Frasi su stretta
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“Solo mani vere scrivono poesie vere. Io non vedo alcuna differenza di principio tra una poesia e una stretta di mano […] viviamo sotto cieli cupi − e ci sono pochi esseri umani. Per questo anche le poesie sono poche.”

Paul Celan (1920–1970) poeta rumeno

da una lettera del 18 maggio 1960 a Hans Bender
Origine: Citato in Poesie a cura e con un saggio introduttivo di Giuseppe Bevilacqua, traduzione di Giuseppe Bevilacqua, Arnoldo Mondadori Editore, I Meridiani, 1998, p. CLII. ISBN 88-04-42259-9
Origine: Con diversa traduzione a p. 58 de La verità della poesia.

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“La fame resta una triste, anzi lugubre, compagna della storia dei nostri giorni. Non possiamo dimenticarlo né cancellarlo dall'agenda della nostra azione politica. Molte sono le priorità per i nostri paesi, come l'Italia, stretta da una crisi economica. Ma la sicurezza alimentare, la lotta alla fame, è priorità delle priorità.”

Andrea Riccardi (1950) storico, accademico e pacifista italiano

Con data
Origine: Dal discorso dell'onorevole Andrea Riccardi per la Cooperazione Internazionale e l'integrazione in occasione della 35esima sessione del Consiglio dei Governatori dell'IFAD http://www.ifad.org/events/gc/35/speech/riccardi.htm, IFAD.org, Roma, 22 febbraio 2012.

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“[Su Giorgio Morandi] Non ebbe mai un atelier nel senso pomposo del termine. Viveva e lavorava in una camera di media grandezza, una finestra della quale dava su un piccolo cortile ricoperto di verde […]. Qui si trovava anche la sua brandina, un vecchio scrittoio e il tavolo da disegno, una specie di libreria, il cavalletto e poi tutt'intorno su stretti scaffali l'arsenale, in attesa discreta, delle semplici cose che noi tutti conosciamo attraverso le sue nature morte: bottiglie, recipienti, vasi, brocche, utensili da cucina, scatole. Le aveva scovate chissà dove, per lo più da rigattieri, si era innamorato di ciascuna di esse, le aveva portate a casa una ad una, per poi disporre in fila questi trovatelli quali suoi compagni di stanza, in via sperimentale e con grandi speranze. Qui si trovavano dunque i suoi modelli veri e propri: le "cose" nel loro isolamento silenzioso, gli interlocutori del suo incessante dialogo. […] Quanto più essi diventavano parte del suo mondo abituale, dimostrando il proprio diritto di cittadinanza attraverso un crescente strato di polvere, tanto più gli stavano a cuore. Tutto ciò sembrava molto ordinato in modo piuttosto piccolo-borghese, relativamente ordinato; infatti attorno, davanti e dietro al cavalletto vi era abbastanza spesso una traccia evidente di inquietudine e di caos. Là si trovava una consolle a tre ripiani. Nel settore più basso, che poteva comprendere anche il pavimento, giaceva una confusione di quegli oggetti che l'avevano colpito a un primo esame ma che poi gli si erano dimostrati insufficienti per un discorso prolungato. Al piano di sopra si trovavano oggetti come comparse in attesa di una ancor possibile entrata in scena. Ma la scena, sulla quale comparivano i protagonisti scelti come interlocutori di un lungo dialogo, si trovava nell'ultimo ripiano, situato pressoché all'altezza degli occhi. Lì si trovavano queste cose scelte in tutta la loro imperturbabile solitudine; nelle mutevoli composizioni acquisivano una sconcertante personalità e cercavano anche di allacciare tra loro delle sottili relazioni dalle quali si costituiva pian piano, lenta-mente dalla loro prossimità, una compagine armonica. L'arrangiatore paziente era Morandi, che stava a vedere con dedizione ed ansia estreme il lento formarsi della comparsa delle cose; tutto ciò poteva durare dei giorni. […] E in questa comunicazione meditativa, che si faceva sempre più stretta, la distanza tra le cose e l'io contemplante era abolita […], sicché l'immagine infine raggiunta, la controimmagine che rispondeva al pittore, era al tempo stesso la sua autorappresentazione. Giunto a questo punto, Morandi si metteva a dipingere e trasponeva questa realtà, che egli aveva prefigurato con tanta cura, nella visualità del quadro, nella "seconda", più comprensiva realtà. Il vero e proprio atto pittorico durava spesso solo poche ore. Alcuni quadri mostrano chiaramente le tracce di una certa corsività nella pennellata. Sono segni di spontaneità, di un'estrema visione creatrice divampante come la fiamma di una candela che sprigiona l'ultimo guizzo.”

