Frasi su forse
pagina 37

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“Variante. Tu sei un autore, non sai ancora quanto grande, colei che amavi ti ha tradito, la vita per te non ha più senso e un giorno, per dimenticare, fai un viaggio sul Titanic e naufraghi nei mari del sud, ti raccoglie (unico superstite) una piroga di indigeni e passi lunghi anni ignorato da tutti, su di un'isola abitata solo da papuasi, con le ragazze che ti cantano canzoni di intenso languore, agitando i seni appena coperti dalla collana di fiori di pua. Cominci ad abituarti, ti chiamano Jim, come fanno coi bianchi, una ragazza dalla pelle ambrata ti si introduce una sera nella capanna e ti dice: "Io tua, io con te." In fondo è bello, la sera, stare sdraiato sulla veranda a guardare la Croce del Sud mentre lei ti accarezza la fronte.
Vivi secondo il ciclo delle albe e dei tramonti, e non sai d'altro. Un giorno arriva una barca a motore con degli olandesi, apprendi che sono passati dieci anni, potresti andare via con loro, ma esiti, preferisci scambiare noci di cocco con derrate, prometti che potresti occuparti della raccolta della canapa, gli indigeni lavorano per te, tu cominci a navigare da isolotto a isolotto, sei diventato per tutti Jim della Canapa. Un avventuriero portoghese rovinato dall'alcool viene a lavorare con te e si redime, tutti parlano ormai di te in quei mari della Sonda, dai consigli al marajà di Brunei per una campagna contro i dajaki del fiume, riesci a riattivare un vecchio cannone dei tempi di Tippo Sahib, caricato a chiodaglia, alleni una squadra di malesi devoti, coi denti anneriti dal betel in uno scontro presso la Barriera Corallina il vecchio Sampan, i denti anneriti dal betel, ti fa scudo col proprio corpo - Sono contento di morire per te, Jim della Canapa. - Vecchio, vecchio Sampan, amico mio.
Ormai sei famoso in tutto l'arcipelago tra Sumatra e Port-au-Prince, tratti con gli inglesi, alla capitaneria del di Darwin sei registrato come Kurtz, e ormai sei Kurtz per tutti - Jim della Canapa per gli indigeni. Ma una sera, mentre la ragazza ti accarezza sulla veranda e la Croce del Sud sfavilla come non mai, ahi quanto, diversa dall'Orsa, tu capisci: vorresti tornare. Solo per poco, per vedere che cosa sia rimasto di te, laggiù.
Prendi la barca a motore, raggiungi Manila, di là un aereo a elica ti porta a Bali. Poi Samoa, Isole dell'Ammiragliato, Singapore, Tananarive, Timbuctu, Aleppo, Samarcanda, Bassora, Malta e sei a casa.
Sono passati diciott'anni, la vita ti ha segnato, il viso è abbronzato dagli alisei, sei più vecchio, forse più bello. Ed ecco che appena arrivato scopri che le librerie ostentano tutti i tuoi libri, in riedizioni critiche, c'è il tuo nome sul frontone della vecchia scuola dove hai imparato a leggere e a scrivere. Sei il Grande Poeta Scomparso, la coscienza della generazione. Fanciulle romantiche si uccidono sulla tua tomba vuota.
E poi incontro te, amore, con tante rughe intorno agli occhi, e il volto ancora bello che si strugge di ricordo, e tenero rimorso. Quasi ti ho sfiorata sul marciapiede, sono là a due passi, e tu mi hai guardato come guardi tutti, cercando un altro oltre la loro ombra. Potrei parlare, cancellare il tempo. Ma a che scopo? Non ho già avuto quello che volevo? Io sono Dio, la stessa solitudine, la stessa vanagloria, la stessa disperazione per non essere una delle mie creature come tutti. Tutti che vivono nella mia luce e io che vivo nello scintillio insopportabile della mia tenebra.”

