Frasi su condannato
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“L'eterno sogno del boia: i complimenti del condannato per la qualità dell'esecuzione.”

Stanisław Jerzy Lec (1909–1966) scrittore, poeta e aforista polacco

Pensieri spettinati

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“So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non essere più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace, o, al suo posto, in una buona morte. Questo può dar sollievo agli uomini e, se non salvarli, almeno fargli il minor male possibile e persino, talvolta, un po' di bene. E per questo ho deciso di rifiutare tutto ciò che, da vicino o da lontano, per buone o cattive ragioni, faccia morire o giustifichi che si faccia morire. […] Di qui, so che io non valgo più nulla per questo mondo, e che dal momento in cui ho rinunciato ad uccidere mi sono condannato ad un definitivo esilio. Saranno gli altri a fare la storia. So, inoltre, che non posso giudicare questi altri. […] Di conseguenza, ho detto che ci sono flagelli e vittime, e nient'altro. Se, dicendo questo, divento flagello io stesso, almeno non lo è col mio consenso. Cerco di essere un assassino innocente; lei vede che non è una grande ambizione. Bisognerebbe certo che ci fosse una terza categoria, quella dei veri medici, ma è un fatto che non si trova sovente, è difficile. Per questo ho deciso di mettermi dalla parte delle vittime. In mezzo a loro, posso almeno cercare come si giunga alla pace. […]" Dopo un silenzio il dottore domandò se Tarrou avesse un'idea della strada da prendere per arrivare alla pace. "Sì, la simpatia.”

[...] "Se si può essere un santo senza Dio, è il solo problema concreto che io oggi conosca".
La peste

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“D'ora in poi lo spazio di per se stesso e il tempo di per se stesso sono condannati a svanire in pure ombre, e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una realtà indipendente.”

Hermann Minkowski (1864–1909) matematico lituano

Origine: Da una conferenza del 1908; citato in Fritjof Capra, Il Tao della fisica, traduzione di Giovanni Salio, Adelphi, 2010, p. 195.

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“Non c'è bisogno che vi ricordi [discorso di Kien ai libri della sua biblioteca] in modo particolareggiato la storia antichissima e superba delle vostre sofferenze. Scelgo soltanto un esempio per mostrarvi in maniera persuasiva quanto vicini siano odio e amore. La storia d'un paese che tutti noi in egual misura veneriamo, di un paese in cui voi avete goduto delle più grandi attenzioni e dell'affetto più grande, di un paese in cui vi si è tributato persino quel culto divino che ben meritate, narra un orribile evento, un crimine di proporzioni mitiche, perpetrato contro di voi da un sovrano diabolico per suggerimento di un consigliere ancor più diabolico. Nell'anno 213 avanti Cristo, per ordine dell'imperatore cinese Shi Hoang-ti − un brutale usurpatore che ebbe l'ardire di attribuire a se stesso il titolo di "Primo, Augusto, Divino" − vennero bruciati tutti i libri esistenti in Cina. Quel delinquente brutale e superstizioso era per parte sua troppo ignorante per valutare esattamente il significato dei libri sulla base dei quali veniva combattuto il suo tirannico dominio. Ma il suo primo ministro Li-Si, un uomo che doveva tutto ai propri libri, e dunque uno spregevole rinnegato, seppe indurlo, con un abile memoriale, a prendere questo inaudito provvedimento. Era considerato delitto capitale persino parlare dei classici della poesia e della storia cinese. La tradizione orale doveva venire estirpata a un tempo con quella scritta. Venne esclusa dalla confisca solo una piccola minoranza di libri; quali, potete facilmente immaginare: le opere di medicina, farmacopea, arte divinatoria, agricoltura e arboticoltura − cioè tutta una marmaglia di libri di puro interesse pratico. «Confesso che il puzzo di bruciato dei roghi di quei giorni giunge ancor oggi alle mie narici. A che giovò il fatto che tre anni più tardi a quel barbaro imperatore toccasse il destino che s'era meritato? Morì, è vero, ma ai libri morti prima di lui ciò non arrecò alcun giovamento. Erano bruciati e tali rimasero. Ma non voglio tacere quale fu, poco dopo la morte dell'imperatore, la fine del rinnegato Li-Si. Il successore al trono, che aveva ben capito la sua natura diabolica, lo destituì dalla carica di primo ministro dell'impero che egli aveva rivestito per più di trent'anni. Fu incatenato, gettato in prigione e condannato a ricevere mille bastonate. Non un colpo gli venne risparmiato. Fu costretto a confessare mediante la tortura i suoi delitti. Oltre all'assassinio di centinaia di migliaia di libri aveva infatti sulla coscienza anche altre atrocità. Il suo tentativo di ritrattare più tardi la propria confessione fallì. Venne segato in due sulla piazza del mercato della città di Hien-Yang, lentamente e nel senso della lunghezza, perché in questo modo il supplizio dura più a lungo; l'ultimo pensiero di questa belva assetata di sangue fu per la caccia. Oltre a ciò non si vergognò di scoppiare in lacrime. Tutta la sua stirpe, dai figli a un pronipote di appena sette giorni, sia donne che uomini, venne sterminata: tuttavia, invece di essere condannati al rogo, come sarebbe stato giusto, ottennero la grazia di venir passati a fil di spada. In Cina, il paese in cui la famiglia, il culto degli antenati, il ricordo delle singole persone sono tenuti così in gran conto, nessuna famiglia a mantenuto viva la memoria del massacratore Li-Si; solo la storia l'ha fatto, proprio quella storia che l'indegna canaglia, più tardi finita come ho detto, aveva voluto distruggere.”

