Frasi su testa
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“Si sentiva stremata, l'appiglio sfuggente al presente, l'appiglio al mondo e alla vita, le sarebbe presto scivolato dalle mani. Era questa la morte? Stava forse per morire? Non avrebbe più rivisto il cielo, la terra, il sorgo, suo figlio, e il suo amante che combatteva alla testa dei soldati? Gli spari risuonavano in lontananza oltre la fitta cortina di nebbia. Douguan! Douguan! Figlio mio, aiutami, tienimi stretta, tua madre non vuole morire. Oh, cielo! Cielo… mi hai donato un amante, un figlio, la ricchezza, e questi trenta anni di vita densa come il sorgo rosso. Cielo, me le hai donate queste cose, non puoi riprendertele, perdonami, ma lasciami andare! Cielo, pensi che io sia in colpa? Credi che se avessi diviso il cuscino con un lebbroso, e generato un mostro rognoso e purulento insozzando questo bel mondo sarei stata nel giusto? Cielo, cos'è la castità? Cos'è la giusta via? Cos'è la bontà? Cos'è il male? Non me l'hai mai detto, ho sempre dovuto sbrigarmela da sola. Amo la felicità, amo la forza, amo la bellezza, il mio corpo mi appartiene, sono padrona di me stessa, non ho paura di sbagliare, non ho paura della punizione, non ho paura di entrare nei diciotto gironi del tuo inferno. Ho fatto tutto ciò che dovevo fare e ciò che andava fatto, e non temo nulla. Ma non voglio morire, voglio vivere, voglio vedere ancora un po' di mondo. Cielo…”

Mo Yan (1955) scrittore e sceneggiatore cinese

da Sorgo rosso, pp. 94-95

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“E perché mai? sono tanti anni, ormai, che ho la testa tra le nuvole!”

Ronald Reagan (1911–2004) 40º presidente degli Stati Uniti d'America e attore
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“Io i veli in testa non li porto. Neanche morta. Neanche per coprire i capelli lasciati dalla chemioterapia.”

Oriana Fallaci (1929–2006) scrittrice italiana

da una lettera a Salvatore Fisichella, 16 agosto 2005
Origine: Citato in Cecilia Lulli, Il carteggio tra la Fallaci e Fisichella: "Caro Rino, l'Alieno mi divora..." http://www.ilgiornale.it/cultura/il_carteggio_fallaci_e_fisichella_caro_rino_lalieno_mi_divora/18-09-2008/articolo-id=291352, il Giornale.it, 18 settembre 2008.

“No, porco cane! No! No… e ciao, adesso piglia anche Roberts… l'abbiamo lasciato che era ultimo e ce lo ritroviamo in testa…”

Guido Meda (1966) giornalista e conduttore televisivo italiano

Donington 2005, Rossi quarto rimonta fino alla testa della corsa durante la pubblicità
Tratte da alcune gare

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“BIANCO- Non mi pare proprio. Lei lo vede, Gesù?
NERO- No. Non lo vedo.
BIANCO- Però ci parla.
NERO- Ogni santo giorno.
BIANCO- E lui parla con lei.
NERO- Mi ha parlato. Si.
BIANCO- Ma lei lo sente? Sente proprio la sua voce?
NERO- No, non sento la sua voce. Non sento neanche la mia, se è per questo. A lui però l'ho sentito.
BIANCO- Bè, allora Gesù non potrebbe essere soltanto nella sua testa?
NERO- Infatti è nella mia testa.
BIANCO- Allora non capisco cos'è che sta cercando di dirmi.
NERO- Lo so che non capisci, zuccherino. Sta' a sentire. La prima cosa che devi tenere presente è che io, nella testa, non ho manco un pensiero originale. Se non ho dentro la scia del profumo della divinità, allora non mi interessa.
BIANCO- La scia del profumo della divinità.
NERO- Esatto. Che te ne pare?
BIANCO- Non è male.
NERO- L'ho sentito alla radio. Da un predicatore nero. Ma il punto è che ci ho anche provato a fare nell'altro modo. E mica a spizzichi e bocconi, eh. Dico proprio benda sugli occhi, briglia sciolta e via a correre in mezzo ai boschi. Oddio. Ci ho provato eccome. Se trovi un cristiano che ci ha provato più di me, mi piacerebbe conoscerlo. Mi piacerebbe davvero. E secondo te che cosa ci ho guadagnato?
BIANCO- Non lo so. Che cosa ci ha guadagnato?
NERO- La morte in vita. Ecco cosa ci ho guadagnato.
BIANCO- La morte in vita.
NERO- Esatto. Ero un cadavere ambulante. Così morto che non sapevo manco stendermi nella tomba.”

