forse mai come oggi emerge la verità di quel pensiero che Joseph Roth, nella Marcia di Radetzky, attribuisce a Francesco Giuseppe, il quale — egli scrive — non amava le guerre, «perché sapeva che si perdono.»”

Claudio Magris (1939) scrittore italiano

Origine: Da L’umanità ritrovata della Germania di oggi http://www.corriere.it/opinioni/17_giugno_14/umanita-ritrovata-germania-oggi-16230bea-5051-11e7-a437-ba458a65274a.shtml, Corriere.it, 13 giugno 2017.

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“Innanzitutto credo che siamo tutti soli. Allontanandoci dalla nostra solitudine possiamo interagire con gli altri. Per quanto possiamo espandere la nostra prospettiva personale, la nostra esperienza, la nostra conoscenza, vediamo sempre il mondo con gli stessi due occhi, i nostri occhi. È insieme benedizione e maledizione, prigione e giungla. Tuttavia negli ultimi tempi ci completiamo solo con l'amore di e per qualcun altro, sebbene anche questa concezione stia mutando, evolvendo. Nulla rimane uguale per sempre e nulla è assoluto, tranne il cambiamento. Di modo che ci troviamo sempre in lotta per rimanere sulla superficie della corrente selvaggia, aggrappandoci alle rocce, affannandoci per respirare, ridendo e piangendo e sperando di raggiungere quel grande mare blu che è calmo e infinito… O forse no… Non lo so, non ci sono mai stato. Anche se lo sogno spesso.”

Danijel Žeželj (1966) fumettista, illustratore e pittore croato

Variante: Innanzitutto credo che siamo tutti soli. Allontanandoci dalla nostra solitudine possiamo interagire con gli altri. Per quanto possiamo espandere la nostra prospettiva personale, la nostra esperienza, la nostra conoscenza, vediamo sempre il mondo con gli stessi due occhi, i nostri occhi. È insieme benedizione e maledizione, prigione e giungla. Tuttavia negli ultimi tempi ci completiamo solo con l’amore di e per qualcun altro, sebbene anche questa concezione stia mutando, evolvendo. Nulla rimane uguale per sempre e nulla è assoluto, tranne il cambiamento. Di modo che ci troviamo sempre in lotta per rimanere sulla superficie della corrente selvaggia, aggrappandoci alle rocce, affannandoci per respirare, ridendo e piangendo e sperando di raggiungere quel grande mare blu che è calmo e infinito… O forse no… Non lo so, non ci sono mai stato. Anche se lo sogno spesso.

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“Avevamo torto nel credere che i britannici fossero nostri amici. Siete ossessionati esclusivamente dai vostri interessi egoistici, e ci trattate in modo oltraggioso. Ma il vostro atteggiamento è una questione di profondo disinteresse. Il vostro sistema democratico è già esploso nel caos. Presto noi vi supereremo, e fra un decenno faticherete a starci dietro. Forse allora vi ricorderete di come ci avete trattati.”

Mohammad Reza Pahlavi (1919–1980)

Variante: Avevamo torto nel credere che i britannici fossero nostri amici. Siete ossessionati esclusivamente con i vostri interessi egoisti, e ci trattate in modo oltraggioso. Ma il vostro atteggiamento è una questione di profondo disinteresse. Il vostro sistema democratico si è già esploso nel caos. Presto noi vi supereremo, e fra un decenno faticherete a starci dietro. Forse allora vi ricorderete di come ci avete trattati.

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“Essere malvagi è il dolore più profondo. (Colui che forse non è buono)”

Nelly Sachs (1891–1970) poetessa e scrittrice tedesca

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