1981, pp. 98-99
Auto da fé

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“La rabbia lo soffocava. E sentì una pena straziante, intollerabile. Non è possibile che tutti siano per sempre condannati a quest'orrore. Si levò.”

Lev Nikolajevič Tolstoj (1828–1910) scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo

cap. V, 1998, p. 61

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“Nulla di più comune, per esempio, che trovare un critico moderno che scriva cose di questo genere: 'Il Cristianesimo fu soprattutto un movimento ascetico, una corsa al deserto, un rifugio nel chiostro, una rinuncia alla vita e alla felicità; esso non fu che parte di una fosca e inumana reazione contro la natura stessa, un odio pel corpo, un aborrimento dell'universo materiale, una specie di suicidio universale dei sensi e anche dell'individuo. Derivava da un fanatismo orientale come quello dei fachiri, ed era basato su un pessimismo orientale che considerava l'esistenza stessa come un male'. In tutto questo la cosa straordinaria è che tutto è verissimo; vero in ogni particolare, con la sola differenza che è attribuito erroneamente a chi non ci ha niente a che vedere. Non è vero della Chiesa; è vero delle eresie condannate dalla Chiesa. È come se uno fosse obbligato a scrivere un'analisi degli errori e del malgoverno dei ministri di Giorgio III, con la piccola inesattezza che tutto il racconto si riferisse a Giorgio Washington; o come se uno facesse un elenco dei delitti dei bolscevichi con la sola variante di attribuirli allo zar. La Chiesa primitiva fu, sì, ascetica, ma in dipendenza di una filosofia totalmente diversa da quella di una guerra alla vita e alla natura; la quale realmente esistette nel mondo, e basterebbe che i critici sapessero dove andare a cercarla.”

Gilbert Keith Chesterton (1874–1936) scrittore, giornalista e aforista inglese

L'Uomo Eterno

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“[Su Franz Kafka] Un uomo condannato a guardare il mondo con una lucidità cosi accecante che lo trovò intollerabile e ne morì.”

Milena Jesenská (1896–1944) giornalista, scrittrice e traduttrice ceca

citazione necessaria, Se sai qual è la fonte di questa citazione, inseriscila, grazie.

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“[Telefonata a Marcello Dell'Utri, condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa] I sensi più profondi di stima e amicizia.”

Pier Ferdinando Casini (1955) politico italiano

citato in Casini, stima e amicizia a Dell'Utri Ma è polemica sulla telefonata, la Repubblica, 1 dicembre 2004

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“Totò Cuffaro è stato condannato per un reato ridicolo.”

