Frasi su uso
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“[…] si procuri di restituire il canto gregoriano nell'uso del popolo, affinché i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all'officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi.”

Papa Pio X (1835–1914) 257° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

da Motu Proprio - Tra le Sollecitudini http://www.vatican.va/holy_father/pius_x/motu_proprio/documents/hf_p-x_motu-proprio_19031122_sollecitudini_it.html, 22 novembre 1903

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“Anche nei sogni faccio uso di citazioni.”

Lalla Romano (1906–2001) poetessa, scrittrice e giornalista italiana

da Un sogno del Nord, p. 171

“Il cinema indipendente è il cinema della passione, unico motore di produzioni che non portano alti guadagni, quando ne portano. Giuseppe Lazzari, nel suo primo film ce ne ha messa di passione, portando avanti un progetto che ha realizzato interamente a sue spese. Primo lungometraggio italiano realizzato interamente in 4K, massimo grado di risoluzione digitale, "Sentirsidire" racconta le storie parallele di Ludovico e Filippo, benestante e superficiale il primo, dignitoso e umile il secondo. Due vite diverse, che si incroceranno nella città di Milano, per dare vita ad una profonda amicizia, capace di cambiare entrambi. Trattandosi di un'opera prima, non mancano momenti di debolezza narrativa, e a volte i dialoghi prendono una piega un po' retorica, se non moralistica, ma questo non deve distogliere l'attenzione dalla validità contenutistica e formale del film. Una regia per niente classica e un montaggio creativo, sono accompagnati da un suggestivo uso del sonoro, capace di comunicare perfettamente la cupezza e la drammaticità degli avvenimenti. Degna di nota è la colonna sonora, indubbiamente azzeccata, costituita dalle canzoni di tre artisti non nuovi al panorama cinematografico: Damien Rice, James Morrison e Nate James. Le vicende dei due protagonisti sono alternate seccamente, allo scopo di accentuare (anche attraverso la bella fotografia di Luca Coassin, che ben differenzia l'atmosfera di Agrigento da quella di Milano) il divario tra nord e sud Italia, tra un ambiente ricco ed uno povero, tra due ragazzi che hanno avuto dalla vita possibilità diverse, ma che provano uguale insoddisfazione. Esordio per il regista e prima esperienza sul set per i due attori protagonisti. Il ballerino Mariottini, si dimostra ben entrato nel ruolo di Ludovico e l'attore novizio Taormina, interpreta un Filippo a cui è impossibile non affezionarsi. Annunciato dal web, questo film di denuncia arriva a scuotere le coscienze dei giovani a cui piace sentire storie di giovani come loro. Il regista lo definisce "una spaccatura della parte cupa dell'Italia", e, in effetti, lo è. Si tratta di un film per niente leggero ma drammatico e di forte impatto emotivo. Un film in cui la macchina da presa si muove molto all'interno dello spazio perché vuole vederlo tutto, non vuole perderne nemmeno un frammento. Nessun dettaglio sfugge all'occhio attento di Giuseppe Lazzari, scrupoloso al massimo nel voler raccontare ai giovani (ma anche agli adulti, genitori e non) cosa succede agli altri giovani, e non c'è niente di irreale o di esagerato in questo: la storia dei due amici procede nell'assoluto rispetto di una realtà che l'Italia conosce bene da qualche anno a questa parte.”

“Il buon uso della libertà è proporzionale al grado di maturità di chi la esercita.”

Michele Federico Sciacca (1908–1975) filosofo italiano

da Il magnifico oggi

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“E scrivevi come vivevi, da persona piena di umori e di amori, con una cultura larga e profonda che andava dalla pesca degli storioni all'uso del verso alessandrino. E le invenzioni, Giovanni, i neologismi. Ne hai inventate di parole.”

Gianni Mura (1945) giornalista e scrittore italiano

la Repubblica
Origine: Da "Ciao Gianni, sei morto con i tuoi amici" http://www.repubblica.it/rubriche/punto-e-svirgola/2012/12/17/news/quel_giorno_da_malta-48978813/, Repubblica.it, 20 dicembre 2012.

