Frasi su terra
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“Potete immaginare, creare e costruire il luogo più meraviglioso della terra ma occorreranno sempre le persone perché il sogno diventi realtà.”

Walt Disney (1901–1966) imprenditore, fumettista (creatore di cartoni animati)

Origine: Citato su Disney.it http://www.disney.it/WDI/disneyinitalia.

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“Tutte queste cicatrici Terra sono il fascino della tua figura guerriera.”

Jean Cocteau (1889–1963) poeta, saggista e drammaturgo francese

citato in Il mio primo viaggio, fuori testo a pag. 8

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“Il Padre celeste ha pietà di chi soffre "il mal di terra."”

Alessandro Pronzato (1932–2018) sacerdote cattolico italiano, giornalista, scrittore e professore

Prega per noi!

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“Un giorno verrà la pace con l'ultima stanchezza, e la terra madre mi accoglierà in sé.”

Hermann Hesse (1877–1962) scrittore, poeta e aforista tedesco

da Il ponte
Vagabondaggio

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“In principio, dunque, era la noia, volgarmente chiamata caos. Iddio, annoiatosi della noia, creò la terra, il cielo, l'acqua, gli animali, le piante, Adamo ed Eva; i quali ultimi, annoiandosi a loro volta del paradiso, mangiarono il frutto proibito. Iddio si annoiò di loro e li cacciò dall'Eden.”

Alberto Moravia (1907–1990) scrittore italiano

Variante: In principio, dunque, era la noia, volgarmente chiamata caos. Iddio, annoiandosi della noia, creò la terra, il cielo, l'acqua, gli animali, le piante, Adamo ed Èva; i quali ultimi, annoiandosi a loro volta in paradiso, mangiarono il frutto proibito. Iddio si annoiò di loro e li cacciò dall'Eden.

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“E mi svolse (fors'anche perché fossi preparato a gli esperimenti spiritici, che si sarebbero fatti questa volta in camera mia, per procurarmi un divertimento) mi svolse, dico, una sua concezione filosofica, speciosissima, che si potrebbe forse chiamare lanterninosofia. Di tratto in tratto, il brav'uomo s'interrompeva per domandarmi: – Dorme, signor Meis? E io ero tentato di rispondergli: – Sì, grazie, dormo, signor Anselmo. Ma poiché l'intenzione in fondo era buona, di tenermi cioè compagnia, gli rispondevo che mi divertivo invece moltissimo e lo pregavo anzi di seguitare. E il signor Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non siamo come l'albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l'aria, la pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch'esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna. E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione? – Dorme, signor Meis? – Segua, segua pure, signor Anselmo: non dormo. Mi par quasi di vederlo, codesto suo lanternino. – Ah, bene… Ma poiché lei ha l'occhio offeso, non ci addentriamo troppo nella filosofia, eh? e cerchiamo piuttosto d'inseguire per ispasso le lucciole sperdute, che sarebbero i nostri lanternini, nel bujo della sorte umana. Io direi innanzi tutto che son di tanti colori; che ne dice lei? secondo il vetro che ci fornisce l'illusione, gran mercantessa, gran mercantessa di vetri colorati. A me sembra però, signor Meis, che in certe età della storia, come in certe stagioni della vita individuale, si potrebbe determinare il predominio d'un dato colore, eh? In ogni età, infatti, si suole stabilire tra gli uomini un certo accordo di sentimenti che dà lume e colore a quei lanternoni che sono i termini astratti: Verità, Virtù, Bellezza, Onore, e che so io… E non le pare che fosse rosso, ad esempio, il lanternone della Virtù pagana? Di color violetto, color deprimente, quello della Virtù cristiana. Il lume d'una idea comune è alimentato dal sentimento collettivo; se questo sentimento però si scinde, rimane sì in piedi la lanterna del termine astratto, ma la fiamma dell'idea vi crepita dentro e vi guizza e vi singhiozza, come suole avvenire in tutti i periodi che son detti di transizione. Non sono poi rare nella storia certe fiere ventate che spengono d'un tratto tutti quei lanternoni. Che piacere! Nell'improvviso bujo, allora è indescrivibile lo scompiglio delle singole lanternine: chi va di qua, chi di là, chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via: si urtano, s'aggregano per un momento in dieci, in venti; ma non possono mettersi d'accordo, e tornano a sparpagliarsi in gran confusione, in furia angosciosa: come le formiche che non trovino più la bocca del formicajo, otturata per ispasso da un bambino crudele. Mi pare, signor Meis, che noi ci troviamo adesso in uno di questi momenti. Gran bujo e gran confusione! Tutti i lanternoni, spenti. A chi dobbiamo rivolgerci? Indietro, forse? Alle lucernette superstiti, a quelle che i grandi morti lasciarono accese su le loro tombe?”