Francesco Cossiga (1928–2010) 8º Presidente della Repubblica Italiana

Citazioni tratte da interviste

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“Dacia Maraini è una bravissima scrittrice di romanzi che leggo sempre con piacere; ma nel suo discettare etico-politico ritrovo soltanto gli stanchi luoghi comuni del terzomondismo politicamente corretto. Tiziano Terzani ci ha raccontato con finezza e bravura dell'Asia; ma quando cita – come ricette di salvezza – San Francesco d'Assisi, Gandhi e poi, scendendo di parecchi chilometri, padre Balducci e il mio collega (alla Columbia University) Edward Said, allora cita a sproposito. Personalmente io preferisco i Domenicani ai Francescani. Concedo che Il Cantico di Frate Sole è un testo di un candore commovente. Ma quel candore non può essere trasferito da una età davvero primitiva all'età ultracomplicata del terzo millennio. Quanto a Gandhi, lui aveva a che fare con gli inglesi, e noi non abbiamo a che fare con dei Gandhi. E padre Balducci? Pochi sanno chi fosse. Ma a Firenze negli anni nei quali padre Balducci affascinava il colto e l'inclita (e anche, a quanto pare, Terzani) c'ero anch'io; e ricordo un dibattito nel quale lui attaccò così smodatamente il Papa da costringere il sottoscritto, laico abbastanza catafratto, a fare il papalino, il papofilo. Bel personaggio quel padre Balducci! Ma sempre più bello del cupissimo Edward Said, che scrive bene ma razzola malissimo. Il fatto che Said sia palestinese lo legittima nel suo essere pro palestinesi. Ma non mi risulta che Said abbia mai condannato i suoi uomini-bomba, ed esiste una fotografia che lo coglie, in zona Gaza, che lancia un sasso «intifadico» contro gli israeliani. Lui sarebbe un fautore di «campi di comprensione invece di campi di battaglia?»”

Giovanni Sartori (1924–2017) politologo italiano

On aura tout vu, se ne vedono (e sentono) proprio di tutte.

“Prendendo le mosse da un classico quesito di Mario Pagano, celebre pensatore e giurista napoletano di fine Settecento ("un reo, che chiama il complice, per quante ragioni può ciò fare?"), l'agile volumetto [Il truglio] dovuto alla penna fluida dello storico Nico Perrone si sviluppa su due piani diversi, spesso tra loro intersecati […]. Da un canto vi è il piano della vicenda storica, sullo sfondo dei fermenti giacobini alla vigilia della Repubblica partenopea, soprattutto incentrata sul famoso processo istruito nel 1794 contro Emmanuele De Deo, accusato di lesa maestà per avere cospirato contro la corona borbonica e, perciò, condannato a morte al termine di un giudizio celebrato in forma sommaria, senza reali garanzie e sulla base di prove di scarsa consistenza. […] D' altro canto, e proprio in rapporto alla realtà processuale del tempo, vi è il piano della analisi dedicata a un singolare istituto (il "truglio", per l' appunto, da cui trae titolo il volume) consistente in una sorta di transazione tra accusato e accusatore sulla entità della pena da infliggere al primo, al di fuori di un normale processo, anche sulla base delle dichiarazioni rese dal medesimo a carico di sé o di altri […]. È facile immaginare a quali oscure manovre potesse dar luogo un istituto del genere, soprattutto nel contesto di un sistema sostanzialmente antigarantistico come quello borbonico.”

Vittorio Grevi (1942–2010) giurista e editorialista italiano

da Corriere della sera, 24 novembre 2000

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“[Nel 2005 dopo la sentenza in primo grado del processo ordinario per abuso di farmaci] La società bianconera non è stata condannata per doping… nei cinque anni a cui si fa riferimento i giocatori della Juventus hanno subito controlli e non sono mai risultati positivi.”

Franco Carraro (1939) dirigente sportivo e politico italiano

citato in FIGC. Carraro: «Juve non condannata per doping» http://www.sport.it/news/figc-carraro-juve-non-condannata-per-doping/, sport.it, 4 marzo 2005