Werner Haftmann (1912–1999) storico dell'arte tedesco

Origine: Citato in Marilena Pasquali, Morandi, Art Dossier, n°50, Giunti, Firenze, ISBN 88-09-76143-X, pp. 6-8.

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“Quanto all'Occidente, osservava in imbarazzato silenzio e chi aveva salutato con entusiasmo l'avvento dell'ayatollah confessava quasi a denti stretti il proprio errore o pentimento. La cosiddetta sinistra, quella sinistra per cui una rivoluzione va sempre assolta e chi non è d'accorso su questo è un fascista, tentava addirittura di giustificare lo scempio. «Devi capire che la rivoluzione non è un invito a nozze.» «Pensa a Robespierre e alle migliaia di ghigliottinati durante il Terrore, pensa a Lenin e alle centinaia di migliaia liquidati con le Grandi Purghe.» «Non dimenticare che certi eccessi sono inevitabili e necessari. Non è la prima volta che la rivoluzione divora i propri figli.» Non avevano detto le stesse cose, del resto, quando la libertà era stata assassinata in Polonia e in Cecoslovacchia e in Ungheria e nella Germania dell'Est, quando i sogni erano stati traditi a Cuba e in Vietnam? Non s'erano forse macchiati della stessa malafede, gli ipocriti, non s'erano forse rifugiati dietro la stessa disonestà, lo stesso timore d'apparir reazionari? Lo sapevo ben io che fino al giorno in cui avevo raccontato le infamie viste a Saigon, le colpe degli americani e dei sudvietnamiti e dei Loan, me l'ero cavata benissimo: conquistando orde di ammiratori e di amici. «Gran giornalista, grande scrittrice, gran donna.» Però appena avevo raccontato le infamie viste ad Hanoi, le colpe dei nordvietnamiti e dei vietcong e dei Giap, ero stata linciata sui loro giornali. E gli ammiratori s'erano trasformati in dispregiatori, gli amici in nemici: «Mascalzona, calunniatrice, serva del Pentagono. Ha offeso la rivoluzione!».
La rivoluzione. È dalla presa della Bastiglia che l'Occidente vive nella bugia chiamata rivoluzione. È da allora che questa parola equivoca ci ricatta come una parola santa, in quanto tale ci viene imposta come sinonimo di libertà-uguaglianza-fraternità, simbolo del riscatto e del progresso, speranza per gli oppressi. È da allora che le stragi compiute in suo nome vengono assolte, giustificate, accettate, che i suoi figli vengono macellati dopo aver macellato: convinti che essa sia la cura di ogni cancro, la panacea di ogni male. Ma rispettosamente la pronunciamo, rispettosamente la studiamo a scuola, rispettosamente la analizziamo nei trattati di politologia e nei saggi di filosofia. Rispettosamente non osiamo contestarla, rifiutarla, sbugiardarla sputando in faccia agli imbecilli e ai violenti che se ne servono per carriera.”

Origine: Intervista con il Potere, pp. 36–37

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“Mia moglie e altri miei parenti stretti erano lì, così, naturalmente, ho temuto per la loro sicurezza e ho pensato a coloro che avevano perso la vita, ma continuo a pensare che era giusto giocare la partita.”

