Frasi sulle persone
pagina 52

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“All'inizio dell'anno scolastico, mi capita di chiedere ai miei studenti di descrivermi una biblioteca. Non una biblioteca pubblica. No, il mobile, quello dove si mettono i libri. E loro mi descrivono un muro. Una scogliera di sapere, rigorosamente ordinata, assolutamente impenetrabile, una parete contro la quale non si può fare altro che rimbalzare.
- E un lettore? Descrivetemi un lettore.-
- Un vero lettore?-
- Se volete, anche se non so cosa intendete per vero lettore.-
I più - rispettosi- fra loro mi descrivono il Padreterno in persona, una specie di eremita antidiluviano, seduto da sempre su una montagna di libri dei quali avrebbe succhiato il senso fino a capire il perché di tutte le cose. Altri mi abbozzano il ritratto di un individuo affetto da autismo profondo, talmente assorbito nei libri da andare a sbattere contro tutte le porte della vita. Altri ancora mi fanno un ritratto in negativo, applicandosi a enumerare tutto ciò che un lettore non è: non è sportivo, non è vivace, non è simpatico, non gli piace né il mangiare, né il vestirsi, né le auto, né la tivù, né la musica, né gli amici… altri, infine, più - strateghi- erigono davanti al professore la statua accademica del lettore consapevole dei mezzi messi a disposizione dai libri per accrescere le sue conoscenze e affinare le sue facoltà intellettuali. Alcuni mescolano questi diversi registri, ma non ce n'è uno, uno solo che descriva se stesso, o un membro della sua famiglia o uno degli innumerevoli lettori che incrocia tutti i giorni sulla metropolitana.”

Comme un roman

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“Dovessimo restare zitte e non parlare, il nostro abbigliamento e la condizione dei nostri corpi saprebbero tradire la vita che abbiamo condotta dopo il tuo esilio. Pensa un poco teco quanto più sfortunate di ogni donna vivente siamo noi qua venute, poiché la tua vista che dovrebbe far fluire di gioia i nostri occhi, far danzare i nostri cuori di consolazione, costringe quelli a piangere e questi a tremare di paura e di dolore, ponendo la madre, la sposa e il figlio a vedere il figlio, il marito e il padre che dilacera via le viscere della sua patria. E a noi poverine la tua inimicizia è quanto mai fatale: c’interdici le preghiere ai nostri Dei, ed è questo un conforto che tutti godono eccettuate noi; infatti, come possiamo noi, ahimè, come possiamo noi pregare per la nostra patria, a cui siamo vincolate. Insieme con la vittoria tua, a cui siamo ligie? Povere noi! O noi dobbiamo perdere la patria, nostra cara nutrice, o altrimenti perdere la tua persona, conforto nostro in patria. Subire noi dobbiamo una calamità evidente, anche se fosse soddisfatto il nostro augurio che da una parte abbia da vincere; perché o tu dovrai, come straniero rinnegato, essere condotto ammanettato per le nostre vie, oppure dovrai marciare trionfalmente sulle rovine della tua patria e meritar la palma per aver prodemente versato il sangue di tua moglie e dei tuoi figli. In quanto a me, o figlio, non intendo farmi ancella alla fortuna sinché non siano finite queste guerre: se non mi sia dato persuaderti di mostrare nobile amistà alle due parti anziché volere la morte di una, tu non marcerai ad assalire la tua patria senza prima calpestare – sta sicuro che non lo farai – il ventre di tua madre che ti ha messo a questo mondo. (Atto V, scena III)”

Coriolanus

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“Sa come dice la regola giornalistica: se due persone dicono di litigare per le proprie idee, sembrerà che abbiano davvero delle idee.”

Stefano Benni (1947) scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano

Baol. Una tranquilla notte di regime

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“A sei anni i miei genitori mi raccontarono che dentro il mio cranio c’era una gemma piccola e scura, che imparava a essere me.
Microscopici ragni avevano tessuto una ragnatela dorata nel mio cervello, perché l’contenuto nella gemma potesse udire il sussurro dei miei pensieri. La gemma origliava i miei sensi e interpretava i messaggi chimici trasportati dalla circolazione sanguigna: la gemma vedeva, udiva, odorava, gustava e toccava il mondo esattamente come me, mentre l’istruttore monitorava i suoi pensieri e li confrontava con i miei. Ogni qualvolta questi pensieri erano sbagliati, l’istruttore, più veloce del pensiero, dava una risistemata alla gemma, facendo una piccola modifica qua e là, apportando i cambiamenti necessari per correggere i suoi pensieri.
Perché? Perché quando non avessi più potuto essere me, la gemma avrebbe potuto esserlo al posto mio.
Io pensai: “Se ciò che sento mi fa sentire strano e mi dà le vertigini, cosa deve provare la?”. Esattamente la stessa cosa, riflettei; non sa di essere la gemma e anch’essa si domanda cosa può provare la gemma, rispondendosi poi:
“Esattamente la stessa cosa, non sa di essere la gemma, e anch’essa si domanda cosa può provare la gemma”.
E anch’essa si chiede…
(Ne ero certo, visto che io me lo domandavo.)
… anch’essa si interroga se è l’Io reale o se semplicemente è la gemma che sta imparando a essere me.

