Frasi su fare
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“La mia tesi di fondo è che Borghesia e Proletariato non sono classi strutturali e permanenti dell'intero corso storico del modo di produzione capitalistico, ma solo classi genetiche, iniziali e provvisorie di esso. Nell'attuale età del capitalismo esse sono nell'essenziale già tramontate, e senza comprendere la dinamica del loro tramonto non è possibile neppure impostare il problema della natura di una crisi culturale. A mio parere siamo infatti oggi in un'età post-borghese e post-proletaria. Ritengo invece di dover usare la dicotomia di Dominanti e Dominati. Mi si potrebbe obbiettare che si tratta di una dicotomia tautologica e generica, che peggiora anziché migliorare la dicotomia precedente. Non lo credo. Non si tratta di fare il giochetto verbale di continuare a chiamare "borghesia" i dominanti capitalisti e "proletariato" i dominati salariati. Si tratta di comprendere che, in mancanza di una credibile terminologia scientifica ammessa da tutti, è meglio fare un passo indietro e limitarci a chiamare Dominanti e Dominati gli agenti storici attivi e passivi della riproduzione sociale complessiva del modo di produzione capitalistico. Almeno ci sottrarremo agli inganni del linguaggio consueto, quelli che Bacone chiamava idola fori.”

Costanzo Preve (1943–2013) filosofo e saggista italiano

Origine: Da La crisi culturale della terza età del capitalismo. Dominanti e dominati nel tempo della crisi del senso e della prospettiva storica http://www.petiteplaisance.it/ebooks/1031-1060/1038/el_1038.pdf, Petite Plaisance, 2010.

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“Il premier Enrico Letta e l'attuale nomenklatura del Pd non possono limitarsi alla scelta cinica di dedicarsi a un giochino precongressuale, e cioè fare la faccia feroce per guadagnare titoli antiberlusconiani, rinviare (o evitare del tutto) le assise e la sfida difficile con il favorito Matteo Renzi, e così conquistarsi una ricandidatura per via di palazzo o per via elettorale.”

Daniele Capezzone (1972) politico italiano

citato in La paura del Pdl: un Letta-bis. Vertice ad Arcore http://www.unita.it/italia/berlusconi-pdl-pd-governo-letta-alfano-brunetta-crisi-politica-italia-news-santanch%25C3%25A9-epifani-grillo-1.517440, Unità. it, 23 agosto 2013

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“[…] don Verzè era più laico di molti laici. Quando si prospettò la possibilità di fare ricerca sulle staminali per curare tante malattie, mi chiamò e mi disse: "Professore, noi questa cosa dobbiamo farla. Attrezziamoci e partiamo!”

Edoardo Boncinelli (1941) genetista italiano

Origine: Dall'intervista di Roberto Carnero, Contro i fanatismi ci può vaccinare soltanto la cultura http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2015/06/26/news/contro-i-fanatismi-ci-puo-vaccinare-soltanto-la-cultura-1.11683173, ilpiccolo.gelocal.it, 26 giugno 2015.

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“Io essendo uno scrittore non posso fare altrimenti, e me ne frego della volgarità del candidato repubblicano: non sarà mai volgare quanto un censore, quanto uno di quelli che vogliono leggi contro l'omofobia o l'islamofobia per togliere alle persone anche il diritto di avere paura. Io li disprezzo gli scrittori, i giornalisti, gli artisti che votano per farsi applicare la museruola”

Camillo Langone (1962) giornalista e scrittore italiano

disprezzo quasi tutti, dunque
Origine: Da Clint Eastwood mi ha convinto, voterò Trump http://www.ilfoglio.it/preghiera/2016/08/05/clint-mi-hai-convinto-voter-donald___1-vr-145524-rubriche_c191.htm, Il Foglio.it, 5 agosto 2016.

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“[Riferendosi al suo periodo al Brescia] Quando Roby si allenava, dava sempre tutto. Sembrava sempre un ragazzino, ed io lo invidiavo. In quel periodo faceva da chioccia a molti di noi. Diceva sempre, per ogni problema o consiglio, io sono qui… All'epoca ero giovane, ed a volte capitava che mi alzavo dal letto con zero voglia di allenarmi. Capitò un periodo in cui fallivo molte occasioni da goal. La porta non la vedevo proprio. Un giorno Roby, in allenamento, mi vide giù di morale, si avvicinò a me e disse: Luca, nel calcio capitano quei momenti, non ti abbattere, se posso darti un consiglio, quando sei davanti alla porta, prima di tirare, con l'occhio guarda per un secondo il portiere. Sembra una stronzata, ma in quel momento capisci che intenzioni ha. Ricordati che la porta è di sette metri, ed il portiere occupa solo un settimo dello specchio… A fine allenamento, rimaniamo a fare un po' di uno contro uno con il portiere. Parto prima io e poi tu. Guardami però, così vedi un po' quello che faccio io… Non sto qui a raccontarvi che lui fece sempre goal. Da lì però imparai ad essere più calmo, e da quel giorno anche grazie a Roberto, non mi sono più fermato.”

Luca Toni (1977) calciatore italiano

Origine: Da un'intervista rilasciata al Corriere dello Sport, citato in Luca Toni racconta Roberto Baggio http://hellaslive.it/news/luca-toni-racconta-roberto-baggio/, HellasLive.it, 25 gennaio 2016.

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“Tutto quanto essi stabiliscono sul fare e il non fare, mira alla divinità.”

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Vita di Pitagora
Origine: Citato in Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci, Roma, 2008, p. 18. ISBN 978-88-430-4574-7

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“[Sulla Sezione Otto] Sono praticamente gli unici personaggi DC dei quali volevo scrivere, cosa che desideravo fare da molto tempo.”