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“C'è una banda in Italia oggi di giornalisti, di cui Travaglio fa sicuramente parte, che ha scoperto una cosa per loro molto interessante: se parli male dei politici fai i soldi, diventi ricco. […] E quindi bisogna parlar male dei politici a prescindere. Per esempio il mio caso è paradossale: Travaglio su l'Unità e anche su un suo libro scrive che io sono stato condannato. Dov'è il paradosso? Che il condannato Travaglio, perché Travaglio è stato condannato in passato, quindi possiamo definirlo tecnicamente un pregiudicato, scrive di un uomo politico, Castelli, che è stato condannato quando io non sono mai stato condannato. È questo il paradosso. Castelli cosa deve fare a questo punto? O Travaglio mi chiede scusa dicendo che s'è sbagliato e si dimette da giornalista visto che lui vuole che i politici si dimettano, giustamente, da politici se sbagliano oppure sono costretto mio malgrado ad andare a intasare un'altra volta la giustizia e fare l'ennesima causa. Io credo che non ce ne sia bisogno di questo fatto, però c'è questo malcostume di questi giornalisti. […] Ma dov'è il gioco sottile che fanno lui, Stella e quant'altro? Per esempio se io dico che Travaglio è amico dei mafiosi lui mi può querelare e probabilmente vince la causa, ma se io adotto una tecnica più raffinata, che è esattamente quella che adotta lui nei suoi libri, e dico "c'è scritto su Repubblica che Travaglio si fa pagare le vacanze da un mafioso" a quel punto io dico la verità e quindi di fatto però diffamo comunque Travaglio ma sono al riparo da ogni accusa. Ecco io credo che bisognerebbe uscire da questo malcostume, bisognerebbe criticare i politici ferocemente quando se lo meritano ma quantomeno quando si sbaglia o quando si diffama una persona che cerca di essere onesta qual son io magari si riconosca anche l'errore. Invece no, si fa un altro libro perché tanto gli introiti del libro son talmente alti che possono consentire poi di pagare il povero disgraziato che è stato diffamato.”

Roberto Castelli (1946) politico italiano

da Annozero, 15 maggio 2008

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“Ma sarà meglio parlarvi di un altro individuo, che conobbi or fa un anno. C'era, nel suo caso, una circostanza strana: dico strana, perché rara. Era stato condannato, insieme con altri, alla fucilazione. Per non so che delitto politico, doveva essere giustiziato. Gli fu letta la sentenza di morte. Se non che, venti minuti dopo, arrivò la grazia, cioè la commutazione della pena. Nondimeno, durante quei venti o quindici minuti, egli visse nella ferma convinzione che di lì a poco sarebbe morto. […] E così egli distribuì il suo tempo: due minuti per dire addio ai compagni, due altri per raccogliersi e pensare a sé, un minuto per dare un'occhiata intorno. Aveva ventisette anni; era sano e robusto. Accomiatandosi da uno dei compagni, si ricordava di aver fatto una domanda insignificante e di averne aspettato con interesse la risposta. Agli addii successero i due minuti di raccoglimento. Sapeva già a che cosa avrebbe pensato: "Adesso sono vivo; ma fra tre minuti, che sarò? Qualcuno o qualche cosa, e dove?". Non lontano sorgeva una chiesa, e la cupola dorata splendeva nel sole. Aveva guardato fisso a quella cupola: gli pareva che quei raggi ripercossi fossero la sua nuova natura e che fra tre minuti egli si sarebbe con essi confuso. L'ignoto che lo attendeva era certamente terribile; ma più assai l'atterriva l'assiduo pensiero: "E se non morissi? se la vita continuasse?… che eternità! e tutta, tutta a mia disposizione… Oh allora, di ogni minuto io farei una esistenza e non un solo ne perderei!" Questo pensiero a tal segno lo invadeva, che avrebbe voluto esser fucilato all'istante."
[…] "Siete un po' saltuario, principe", osservò Aleksandra. "Che volete provare, insomma? che ogni attimo della vita è prezioso, e che a volte cinque minuti valgono più di un tesoro? E sia, ammettiamolo pure… Ma, scusate, a quel vostro amico che vi contava i suoi spasimi gli commutarono la pena, non è così?… In altri termini, secondo lui e secondo voi, gli fecero dono di una vita senza fine, di un tesoro. E che ne fece egli di questo tesoro? tenne poi conto scrupoloso di ogni minuto?"
"Nient'affatto! Glielo domandai una volta, e mi confessò di averne perduti molti."
"Cosí abbiamo una prova che utilizzare tutti, tutti i minuti della vita è impossibile… Per una ragione o per l'altra, fatto sta che non è possibile.”

Fëdor Dostoevskij (1821–1881) scrittore e filosofo russo

II, 5)

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“[Dopo la condanna in primo grado a 5 anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici] Sono confortato, non sono colluso con la mafia e per questo resto presidente della Regione. Da domani torno al lavoro.”

Salvatore Cuffaro (1958) politico e medico italiano

Origine: Citato in Mafia, Cuffaro condannato a 5 anni http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/cuffaro-processo/cuffaro-sentenza/cuffaro-sentenza.html, la Repubblica, 18 gennaio 2008.