The Sunset Limited

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“Comunque ho lasciato gli altri a pallavolare in palestra e sono uscita dalla scuola, c'era un sole pallido color miele. Sono andata al bar di fronte, a vedere le facce. Come faccio spesso, mi sono tappata le orecchie per concentrarmi e capire cosa succedeva intorno. E mi sono sentita strana. Qual'era il motivo del mio disagio? E quale segrato nascondeva la gente seduta?
L'uomo corpulento con la fronte sudata, che sbarrava gli occhi in segno di meraviglia, e disegnava rabbia con la mano. E l'uomo piccolo che ne seguiva il discorso scuotendo la testa e ricalcando i gesti dell'altro. E la giovane carica di gioielli come una Cleopatra che sibilava a bassa voce contro qualcuno, un veleno d'astio che le sue amiche assorbivano come un balsamo ristoratore, ammiccando tra loro per dividere il piacere. O il ragazzo che litigava ad alta voce con la ragazza, costringendola a guardarlo negli occhi, mentre lei si mordeva la mano per la vergogna, col volto rigato di lacrime. O la tavolata dove un giovane zerbinotto raccontava e tutti ridevano. O i due ragazzi che parlavano probabilmente di sport, uno battendo le mani su un giornale, l'altro interrompendolo con una voce roca.
E di colpo ho capito.
Quei signori e signore e ragazzi e ragazze seduti, tutti avevano ragione. E parlandone, si rafforzavano in questa loro certezza. E la loro ragione era costruita sul dileggio, sulla rovina, sul disprezzo degli altri. E più parlavano, più la ragione cresceva e chiedeva il suo tributo di parole, di minacce, di gesti. E sempre di più gli altri, quelli dalla parte del torto, diventavano lontani e miserabili. Ma guardando oltre la strada, nei bar di fronte, altra gente era seduta e anche loro avevano ragione. Una gigantesca, unica ragione divideva il mondo in quelli che l'avevano, cioè tutti, e gli altri, e cioè tutti.
E io, che sentivo di non avere ragione, cosa avrei fatto?
Sono tornata in classe e c'era aria pesante. Marra e Gasparrone avevano insultato Zagara chiamandolo terrone e figlio di galeotto. Lui li aveva assaltati con un tirapugni fatto con la maniglia di una porta. Erano finiti tutti e tre dal preside. Quante battaglie stupide e quante nobili e giuste ci sono nella giornata media di ognuno?”

Stefano Benni (1947) scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano

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“Accanto a questi uomini di passione stavano i sognatori. L'utopia fioriva in tutte le sue forme, da quella bellicosa che giustificava il patibolo, a quella innocente che sosteneva l'abolizione della pena di morte. Spettri per i troni, angeli per il popolo. In faccia a uomini di lotta, spiriti che maturano sogni. Gli uni pensano alla guerra, gli altri invocano la pace; un cervello, Carnot, crea quattro armate; un altro, Jean Derby, medita una federazione democratica universale. […] altri si occupavano di questioni di minor conto e di maggior praticità. Gyuton-Morveau studiava misure per migliorare l'attrezzatura negli ospedali, Maire l'abolizione delle servitù reali, Jean-Bon-Saint-André la soppressione delle pene restrittive per debiti e la detenzione costrittiva. […] L'arte contava fanatici e anche monomaniaci; il 21 gennaio, mentre la testa di un re cadeva sulla piazza della Rivoluzione, Bézard correva ad ammirare una testa dipinta da Rubens, quadro scoperto in un solaio di rue Saint-Lazare. Artisti, orafi, profeti, colossi come Danton e fanciulli come Cloots, gladiatori e filosofi, tutti aspiravano a una sola conquista, quella del progresso. Nulla li intiepidiva. La vera grandezza della Convenzione fu di ricreare il reale nell'impossibile. Agli estremi, Robespierre, fanatico del Diritto e Condorcet, fanatico del dovere.”