Garth Ennis (1970) fumettista britannico

Origine: Raffaele Caporaso, Ennis su All Star Section Eight: Sono i soli personaggi DC di cui volevo scrivere http://www.badcomics.it/2015/06/ennis-su-all-star-section-eight-sono-i-soli-personaggi-dc-di-cui-volevo-scrivere/67564/, BadComics.it, 18 giugno 2015

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“[Riferito al PSG] Qui mi vogliono bene? Certo, ma non credo che possano rimpiazzare la Tour Eiffel con una mia statua… Nemmeno i dirigenti ce la possono fare. Ma se ce la facessero rimarrei qui, promesso.”

Zlatan Ibrahimović (1981) calciatore svedese

Origine: Durante un'intervista al termine della partita Troyes-Paris-Saint Germain del 13 marzo 2016; citato in Alessandro Grandesso, Ibra, messaggio al Psg: "Per ora non sarò qui la prossima stagione" http://www.gazzetta.it/Calcio/Ligue-1/13-03-2016/ibrahimovic-psg-ligue1-mercato-1401005352957.shtml?refresh_ce-cp, Gazzetta.it, 13 marzo 2016.

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“Non sapevo che volevo fare film fino a quando non ho iniziato a farli.”

Gael García Bernal (1978) attore messicano

2006

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“Indossa un maglione blu e ha il piglio deciso del direttore dei lavori, del comandante dei pompieri, del capo militare, ma anche la comprensione del prete. Silvio Berlusconi nelle emergenze si esalta. La sua attitudine è la politica del «fare.»”

Augusto Minzolini (1958) giornalista italiano

citato in Il piano giapponese del premier operaio http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=9217396, la Stampa, 9 aprile 2009

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“Sarebbe disdicevole se il governo cadesse ma naturalmente non siamo disponibili a mandare avanti un governo [il governo Letta] se la sinistra dovesse intervenire su di me, sul leader del Pdl, impedendogli di fare politica.”

Silvio Berlusconi (1936) politico e imprenditore italiano

2013
Origine: Da un collegamento telefonico con Bassano del Grappa durante una riunione dell'Esercito di Silvio; citato in Berlusconi: «Se la sinistra mi fa decadere il governo cade e sarebbe disdicevole» http://www.corriere.it/politica/13_agosto_30/berlusconi-se-sinistra-mi-fa-decadere-governo-cade_a3e4581a-119b-11e3-b5a9-29d194fc9c7a.shtml, Corriere.it, 30 agosto 2013.

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“Non è vero che ci sono parole per esprimere ogni cosa. E non è neanche vero che i pensieri sono fatti sempre di parole.(…) Le regioni interiori non coincidono con il linguaggio, esse si trascinano là dove le parole non riescono a soffermarsi. Spesso sono le cose essenziali quelle su cui non si può dire più niente, e l'impulso di parlarne scorre bene perché va oltre senza fermarcisi. Solo in occidente si pensa di risolvere questo disordine parlandone. Il parlare non rimette ordine né nella vita del campo di mais né in quella sull'asfalto. E solo in occidente si pensa anche che non ha senso ciò che non si riesce a sopportare. Che cosa può fare il parlare? Quando gran parte della mia vita non quadra più, anche le parole vanno a fondo. Ho visto precipitare le parole che avevo. Ed ero certa che insieme ad esse, se le avessi avute, sarebbero precipitate anche quelle che non avevo. Le parole non esistenti sarebbero diventate come quelle esistenti che precipitavano. Non ho mai saputo di quante parole ci sarebbe stato bisogno per coprire completamente lo smarrimento della fronte. Uno smarrimento che subito si allontana di nuovo dalle parole trovate per definirlo. Ma di quali parole si tratta e come dovrebbero essere subito pronte a scambiarsi con altre per recuperare i pensieri. E che cosa significa recuperare. Il pensiero però parla con se stesso in modo del tutto diverso da come le parole parlano con esso. Il desiderio tuttavia di poterlo dire. Se non avessi avuto sempre questo desiderio, non si sarebbe arrivati a sperimentare nomi per il cardo da latte, per chiamarlo con il suo vero nome. Senza questo desiderio non avrei prodotto intorno a me quel senso di vergogna come conseguenza di una vicinanza malriuscita.”

Herta Müller (1953) scrittrice tedesca

Il re s'inchina e uccide

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“Caro Bettino, come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante ha annunciato che dopo la visita a Torino, Guffanti e Cabassi, la Polizia tributaria si interesserà a me… Ti ringrazio per quello che crederai sia giusto fare.”

Silvio Berlusconi (1936) politico e imprenditore italiano

1980
Origine: Da una lettera inviata a Bettino Craxi, allora leader del PSI; citato in Marco Travaglio, Berlusconi, storia dell'evasore-corruttore da Craxi a Mills http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/08/berlusconi-storia-dellevasore-corruttore-da-craxi-a-mills, IlFattoQuotidiano.it, 8 agosto 2013.

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“Gli esperti tendono a pensare perché non è possibile fare una certa cosa, mentre noi abbiamo sempre insistito per creare qualcosa dal nulla.”

Masaru Ibuka (1908–1997) imprenditore, ingegnere e scrittore giapponese

citato in Focus, n. 108, p. 204

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“Nel modo in cui si parla di me, mi si manca di rispetto. Ma mi devo adattare. Non cambierò, il calcio italiano non mi cambierà, la società italiana non mi cambierà. E l'ultima cosa che voglio fare io è cambiare qualcosa. Non voglio cambiare niente.”

José Mourinho (1963) allenatore di calcio e calciatore portoghese

Inter (2008-2010)
Origine: Da un'intervista al TG5; citato in Mourinho anti-recessione "Mi taglierei lo stipendio" http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/Squadre/Inter/Primo_Piano/2008/10/10/mourinho.shtml, Gazzetta.it, 10 ottobre 2008.