Divenuto un dodicenne pieno di superbia e di scherno, mi presi gioco di quelle preoccupazioni infantili. Tutti avevano la gemma, salvo i membri di oscure sette religiose, e sprecare tempo su una banalità simile mi appariva una perdita di tempo. La gemma era la gemma, un fatto universale della vita, una cosa comune come una cacca. Io e i miei amici vi costruivamo battute stupide, come facevamo con le cose del sesso, per provare a noi stessi quanto eravamo saputi in quel campo.
In realtà, però, non eravamo saputi e imperturbabili come pretendevamo di essere. Un giorno, mentre giocavamo nel parco chiacchierando del più e del meno, uno della banda, il suo nome l’ho dimenticato, ma lo ricordo come una persona troppo intelligente per il suo stesso bene, si mise a domandare a ciascuno di noi: — Chi sei tu? La gemma o l’essere umano?
Noi tutti rispondemmo indignati, senza esitare: — L’essere umano!
Quando tutti ebbero risposto, lui rise e affermò: — Bene, io no. Io sono la gemma. Siete degli stronzi perdenti e mangerete merda, perché voi tutti finirete spazzati via nel cesso cosmico, ma io, io vivrò per sempre.
Lo picchiammo fino a fargli colare il sangue dal naso.

Dal racconto.”

Greg Egan (1961) scrittore di fantascienza australiano

Axiomatic

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“L’autobus correva lungo una striscia di cemento molto stretta a pelo dell’acqua senza parapetto, niente; tutto lì. L’autista si appoggiava allo schienale e passava rombando su quella stretta striscia di cemento circondata dall’acqua e tutti i passeggeri dell’autobus, venticinque o quaranta o cinquantadue persone si fidavano di lui, ma io no. Ogni tanto c’era un nuovo autista e io pensavo, come li scelgono, questi figli di puttana? L’acqua è profonda su tutt’e due i lati e basta un piccolo errore per andare tutti al creatore. Era ridicolo. Mettiamo che quella mattina avesse litigato con la moglie. O che avesse il cancro. O che vedesse la Madonna. O che avesse i denti cariati. Qualunque cosa. Bastava un niente. Avrebbe potuto impazzire. Buttarci tutti di sotto. Sapevo che se ci fossi stato io, al suo posto, avrei preso in considerazione la possibilità di trascinare tutti in acqua. Mi sarebbe piaciuto. e qualche volta, dopo considerazioni del genere, la possibilità diventa realtà. Per ogni Giovanna d’Arco c’è un Hitler appollaiato dall’altra estremità dell’altalena. La vecchia storia del bene e del male. Ma nessuno di quegli autisti ci buttò mai di sotto. Pensavano soltanto alle rate della macchina, alla partita di baseball, al taglio dei capelli, alle ferie, ai clisteri, alle domeniche in famiglia. In quel branco di merdosi non c’era nemmeno un vero uomo. Arrivavo sempre al lavoro con la nausea ma sano e salvo. Il che dimostra che Schumann era più relativo di Shostakovich…”