Victor Hugo (1802–1885) scrittore francese

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“Robert Lindet, ossessionato creatore di quella piovra che aveva la sua testa nel comitato di sicurezza generale e che stendeva le braccia, ventunmila!, su tutta la Francia attraverso i comitati rivoluzionari; Lebuef, sul quale Girey-Duprè scrisse nel suoquesto verso: «Lebouf vit Legendre et beugla»; Thomas Paine, americano, incline alla clemenza; Anacharsis Cloots, tedesco, barone, milionario, ateo, hébertiano, animo candido; l'integerrimo Lebas, amico dei Duplay; Rovère, una delle rare creature che godono della perfidia come uno può godere dell'arte per l'arte, il che avviene più frequentemente di quanto non si creda; Charlier, il quale voleva che si trattassero gli aristocratici con il; Tallien, elegiaco e feroce, dai cui amori nascerà il 9 termidoro; Cambacéres, un procuratore che diverrà principe; Carrier, un procuratore che si paleserà tigre; Laplanche, il quale esclamò un giorno: «Voglio che sia data priorità al cannone d'allarme»; Thuriot, che propose la votazioneda parte dei giurarti del tribunale rivoluzionario; Bourdon de l'Oise, che sfidò a duello Chambon, denunciò Paine e fu denunciato da Hébert; Fayau, il quale propose l'invio nella Vandea di «un'armata incendiaria»; Tavaux, che il 13 aprile tentò la mediazione tra Gironda e Montagna; Vernier il quale chiese che i capi girondini e quelli della Montagna andassero a servire la patria come semplici soldati; Rewbell, che si chiuse dentro Magonza assediata; Bourbotte, che ebbe il suo cavallo ucciso alla presa di Saumur; Guimberteau, che fu a capo dell'armata delle Côtes di Cherbourg; Jard-Panvilliers, il quale comandò le truppe della Côtes de la Rochelle; Lecarpentier, che comandò la squadra di Concale; Roberjot, vittima dell'imboscata di Radstadt; Prieur de la Marne, che si compiaceva di indossare sul campo di battaglia le sue vecchie spalline di comandante si squadrone; Levasseur de la Sarthe, il quale, con una sola parola, indusse al sacrificio Serrent, comandante del battaglione di Saint-Armand; Reverchon, Maure, Bernard de Saintes, Charles Richard, Lequinio, e, in testa a questo gruppo un Mirabeau che portava il nome di Danton. Estraneo a questi due gruppi e dominatore di entrambi, Robespierre.”

Victor Hugo (1802–1885) scrittore francese
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“Voglio farle una domanda, disse il dottor Cardoso, lei conosce i médecins-philosophes? No, ammise Pereira, non li conosco, chi sono? I principali sono Théodule Ribot e Pierre Janet, disse il dottor Cardoso, è sui loro testi che ho studiato a Parigi, sono medici e psicologi, ma anche filosofi, sostengono una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sè, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perchè noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione.
Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo. Il dottor Cardoso finì di mangiare la sua macedonia e si asciugò la bocca con il tovagliolo. E dunque cosa mi resterebbe da fare?, chiese Pereira. Nulla, rispose il dottor Cardoso, semplicemente aspettare, forse c'è un io egemone che in lei, dopo una lenta erosione, dopo tutti questi anni passati nel giornalismo a fare la cronaca nera credendo che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, forse c'è un io egemone che sta prendendo la guida della confederazione delle sue anime, lei lo lasci venire alla superficie, tanto non può fare diversamente, non ci riuscirebbe e entrerebbe in conflitto con se stesso, e se vuole pentirsi della sua vita si penta pure, e anche se ha voglia di raccontarlo a un sacerdote glielo racconti, insomma, dottor Pereira, se lei comincia a pensare che quei ragazzi hanno ragione e che la sua vita finora è stata inutile, lo pensi pure, forse da ora in avanti la sua vita non le sembrerà più inutile, si lasci guidare dal suo nuovo io egemone e non compensi il suo tormento con il cibo e con le limonate piene di zucchero.”