Foucault's Pendulum

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“Dunque," mormorò, "secondo lei le feste natalizie sono un'epoca poco favorevole ai delitti."
"E' quel che penso."
"Perché?"
"Perché?" Johnson parve un pò perplesso. "Perché, come ho detto, c'è un senso diffuso di allegria, di buona volontà… di buoni pranzi…"
"Come siete sentimentali, voi inglesi!"
"Bé, e anche se fosse così, che male ci vede? E' forse un male amare le tradizioni, le vecchie feste?"
"Oh no, nessun male, anzi è una cosa molto poetica! Ma esaminiamo i fatti. Lei ha detto che Natale è un'epoca di buoni pranzi. Questo significa che in questi giorni si mangia e si beve troppo… Per conseguenza… indigestioni, e all'indigestione si accompagna spesso una speciale irritabilità del carattere."
"Ma i delitti non vengono commessi per irritabilità."
"uhm! Non ne sono troppo sicuro… Ma partiamo anche da un altro punto di vista. A Natale impera lo spirito di "buona volontà". Vecchi litigi vengono dimenticati, coloro che si trovano in disaccordo fanno la pace… Sia pure provvisoriamente, le famiglie che sono state separate per tutto l'anno si raccolgono ancora una volta. In queste occasioni, amico mio, deve ammettere che i nervi possono venir sottoposti a dura prova. Persone che non hanno alcuna voglia di essere amabili fanno uno sforzo per apparirlo… C'è in essi molta ipocrisia, a Natale, onorevole ipocrisia, senza dubbio, ipocrisia pour le bon motif, ma sempre ipocrisia."
"Bé… io non presenterei le cose in questo modo," disse Johnson con aria dubbiosa.
Poirot gli sorrise.
"No, no, sono io che le presento così… e che sostengo come lo sforzo per essere buoni e amabili crei un malessere che può riuscire in definitiva pericoloso. Chiudete le valvole di sicurezza del vostro contegno naturale, e, presto o tardi, la caldaia scoppierà provocando un disastro."
Il colonnello Johnson guardò il piccolo belga.
"Non riesco mai a capire quando parla sul serio e quando si sta burlando di me."
"Non parlo sul serio, no!" disse Poirot ridendo. "Nemmeno per sogno. Ma sostengo che condizioni artificiali di vita finiscono sempre con una naturale reazione.”

Hercule Poirot's Christmas

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“Dall'archivio magnetico del signor Alex D. Alla fine, l'equilibrio interiore non é da cercare. Forse ce l'abbiamo già, e più ci muoviamo o agitiamo o altro, e più ce ne alltonatniamo. Il fatto é che a parlare di equlibrio interiore mi sento un povero stronzo. Mi sembra uno di quei termini che si usano nelle sedute di psicoanalisi liberatoria collettiva o nei rifugi per donne violentate.
Okay. Tutto mi dice di essere forte, determinato negli scopi, capace di andare avanti nella Vita, ma se uno sente che é arrivato il momento di cambiare un pò rotta o anche solo il bisogno di fermarsi a ragionare sul serio per proprio conto? Voglio dire: e i cazzi di sette e mezzo in latino, per esempio, che da semplici strumenti sono diventati una specie di fine ultimo?… Insomma, a quanto ne so dovrei studiare per strappare un titolo di studio che a sua volta mi permetta di strappare un buon lavoro che a sua volta mi permetta di strappare abbastanza soldi per strappare una qualche cavolo di serenità tutta guerregiata e ferita e massacrata dagli sforzi inauditi per raggiungerla.
Cioè, uno dei fini ultimi é questa cavolo di serenità martoriata. Il ragionamento é così. Non ci vuole un genio. E allora, perché dovrei sacrificare i momenti di serenità che mi vengono incontro spontaneamente lungo la strada?
Perché dovrei buttarli in un pozzo, se fanno parte anche loro del fine a cui tendere? Se un pomeriggio posso andare a suonare o uscire con una ragazza che mi piace, perché cavolo devo starmene in casa a trascrivere le versioni dal traduttore o far finta di leggereil sunto di filosofia? La realtà é che mi trovo a sacrificare il me diciassettenne felice di oggi pomeriggio a un eventuale me stesso calvo e sovrappeso, cinquantenne soddisfatto, che apre la porta del garage col comando a distanza e dentro c'ha una bella macchina, una moglie che probabilmente gli fa le corna col commercialista e due figli gemelli con i capelli a caschetto identici in tutto ai bambini nazisti della kinders. Tutti dentro il garage, magari, no. Diciamo più o meno intorno. Cioè, circondato. Dovunque la domanda è: un orrore di queste proporzioni vale più del sole e del gelato di oggi pomeriggio? Più di qualunque ragazza? Più di Valentina che arriva sorridendo all'appuntamento con dieci minuti di ritardo e una maglietta blu con dentro quel ben di Dio sorprendente?”