Factotum

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“(…) Ma perché non siete mai a scuola? vi vedo ogni giorno, in giro, sempre vagabonda…"
"Oh, non soffrono troppo della mia mancanza, credetemi" rispose lei. "Sono un temperamento asociale, dicono. Non mi mescolo con gli altri. Ed è strano, perché io sono piena di senso sociale, invece. Tutto dipende da che cosa si intenda per senso sociale, non vi sembra? Per me significa parlare con voi di cose come queste. (…) O anche parlare di quanto è strano questo mondo. Stare con la gente è una cosa bellissima. Ma non mi sembra sociale riunire un mucchio di gente, per poi non lasciarla parlare, non sembra anche a voi? Un'ora di lezione davanti alla TV, un'ora di pallacanestro, o di baseball o di footing, un'altra ora di storia riassunta o di riproduzione di quadri celebri e poi ancora sport, ma, capite, nopn si fanno domande, o almeno quasi nessuno le fa; loro hanno già le risposte pronte, su misura, e ve le sparano contro in rapida successione, bang, bang, bang, e intanto noi stiamo seduti là per più di quattr'ore di lezioni con proiezioni. Tutto ciò per me non è sociale. E' tutt'acqua rovesciata a torrenti, risciacquatura è, mentre loro ci dicono che è vino quando non lo è. Ci riducono in condizioni così pietose, quando viene la sera, che non possiamo fare altro che andarcene a letto o rifugiarci in qualche Parco Divertimenti a canzonare o provocare la gente, a spaccare vetri nel Padiglione degli spaccavetri o a scassare automobili, nel Recinto degli scassamacchine, con la grossa sfera d'acciaio. O non ci resta che salire in macchina e correre pazzamente per le strade, cercando di vedere quanto da vicino si possano sfiorare i lampioni e quanto strette si possano fare le curve, magari sulle due ruote laterali. Può darsi benissimo che io sia proprio quello che dicono, d'accordo. Non ho amici, io. E questo dovrebbe provare che sono anormale. Ma tutte le persone che conosco urlano e ballano intorno come impazzite o addirittura si battono a vicenda, selvaggiamente. Avete notato come la gente si faccia male, di questi tempi? (…) Ho paura dei ragazzi della mia età. Si uccidono a vicenda. (…) Sei amici miei sono morti d'arma da fuoco da un solo anno a questa parte. Dieci ne sono morti in incidenti automobilistici. Mi fanno paura e loro non mi hanno in simpatia perché ho paura
(…)
Soprattutto mi piace studiare la gente. A volte passo l'itera giornata nella Ferrovia Sotterranea, a sentir le persone parlare, a guardarle. Mi piace indovinare chi sia quel tale, che cosa voglia quell'altro, dove vadano. Spesso scivolo come un serpente su una vettura della Sotterranea a sentire cosa dicono le persone. O nelle mescite di bibite e dolci, e sapete cosa ho scoperto? (…) Che la gente non dice nulla. (…) Parla di una gran quantità di automobili, parla di vestiti e di piscine e dice che sono una meraviglia! Ma non fanno tutti che dire le stesse cose e nessuno dice mai qualcosa di diverso dagli altri. E quasi sempre nei caffè hanno le macchinette d'azzardo in funzione, si raccontano le stesse barzellette, oppure c'è la parete musicale accesa con i disegni a colori che vanno e vengono.”

Ray Bradbury (1920–2012) scrittore statunitense
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“Quando ero piccola mia madre mi lesse una storia su una ragazzina cattiva. La lesse a me e a mia sorella: ce ne stavamo rannicchiate contro il suo corpo sedute sul divano, mentre lei leggeva ad alta voce un libro che teneva sulle ginocchia. La luce della lampada splendeva su di noi, avvolte da una coperta. La ragazza della storia era bella e crudele. Sua madre era povera, perciò la mandava a lavorare per una famiglia di persone ricche che la viziavano e la coccolavano, ma le dicevano anche di andare a trovare la madre. Lei però si sentiva troppo importante, e si limitava a farsi vedere. Un giorno quella gente ricca la mandò a casa con una pagnotta per la madre, ma quando la ragazza si trovò davanti a una pozzanghera di fango, per non sporcarsi le scarpe ci buttò il pane, e ci mise i piedi sopra. La pagnotta affondò come in una palude, e lei affondò con essa, scendendo giù giù fino a un mondo popolato di demoni e creature orribili. Dal momento che era bella, la regina dei demoni ne fece una statua per donarla al suo bisnipote. La ragazza venne coperta da serpenti e melma, intrappolata e circondata dall’odio di ogni altra creatura. Soffriva la fame, ma non riusciva a mangiare il pane che non le si staccava dai piedi, e poteva sentire quello che la gente diceva di lei: un ragazzo che passava di lì aveva visto che cosa le era successo e lo aveva raccontato a tutti, e tutti dicevano che se lo meritava, persino sua madre diceva che se lo meritava. La ragazza non poteva muoversi, ma anche se avesse potuto avrebbe finito per torcersi di rabbia. “Non è giusto!”, urlò mia madre, facendo il verso alla ragazza cattiva.
Io me ne stavo seduta contro mia madre mentre ci raccontava la storia, e forse per questo mi sembrò di non sentirla semplicemente con le orecchie: la sentii nel suo corpo. Sentivo una ragazza che voleva essere troppo bella. Sentivo una madre che voleva amarla. Sentivo un demone che voleva torturarla. E li sentivo così strettamente mescolati dentro di me che non c’era modo di separare tutte quelle emozioni. La storia mi terrorizzò e mi misi a piangere. Mia madre mi prese tra le sue braccia. “Aspetta”, disse, “la storia non è finita: lei sarà salvata dalle lacrime di una bambina innocente come te”. Mia madre mi baciò sulla fronte per poi finire di raccontare la storia. E io l’ho dimenticata per molto, molto tempo.”