Luigi Pirandello (1867–1936) drammaturgo, scrittore e poeta italiano premio Nobel per la Letteratura nel 1934

Cap XIII

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“Noi non ci accontentiamo di vedere la bellezza, anche se il Cielo sa che gran dono sia questo. Noi vogliamo qualcos'altro, che è difficile descrivere a parole: vogliamo sentirci uniti alla bellezza che vediamo, trapassarla, riceverla dentro di noi, immergerci in essa, diventarne parte. Ecco perché abbiamo popolato l'aria, la terra e l'acqua di dei e dee, ninfe ed elfi che, dato che a noi non è possibile, possano almeno loro, queste proiezioni di noi stessi, godere ritrovando in se stessi quella bellezza, quella grazia, e quel potere di cui la Natura è immagine. Ecco perché i poeti ci narrano tante meravigliose menzogne. Essi parlano come se il Vento dell'Occidente potesse davvero soffiare dentro un'anima umana: ma non è vero. Ci dicono che "la Bellezza nata da un sussurro" passerà in un volto umano: ma non lo farà. Non per ora. E se prendiamo sul serio l'immagine della Scrittura, se crediamo che Dio un giorno ci darà davvero la Stella del Mattino e ci farà indossare lo splendore del sole, allora possiamo credere che gli antichi miti, come la poesia moderna, pur così falsi nel loro significato storico, siano tanto vicini alla verità quanto la profezia. In questo momento noi ci troviamo all'esterno del mondo, dalla parte sbagliata della porta. Possiamo percepire la freschezza e la purezza del mattino, senza però che queste ci possano rendere freschi puri come loro. Non possiamo penetrare lo splendore che vediamo. Ma tutte le foglie del Nuovo Testamento sussurrano frusciando che non sarà sempre così. Un giorno, a Dio piacendo, riusciremo ad entrare. Quando le anime umane saranno diventate così perfette nella loro obbedienza volontaria da uguagliare le creature inanimate nella loro obbedienza senza vita, allora potranno riscoprirsi della medesima gloria della natura, anzi, di quella Gloria ben più grande di cui la natura non è che un primo abbozzo. La Natura è mortale: noi le sopravviveremo. Quando tutti i soli e tutte le nebulose saranno tramontati, ognuno di voi sarà ancora vivo. La Natura non è che un'immagine, un simbolo, ma è il simbolo che la Scrittura mi invita ad usare. Siamo invitati ad entrare attraverso la Natura, oltrepassandola, fino a raggiungere quello splendore che essa è in grado di riflettere solo in parte. E una volta dentro, oltrepassata la Natura, potremo mangiare dell'albero della vita.”

Clive Staples Lewis (1898–1963) scrittore e filologo britannico

Origine: Citato in Gulisano, p. 182.

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“Chi pensa che i regimi comunisti dell'Europa Centrale siano esclusivamente opera di criminali, si lascia sfuggire una verità fondamentale: i regimi criminali non furono creati da criminali ma da entusiasti, convinti di aver scoperto l'unica strada per il paradiso. Essi difesero con coraggio quella strada, giustiziando per questo molte persone. In seguito, fu chiaro che il paradiso non esisteva e che gli entusiasti erano quindi degli assassini. Allora tutti cominciarono a inveire contro i comunisti: Siete responsabili delle sventure del paese (è impoverito e ridotto in rovina), della perdita della sua indipendenza (è caduto in mano alla Russia), degli assassinii giudiziari Coloro che venivano accusati rispondevano: Noi non sapevamo! Siamo stati ingannati Noi ci credevamo! Nel profondo del cuore siamo innocenti! La discussione si riduceva a questa domanda: Davvero loro non sapevano? Oppure facevano solo finta di non aver saputo nulla? Tomas seguiva la discussione (così come la seguivano tutti i dieci milioni di cechi) e si diceva che tra i comunisti c'era sicuramente chi non era del tutto all'oscuro (dovevano pur sempre aver sentito parlare degli orrori che erano stati commessi e che venivano ancora commessi nella Russia postrivoluzionaria). Ma era probabile che la maggior parte di loro non ne sapesse davvero nulla. E si disse che la questione fondamentale non era: Sapevamo o non sapevamo?, bensì: Si è innocenti solo per il fatto che non si sa? Un imbecille seduto sul trono è sollevato da ogni responsabilità solo per il fatto che è un imbecille? Ammettiamo pure che un procuratore ceco che all'inizio degli Anni Cinquanta chiedeva la pena di morte per un innocente sia stato ingannato dalla polizia segreta russa e dal proprio governo. Ma ora che sappiamo tutti che le accuse erano assurde e i giustiziati innocenti, com'è possibile che quello stesso procuratore difenda la purezza della propria anima e si batta il petto: La mai coscienza è senza macchia, io non sapevo, io ci credevo. La sua irrimediabile colpa non risiede proprio in quel 'Io non sapevo! Io ci credevo!'? Fu allora che a Tomas tornò in mente la storia di Edipo: Edipo non sapeva di dormire con la propria madre ma, quando capì ciò che era accaduto, non si sentì innocente. Non poté sopportare la vista delle sventure che aveva causato con la propria ignoranza, si cavò gli occhi e, cieco, partì da Tebe. Tomas sentiva le grida dei comunisti che difendevano la loro purezza interiore e diceva tra sé: Per colpa della vostra incoscienza la nostra terra ha perso, forse per secoli, la sua libertà e voi gridate che vi sentite innocenti? Come potete ancora guardarvi intorno? Come potete non provare raccapriccio? Siete o non siete capaci di vedere? Se aveste gli occhi, dovreste trafiggerveli e andarvene da Tebe!”