Alan Hansen (1955) calciatore e giornalista britannico

I had my wife and close members of my family there, so of course you fear for their safety and think of others who had lost their lives – but I still think it was right to play the game.

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“Sì, effettivamente a prima vista [le iguane] possono sembrare dei piccoli dinosauri, ma non lo sono. Appartengono al grande filone dei rettili, ma non sono parenti stretti dei dinosauri. Diciamo più o meno quanto noi lo potremo essere con una foca.”

Alberto Angela (1962) divulgatore scientifico italiano

Origine: Dalla trasmissione televisiva Il Pianeta dei Dinosauri, episodio 1: I primi dinosauri, Rai 1, 1993.

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“La satira è sempre stata un linguaggio di minoranza, per pubblici stretti, piuttosto radicali e piuttosto colti. La comicità è popolare, la satira assai raramente. La comicità è universale, perché accomuna, la satira non può esserlo perché divide.”

Michele Serra (1954) giornalista, scrittore e autore televisivo italiano

da La vocazione minoritaria dei vignettisti diventati eroi, 14 gennaio 2015, p. 36
la Repubblica

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“A due giorni dal Santo Natale il Presidente del Consiglio [Silvio Berlusoni] giungerà in pompa magna con tanto di slitte, ma soprattutto carico di pacchi. […] Basterebbe che il Governo [Berlusconi IV] badasse più al concreto e meno all'effetto spot dei suoi ormai consueti annunci.”

Giuseppe Ruvolo (1951) politico italiano

tratto da PONTE STRETTO: RUVOLO (UDC), PRIMA PIETRA? SARA? ANCHE L'ULTIMA. GOVERNO DIA SPAZIO A PRIORITA' NON A SPOT". http://www.giusepperuvolo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=166, Sito ufficiale Giuseppe Ruvolo 20° ottobre 2009

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“Catturate a volte nella grande arborea libertà della loro giungla natale, le scimmie [destinate alla sperimentazione] vengono confinate in gabbie di poco più di un metro quadrato. […] Per facilitare la pulizia, gli animali vengono costretti a vivere su una rete metallica; non possono mai sedersi o distendersi su una superficie morbida e cedevole. C'è quindi poco da stupirsi se quando viene il momento del coltello o dell'iniezione sono così folli o inerti da non essere più esempi rappresentativi della vita animale.
Gli psicologi che studiano il comportamento di migliaia di tali creature ogni anno raramente tengono conto del fatto che questi loro disgraziati pazienti sono stati talmente provati da divenire più simili a mostri che ad animali. Molte persone che hanno sperimentato uno stretto rapporto affettivo con individui di altre specie testimoniano il considerevole potenziale di sviluppo emotivo ed intellettuale degli animali. Quando sono tenuti in modo appropriato un cane o un gatto sviluppano grandi raffinatezze di comportamento, di cui l'animale da laboratorio non dà mai prova. Coloro che hanno avuto la fortuna di osservare da vicino animali non spaventati che vivono allo stato libero sono spesso colpiti dalla complessità e dalla ricchezza della vita che essi conducono. Questi piaceri l'animale da laboratorio non li conosce mai; per lui sempre gli stessi quattro muri bianchi e lo stesso odore di disinfettante.”

Richard Ryder (1940) psicologo inglese

Origine: Esperimenti sugli animali, p. 52

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“Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio. Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. […]Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere.”