Veronica

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“Dice che, a pensarci, è curioso che persone normali, intelligenti, possano credere a una cosa tanto pazzesca come la religione cristiana, una cosa in tutto e per tutto identica alla mitologia greca o alle favole. […]
Eppure viene creduta. Sono in molti a crederci. Durante la messa recitano il Credo, ogni frase del quale è un insulto al buonsenso, e lo recitano nella loro lingua, che si presume capiscano. Quand’ero piccolo, la domenica mio padre mi portava in chiesa e gli dispiaceva che la messa non fosse più in latino, un po’ per passatismo, e un po’ perché, ricordo ancora le sue parole, «in latino non ci si accorgeva che scemenza fosse». Ci si può rassicurare dicendo: non ci credono. Come non credono a Babbo Natale. Fa parte di un retaggio, di abitudini secolari e belle alle quali sono attaccati. Tramandandole, affermano un legame, di cui vanno fieri, con ciò che ha ispirato le cattedrali e la musica di Bach. Borbottano quelle parole perché è la consuetudine, come noialtri radical-chic, per i quali il corso di yoga della domenica mattina ha preso il posto della messa, borbottiamo un mantra seguendo il maestro prima di cominciare la pratica. In questo mantra, tuttavia, ci auguriamo che la pioggia cada al momento giusto e tutti gli uomini vivano in pace, nient’altro che pii desideri, probabilmente, i quali però non offendono la ragione, e questa è una differenza sostanziale con il cristianesimo.”

Le Royaume

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“Decisi che avrei scoperto chi aveva ucciso Wellington, anche se mio padre mi aveva ordinato di non ficcare il naso negli affari degli altri.
Perché non faccio sempre quello che mi dicono di fare.

Perché quando qualcuno mi dà degli ordini, di solito sono cose che mi confondono e che non hanno nessun senso.

Per esempio quando dicono “Sta’ zitto”, ma non specificano per quanto tempo devi stare zitto. Oppure se su un cartello vedi NON CALPESTARE IL PRATO, in realtà dovrebbe esserci scritto NON CALPESTARE IL PRATO INTORNO A QUESTO CARTELLO oppure NON CALPESTARE IL PRATO DI QUESTO PARCO, perché invece ci sono molti prati su cui si può camminare.

La gente non rispetta mai le regole. Mio padre per esempio va a più di 90 chilometri all’ora nelle strade dove non si devono superare i 90 chilometri all’ora, e qualche volta guida dopo aver bevuto e spesso non si mette la cintura di sicurezza quando prende il furgone. E nella Bibbia si legge Non uccidere, ma ci sono state le Crociate e due Guerre Mondiali e la Guerra del Golfo e in ognuna di queste guerre dei Cristiani hanno ucciso dei loro simili.

E poi non lo capisco, quando dice “Non ficcare il naso negli affari degli altri”, perché non so cosa sono gli “affari degli altri”; io faccio un mucchio di cose con “gli altri”, a scuola, nel negozio e sul pulmino, e il suo lavoro consiste nell’andare a casa di altre persone e riparare i loro scaldabagni e l’impianto di riscaldamento. Anche questo vuol dire farsi gli affari degli altri.

Siobhan mi capisce. Quando mi ordina di non fare una cosa mi dice esattamente cos’è che non devo fare. Così mi piace.

Per esempio una volta mi ha detto: - Non devi mai prendere a pugni Sarah o picchiarla in nessun modo, Christopher. Anche se è lei a colpirti per prima. Se succede di nuovo, allontanati, rimani immobile e conta da 1 a 50, poi vieni da me a raccontarmi cosa ha fatto o parlane con qualche altro insegnante.

Un’altra volta mi ha detto: - Se vuoi andare sull’altalena e c’è sempre qualcuno sopra, non spingerlo via. Chiedi se puoi fare un giro anche tu. E poi aspetta fino a quando non ha finito.

Gli altri però quando ti danno un ordine non si comportano in questo modo. E allora sono io a decidere cosa fare e cosa non fare.”

The Curious Incident of the Dog in the Night-Time

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