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“Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo”

Umberto Bossi (1941) politico italiano

dal discorso al comizio del 26 luglio 1997 a Cabiate (Como) per la festa della Padania; citato in Vilipendio alla bandiera la Camera salva Bossi, la Repubblica, 23 gennaio 2002

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“Lo scorso agosto venni ricevuta in udienza privata da Ratzinger, insomma da Papa Benedetto XVI. Un Papa che ama il mio lavoro da quando lesse "Lettera a un bambino mai nato" e che io rispetto profondamente da quando leggo i suoi intelligentissimi libri. Un Papa, inoltre, col quale mi trovo d'accordo in parecchi casi. Per esempio, quando scrive che l'Occidente ha maturato una sorta di odio contro sé stesso. Che non ama più sé stesso, che ha perso la sua spiritualità e rischia di perdere anche la sua identità. (Esattamente ciò che scrivo io quando scrivo che l'Occidente è malato di un cancro morale e intellettuale. Non a caso ripeto spesso: «Se un Papa e un'atea dicono la stessa cosa, in quella cosa dev'esserci qualcosa di tremendamente vero»). Nuova parentesi. Sono un'atea, sì. Un'atea-cristiana, come sempre chiarisco, ma un'atea. E Papa Ratzinger lo sa molto bene. Ne "La Forza della Ragione" uso un intero capitolo per spiegare l'apparente paradosso di tale autodefinizione. Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice: «Ok. (L'ok è mio, ovvio). Allora Veluti si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse». Parole da cui si deduce che nella comunità religiosa vi sono persone più aperte e più intelligenti che in quella laica alla quale appartengo. […] E così ci incontrammo, io e questo gentiluomo intelligente. Senza cerimonie, senza formalità, tutti soli nel suo studio di Castel Gandolfo conversammo e l'incontro non-professionale doveva restare segreto. Nella mia ossessione per la privacy, avevo chiesto che così fosse. Ma la voce si diffuse ugualmente. Come una bomba nucleare piombò sulla stampa italiana.”

Oriana Fallaci (1929–2006) scrittrice italiana
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“I governi democratici possono diventare violenti e anche crudeli in certi momenti di grande effervescenza e di pericolo, ma queste crisi saranno rare e passeggere. Quando penso alle piccole passioni degli uomini del nostro tempo […] non temo che essi troveranno fra i loro capi dei tiranni, ma piuttosto dei tutori. Credo, dunque, che la forma d'oppressione da cui sono minacciati i popoli democratici non rassomiglierà a quelle che l'hanno preceduta nel mondo, […] poiché le antiche parole dispotismo e tirannide non le convengono affatto. La cosa è nuova, bisogna tentare di definirla, poiché non è possibile indicarla con un nome. Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria. Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all'autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente all'infanzia; ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l'unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l'uso del libero arbitrio, restringe l'azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l'uso di se stesso. L'eguaglianza ha preparato gli uomini a tutte queste cose, li ha disposti a sopportarle e spesso anche considerarle come un beneficio. Così, […] il sovrano estende il suo braccio sull'intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all'ombra della sovranità del popolo. […] In questo sistema il cittadino esce un momento dalla dipendenza per eleggere il padrone e subito dopo vi rientra.”

Citazione un po' troppo lunga: tagliarla
La democrazia in America
Variante: I governi democratici possono diventare violenti e anche crudeli in certi momenti di grande effervescenza e di pericolo, ma queste crisi saranno rare e passeggere.
Quando penso alle piccole passioni degli uomini del nostro tempo […] non temo che essi troveranno fra i loro capi dei tiranni, ma piuttosto dei tutori. Credo, dunque, che la forma d'oppressione da cui sono minacciati i popoli democratici non rassomiglierà a quelle che l'hanno preceduta nel mondo, […] poiché le antiche parole dispotismo e tirannide non le convengono affatto. La cosa è nuova, bisogna tentare di definirla, poiché non è possibile indicarla con un nome.
Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria.
Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all'autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente all'infanzia; ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l'unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere?
Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l'uso del libero arbitrio, restringe l'azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l'uso di se stesso. L'eguaglianza ha preparato gli uomini a tutte queste cose, li ha disposti a sopportarle e spesso anche considerarle come un beneficio. Così, […] il sovrano estende il suo braccio sull'intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore.
Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all'ombra della sovranità del popolo.
[…] In questo sistema il cittadino esce un momento dalla dipendenza per eleggere il padrone e subito dopo vi rientra.