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“BIANCO- Non mi pare proprio. Lei lo vede, Gesù?
NERO- No. Non lo vedo.
BIANCO- Però ci parla.
NERO- Ogni santo giorno.
BIANCO- E lui parla con lei.
NERO- Mi ha parlato. Si.
BIANCO- Ma lei lo sente? Sente proprio la sua voce?
NERO- No, non sento la sua voce. Non sento neanche la mia, se è per questo. A lui però l'ho sentito.
BIANCO- Bè, allora Gesù non potrebbe essere soltanto nella sua testa?
NERO- Infatti è nella mia testa.
BIANCO- Allora non capisco cos'è che sta cercando di dirmi.
NERO- Lo so che non capisci, zuccherino. Sta' a sentire. La prima cosa che devi tenere presente è che io, nella testa, non ho manco un pensiero originale. Se non ho dentro la scia del profumo della divinità, allora non mi interessa.
BIANCO- La scia del profumo della divinità.
NERO- Esatto. Che te ne pare?
BIANCO- Non è male.
NERO- L'ho sentito alla radio. Da un predicatore nero. Ma il punto è che ci ho anche provato a fare nell'altro modo. E mica a spizzichi e bocconi, eh. Dico proprio benda sugli occhi, briglia sciolta e via a correre in mezzo ai boschi. Oddio. Ci ho provato eccome. Se trovi un cristiano che ci ha provato più di me, mi piacerebbe conoscerlo. Mi piacerebbe davvero. E secondo te che cosa ci ho guadagnato?
BIANCO- Non lo so. Che cosa ci ha guadagnato?
NERO- La morte in vita. Ecco cosa ci ho guadagnato.
BIANCO- La morte in vita.
NERO- Esatto. Ero un cadavere ambulante. Così morto che non sapevo manco stendermi nella tomba.”

The Sunset Limited

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“So che stai leggendo tardi questa
poesia, prima di lasciare l' ufficio
con l'abbagliante lampada gialla e la finestra nel buio
nell'apatia di un fabbricato sbiadito nella quiete
dopo l'ora di traffico. So che stai leggendo questa poesia
in piedi nella libreria lontano dall'oceano
in un giorno grigio di primavera, fiocchi sparsi di neve
spinti attraverso enormi spazi di pianure intorno a te.
So che stai leggendo questa poesia
in una stanza dove tanto è accaduto che non puoi sopportare
dove i vestiti giacciono sul letto in cumuli stagnanti
e la valigia aperta parla di fughe
ma non puoi ancora partire. So che stai leggendo questa poesia
mentre il treno della metropolitana perde velocità e prima di salire
le scale
verso un nuovo tipo d'amore
che la vita non ti ha mai concesso.
So che stai leggendo questa poesia alla luce
del televisore dove immagini mute saltano e scivolano
mentre tu attendi le telenotizie sull'intifada.
So che stai leggendo questa poesia in una sala d'attesa
Di occhi che s'incontrano sì e no, d'identità con estranei.
So che stai leggendo questa poesia sotto la luce al neon
nel tedio e nella stanchezza dei giovani fuori gioco,
che si mettono fuori gioco quando sono ancora troppo giovani. So
che stai leggendo questa poesia con una vista non più buona, le spesse lenti
ingigantiscono queste lettere oltre ogni significato però
continui a leggere perché anche l'alfabeto è prezioso.
So che stai leggendo questa poesia mentre vai e vieni accanto alla stufa
scaldando il latte, sulla spalla un bambino che piange, un libro
nella mano
poiché la vita è breve e anche tu hai sete.
So che stai leggendo questa poesia non scritta nella tua lingua
indovinando alcune parole mentre altre continui a leggerle
e voglio sapere quali siano queste parole.
So che stai leggendo questa poesia mentre ascolti qualcosa,
diviso fra rabbia e speranza
ricominciando a fare di nuovo il lavoro che non puoi rifiutare.
So che stai leggendo questa poesia perché non rimane
nient'altro da leggere
là dove sei atterrato, completamente nudo.”

Adrienne Rich (1929–2012) poetessa e saggista statunitense

An Atlas of the Difficult World

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“Ti scrivo mentre tu sei da qualche parte a comprare la Coca-Cola. È la prima volta in vita mia che scrivo una lettera a qualcuno seduto accanto a me su una panchina. Ma se non facessi così dubito che riuscirei a farti arrivare quello che ti voglio dire. Perché tu non ascolti niente di quello che dico, prova a dire che non è vero. “Se può interessarti, oggi tu hai fatto una cosa molto grave nei miei confronti. Non ti sei neanche accorto che ho cambiato pettinatura. Piano piano, con sacrificio, avevo aspettato che mi crescessero i capelli e lo scorso week-end finalmente mi sono fatta fare un taglio femminile. Ma tu non ci hai fatto neanche caso. Ero così sicura di essere carina nella mia nuova pettinatura che non vedevo l'ora di farti una sorpresa, tanto più che era la prima volta che ci vedevamo da tanto tempo. E tu non te ne sei nemmeno accorto! Ti rendi conto di che vuoi dire? Figuriamoci, se è per questo probabilmente non sapresti dire neanche com'ero vestita. Ma guarda che io sono una donna. Per quanti pensieri tu possa avere, potresti almeno degnarmi di uno sguardo. Sarebbe bastato poco. Se solo mi avessi detto, non dico tanto, qualcosa tipo “Carina, questa pettinatura‟, ti avrei lasciato fare come volevi, immergerti nei tuoi pensieri quanto volevi. “Perciò sto per dirti una bugia. Ti dirò che ho un appuntamento a Ginza con mia sorella. Non è vero. Pensando di restare stanotte a dormire da te mi ero portata perfino il pigiama. Sì, se lo vuoi sapere nella mia borsa ci sono pigiama e spazzolino da denti. Mi viene da ridere, se penso a quanto sono cretina. A te l'idea di invitarmi a casa tua non ti ha sfiorato nemmeno. Ma non importa. Visto che ci tieni tanto a startene da solo fregandotene altamente di me, rimani pure da solo e pensa a tutti i tuoi problemi quanto vuoi senza nessuna interferenza da parte mia. “Il guaio è che non riesco nemmeno ad avercela con te. Mi sento soprattutto sola. In fondo sei sempre stato gentile con me mentre io per te non ho fatto niente. Tu sei sempre chiuso nel tuo mondo e ogni volta che io provo a bussare e a chiamarti tu mi lanci al massimo un'occhiata e subito ti richiudi in te stesso. “Eccoti che torni con la Coca-Cola. Vieni verso di me tutto sprofondato nei tuoi pensieri. Quanto vorrei che inciampassi! Ma non inciampi, ti siedi accanto a me come prima e bevi la tua Coca. Avevo un residuo di speranza che tornando notassi qualcosa e dicessi: “Di' un po‟, ma hai cambiato pettinatura?‟ Invece niente. Se te ne fossi accorto anche in ritardo avrei strappato questa lettera e ti avrei detto: “Dai, andiamo a casa tua. Ti cucinerò una cena favolosa e poi andremo a letto felici e contenti‟. Ma tu sei ottuso come un pezzo di legno. Sayonara.
P. S. La prossima volta che ci vediamo a lezione evita di rivolgermi la parola.”