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“Il fattore Vittorio Mangano, condannato in primo grado all'ergastolo, è morto per causa mia. Mangano era ammalato di cancro quando è entrato in carcere ed è stato ripetutamente invitato a fare dichiarazioni contro di me e il presidente Berlusconi. Se lo avesse fatto, lo avrebbero scarcerato con lauti premi e si sarebbe salvato. È un eroe, a modo suo.”

Marcello Dell'Utri (1941) politico italiano

dall'intervista a Klaus Davi per il canale Klauscondicio su Youtube dell'8 aprile 2008; citato in Dell'Utri: se vinceremo le elezioni, i libri di storia saranno revisionati http://www.corriere.it/politica/08_aprile_08/dellutri_storia_resistenza_959d1b0a-0578-11dd-8738-00144f486ba6.shtml, Corriere della sera, 8 aprile 2008

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“[Durante la discussione per l'approvazione del ddl anticorruzione. ] Sapete che vi sono molti casi in cui vengono concessi dei finanziamenti o dei contributi a persone che ne fanno richiesta alla pubblica amministrazione per i motivi più vari. Bene, noi vi chiediamo per quale ragione, quando si tratta di una persona condannata con sentenza penale passata in giudicato per fatti mafiosi, di corruzione, per concorso in peculato, per fatti gravissimi, deve esserle permesso di accedere ai contributi dello Stato e della pubblica amministrazione, ai finanziamenti, alle erogazioni liberali ed a quant'altro. Per quale ragione non si può stabilire un principio in base al quale chi è onesto, corretto, rispetta la legge, può accedere ai benefici e vietarlo ai delinquenti? È una richiesta lineare, formale, precisa. Non ci venite a dire, anche questa volta, che vi è una delega! Perché non lo decidiamo qua? Stiamo adottando un provvedimento, perché dobbiamo rinviarlo ad altra data? Assumetevi anche questa responsabilità!”

Antonio Di Pietro (1950) politico e avvocato italiano

Origine: Citato in Camera dei Deputati della Repubblica Italiana – XVI Legislatura – Resoconto stenografico – Seduta n. 650 http://documenti.camera.it/apps/commonServices/getDocumento.ashx?idLegislatura=16&sezione=assemblea&tipoDoc=pdf&idseduta=650, 14 giugno 2012 – Seguito della discussione ed approvazione del disegno di legge: Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione (Approvato dal Senato) (A.C. 4434-A) ed abbinate (A.C. 3380-3850-4382-4501-4516-4906) (Esame articoli 7 e da 15 a 20; esame ordini del giorno; dichiarazioni di voto; correzioni di forma; coordinamento formale; votazione finale). Camera dei Deputati dellaRepubblica Italiana, 14 giugno 2012.

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“Scomunichiamo e anatemizziamo tutti gli eretici […] Una volta condannati dalla Chiesa, essi siano abbandonati al giudice secolare per essere puniti col meritato castigo.”

Papa Gregorio IX 178° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

dalla bolla Excommunicamus; citato in Walter Peruzzi, Il cattolicesimo reale attraverso i testi della Bibbia, dei papi, dei dottori della Chiesa, dei concili, Odradek, Roma, 2008, p. 220

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“Prendendo le mosse da un classico quesito di Mario Pagano, celebre pensatore e giurista napoletano di fine Settecento ("un reo, che chiama il complice, per quante ragioni può ciò fare?"), l'agile volumetto dovuto alla penna fluida dello storico Nico Perrone si sviluppa su due piani diversi, spesso tra loro intersecati […]. Da un canto vi è il piano della vicenda storica, sullo sfondo dei fermenti giacobini alla vigilia della Repubblica partenopea, soprattutto incentrata sul famoso processo istruito nel 1794 contro Emmanuele De Deo, accusato di lesa maestà per avere cospirato contro la corona borbonica e, perciò, condannato a morte al termine di un giudizio celebrato in forma sommaria, senza reali garanzie e sulla base di prove di scarsa consistenza. […] D' altro canto, e proprio in rapporto alla realtà processuale del tempo, vi è il piano della analisi dedicata a un singolare istituto (il "truglio", per l' appunto, da cui trae titolo il volume) consistente in una sorta di transazione tra accusato e accusatore sulla entità della pena da infliggere al primo, al di fuori di un normale processo, anche sulla base delle dichiarazioni rese dal medesimo a carico di sé o di altri […]. È facile immaginare a quali oscure manovre potesse dar luogo un istituto del genere, soprattutto nel contesto di un sistema sostanzialmente antigarantistico come quello borbonico.”