Charles Antoine Manhès (1777–1854) generale francese

Pietro Colletta

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“L'Italia è diventata un bordello. Non perché il premier va a escort e qualcun altro a trans, ma perché sono state sovvertite tutte le regole. Un bordello squallido e triste, la cui cupezza si respira nell'aria. Raccontavo qualche giorno fa a una mia giovane amica la Milano dei '50, di quando ero ragazzino. Eravamo poveri, allegri e spavaldi. I tram erano stipati fino all'inverosimile con la gente sui predellini aperti e qualcuno attaccato al troller. Uscivamo dalla guerra, ci eravamo salvati dai bombardamenti angloamericani e dai rastrellamenti tedeschi, non ci poteva certo spaventare una caduta dal tram. Tutti, uomini e donne, fumavano. Il terrorismo diagnostico era di là da venire. Noi ragazzini uscivamo di casa alle due del pomeriggio e rientravamo con le ginocchia sbucciate, alle otto, senza che i nostri genitori se ne preoccupassero. Perché nel quartiere c'era un controllo sociale e se un bambino si fosse messo nei guai ci avrebbero pensato gli adulti a tirarlo fuori e un pedofilo sarebbe stato avvistato a un chilometro di distanza. Eppoi c'era, "il ghisa", il vigile, autorità sovrana. La "pula" non aveva bisogno di farsi vedere. La malavita era professionale, conosceva le regole, stava attenta a non spargere una goccia di sangue (il colpo in banca della banda di via Osoppo, senza un ferito, tenne la scena sui giornali per mesi). Eravamo solidali perché eravamo poveri e anche quelli che non lo erano non lo davano a vedere. Il sordido gioco degli "status simbol" non era ancora cominciato. Lealtà e onore erano moneta sonante. Se fra noi ragazzi ci si scontrava a pugni sulla strada – dove ci siamo formati – e un gruppo era di dieci e l'altro, poniamo di otto, due si levavano per far pari. E l'onestà era un valore assoluto. Per la borghesia, se non altro perché dava credito. Per il proletariato, per il mondo contadino dove la stretta di mano contava più di un contratto. Mentre raccontavo queste e altre cose i begli occhi della mia amica si ingrandivano, si sgranavano. Alla fine mi ha detto "tu mi stai raccontando una favola, questa non è l'Italia."”

Massimo Fini (1943) giornalista, scrittore e drammaturgo italiano

Appunto.
Origine: Da Il Gazzettino, 6 novembre 2009.

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“Da molto tempo esisteva una stretta complicità fra il figlio del commerciante di tessuti di lana che visse ad Assisi all'inizio del XIII secolo [San Francesco] e la sindacalista rivoluzionaria [Simone Weil], fra il fondatore della fraternità francescana e la professoressa di filosofia che nel XX secolo, fra le due guerre mondiali, chiede una risposta all'interrogativo posto dall'esistenza del dolore umano.”

Georges Hourdin (1899–1999) giornalista e saggista francese

Origine: Da Simone Weil, traduzione di Caterina Spada, Borla, Roma, 1992, pp. 141-142. ISBN 88-263-0952-3; citato in Aa. Vv., Simone Weil: Azione e contemplazione, Effatà, Cantalupa, 2005, p. 16 http://books.google.it/books?id=-fPkB291pa0C&pg=PA16. ISBN 88-7402-204-2

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“Teniamoci stretti al personalismo dei giudizi perché è il solo alibi che possediamo per evitare il dolo della calunnia.”

Eugenio Scalfari (1924) giornalista, scrittore e politico italiano

Origine: Da La cazzità, categoria dello spirito, L'espresso, 27 luglio 2006, n. 29 anno LII, p. 174.