Norwegian Wood

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“Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… /
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? /
E il rumore /
Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema /
Col mio cappello blu /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo /
Non è quel che vidi che mi fermò /
È quel chevidi /
Puoi capirlo, fratello?,… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne /
C’era tutto /
Ma non c’era. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro., sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. sei infinito. a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu /
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me /
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi /
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita /
Se quella tastiera è infinita, allora /
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio /
Cristo, ma le vedevi le strade? /
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /
A scegliere una donna /
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /
Tutto quel mondo /
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce /
E quanto ce n’è /
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… /
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.”

Novecento. Un monologo

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“A nessuno importerà quali individui siano stati modificati per costruire un romanzo. Lo so, c’è sempre un certo tipo di lettore che si sentirà in dovere di chiedere: Ma che cosa è successo veramente? La risposta è semplice: gli amanti sopravvivono, felici. Finché resterà anche una sola copia, un unico dattiloscritto della mia stesura finale, la mia Arabella dall'animo sincero e il suo principe-dottore sopravviveranno per amarsi. Il problema in questi cinquantanove anni è stato un altro: come può una scrittrice espiare le proprie colpe quando il suo potere assoluto di decidere dei destini altrui la rende simile a Dio? Non esiste nessuno, nessuna entità superiore a cui possa fare appello, per riconciliarsi, per ottenere il perdono. Non c’è nulla al di fuori di lei. È la sua fantasia a sancire i limiti e i termini della storia. Non c’è espiazione per Dio, né per il romanziere, nemmeno se fossero atei. È sempre stato un compito impossibile, ed è proprio questo il punto. Si risolve tutto nel tentativo. […] Mi piace pensare che non sia debolezza né desiderio di fuga, ma un ultimo gesto di cortesia, una presa di posizione contro la dimenticanza e l'angoscia, permettere ai miei amanti di sopravvivere e vederli riuniti alla fine. Ho regalato loro la felicità, ma non sono stata tanto opportunista da consentire che mi perdonassero, non proprio, non ancora.”

Atonement

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“Non ci accorgiamo subito, ma solo dopo, di quanto è importante la scelta né distratta, né casuale, di scrivere, di far durare le nostre visioni prima per noi, poi per qualcuno vicino e infine per tanti lontani e invisibili. Ma non è così semplice. A volte tutto questo diventa privilegio, abitudine, sopravvivenza. Scrivere non è necessariamente pubblicare, ripeto sempre. Ma ho scritto un solo libro e già soffro perché non riesco a pubblicarne un altro. E spesso mi irrito con quelli che vogliono entrare nel mio mondo, schernisco i miei compagni di desiderio, sono impaurito da questa orda di carta, da questa immigrazione di extracomunicanti. Perché volete entrare in questo mondo di premi farseschi, di parassiti accademici, di cretini televisivi elevati a saggisti e di saggisti che aspirano a diventare cretini televisivi? Perché, se ogni scrittore ben sa che un giorno, o tutta la vita, si sentirà sottovalutato e incompreso? Se un giorno deciderà di bruciare i suoi libri, e il giorno dopo vorrà segnare con una croce di sangue ogni volume non suo, acciocché l’Angelo Maceratore scenda e cancelli i suoi rivali dalla storia e dalle classifiche?
– E lei perché vuol vivere in questo difficile mondo? – disse il professor Virgilio.
– Giusto. Non perché non so fare altro. Ma perché non conosco niente di così confuso, inestricabile, e tuttavia sempre avventuroso.”

Achille piè veloce

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“E solo per un attimo avevo raggiunto quell'apice d'estasi che avevo sempre desiderato raggiungere, che era il completo passaggio attraverso il tempo cronologico nelle ombre senza tempo, e stupore nella desolazione del regno mortale, e la sensazione di morte che mi batteva ai calcagni perché andassi avanti, con un fantasma che stava alle calcagna di se stesso, e io che correvo verso un trampolino dal quale si tuffavano tutti gli angeli per volare nel vuoto sacro della vacuità non creata, le potenti e inconcepibili radiazioni che splendono nella luminosa Essenza Mentale, innumerevoli regioni del loto che sbocciavano in un magico sciamare di falene nel cielo. Potevo sentire un indescrivibile rombo ribollente che non era nelle mie orecchie ma dovunque e non aveva niente a che fare col suono. Capii che ero morto ed ero tornato alla luce innumerevoli volte ma solo non me lo ricordavo, soprattutto perché i passaggi dalla vita alla morte e di nuovo alla vita sono così fantomaticamente facili, una magica azione per nulla, come cadere addormentati e svegliarsi di nuovo un milione di volte, la pura casualità e la profonda ignoranza di ciò. Capii che era solo a causa della stabilità della Mente intrinseca che aveva luogo questo lieve ondeggiare del nascere e del morire, come l'azione del vento su una distesa di acqua pura, serena, simile a uno specchio. Provavo un senso di benedizione dolce, travolgente, come un grosso getto di eroina nella vena principale; come un sorso di vino nel tardo pomeriggio che ti fa rabbrividire; i piedi mi formicolavano. Mi pareva che sarei morto da un momento all'altro. Ma non morii…”