Sostiene Pereira

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“La Cadillac Eldorado Brougham del 1957 era l'incarnazione perfetta dell'esibizionismo, tra le macchine d morte. Quasi tre tonnellate di acciaio unite insieme a fare una bestia dalle fauci enormi e dalle code alte, rivestita di tanto metallo cromato che ci si sarebbe potuto costruire un Terminator e conservarne qualche scarto (il metallo era presente soprattutto sotto forma di strisce taglienti che, in caso di impatto, si staccavano, trasformandosi in falci letali che scorticavano i pedoni). Sotto i quattro fanali anteriori sfoggiava due pallottole paraurti cormate, che somigliavano a due siluri inesplosi o a due mortali tette di Madonna. La colonna dello sterzo, non contraibile, in uno scontro di una certa entità avrebbe trafitto il conducente; i finestrini elettrici avrebbero potuto staccare la testa di un bambino; non c'erano cinture di sicurezza, e il motore V8 da 325 cavalli consumava tanto che, quando passava, lo sentivi risucchiare dinosauri liquefatti dal terreno. Faceva al massimo centosettanta chilometri orari, ma le sospensioni molli e simili a scialuppe non le avrebbero mai dato stabilità a quella velocità, e a poco sarebbero serviti i freni di dimensioni ridotte. Le pinne che sporgevano posteriormente erano così alte e aguzze che l'auto rappresentava una minaccia letale per i pedoni anche da parcheggiata; e tutto l'insieme poggiava su grandi pneumatici internamente bianchi, simili a gigantesche ciambelle e dotati della stessa manovrabilità. Detroit non sarebbe riuscita a superare quella letale ostentazione pinnata nemmeno se avesse rivestito di strass un'oraca assassina. Era un'autentico capolavoro.”

A Dirty Job

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“Dalla parte opposta Antoine-Luois-Leon Florelle de Saint-Just, pallido, fronte bassa, profilo regolare, sguardo misterioso, tristezza profonda, ventitré anni; Merlin de Thionville, chiamato dai tedeschi, diavolo di fuoco; Merlin de Douai, criminale autore della legge dei sospetti; Soubrany, che il popolo volle come generale al primo pratile; l'ex curato Lebon che maneggiava la spada con la mano un tempo benedicente; Billaud-Varennes che sognava una magistratura dell'avvenire senza giudici, affidata a soli arbitri; Fabre d'Eglantine, che ebbe una piacevole trovata, il calendario repubblicano, come Rouget de Lisle ebbe un'ispirazione sublime,, ma l'uno come l'altro senza ritorni spirituali; Manuel, il procuratore della Comune, il quale sentenziò: «Un re morto non rappresenta un uomo di meno»; Goujon che era entrato nelle truppe a Trippe Lacroix, avvocato fattosi generale e creato cavaliere di San Luigi sei giorni prima del 12 agosto; Frèron Thersiste, figlio di Fréron-Zoile; Ruhl, inesorabile nell'esaminare il contenuto del famoso armadio di ferro, predestinato al suicidio, da perfetto repubblicano, il giorno in cui fosse caduta la repubblica; Fouché, anima demoniaca e viso cadaverico; Camboulas, l'amico di di Père Duchéne, che rimproverava a Guilliotin: «Tu appartieni al Club dei Foglianti, ma tua figlia al Club dei giacobini» Jagot, che obiettava a coloro che non approvavano la nudità dei carcerati. « Una prigione è pur sempre un abito di pietra»; Javagues, il macabro violatore di tombe di Saint-Denis; Osselin, proscrittore che concedeva asilo a una proscritta, Madame Charry; Bentabolle, il quale nelle funzioni di presidente, dava al pubblico il segnale degli applausi o delle imprecazioni; il giornalista Robert, marito di Kéralio, la quale scriveva: «Né Robespierre né Marta frequentano la mia casa, Robespierrre vi può venire quando vuole, Marat non vi metterà mai piede»; Garan Coulon, che a seguito dell'intervento della Spagna nel processo contro Luigi XVI aveva chiesto fieramente che l'assemblea non si degnasse di dar lettura della lettera di un re a favore di un altro re; Grégoire, vescovo degno della Chiesa primitiva, il quale sotto l'Impero, cancellò poi la sua fede repubblicana, assumendo il titolo di conte Grégoire; Amar, che affermava: «La terra intera condanna Luigi XVI. A chi appellarsi contro la condanna, ai pianeti?» Rouyer, il quale si era opposto all'impiego del cannone dal Pont – Neuf asserendo: «La testa di un re non deve, cadendo, far più rumore della testa di un uomo qualsiasi»; Chénier, fratello di André; Vadier, uno di quelli che posarono una pistola sulla tribuna; Tanis, che diceva a Momoro: «Voglio che Robespierre e Marat si riappacifichino alla mia tavola». «Dove abitate? A Charenton. «Mi sarei stupito che abitaste altrove»; Legendre, il macellaio della rivoluzione d'Inghilterra: « Vieni dunque che ti spacchi la testa», gridava a Lanjuinais; E costui rispondeva: «Devi ottenere prima un decreto che mi classifiche tra i buoi»; Collot d'Herbois, macabro commediante che portava sul viso l'antica maschera con due bocche, una per il sì e una per il no, uomo che approvava con l'una ciò che biasimava con l'alra, pronto ad accusare Carrier a Nantes e a deificare Châlier a Lione, a inviare Robespierre al patibolo e Marat al Pantheon; Génissieux, il quale chiedeva la pena di morte contro chiunque portasse su di sé la medaglia rappresentante; Leonard Bourdain, il maestro di scuola che aveva offerto la sua casa al vegliardo di Mont-Jura; Topsent, marinaio; Goupilleau, avvocato; Laurent Lecointre, commerciante; Duhem, medico; Sergent, scultore; David, pittore; Joseph Égalité, principe. Atri ancora: Lecointe-Piuraveau, il quale chiedeva che Marat «fosse riconosciuto in stato di demenza»;”