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“È un errore pensare che starsene seduto in calma contemplazione sia cosa essenziale per la liberazione. La verità dello Zen si dischiude da sé dall'interno e non ha nulla a che fare con la pratica del dhyāna. Infatti si legge nel Vajracchedikā che coloro che cercano di vedere il Tathāgata riferendosi a lui come uomo in un qualche atteggiamento, quando sta seduto o quando è disteso, non capiscono ciò che fa di lui un Tathāgata, un Tathāgata essendo così designato perché non viene da nessun posto e non va in nessun posto, per questo è un Tathāgata. Non appare da un «donde» e non scompare passando altrove e questo è lo Zen. Quindi nello Zen non vi è nulla da raggiungere, nulla da capire; che cosa è, dunque, quello starsene a gambe incrociate a praticare il dhyāna? Alcuni possono pensare che per rischiarare le tenebre dell'ignoranza sia necessario un uso speciale dell'intelletto; ma la verità dello Zen è un assoluto, nel quale il dualismo non esiste e che non ammette una qualche condizionalità. Parlare di ignoranza e di illuminazione, di bodhi e di kleça (sapienza e passioni), come termini di una antitesi insuscettibili ad essere risolti in una unità, non è mahāyānico. Il Mahāyāna condanna ogni forma di dualismo, perché il dualismo non esprime la verità ultima. Tutto manifesta la natura di Buddha; natura, che dalle passioni non è contaminata e che dall'illuminazione non è purificata. Essa sta al disopra di ogni categoria. Se volete vedere quale è la natura del vostro vero essere, liberate la vostra mente dall'idea della relatività e voi vedrete da voi stessi quanto essa è calma eppure piena di vita.”

Huìnéng (638–713) monaco buddhista cinese
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“La strega non è il «tifo» che dallo sport è inseparabile. E non siamo nemmeno noi, come vogliono i cantautori del «siamo tutti colpevoli» che ieri giornali e radio hanno intitolato. Perché, se di qualcosa siamo colpevoli, è di aver sempre secondato la corruttrice e demagogica tendenza a scaricare l'individuo di ogni responsabilità, rigettandola regolarmente e interamente sulla società. È la società che ci obbliga a rubare, è la società che ci obbliga ad uccidere. E si capisce che quando si offrono alla gente di questi alibi, c'è sempre qualcuno che ne approfitta. Stamane leggevo su un giornale francese un dotto articolo in cui si spiegava che la furia dei tifosi del Liverpool era dovuta la fatto che, essendo quasi tutti minatori, per un anno erano rimasti senza lavoro a causa dello sciopero: il che gli aveva fatto accumulare la rabbia che poi era scoppiata a Bruxelles. Insomma, senza dirlo, l'articolo induceva alla conclusione che il vero responsabile del massacro era la signora Thatcher. Ecco in che senso siamo tutti colpevoli. Siamo colpevoli di assolvere tutti come vittime innocenti di una società iniqua che, a furia di essere tutti noi, non è nessuno. È un giuoco a cui non ci stiamo. I responsabili di Bruxelles sappiamo chi sono: sono i delinquenti che abbiamo visto avventarsi, prima che la partita cominciasse, e quindi senza alcuna provocazione, contro i tifosi italiani con sbarre e coltelli di cui erano accorsi armati, con l'evidente intenzione di farne l'uso che ne hanno fatto. Delinquenti, non vittime. La società non c'entra, non c'entrano le miniere. Casomai l'alcol. Ma ne avevano ingerito per delinquere meglio. Speriamo che la polizia li identifichi e li consegni a quella inglese. Della quale possiamo fidarci.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

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“Quando faccio uso di droghe tutto mi sembra brutto e triste. Inizio a farmi del male e a farlo a chi è intorno a me, e tutto va meglio soltanto quando smetto. Allora posso guardare in faccia i miei genitori, vedere l’azzurro del cielo e pensare che è una splendida giornata.”

Anthony Kiedis (1962) cantante statunitense

Origine: Citato in Red Hot Chili Peppers presto in sala: intanto Navarro e Chad Smith danno vita agli Spread, e Anthony Kiedis confessa: "La droga mi ha rovinato la vita" http://mobile.rockol.it/news-9666/red-hot-chili-peppers-presto-in-sala-intanto-navarro-e-chad-smith-danno-vita, Rockol.it, 13 settembre 1997.

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“Il vero povero è colui che fa cattivo uso di ciò che ha. Il vero ricco è colui che fa buon uso di ciò che possiede.”

Mikha'il Nu'ayma (1889–1988) scrittore e poeta libanese

Origine: Il libro di Mirdad, p. 241

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“Ma in realtà è proprio il contrario, di più è di più è di più, più si sanguina più si dà. Queste cose, i dettagli, le storie e quant’altro, sono come la pelle di cui i serpenti si spogliano, lasciandola a chiunque da guardare. Che cosa gliene frega al serpente di dov’è la sua pelle, di chi la vede? La lascia lì dove ha fatto la muta. Ore, giorni o mesi dopo, noi troviamo la pelle e scopriamo qualcosa del serpente, quant’era grosso, quanto era lungo approssimativamente, ma ben poco altro. Sappiamo dove si trova il serpente adesso? A cosa sta pensando? No. Per quel che ne sappiamo, il serpente adesso potrebbe girare in pelliccia, potrebbe vendere matite a Hanoi. Quella pelle non è più sua, la indossava perché ci era cresciuto dentro, ma poi si è seccata e gli si è staccata di dosso, e lui e chiunque altro adesso possono vederla.