On the Road

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“Di solito non parlo con gli sconosciuti. Non mi piace parlare con chi non conosco. E non per via della famosa frasa Non Dare Confidenza Agli Sconosciuti che ci ripetono continuamente a scuola, che tradotto vuol dire non accettare caramelle o un passaggio da uno sconosciuto perché vuole fare sesso con te. Non è questo che mi preoccupa. Se un estraneo mi toccassse lo colpirei immediatamente, e io so colpire molto forte. Come per esempio quella volta che ho preso a pugni Sarah perché mi aveva tirato i capelli e l’ho fatta svenire e le è venuta una commozione cerebrale e avevano dovuto portarla al pronto soccorso. E poi ho sempre con me il mio coltellino svizzero che ha una lama a seghetto in grado di tranciare le dita a un uomo.
Non mi piacciono gli estranei perché non mi piacciono le persone che non conosco. Sono difficili da capire. È come essere in Francia, dove andavamo qualche volta in campeggio quando mio madre era ancora viva. E io odiavo la Francia perché se entravo in un negozio o in un ristorante o andavo in spiaggia non capivo quel che dicevano, e la cosa mi terrorizzava.

Ci metto un sacco di tempo per abituarmi alle persone che non conosco. Per esempio, quando c’è una persona nuova che viene a lavorare a scuola non le parlo per settimane e settimane. Rimango a osservarla finché non sono certo di potermi fidare. Poi le faccio delle domande su di lei, sulla sua vita, del tipo se ha degli animali e qual è il suo colore preferito e cosa sa dell’Apollo e le chiedo di disegnarmi una piantina della sua casa e voglio sapere che macchina ha, così imparo a conoscerla. Da quel momento in poi non mi preoccupo più se mi capita di trovarmi nella stessa stanza con questa persona e non sono più obbligato a stare all’erta.”

The Curious Incident of the Dog in the Night-Time

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“Nessun limite a Parigi. Nessuna città ha avuto questa dominazione che dileggiava talvolta coloro ch'essa soggioga: Piacervi o ateniesi! esclamava Alessandro. Parigi fa più che la legge, fa la moda; e più che la moda, l'abitudine. Se le piace, può esser stupida, e talvolta si concede questo lusso, allora l'universo è stupido con lei. Poi Parigi si sveglia, si frega gli occhi e dice: «Come sono sciocca!» e sbotta a ridere in faccia al genere umano. Quale meraviglia, una simile città! Quanto è strano che questo grandioso e questo burlesco si faccian buona compagnia, che tutta questa maestà non sia turbata da tutta questa parodia e che la stessa bocca possa oggi soffiare nella tromba del giudizio finale e domani nello zufolo campestre! Parigi ha una giocondità suprema: la sua allegrezza folgora e la sua farsa regge uno scettro. Il suo uragano esce talvolta da una smorfia; le sue esplosioni, le sue giornate, i suoi capolavori, i suoi prodigi e le sue epopee giungono fino in capo al mondo, e i suoi spropositi anche. La sua risata è una bocca di vulcano che inzacchera tutta la terra, i suoi lazzi sono faville; essa impone ai popoli le sue caricature, così come il suo ideale, ed i più alti monumenti della civiltà umana ne accettano le ironie e prestano la loro eternità alle sue monellerie. È superba: ha un 14 luglio prodigioso, che libera l'universo; fa fare il giuramento della palla corda a tutte le nazioni; la sua notte del 4 agosto dissolve in tre ore mille anni di feudalismo; fa della sua logica il muscolo della volontà unanime; si moltiplica sotto tutte le forme del sublime; riempie del suo bagliore Washington, Kosciusko, Bolivar, Botzaris, Riego, Bem, Manin, Lopez, John Brown, Garibaldi; è dappertutto dove s'accende l'avvenire, a Boston nel 1779, all'isola di Leon nel 1820, a Budapest nel 1848, a Palermo nel 1860; sussurra la possente parola d'ordine: Libertà, all'orecchio degli abolizionisti americani radunati al traghetto di Harper's Ferry ed all'orecchio dei patrioti d'Ancona, riuniti nell'ombra degli Archi, davanti all'albergo Gozzi, in riva al mare; crea Canaris, Quiroga, Pisacane; irraggia la grandezza sulla terra; e Byron muore a Missolungi e Mazet muore a Barcellona, andando là dove il suo alito li spinge; è tribuna sotto i piedi di Mirabeau, cratere sotto i piedi di Robespierre; i suoi libri, il suo teatro, la sua arte, la sua scienza, la sua letteratura, la sua filosofia sono i manuali del genere umano; vi sono Pascal, Régnier, Corneille, Descartes, Gian Giacomo; Voltaire per tutti i minuti, Molière per tutti i secoli; fa parlar la sua lingua alla bocca universale e questa lingua diventa il Verbo; costruisce in tutte le menti l'idea del progresso; i dogmi liberatori da lei formulati sono per le generazioni altrettanti cavalli di battaglia, e appunto coll'anima dei suoi pensatori e dei suoi poeti si sono fatti dal 1789 in poi gli eroi di tutti i popoli. Il che non le impedisce d'esser birichina; e quel genio enorme che si chiama Parigi, mentre trasfigura il mondo colla sua luce, disegna col carboncino il naso di Bourginier sul muro del tempio di Teseo e scrive Crédeville, ladro, sulle piramidi.

Parigi mostra sempre i denti; quando non brontola, ride.

Siffatta è questa Parigi. I fumacchi dei suoi tetti sono le idee dell'universo. Mucchio di fango e di pietre, se si vuole; ma, soprattutto, essere morale: è più che grande, è immensa. Perché? Perché osa.

Osare: il più progresso si ottiene a questo prezzo. Tutte le conquiste sublimi sono, più o meno, premî al coraggio, perché la rivoluzione sia, non basta che Montesquieu la presagisca, che Diderot la predichi, che Beaumarchais l'annunci, che Condorcet la calcoli, che Arouet la prepari e che Rousseau la premediti: bisogna che Danton l'osi.”