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“È un accordo che mi soddisfa molto, perché con quest'accordo posso ragionevolmente affermare che in Lombardia si vince. Andare da soli sarebbe una inevitabile sconfitta. Capisco qualche mal di pancia, ma ricordo a tutti quanti che se non ci fosse stato l'accordo con il Pdl allora, più di 400 Comuni sarebbero a rischio con i sindaci che dovrebbero dimettersi. Ci sono quindi tutte le ragioni per considerare l'accordo utile, positivo e coerente con il disegno illustrato nell'ultimo congresso. Non temo malumori territoriali, c'è qualcuno che non era d'accordo, in Veneto, come in Piemonte, ma a questi ricordo che, nel Veneto siamo al governo della Regione con il Pdl". Cosi' Roberto Maroni ha risposto a chi gli chiedeva se teme i mal di pancia dei veneti sull'accordo raggiunto tra Pdl e Lega. Ci sono tutte le ragioni per aver stretto questo accordo che e' utile, positivo e soprattutto coerente col disegno che ho fatto approvare al congresso federale. L'accordo con il Pdl serve per vincere in Lombradia. Con questo accordo vincerò in Lombardia con buona pace dei miei avversari. Albertini mi sembra destinato ad un modesto piazzamento. Aveva detto che se avessi vinto mi avrebbe regalato una Ferrari. Bene, allora gli dico di prenotarla. L'accordo per le politiche è conseguenza dell'accordo per la Regione, ma funzionale all'accordo per la Regione. Per questo nell'accordo si dice esplicitamente che Berlusconi non sarà il premier. È un fatto rilevante ed esprimo riconoscenza per questo gesto a Silvio Berlusconi. Ho sentito che Silvio Berlusconi ha indicato Angelino Alfano come candidato premier. È una persona che stimo, con cui ho lavorato, non mi dispiace. Ma io mi permetto di indicare Giulio Tremonti.”

Roberto Maroni (1955) politico italiano

giorno. it http://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/2013/01/07/826460-Maroni-Candidato-Governatore-Lombardia.shtml, 7 gennaio 2013

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“Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio.
Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. […]
Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere. (Libro VII, Regno di Gioacchino Murat”

Pietro Colletta (1775–1831) patriota, storico e generale italiano

1808-1815), Capo II "Fatti di guerra e di brigantaggio, poi distrutto.", XXVII-XXVIII, Tip. e libreria Elvetica, Capolago, 1834
Storia del reame di Napoli

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“Amo la naturalezza della vostra unione, la guardo con un sorriso, voi, in qualche misura, mi avete protetto da me stesso. Io non mi sono mai sentito "naturale", mi sono impegnato per esserlo, tentativi striduli, perché impegnarsi per essere naturali e già una sconfitta. Così ho accettato il modello che mi avete ritagliato nella carta velina dei vostri bisogni. Sono rimasto un ospite fisso in casa mia. Non mi sono indignato nemmeno quando in mia assenza, durante le giornate di pioggia, la cameriera ha spostato lo stenditoio con i vostri panni accanto al calorifero nel mio studio. Mi sono abituato a queste umide intrusioni senza ribellarmi. Sono rimasto sulla mia poltrona senza poter allungare troppo le gambe, ho posato il libro sulle ginocchia e mi sono fermato a guardare la vostra biancheria. Ho trovato in quei panni umidi una compagnia che forse superava quella delle vostre persone, perché in quelle trame sottili e candide io catturavo il profumo fraterno della nostalgia, di voi, certo, ma soprattutto di me stesso, della mia latitanza. Lo so, Angela, per troppi anni i miei baci, i miei abbracci sono stati goffi, stentati. Ogni volta che ti ho stretta, ho sentito il tuo corpo scosso da un fremito d'impazienza, se non addirittura di disagio. Non ti ci ritrovavi, ecco tutto. Ti è bastato sapere che c'ero, guardarmi in lontananza, come un viaggiatore appeso al finestrino di un altro treno, scialbato da un vetro. Sei una ragazza sensibile e solare, ma di colpo il tuo umore cambia, diventi rabbiosa, cieca. Ho sempre avuto il sospetto che questa ira misteriosa, dalla quale riaffiori sconcertata e un po' triste, ti sia cresciuta dentro per causa mia.
Angela, a ridosso della tua schiena incolpevole c'è una sedia vuota. Dentro di me c'è una sedia vuota. Io la guardo, guardo la spalliera, le gambe, e aspetto, e mi sembra di ascoltare qualcosa. È il rumore della speranza. Lo conosco, l'ho udito affannarsi nel fondo dei corpi e affiorare negli occhi delle miriadi di pazienti che ho avuto davanti, l'ho sentito fermarsi in stallo tra le mura della sala operatoria, ogni volta che ho mosso le mie mani per decidere il corso di una vita. So esattamente di cosa m'illudo. Nei grani di questo pavimento che ora si muovono lenti come fuliggine, come ombre morenti, m'illudo che quella sedia vuota si riempia anche per un solo lampo di una donna, non del suo corpo, no, ma della sua pietà. Vedo due scarpe décolletées color vino, due gambe senza calze, una fronte troppo alta. E lei è già davanti a me per ricordarmi che sono un untore, un uomo che segna senza cautela la fronte di chi ama. Tu non la conosci, è passata nella mia vita quando ancora non c'eri, è passata ma ha lasciato un'impronta fossile. Voglio raggiungerti, Angela, in quel limbo di tubi dove ti sei coricata, dove il craniotomo scassinerà la tua testa, per raccontarti di questa donna.”