Jack Frusciante Has Left the Band: A Love Story- with Rock 'n' Roll

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“Voglio farle una domanda, disse il dottor Cardoso, lei conosce i médecins-philosophes? No, ammise Pereira, non li conosco, chi sono? I principali sono Théodule Ribot e Pierre Janet, disse il dottor Cardoso, è sui loro testi che ho studiato a Parigi, sono medici e psicologi, ma anche filosofi, sostengono una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sè, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perchè noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione.
Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo. Il dottor Cardoso finì di mangiare la sua macedonia e si asciugò la bocca con il tovagliolo. E dunque cosa mi resterebbe da fare?, chiese Pereira. Nulla, rispose il dottor Cardoso, semplicemente aspettare, forse c'è un io egemone che in lei, dopo una lenta erosione, dopo tutti questi anni passati nel giornalismo a fare la cronaca nera credendo che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, forse c'è un io egemone che sta prendendo la guida della confederazione delle sue anime, lei lo lasci venire alla superficie, tanto non può fare diversamente, non ci riuscirebbe e entrerebbe in conflitto con se stesso, e se vuole pentirsi della sua vita si penta pure, e anche se ha voglia di raccontarlo a un sacerdote glielo racconti, insomma, dottor Pereira, se lei comincia a pensare che quei ragazzi hanno ragione e che la sua vita finora è stata inutile, lo pensi pure, forse da ora in avanti la sua vita non le sembrerà più inutile, si lasci guidare dal suo nuovo io egemone e non compensi il suo tormento con il cibo e con le limonate piene di zucchero.”

Sostiene Pereira

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“Ho bevuto fino a impazzire, mi sono stordita con le droghe a sedici anni, sono sgattaiolata fuori con uomini adulti per andare all’ultimo spettacolo del Fillmore East, ho vissuto nuda nelle comuni e ho rubato. Ho scritto la mia tesi sul suicidio nella poesia contemporanea americana lavorando come barista mentre mi facevo scopare sul tavolo da biliardo nel retro. Sono stata un’assistente in una clinica per schizofrenici a Chelsea e capogruppo in un centro d’accoglienza per senzatetto sulla Trentesima. Ho seguito le tracce di Giovanna d’Arco in Francia, preso un treno per Roma a mezzanotte e indossato tacchi a spillo per una lesbica italiana feticista della pelle. Ho preso acidi per tre giorni sul treno da Montréal a Vancouver, dove ho passato una notte con un famoso musicista jazz musulmano che mi ha sedotto con il suo sassofono e le sue invocazioni predicatorie. Ho trovato il modo di entrare in campi di accoglienza per vittime di stupro in Bosnia, ho indossato il burqa nell’Afghanistan dei talebani, ho guidato caricata a caffè attraverso le strade minate del Kosovo. Dovevo vedere, sapere, toccare, trovare l’orecchio. Forse stavo inscenando la mia cattiveria, o cercando la mia bontà, o avvicinandomi alla disumanità più profonda per provare a capire come sopravvivere al peggio di cui siamo capaci. Poi sono andata in Congo, ed è là che tutto è andato in frantumi. Là, dove, in un solo colpo, i peggiori atti di crudeltà incontravano la più pura gentilezza. Ero arrivata fin là.”

Eve Ensler (1953) drammaturga statunitense

Nel corpo del mondo. La mia malattia e il dolore delle donne che ho incontrato

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“Forse perché la ricerca di qualcosa di bello o del modo di essere felice è una prospettiva per talmente lontana e difficile, che finisco con l'affidarmi ad altri criteri.”

Haruki Murakami (1949) scrittore, traduttore e saggista giapponese

Variante: Forse perché la ricerca di qualcosa di bello o del modo di essere felice è una prospettiva per me talmente lontana e difficile, che finiscono con l'affidarmi ad altri criteri.

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“La guerra in Spagna era da qualche mese finita, e stava per cominciare quella mondiale, quando in una bottega di vecchi libri mi sono imbattuto nel grosso volume delle Obras di josé Ortega y Gasset pubblicato dalla Espasa—Calpe (Bilbao— Madrid—Barcelona: e questi nomi di citta‘ erano per me ancora intrisi della passione con cui avevo seguito le vicende della guerra civile) nel 1932. Un volume rilegato in tela arancione e stava accanto ad un altro di uguali dimensioni rilegato in tela rossa e che portava il timbro di un circolo socialista di Zaragoza: El capital di Marx.
Era facile pensare che qualcuno li avesse portati dalla Spagna come preda di guerra: e mi commuoveva l’immagine di quel reduce dalla guerra fascista che chi sa per quale sentimento, interesse o intento si era caricato di quei due pesanti volumi, portandoli dalla Spagna in Italia. Era un’immagine che dava alla fantasia e inclinava alla retorica. Mi faceva affiorare alla mente quella frase di Shakespeare che l’anno prima il premier inglese Chamberlain aveva declamato tornando da Monaco: “Dentro una selva di pericoli abbiamo colto questo fiore” (e intendeva, il pover’uomo, il fiore della pace). Dentro i disagi, i pericoli e lo strazio della guerra — e di una guerra di cui altro non sapeva che era contro quei “rossi” di cui nulla sapeva — ecco che l’ignoto reduce italiano aveva riportato, come un fiore, dei libri. E forse non per sè. Per me, in definitiva.”