Victor Hugo (1802–1885) scrittore francese
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“Tradizionalmente, i Prescrittivisti tendono a essere conservatori politici e i Descrittivisti tendono a essere liberali. Ma in realtà ad avere più influenza sulle norme dell’inglese pubblico è una forma austera e rigorosa di Prescrittivismo liberale. Mi riferisco all’Inglese politicamente corretto (Ipc), secondo le cui convenzioni i poveri diventano “economicamente svantaggiati” e le persone in sedia a rotelle “diversamente abili”. Sebbene sia comune fare battute sull’Ipc, sappiate che le varie pre- e proscrizioni dell’Inglese politicamente corretto sono prese molto sul serio dai college e dalle aziende […] L’opinione personale di questo recensore è che l’Ipc prescrittivista non è solo sciocco ma è ideologicamente confuso e dannoso alla sua stessa causa.
Ed ecco la mia argomentazione. L’uso di una lingua è sempre politico, ma lo è in modo complesso. Rispetto, per esempio, al cambiamento politico, le convenzioni dell’uso possono funzionare in due modi: da un lato possono essere un riflesso del cambiamento politico e dall’altro possono essere uno strumento del cambiamento politico. La cosa importante è che queste due funzioni sono ben distinte e tali devono restare. Confonderle dà luogo alla bizzarra convinzione che l’America smetta di essere élitaria o ingiusta per il semplice fatto che gli americani smettono di usare un certo vocabolario che è storicamente associato all’élitarismo e all’ingiustizia. Questa è la pecca fondamentale dell’Ipc – che la modalità espressiva di una società produca i suoi atteggiamenti piuttosto che essere un prodotto di tali atteggiamenti – e naturalmente non è altro che l’inverso dell’illusione dello Snob conservatore secondo cui il cambiamento sociale può essere ritardato limitando il mutamento nell’uso standard della lingua.
L’Inglese politicamente corretto ha in sé un’ironia ancora più macroscopica. E cioè sebbene l’Ipc abbia la pretesa di essere il dialetto della riforma progressista, di fatto è – nella sua sostituzione orwelliana degli eufemismi dell’eguaglianza sociale al posto dell’effettiva uguaglianza sociale – molto più di aiuto ai conservatori e allo status quo di quanto non siano mai state le tradizionali prescrizioni Snob […] in altre parole, l’Ipc agisce come una forma di censura, e la censura è sempre al servizio dello status quo.
Nella pratica, dubito fortemente che un uomo con quattro figli piccoli e uno stipendio di dodicimila dollari l’anno si senta più forte o meno bistrattato da una società che ha la premura di chiamarlo “economicamente svantaggiato” invece che “povero”. Anzi, se fossi in lui, probabilmente mi sentirei offeso dal termine Ipc – non solo perché è paternalista (cosa che comunque è) ma perché è ipocrita e teso al vantaggio di chi lo pronuncia in un modo che di solito la gente trattata con paternalismo capta al volo. L’ipocrisia di base riguardo a espressioni come “economicamente svantaggiato” e “diversamente abile” è che i sostenitori dell’Ipc credono che i beneficiari della compassione e della generosità di questi termini siano i poveri e la gente in sedia a rotelle, e trascurano di nuovo una cosa che tutti sanno ma che nessuno cita mai – e cioè che parte del motivo per cui qualsiasi parlate usa un certo vocabolario è sempre il desiderio di comunicare qualcosa su se stesso. L’Ipc ha la funzione primaria di segnalare e congratulare certe virtù nel parlante – scrupoloso egualitarismo, preoccupazione per la dignità di tutti, sofisticatezza riguardo alle implicazioni politiche della lingua – e di conseguenza serve gli interessi egoistici del Pc molto più di quanto serva qualsiasi persona o gruppo da esso ribattezzato.”

David Foster Wallace (1962–2008) scrittore e saggista statunitense

Consider the Lobster and Other Essays

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“Le regole per scrivere bene (adattate da Umberto Eco)

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

4. Esprimiti siccome ti nutri.

5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.

8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.

9. Non generalizzare mai.

10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.

11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”

12. I paragoni sono come le frasi fatte.

13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

14. Solo gli stronzi usano parole volgari.

15. Sii sempre più o meno specifico.

16. L'iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.

17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

19. Metti, le virgole, al posto giusto.

20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.

22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.

23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?

24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.

25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.

27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.

30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.

31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.

33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

34. Non andare troppo sovente a capo.
Almeno, non quando non serve.

35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.

37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competente cognitive del destinatario.

39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

40. Una frase compiuta deve avere.”

Umberto Eco (1932–2016) semiologo, filosofo e scrittore italiano
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“Come sapete la domanda che più spesso viene posta a noi scrittori, la domanda preferita è: perché scrive? Io scrivo perché sento il bisogno innato di scrivere! Scrivo perché non posso fare un lavoro normale, come gli altri. 
Scrivo perché voglio leggere libri come quelli che scrivo. 
Scrivo perché ce l'ho con voi, con tutti. Scrivo perché mi piace stare chiuso in una stanza a scrivere tutto il giorno.
 Scrivo perché posso sopportare la realtà soltanto trasformandola.
 Scrivo perché tutto il mondo conosca il genere di vita che abbiamo vissuto, che viviamo io, gli altri, tutti noi a Istanbul, in Turchia.
 Scrivo perché amo l'odore della carta, della penna e dell'inchiostro.
 Scrivo perché credo nella letteratura, nell'arte del romanzo più di quanto io creda in qualunque cosa. 
Scrivo per abitudine, per passione.
 Scrivo perché ho paura di essere dimenticato. 
Scrivo perché apprezzo la fama e l'interesse che ne derivano. Scrivo per star solo. Forse 
scrivo perché spero di capire il motivo per cui ce l'ho così con voi, con tutti. 
Scrivo perché mi piace essere letto.
 Scrivo perché una volta che ho iniziato un romanzo, un saggio, una pagina, voglio finirli. 
Scrivo perché tutti se lo aspettano da me.
 Scrivo perché come un bambino credo nell'immortalità delle biblioteche e nella posizione che i miei libri occupano negli scaffali. 
Scrivo perché la vita, il mondo, tutto è incredibilmente bello e sorprendente. 
Scrivo perché è esaltante trasformare in parole tutte le bellezze e ricchezze della vita. 
Scrivo non per raccontare una storia ma per costruirla. 
Scrivo per sfuggire alla sensazione di essere diretto in un luogo che, come in un sogno, non riesco a raggiungere. 
Scrivo perché non sono mai riuscito ad essere felice. 
Scrivo per essere felice.”