Victor Hugo (1802–1885) scrittore francese

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“Si indicava lo scanno dove sedevano gomito a gomito i sette rappresentanti dell'Haute Garonne, che invitati a pronunciarsi sul verdetto di condanna di Luigi XVI, avevano così proposto uno dopo l'altro: Mailhe, la morte. Delmas, la morte. Projean, la morte, Calès, la morte, Ayral, la morte, Julien, la morte. Desancy, la morte. Eco fatale che riempie in sé tutta la storia, dal giorno in cui fu instaurata la giustizia umana, eco sepolcrale tra le mura di tribunali. Si indicavano a dito gli uomini che avevano espresso il loro tragico giudizio, in tanta confusione; Paganel, che aveva detto: «Un re non può essere utile che con la sua morte. Dunque, a morte»; Millaud, il quale aveva gridato: «Se la morte non esistesse, oggi bisognerebbe inventarla»; il vecchio Raffron du Truillet, che aveva detto: «La morte, al più presto»; Goupilleau, il quale aveva urlato:«Subito al patibolo. Ogni lentezza aggrava la morte»; Sièyès, che aveva espresso con funerea concisione il suo voto: «La morte»; Thuriot, che si era opposto alla proposta di Buzot, tendente a proporre un appello al popolo: « È mai possibile? Le assemblee primarie? È mai credibile? Quarantamila tribunali, processo senza fine. La testa di Luigi XVI avrebbe tempo di incanutire, prima di cadere»; Augustin-Bon Robespierre, che, dopo il voto del fratello, aveva gridato: « Io non riconoscerei umanità che sgozzasse i popoli e perdonasse ai despoti. A morte! Chiedere un rinvio vuol dire appellarsi ai tiranni e non al popolo »; Foussedoire, sostituto di Bernardin de Saint-Pierre, il quale aveva sentenziato: «Sento tutto l'orrore di un'effusione di sangue, ma il sangue di un re non è sangue di creatura umana. A morte!»
Jean-Bon Saint-André che aveva detto: «La libertà dei popoli si identifica con la morte dei tiranni»;
Lavicomterie, assertore di questa formula: «Finchè un tiranno respira, la libertà soffoca. A morte!»; Chateauneuf-Randon, il quale aveva gridato: «Morte a Luigi l'ultimo!» Guyardin che vaeva espresso questo parere: «Deve essere giustiziato alla Barrière – Renversée!» volendo indicare la barriera del Trono; Tellier, il quale aveva detto: «Si deve fondere un cannone che abbia il calibro della testa di Luigi XVI, per combattere i nostri nemici».”

Victor Hugo (1802–1885) scrittore francese

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“Allora perché non ti rassegni? Colpa della testa che non sa calmarsi, cerca di continuo un modo per funzionare.”