L'insostenibile leggerezza dell'essere

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“Sapete chi sono i più grandi misogini di questa terra? Le donne.”

Milan Kundera (1929–2023) scrittore, saggista e poeta cecoslovacco

Seconda giornata
Il Valzer degli addii

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“Padre nostro che sei nei cieli | restaci pure | quanto a noi resteremo sulla terra | che a volte è così bella.”

Jacques Prevért (1900–1977) poeta e sceneggiatore francese

Pater Noster
Parole

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“Il Regno di Dio è il regno della risurrezione in terra.”

Dietrich Bonhoeffer (1906–1945) teologo tedesco

Venga il tuo regno

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“Dobbiamo non soltanto non uccidere, ma – se è possibile – conservare la vita […]. Voi, però, tenete gli occhi aperti: non perdete occasione di essere misericordiosi. Perciò, non ignorate con noncuranza il povero insetto caduto in acqua, ma pensate che cosa significhi lottare per non affogare. Aiutatelo dunque, servendovi di un uncino o di un legnetto; e se poi si pulirà le ali, vi mostrerà qualcosa di meraviglioso: la fortuna di aver tratto in salvo la vita… di aver agito per incarico e per conto dell'onnipotenza di Dio. Il verme smarrito sulla terra dura muore perché non può penetrarvi. Voi deponetelo su un terreno ricco o sull'erba: «Ciò che avrete fatto a uno di questi piccoli, l'avrete fatto a me.»”

Albert Schweitzer (1875–1965) medico, teologo, musicista e missionario luterano tedesco, di origine francese alsaziana

Queste parole di Gesù si applicano a ogni nostra azione nei confronti delle creature inferiori.
Origine: Cfr. Gesù: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».
Origine: Da La melodia del rispetto per la vita: Prediche di Strasburgo, traduzione di Enrico Colombo, Edizioni San Paolo, 2002, p. 56. ISBN 88-215-4646-2

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“[La Burocratizzazione] Ha mutato le classi politiche in classi sociali, in modo che, come i cristiani sono eguali in cielo e ineguali in terra, così i singoli membri del popolo sono eguali nel cielo del loro mondo politico e ineguali nell'esistenza terrestre della società.”

Karl Marx (1818–1883) filosofo, economista, storico, sociologo e giornalista tedesco

Origine: Citato in Massimo Corsale, L'autunno del Leviatano, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1998.

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“I penny non cadono dal cielo, devono essere guadagnati qui sulla terra.”

Margaret Thatcher (1925–2013) primo ministro del Regno Unito

Discorso al banchetto di Lord Mayor, 12 novembre 1979

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“Viva l'Agordino, una terra povera, ma però di buona gente; non perché io sono agordino, ma veramente gente onesta.”

Papa Giovanni Paolo I (1912–1978) 263° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

dall' Udieza ai Bellunesi http://www.papaluciani.it/Humilitas/08/humilitas_luglio08.html del 3 settembre 1978

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“Sono un viandante sullo stretto marciapiede della terra, e non distolgo il pensiero dal Tuo volto che il mondo non mi svela.”

Papa Giovanni Paolo II (1920–2005) 264° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

dalla poesia Meditazioni sulla morte, IV, 3, 1975

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“Da lungo tempo ho capito che il buon Dio non ha bisogno di nessuno (ancor meno di me che di altri) per far del bene sulla terra.”

Teresa di Lisieux (1873–1897) religiosa e mistica francese

Storia di un'anima, Manoscritto autobiografico C

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“[Riguardo ad una schiacciata rovesciata su raddoppio di Kobe Bryant]… canestro che probabilmente è possibile ad un solo altro bipede sulla faccia della terra e s'è ritirato!”

Federico Buffa (1959) giornalista italiano

dalla partita Los Angeles Lakers-Cleveland Cavaliers, gennaio 2006
Citazioni tratte da telecronache

“Se Dio è come il fuoco, che io ne sia bruciato. Se Dio è come l'acqua, che io anneghi in essa. Se Dio è come l'aria, che in essa voli. Se Dio è come la terra, che io scavi in essa la mia vita, finché non abbia raggiunto il centro.”