Nico Perrone (1935) saggista, storico e giornalista italiano

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“Sul piano spirituale, chi è in buona salute è condannato. La profondità è monopolio di coloro che hanno sofferto.”

Emil Cioran (1911–1995) filosofo, scrittore e saggista rumeno

Intervista con Sylvie Jaudeau
Un apolide metafisico: conversazioni

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“D: Lei è stata condannata per favoreggiamento. Si sente innocente?”

Enzo Biagi (1920–2007) giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano

Lettera d'amore a una ragazza di una volta, Rai, Con la segretaria di Craxi, Vincenza Tomaselli

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“Io vinco sempre, sono condannato a vincere.”

Silvio Berlusconi (1936) politico e imprenditore italiano

da Ansa, 24 maggio 2003

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“[Sono] condannato a continuare e ad andare avanti anche per un fatto di orgoglio e storia personale. La metà del Paese mi detesta, l'altra metà mi sostiene e forse in parte mi ama.”

Silvio Berlusconi (1936) politico e imprenditore italiano

dal Meeting per l'amicizia tra i popoli, Rimini, 2006; citato in Repubblica. it, 25 agosto 2006

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“Ogni giorno lacrime, ogni giorno gemiti, condannato in compagnia solo di scorpioni e di belve.”

San Girolamo (345–420) scrittore, teologo e santo romano

Origine: Citato in Corriere della Sera, 25 ottobre 2008.

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“Maierovitch, uomo dalla loquela sommessa e dai lineamenti un po' da gufo, divenne un personaggio di spicco nei primi anni Ottanta, quando collaborò con Giovanni Falcone nei suoi sforzi, coronati da successo, di rintracciare i mafiosi latitanti. Insieme i due convinsero Tommaso Buscetta a tornare in Italia e a divenire un pentito di stato nel cosiddetto maxiprocesso alla cupola della mafia siciliana. Nel gennaio del 1992, grazie alla sua testimonianza furono condannati circa 350 capi mafiosi. Falcone e il suo collega, il magistrato Paolo Borsellino, sono i titani della lotta antimafia in tutto il mondo. Furono assassinati in Sicilia a due mesi di distanza l'uno dall'altro, nel 1992, poco tempo dopo che la sentenza del maxiprocesso era stata confermata, e la loro morte scosse, e infine scardinò, il sistema politico italiano. Entrambi erano partiti (giustamente) dal presupposto che i personaggi più importanti della mafia siciliana godevano della protezione delle più alte gerarchie politiche di Roma. Maierovitch mi racconta delle sue cene con Falcone, e di come si ingegnarono per proteggere il grande pentito Buscetta vuoi da possibili omicidi vuoi dal suicidio. (Un tentativo di suicidio quasi gli riuscì mentre era sotto la tutela del giudice brasiliano.) Dapprima Maierovitch sorride nel ricordare il suo amico italiano, ma dopo un po' comincia a versare lacrime silenziose: un omaggio che ben si addice a Falcone (cui Maierovitch intitolò il suo Istituto di lotta alla criminalità), il cui carisma e impegno in nome della giustizia, alla faccia della classe dirigente corrotta di Roma, hanno fatto di lui un eroe popolare in tutta Italia e presso tutti coloro che nel mondo lottano contro il crimine.”

Misha Glenny (1958) giornalista e scrittore britannico

da McMafia, pagg. 348-349

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“Il patteggiamento sta diventando come miele per pentiti falsi. Per ottenere uno sconto. A Conte lo hanno rigettato e per un uomo come lui è meglio così. Meglio un secolo di squalifica.”

Giulia Bongiorno (1966) avvocato e politica italiana

citato in Carlotta De Leo, Parla Conte: «Condannato da giudici tifosi». Petrucci: «Basta con gli attacchi alla giustizia» http://www.corriere.it/sport/12_agosto_23/conte-conferenza-stampa_8bcf6eca-ed22-11e1-89a9-06b6db5cd36c.shtml, Corriere della sera.it, 23 agosto 2012

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