Orhan Pamuk (1952) scrittore e saggista turco

My Father's Suitcase: The Nobel Lecture

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“Tumad aveva il comando della scorta, come accadeva la maggior parte dei giorni in cui Bashere non aveva mansioni più importanti da affidare al giovane tenente. Bashere lo stava istruendo.
Riusciva a pensare con chiarezza e vedere al di là di ciò che gli stava di fronte: era destinato a un rango elevato, se fosse vissuto abbastanza. Un uomo alto, anche se più basso di un paio di palmi rispetto a Bael, oggi il malumore campeggiava sul suo volto come un secondo naso.
«Cosa ti turba, Tumad?»
«L'Aiel aveva ragione, mio signore.» Tumad diede un rabbioso strattone alla sua spessa barba nera con un pugno guantato. «Questi Andorani sputano ai nostri piedi. Non mi piace dovermi allontanare mentre ci fanno le boccacce.» Be', era ancora giovane.
«Trovi la nostra situazione noiosa, forse?» rise Bashere. «Hai bisogno di più eccitazione? Tenobia è solo cinquanta leghe a nord di qui, e se si può fare affidamento sulle dicerie, ha portato con sé Ethenielle di Kandor e Paitar di Arafel, e perfino quello Shienarese, Easar. Tutta la potenza delle Marche di Confine viene a cercarci, Tumad. Neanche a quegli Andorani giù nel Murandy piace che noi ci troviamo nell'Andor, stando a quanto ho udito, e se quell'esercito di Aes Sedai che stanno affrontando non li riduce in pezzi, o se non l'ha già fatto, potrebbero venire a cercarci. E se è per questo porrebbero farlo anche le Aes Sedai, presto o tardi. Abbiamo cavalcato per il Drago Rinato, e non riesco a immaginare nessuna Sorella che possa dimenticarsene. E poi ci sono i Seanchan, Tumad. Pensi davvero che non li incontreremo più? Verranno da noi, o noi dovremo andare da loro; o l'uno o l'altro, è sicuro. Voi giovani non riconoscete l'eccitazione nemmeno quando vi striscia tra i baffi!»”

Crossroads of Twilight

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“Ecco perché sono su questo pianeta, in questo tempo, Francesca.
Non per viaggiare o fare fotografie, ma per amarti. Adesso lo so.
Per molti più anni di quanti non ne abbia vissuti, ho continuato a precipitare dall'orlo di un luogo immenso e altissimo.
E in tutti questi anni precipitavo verso di te”

The Bridges of Madison County
Variante: Ecco perché sono su questo pianeta, in questo tempo, Francesca.
Non per viaggiare o fare fotografie, ma per amarti. Adesso lo so.
Per molti più anni di quanti non ne abbia vissuti, ho continuato a precipitare dall'orloo di un luogo immenso e altissimo.
E in tutti questi anni precipitato verso di te

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“« Quello che avrei potuto dirle, per aiutarla, l'ho capito solo più tardi ripensando a quel giorno, al suo salto, alla sua follia. Le avrei dovuto dire che tanti saltano nello stesso modo via dalla loro vita, oltre se stessi, rischiando tutto per sentirsi davvero vivi. Avrei dovuto dirle che tutti lo fanno chiusi nelle loro paure, chiusi dentro la botte mefitica delle loro paure. Un posto piccolissimo, molto nero, dove sei solo, e fai fatica a respirare. Non c'è nulla che si possa fare per cambiare le cose e già si è fortunati se qualcuno ha avuto per noi l'attenzione di mettere una piccola musica, là dentro; o se capita di avere un amico ad aspettarci in un'ansa del fiume per riportarci a casa, in una qualche casa.
Questo, le avrei dovuto dire. Invece solo la strinsi fa le mie braccia, e non fui capace di dire niente. Piccola Rachel…
Davvero si sarebbe meritata un giorno di gloria, lei e quegli altri due matti, sa il cielo come mi mancano. Ma non è andata così, spesso non va così. Si semina, si raccoglie, e non c'è nesso tra una cosa e l'altra. Ti insegnano che c'è, ma… non so, io non l'ho mai visto. Accade di seminare, accade di raccogliere, tutto lì.
Per questo la saggezza è un rito inutile e la tristezza un sentimento inesatto, sempre.
Seminammo con cura, tutti, quella volta, seminammo immaginazione, e follia e talento. Ecco cosa abbiamo raccolto, un frutto ambiguo: la luce bella di un ricordo e il privilegio di una commozione che per sempre ci renderà eleganti, e misteriosi. Voglia il cielo che questo basti a salvarci, per tutto il tempo che ci sarà dato, ancora. »”