Elena Ferrante (1943) pseudonimo di una scrittrice

Those Who Leave and Those Who Stay

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“Chi sa ballare alla persiana?” domando. Tutte si voltano a guardare Sanaz. Lei si schermisce, fa di no con la tessta. Cominciamo ad insistere, a incoraggiarla, formiamo un cerchio intorno a lei. Quando inizia a ballare, piuttosto a disagio, battiamo le mani e ci mettiamo a canticchiare. Nassrin ci chiede di fare più piano. Sanaz riprende, quasi vergognandosi, a piccoli passi, muovendo il bacino con grazia sensuale. Continuiamo a ridere e a scherzare, e lei si fa più ardita; muove la testa a destra e sinistra, e ogni parte del suo corpo vibra; balla anche con le dita e le mani. Sul suo volto compare un'espressione particolare, spavalda, ammicante, che attrae, cattura, e al tempo stesso sfugge e si nasconde. Appena smette di ballare, tuttavia, il suo potere svanisce.
Esistono varie forme di seduzione, ma quella che emana dalle danze tradizionali persiane è unica, una miscela di impudenza e sottigliezza di cui non mi pare esistano eguali nel mondo occidentale. Ho visto donne di ogni estrazione sociale assumere lo stesso sguardo di Sanaz, sornione, seducente e l'ho ritrovato anni dopo sul viso di Leyly, una mia amica molto sofisticata che aveva studiato in Francia, vedendola ballare al ritmo di una musica piena di parole come naz e eshveh e kereshmeh, che potremmo tradurre con “malizia”, “provocazione”, “civetteria”, senza però riuscire a rendere l'idea.
QUesto tipo di seduzione è al tempo stesso elusiva, vigorosa e tangibile. Il corpo si contorce, ruota su se stesso, si annoda e si snoda. Le mani si aprono e si chiudono, i fianchi sembrano avvitarsi e poi sciogliersi. Ed è tutto calcolato: ogni passo ha il suo effetto, e così il successivo. È un ballo che seduce in un modo che Daisy Miller non si sognava neanche. È sfacciato, ma tutt'altro che arrendevole. Ed è tutto nei gesti di Sanaz. La veste nera e il velo - che ne incorniciano il volto scavato, gli occhi grandi e il corpo snello e fragile - conferiscono uno strano fascino ai suoi movimenti. Con ogni mossa, Sanaz sembra liberarsene: la vesta diventa sempre più leggera, e aggiunge mistero all'enigma della danza.”

Reading Lolita in Tehran

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“I Cristiani quando costruivano chiese nei luoghi dei santuari pagani e accoglievano antichi capitelli e fusti di colonne nelle loro navate, si comportavano come Eracle con il leone di Nemea, come Atena con la Gorgone. Nel rapporto con il mostro, essenziale è innanzi tutto questo: che il mostro possiede o protegge o addirittura è il tesoro. Ucciderlo vuol dire incorporarlo, sostituirlo. L'eroe diventerà egli stesso il nuovo mostro, rivestito della pelle del vecchio e ornato di qualche sua metonimica spoglia. Così la testa di Eracle non accetta più di mostrarsi se non tra le fauci inerti del leone che ha sconfitto.
Il mostro è il più prezioso tra i nemici: perciò è il nemico che si cerca. Gli altri nemici posso semplicemente assaltarci: sono i Giganti, i Titani, rappresentanti di un ordine che sta per essere soppiantato o vuole vendicarsi per essere stato soppiantato. Tutt'altra è la natura del mostro. Il mostro aspetta vicino alla sorgente. Il mostro è la sorgente. Non ha bisogna dell'eroe. E' l'eroe che ha bisogno di lui per esistere, perché la sua potenza sarà protetta dal mostro e al mostro va strappata. Quando l'eroe affronta il mostro, non ha ancora potere, né sapienza. Il mostro è il suo padre segreto, che lo investirà di un potere e di una sapienza che sono soltanto di un singolo, e soltanto il mostro gli può trasmettere.
Il mostro, in origine, stava al centro, al centro della terra e del cielo, là dove sgorgano le acque. Quando il mostro fu ucciso dall'eroe, il suo corpo smembrato migrò e si ricompose ai quattro angoli del mondo. Poi cinse il mondo in un cerchio, di squame e di acque. Era il margine composito del tutto. Era la cornice. Che la cornice fosse il luogo del mostro lo sapevano anche gli artefici delle cornici barocche: ben più intricate, ben più folte, ben più arcaiche di tutti gli idilli che racchiudevano - e forse, un giorno, avrebbero soffocato. Poi venne il momento in cui non si vollero più le cornici. I musei ospitarono quadri senza cornici, che sembravano spogliati. La cornice non è l'antiquato, ma il remoto. Scomparsa la cornice, il mostro perde la sua ultima dimora. E torna a vagare, ovunque.”

Roberto Calasso (1941) scrittore italiano

Οι γάμοι του Κάδμου και της Αρμονίας

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