"E tu saresti il serpente?"
Certo. Io sono il serpente. E dunque, il serpente dovrebbe portare la pelle con sé, tenersela sempre sotto braccio? Dovrebbe farlo?

"No?"
No, certo che no! Non ha braccia, un serpente! Come cazzo fa a portarsi in giro la pelle? Per favore. Ma proprio come il serpente, io non ho braccia – metaforicamente parlando, voglio dire – per portare con me tutto quanto. E poi non sono più cose mie. Nessuna è mia. Mio padre non è mio, non in quel senso, almeno. La sua morte e quello che ha fatto non è roba mia. Né lo sono il modo in cui sono stato educato, né la mia città, né le sue tragedie. Come potrebbero essere mie cose del genere?
Ritenermi responsabile di mantenere il segreto su queste cose mi parrebbe ridicolo. Sono nato in una città e in una famiglia, e questa città e questa famiglia mi sono capitate. Non le possiedo. Sono di tutti. In condivisione. E mi piace, mi piace l’idea di averne fatto parte, morirei o ucciderei per proteggere coloro che ne fanno parte, ma non reclamo nessuna esclusività. Eccovi tutto. Prendetevelo. Fatene ciò che volete. Fatene buon uso. È come ottenere elettricità dai rifiuti. Fin troppo bello per essere vero, l’idea di poter creare qualcosa di buono da roba come questa.”

A Heartbreaking Work of Staggering Genius

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“Potremmo anche immaginare una macchina calcolatrice che viene fatta lavorare con una memoria basata sui libri. Non sarebbe molto facile, ma immensamente preferibile a un singolo lungo nastro. Per pura ipotesi supponiamo che le difficoltà implicite nell'uso di libri come memoria siano superate, cioè che si riesca a sviluppare gli artifici meccanici necessari per trovare il libro giusto, aprirlo alla pagina giusta e così via, imitando l'azione delle mani e degli occhi umani. Non si può girare una pagina molto velocemente senza strapparla, e se gli spostamenti dovessero essere numerosi e veloci, l'energia richiesta sarebbe molto grande. Se muovessimo un libro ogni millisecondo e ciascuno fosse mosso di dieci metri e pesasse 200 grammi, e se ogni volta l'energia cinetica fosse dispersa senza recupero, dovremmo consumare 10^10 watt, pari a circa la metà del consumo di energia della nazione. Per avere una macchina davvero veloce, allora, dobbiamo tenere la nostra informazione, o almeno una parte di questa, in una forma più accessibile di quella che può essere ottenuta con i libri. Sembra che questo risultato possa essere ottenuto solo al prezzo di sacrificare compattezza d economia, cioè tagliando le pagine dal libro e presentando ciascuna a un meccanismo di lettura separato. Alcuni dei metodi di memorizzazione che sono sviluppati ai giorni nostri non si allontanano molto da questo modello.”

Alan Turing (1912–1954) matematico, logico e crittografo britannico

Mechanical Intelligence: Collected Works of A.M. Turing

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“…a volte inizio una frase in francese e la finisco in fiammingo, e in mezzo uso un paio di espressioni in spagnolo, portoghese o lingala, a seconda di dove sono. Io vengo dal Belgio. Veniamo tutti dal Belgio. È questo che rende figo questo paese, no?”

Romelu Lukaku (1993) calciatore belga

Origine: Citato in In che lingua si parlano i giocatori del Belgio? https://www.ilpost.it/2018/07/02/lingua-nazionale-calcio-belgio/, Il Post.it, 2 luglio 2018.

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“Io sono musulmana ma non uso il velo. Per i terroristi sono quindi una delle peggiori miscredenti.”

Asma al-Assad (1975) moglie del presidente siriano Bashar al-Asad

Origine: Citato in Incontro con la First Lady siriana Asma al-Assad http://www.difesaonline.it/evidenza/editoriale/incontro-con-la-first-lady-siriana-asma-al-assad, Difesaonline.it, 7 febbraio 2016.

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“Tutto ciò di estremamente importante ti è stato già donato: si chiama vita. Fanne buon uso.”