Alessandro Baricco (1958) scrittore e saggista italiano
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“Vale la pena soffermarci su quest’incubo [della fine della letteratura e delle arti], per come Borges ce lo racconta in una sua conversazione sui sogni e gli incubi.
Il terribile sogno è del poeta inglese William Wordsworth e si trova nel secondo [rectius: quinto] libro del poema The Prelude — un poema autobiografico, come dice il sottotitolo. Fu pubblicato nel 1850, l’anno stesso della morte del poeta. Allora non si pensava, come invece oggi, a un possibile cataclisma cosmico che annientasse ogni grande opera umana, se non l’umanità interamente.
Ma Wordsworth ne ebbe la preoccupazione e, in sogno, la visione.
Ed ecco come Borges l’assume e riassume nel suo discorso: “Nel sogno la sabbia lo circonda, un Sahara di sabbia nera. Non c’è acqua, non c’è mare. Sta al centro del deserto — nel deserto si sta sempre al centro — ed è ossessionato dal pensiero di come fare per sfuggire al deserto, quando vede qualcuno vicino a lui. Stranamente, è un arabo della tribù dei beduini, che cavalca un cammello e ha nella mano destra una lancia.
Sotto il braccio sinistro ha una pietra; nella mano una conchiglia. L’arabo gli dice che ha la missione di salvare le arti e le scienze e gli avvicina la conchiglia all’orecchio; la conchiglia è di straordinaria bellezza. Wordsworth ci dice che ascoltò la profezia (‘in una lingua che non conoscevo ma che capii’): una specie di ode appassionata, che profetizzava che la Terra era sul punto di essere distrutta dal diluvio che l’ira di Dio mandava. L’arabo gli dice che è vero, che il diluvio si avvicina, ma che egli ha una missione: salvare l’arte e le scienze. Gli mostra la pietra. La pietra, stranamente, è la Geometria di Euclide pur rimanendo una pietra. Poi gli avvicina la conchiglia, che è anche un libro: è quello che gli ha detto quelle cose terribili. La conchiglia è, anche, tutta la poesia del mondo, compreso, perche' no?, il poema di Wordsworth.
Il beduino gli dice: ‘Devo salvare queste due cose, la pietra e la conchiglia, entrambi libri’. Volge il viso all’indietro, e vi è un momento in cui Wordsworth vede che il volto del beduino cambia, si riempie di orrore. Anche lui si volge e vede una gran luce, una luce che ha inondato metà del deserto. Questa luce è quella dell’acqua del diluvio che sta per sommergere la Terra. Il beduino si allontana e Wordsworth vede che è anche don Chisciotte, che il cammello è anche Ronzinante e che allo stesso modo che la pietra è il libro e la conchiglia il libro, il beduino è don Chisciotte e nessuna delle due cose ed entrambe nello stesso tempo”…
l’immagine di don Chisciotte che si allontana invincibilmente richiama quella dipinta da Daumier, forse contemporaneamente. E ci è lecito, in aura borgesiana, chiederci se il poeta e il pittore non abbiano fatto lo stesso sogno.”

Leonardo Sciascia (1921–1989) scrittore e saggista italiano

Ore di Spagna

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“Dal Ka-Be la musica non si sente bene: arriva assiduo e monotono il martellare della grancassa e dei piatti, ma su questa trama le frasi musicali si disegnano solo a intervalli, col capriccio del vento. Noi ci guardiamo l'un l'altro nei nostri letti, perchè tutti sentiamo che questa è musica infernale.
I motivi sono pochi, una dozzina, ogni giorno gli stessi, mattina e sera: marce e canzoni popolari care a ogni tedesco. Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l'ultima cosa del Lager che dimenticheremo: sono la voce del Lager, l'espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomoni per ucciderci poi lentamente.
Quando questa musica suona, noi sappiamo che i compagni, fuori nella nebbia, partono in marcia come automi; le loro anime sono morte e la musica li sospinge, come il vento le foglie secche, e si sostituisce alla loro volontà. Non c'è più volontà, ogni pulsazione diventa un passo, una contrazione rilflessa dei muscoli sfatti. […] Ma dove andiamo non sappiamo. Potremo forse sopravvivere alle malattie e sfuggire alle scelte, forse anche resistere al lavoro e alla fame che ci consumano: e dopo? Qui, lontani momentaneamente dalle bestiemme e dai colpi, possiamo rientrare in noi stessi e meditare, e allora diventa chiaro che non ritorneremo. Noi abbiamo viaggiato fin qui nei vagoni piombati; noi abbiamo visto partire verso il niente le nostre donne e i nostri bambini; noi fatti schiavi abbiamo marciato centro volte avanti e indietro alla fatica muta, spenti nell'anima prima che dalla morte anonima. Noi non ritorneremo. Nessuno deve uscire di qui, che potrebbe portare al mondo, insieme col segno impresso nella carne, la mala novella di quanto ad Auschwitz, è bastato animo all'uomo di fare all'uomo.”

Primo Levi (1918–1987) scrittore, partigiano e chimico italiano
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“Con la fantasia, Bridget tornò mille volte a quel primo bacio appassionato, rendendolo sempre più perfetto.
Ma non andò oltre.
Per molte ore, dopo avere lasciato Eric, rimase sveglia nel sacco a pelo.
Tremava.
Aveva gli occhi pieni di lacrime.
Ecco che cominciavano a scendere.
Lacrime di tristezza, di disagio, d’amore.
Erano il genere di lacrime che le venivano quando si sentiva troppo colma: aveva bisogno di fare un po’ di spazio.
Guardò il cielo.
Era più grande, quella notte.
Quella notte i suoi pensieri si avventuravano negli spazi infiniti e, come diceva Diana, non trovavano alcun ostacolo su cui rimbalzare per tornare indietro.
Andavano avanti e avanti, finché nulla sembrava più reale.
Neppure il pensiero. Bridget si era stretta a Eric, piena di desiderio, insicura, spavalda e impaurita.
C’era una tempesta nel suo corpo, e quando era diventata troppo violenta, lei era andata via. Si era lasciata levitare fino alle fronde delle palme.
Lo aveva già fatto altre volte.
Avrebbe lasciato affondare la nave senza il capitano.
Quello che era successo con Eric era insondabile, indescrivibile.
Ora tutto questo era lì con lei, incerto, desideroso di qualcuno che se ne prendesse cura: ma Bridget non sapeva come.
Richiamò indietro i propri pensieri, raccogliendoli ad anello come il filo di un aquilone.
Si arrotolò il sacco a pelo sotto il braccio e tornò furtiva alla baracca. Si distese sul letto.
Quella notte non avrebbe concesso ai suoi pensieri di avventurarsi oltre le travi sbiadite del soffitto”

Ann Brashares (1967) scrittrice statunitense

The Sisterhood of the Traveling Pants

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