Origine: Non ti muovere, pp. 21-23

“[Sulla Juventus nel 1934] Hanno creato un ambiente che, come una macchina per impastare tutti i caratteri, ne farne il tipo unico mai illuso e mai disperato, mai troppo ottimista e mai troppo pessimista. Mai agitato e mai placato.
Cadere nella macchina un Monti o un Cesarini, un Orsi o un Varglien, spiriti fieri magari protervi, ed escono ben presto come gli altri: impastati. Ricadde un Tiberti, un Ferrari, un Sernagiotto, un Ferrero o un Valinasso e ne esce fuori un momento sicuro con qualche fierezza.
Il 'super asso' diventa solo un asso, l'aspirante a campione diventa asso; uno cava, l'altro cresce, tutto si livella. L'educazione e naturale riservo fanno il resto: se entri e nel Circolo, un tipo in guanti bianchi riceve il tuo cappello, gli stucchi dorati t'impediscono di dir parolaccie. La stretta di mano sulla tetti all'orologio, non una mano sulla spalla. Nessun ordine del giorno, ma l'ordine con l'ora per il domani, firma carcame. Mai niente di nuovo. Un giocatore entra e capisce dov'è, cosa deve imparare, il senso delle distanze, il rispetto, quel formalismo che è pure necessario se tutti gli esserci si sono basati su quello.”

Carlo Bergoglio (1895–1959) giornalista, scrittore e disegnatore italiano

Origine: Da un articolo pubblicato nella rivista Guerin Sportivo del 2 maggio 1934; citato in Roberto Buttafarro, Giovanni De Luna e Marco Revelli, Un fenomeno in bianco e nero http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,26/articleid,0995_01_1986_0214_0028_13712178/, RAI 3, 16 settembre 1986, 59 min 58 s, (1ª puntata, in 53 min 32 s e ssq.).

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“Il Ponte sullo stretto di Messina è un progetto irrealizzabile. Silvio Berlusconi ha fatto cose orribili, ma questa cosa si è limitata a dirla e poi non l'ha fatta. Nel frattempo, però, abbiamo speso mezzo miliardo di euro solo per progettare e riprogettare. È un modo come un altro per consentire ad Alfano e alle sue clientele di fare un'ottima campagna elettorale alle prossime elezioni regionali in Sicilia. È il ponte che collega il Pd ad Alfano.”

Marco Travaglio (1964) giornalista, saggista e scrittore italiano

Origine: Dalla trasmissione televisiva Otto e mezzo, La7, 12 novembre 2015; citato in Mario Ventriglia, Travaglio: "Ponte sullo Stretto? Collega Pd ad Alfano che potrà fare campagna elettorale in Sicilia" http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/11/13/travaglio-ponte-sullo-stretto-collega-pd-ad-alfano-che-potra-fare-campagna-elettorale-in-sicilia/438508/, Tv.Ilfattoquotidiano.it, 13 novembre 2015.

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“Ti legassero stretta | alla quercia più vecchia | se davvero non vuoi il mio cuore.”

Francesco De Gregori (1951) cantautore italiano

da Piccola mela, n. 8
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