Leonardo Sciascia (1921–1989) scrittore e saggista italiano

Ore di Spagna

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“EDIPO - Non venirmi più a dire che non ho fatto ciò che era meglio, non darmi più consigli. Io non so con quali occhi, vedendo, avrei guardato mio padre, una volta disceso nell'Ade, o la misera madre: verso entrambi ho commesso atti, per cui non sarebbe bastato impiccarmi. O forse potevo desiderare la vista dei figli, nati come nacquero? No davvero, mai, per i miei occhi; e neppure la città, né le mura, né le sacre immagini degli dèi: di tutto ciò io sventuratissimo, l'uomo più illustre fra i Tebani, privai me stesso, proclamando che tutti scacciassero l'empio, l'individuo rivelato agli dèi impuro e figlio di Laio. Dopo avere denunziato così la mia infamia, dovevo guardare a fronte alta questi cittadini? No, affatto: anzi, se fosse stato possibile otturare nelle mie orecchie anche la fonte dell'udito, non avrei esitato a sbarrare del tutto questo misero corpo, così da essere sordo, oltre che cieco. È dolce per l'animo dimorare fuori dai mali. Ahi, Citerone, perché mi accogliesti? Perché, dopo avermi preso, non mi uccidesti subito, così che io non rivelassi mai agli uomini da chi sono nato? O Polibo e Corinto, e voi, che credevo antiche dimore degli avi, quale bellezza colma di male nutrivate in me: ora scopro d'essere uno sventurato, nato da sventurati! O tre strade e nascosta vallata, o querceto e gola alla convergenza delle tre vie, che beveste il sangue di mio padre, il mio, dalle mie stesse mani versato, vi ricordate di me? Quali delitti commisi presso di voi, e quali altri poi, giunto qui, ancora commisi! O nozze, voi mi generaste: e dopo avermi generato suscitaste ancora lo stesso seme, e mostraste padri, fratelli, figli, tutti dello stesso sangue; e spose insieme mogli e madri, e ogni cosa più turpe che esiste fra gli uomini. Ma, poiché ciò che non è bello fare non bisogna neppure dire, nascondetemi al più presto, per gli dèi, via di qui, o uccidetemi, o precipitatemi in mare, dove non mi vedrete mai più. Venite, non disdegnate di toccare un infelice; datemi ascolto, non temete: i miei mali nessun altro mortale può portarli, tranne me.

Sofocle, Edipo Re [Esodo]”

Sofocle (-496–-406 a.C.) tragediografo ateniese

Oedipus Rex

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“Da quando mio padre è morto, gli chiedo di intervenire nella mia vita. Guardo il cielo e gli parlo con voce confidenziale e veemente. È l’unico essere a cui possa rivolgermi quando mi sento impotente. All’infuori di lui non conosco nessuno che potrebbe preoccuparsi di me nell’aldilà. Non mi viene mai in mente di parlare con Dio. Ho sempre ritenuto che non si possa disturbare Dio. Non si può parlare con lui direttamente. Dio non ha tempo di interessarsi ai singoli casi. A meno che non si tratti di casi eccezionalmente gravi. Nella scala delle suppliche, le mie sono diciamo così ridicole. Io la penso come la mia amica Pauline, quando ha ritrovato una collana che aveva ereditato dalla madre e perso nell’erba alta. Passando da un paese, suo marito ha fermato la macchina per precipitarsi in chiesa. Il portone era chiuso, e lui si è messo a scuotere freneticamente il catenaccio. Ma cosa fai? Voglio ringraziare Dio, ha risposto. – Dio se ne frega! – Voglio ringraziare la Madonna. – Ascolta Hervé, se mai c’è un Dio, se mai c’è una Madonna, credi che con tutto quello che succede nell’universo, con tutti i mali del mondo, gliene importi qualcosa della mia collana?!… Per cui io invoco mio padre, che mi sembra più accessibile. Gli chiedo dei favori ben determinati. Forse perché le circostanze mi portano a desiderare cose precise, ma anche, sotto sotto, per testare le sue capacità. È sempre la stessa richiesta d’aiuto. Una preghiera affinché succeda qualcosa. Ma mio padre è un disastro. Non mi sente, oppure non possiede alcun potere. È deprecabile che i morti non abbiano alcun potere. Disapprovo questa divisione radicale dei mondi. Ogni tanto gli attribuisco un sapere profetico. Penso: non soddisfa le tue richieste perché sa che non sarebbe un bene per te. Questo mi dà sui nervi, ho voglia di dire, non sono affari tuoi, ma almeno posso considerare il suo non intervento come un gesto deliberato. [Da].”