Variante: "Se Dio è come il fuoco, che io ne sia bruciato. Se Dio è come l'acqua, che io anneghi in essa. Se Dio è come l'aria, che in essa voli. Se Dio è come la terra, che io scavi in essa la mia vita, finché non abbia raggiunto il centro."
Origine: L'ultimo crociato, p. 252

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“Vecchio, benedetto, Pekisch, questo non me lo dovevi fare. Non me lo merito. Io mi chiamo Pehnt, e sono ancora quello che se ne stava sdraiato per terra a sentire la voce nei tubi, come se quella arrivasse davvero, e invece non arrivava. Non è mai arrivata. E io adesso sono qui. Ho una famiglia, ho un lavoro e la sera vado a letto presto. Il martedì vado a sentire i concerti che danno alla sala Trater e ascolto musiche che a Quinnipak non esistono: Mozart, Beethoven, Chopin. Sono normali eppure sono belle. Ho degli amici con cui gioco a carte, parlo di politica fumando il sigaro e la domenica vado in campagna. Amo mia moglie, che è una donna intelligente e bella. Mi piace tornare a casa e trovarla lì, qualsiasi cosa sia successa nel mondo quel giorno. Mi piace dormire vicino a lei e mi piace svegliarmi insieme a lei. Ho un figlio che amo anche se tutto fa supporre che farà l'assicuratore. Spero che lo farà bene e che sarà un uomo giusto. La sera vado a letto e mi addormento. E tu mi hai insegnato che questo vuol dire che sono in pace con me stesso. Non c'è altro. Questa è la mia vita. Io lo so che non ti piace ma io non voglio che tu me lo scriva. Perché voglio continuare ad andare a letto, la sera, ed addormentarmi. Ognuno ha il mondo che si merita. Io forse ho capito che il mio è questo qua. Ha di strano che è normale. Mai visto niente del genere, a Quinnipak. Ma forse proprio per questo, io qui ci sto bene. A Quinnipak si ha negli occhi l'infinito. Qui, quando proprio guardi lontano, guardi negli occhi di tuo figlio. Ed è diverso. Non so come fartelo capire, ma qui si vive al riparo. E non è cosa spregevole. È bello. E poi chi l'ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto, sempre sporti sul cornicione delle cose, a cercare l'impossibile, a spiare tutte le scappatoie per sgusciare via dalla realtà. È proprio obbligatorio essere eccezionali? Io non so. Ma mi tengo stretta questa vita mia e non mi vergogno di niente: nemmeno delle mie soprascarpe. C'è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità. E io sono uno di quelli. Si guardava sempre l'infinito a Quinnipak, insieme a te. Ma qui non c'è l'infinito. E così guardiamo le cose, e questo ci basta. Ogni tanto, nei momenti più impensati, siamo felici. Andrò a letto, questa sera, e non mi addormenterò. Colpa tua, vecchio, maledetto Pekisch. Ti abbraccio. Dio sa quanto ti abbraccio. Pehnt, assicuratore.”

Castelli di rabbia

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“Rugby, gioco da psiche cubista – deliberatamente si scelsero un pallone ovale, cioè imprevedibile (rimbalza sull'erba come una frase di Joyce sulla sintassi) per immettere il caos nell'altrimenti geometrico scontro di due bande affamate di terreno – gioco elementare perché è primordiale lotta per portare avanti i confini, lo steccato, l' orlo della tua ambizione – guerra, dunque, in qualche modo, come qualsiasi sport, ma lì quasi letterale, con lo scontro fisico cercato, desiderato, programmato – guerra paradossale perché legata a una regola astuta che vuole le squadre avanzare sotto la clausola di far volare il pallone solo all'indietro, movimento e contromovimento, avanti e indietro, solo certi pesci, e nella fantasia, si muovono così. Una partita a scacchi giocata in velocità, dicono. Nata più di un secolo fa dalla follia estemporanea di un giocatore di calcio: prese la palla in mano, esasperato da quel titic titoc di piedi, e si fece tutto il campo correndo come un ossesso. Quando arrivò dall'altra parte del campo, posò la palla a terra: e intorno fu un'apoteosi, pubblico e colleghi, tutti a gridare, come colti da improvvisa illuminazione. Avevano inventato il rugby. Qualsiasi partita di rugby è una partita di calcio che va fuori di testa. Con ordinata, e feroce, follia.”

Alessandro Baricco (1958) scrittore e saggista italiano

Origine: Da La grande sfida del pallone ovale http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/03/23/la-grande-sfida-del-pallone-ovale-murrayfield.html, la Repubblica, 23 marzo 1998.

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