Prevale (1983) disc jockey, produttore discografico e conduttore radiofonico italiano

Origine: prevale.net

“Il problema non è la tecnologia in sé, ma l’uso che se ne fa. Ogni cosa comporta dei rischi, l’importante è essere consapevoli e valuta re se il prezzo che paghiamo (meno privacy) è adeguato a quanto riceviamo in cambio”

Frase tratta dal libro “Fact Checking – La realtà dei fatti, la forza delle idee” di Stefano Nasetti (Ed. 2021) ISBN: 9791220817066 e ISBN cartaceo: 9791220817578

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“Ognuno chiama barbaro quello che non è nei suoi usi. [Nel proprio paese, ] ivi è sempre la perfetta religione, il perfetto governo, l'uso perfetto e compiuto di ogni cosa.”

Michel De Montaigne (1533–1592) filosofo, scrittore e politico francese

1996, lib. I, cap. 31, p. 272; citato in Losurdo 2005, p. 44

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“Per completare la mia esposizione precedente devo aggiunger che fin dall'inizio ho esercitato l'ipnosi per uno scopo che nulla aveva a che fare con la suggestione ipnotica. Mi sono avvalso dell'ipnosi per interrogare il malato sulla genesi dei suoi sintomi, genesi sulla quale nello stato di veglia egli non era spesso in grado di dire alcunché, o comunque troppo poco. Questo procedimento non solo si rivelò più efficace del mero comando o divieto, ma aveva inoltre il vantaggio di offrire soddisfazione alla brama di sapere del medico, che dopo tutto aveva il diritto di apprendere qualcosa circa l'origine di quel fenomeno che cercava di eliminare mediante il monotono procedimento della suggestione. A quest'altro modo di usare l'ipnosi ero giunto per la via seguente. Quando ancora lavoravo nel laboratorio di Brücke avevo conosciuto il dottor Josef Breuer, uno dei medici di famiglia più stimati di Vienna … Già prima del mio viaggio a Parigi, Breuer mi aveva parlato di un caso d'isteria da lui sottoposto, dal 1880 al 1882, a un trattamento particolare, per mezzo del quale era riuscito a penetrare profondamente nella motivazione e nel significato dei sintomi isterici … Quando era ricorsa alle cure di Breuer la paziente offriva un quadro sintomatico complesso e variopinto: paralisi con contratture, inibizioni e stati di confusione psichica. Un'osservazione casuale permise al medico di scoprire che la malata poteva essere liberata da tali turbamenti della sua coscienza se e quando veniva indotta a dare espressione verbale alle fantasie affettive che in quel momento la dominavano. Breuer trasse da questa scoperta un metodo terapeutico. Ripetutamente, dopo aver sottoposto la paziente a ipnosi profonda, la invitò a raccontare ciò da cui l'animo suo si sentiva oppresso. Dominati in tal modo gli accessi di ottenebramento depressivo, fece uso di questo stesso procedimento per eliminare le inibizioni e i disturbi somatici. Durante lo stato di veglia la giovinetta, al pari di qualsiasi altro malato, non sapeva dir nulla sull'origine dei suoi sintomi né ravvisava alcun legame fra questi ultimi e le impressioni della sua vita … Quando dunque la malata rammentava allucinatoriamente in ipnosi una di queste situazioni e portava finalmente a compimento l'atto psichico a suo tempo represso, dando libero sfogo ai propri affetti, ecco che il sintomo scompariva per sempre.”

Sigmund Freud (1856–1939) neurologo e psicoanalista austriaco, fondatore della psicoanalisi

Origine: Autobiografia (1925), p. 87 e s.

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“Non si devono giudicare i meriti di un uomo dalle sue grandi qualità, ma dall'uso che ne sa fare.”

François de La Rochefoucauld (1613–1680) scrittore, filosofo e aforista francese

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Massime, Riflessioni morali

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“La forza è la regina del mondo, non già l'opinione. – Ma l'opinione fa uso della forza.”

Blaise Pascal (1623–1662) matematico, fisico, filosofo e teologo francese

n. 303, 1994

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“Armonia, armonia, linguaggio inventato dal genio umano per uso dell'amore, ci venisti dall'Italia, dove eri venuto dal cielo.”

Alfred De Musset (1810–1857) poeta, scrittore e drammaturgo francese

Da Le Saule, fragment, I, nelle "Premières Poésies", e anche in Lucie, élégie, nelle "Poésies nouvelles".

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“Che cos'è la verità? (Inertia; l'ipotesi che ci soddisfa; il minimo uso di forza spirituale ecc.).”

III, Principio di una nuova posizione di valori, 537; 1995
La volontà di potenza

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“L'astronomia insegna l'uso corretto dei soli e dei pianeti.”

Stephen Leacock (1869–1944) scrittore, economista

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