Yasmina Reza (1959) drammaturga, scrittrice e attrice francese

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“Quando ero piccola mia madre mi lesse una storia su una ragazzina cattiva. La lesse a me e a mia sorella: ce ne stavamo rannicchiate contro il suo corpo sedute sul divano, mentre lei leggeva ad alta voce un libro che teneva sulle ginocchia. La luce della lampada splendeva su di noi, avvolte da una coperta. La ragazza della storia era bella e crudele. Sua madre era povera, perciò la mandava a lavorare per una famiglia di persone ricche che la viziavano e la coccolavano, ma le dicevano anche di andare a trovare la madre. Lei però si sentiva troppo importante, e si limitava a farsi vedere. Un giorno quella gente ricca la mandò a casa con una pagnotta per la madre, ma quando la ragazza si trovò davanti a una pozzanghera di fango, per non sporcarsi le scarpe ci buttò il pane, e ci mise i piedi sopra. La pagnotta affondò come in una palude, e lei affondò con essa, scendendo giù giù fino a un mondo popolato di demoni e creature orribili. Dal momento che era bella, la regina dei demoni ne fece una statua per donarla al suo bisnipote. La ragazza venne coperta da serpenti e melma, intrappolata e circondata dall’odio di ogni altra creatura. Soffriva la fame, ma non riusciva a mangiare il pane che non le si staccava dai piedi, e poteva sentire quello che la gente diceva di lei: un ragazzo che passava di lì aveva visto che cosa le era successo e lo aveva raccontato a tutti, e tutti dicevano che se lo meritava, persino sua madre diceva che se lo meritava. La ragazza non poteva muoversi, ma anche se avesse potuto avrebbe finito per torcersi di rabbia. “Non è giusto!”, urlò mia madre, facendo il verso alla ragazza cattiva.
Io me ne stavo seduta contro mia madre mentre ci raccontava la storia, e forse per questo mi sembrò di non sentirla semplicemente con le orecchie: la sentii nel suo corpo. Sentivo una ragazza che voleva essere troppo bella. Sentivo una madre che voleva amarla. Sentivo un demone che voleva torturarla. E li sentivo così strettamente mescolati dentro di me che non c’era modo di separare tutte quelle emozioni. La storia mi terrorizzò e mi misi a piangere. Mia madre mi prese tra le sue braccia. “Aspetta”, disse, “la storia non è finita: lei sarà salvata dalle lacrime di una bambina innocente come te”. Mia madre mi baciò sulla fronte per poi finire di raccontare la storia. E io l’ho dimenticata per molto, molto tempo.”

Veronica

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“Sono convinto - ma forse è un pregiudizio da parte mia - che un divano rivela molto sul suo proprietario. Un divano costituisce un modo compatto e inviolabile. Questa però è una cosa che possono capire soltanto le persone che sono cresciute sedendosi su buoni, comodi divani. Come si cresce leggendo buoni libri o ascoltando buona musica. Da divano comodo nasce divano comodo, da divano scomodo nasce divano scomodo. Così funzionano le cose.”

Hard-Boiled Wonderland and the End of the World
Variante: Sono convinto - ma forse è un pregiudizio da parte mia - che un divano rivela molto sul suo proprietario. Un divano costituisce un mondo compatto e inviolabile. Questa però è una cosa che possono capire soltanto le persone che sono cresciute sedendosi su buoni, comodi divani. Come si cresce leggendo buoni libri o ascoltando buona musica. Da divano comodo nasce divano comodo, da divano scomodo nasce divano scomodo. Così funzionano le cose.