Frasi su abitudine

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema abitudine, vita, essere, proprio.

Frasi su abitudine

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“L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire.”

23 novembre 1937
Il mestiere di vivere
Variante: L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità –, si vorrebbe morire.

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“Anche se non ci sei tu sei sempre con me, | per antiche abitudini, | perché ti rivedrò dovunque tu sia.”

Franco Battiato (1945) musicista, cantautore e regista italiano

da Aspettando l'estate, n. 3
Il vuoto

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“Certo un oggetto può piacere anche per se stesso, per la diversità delle sensazioni gradevoli che ci suscita in una percezione armoniosa; ma ben più spesso il piacere che un oggetto ti procura non si trova nell'oggetto per se medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d'immagini care. Né noi lo percepiamo più qual esso è, ma così, quasi animato dalle immagini che suscita in noi o che le nostre abitudini vi associano. Nell'oggetto, insomma, noi amiamo quel che vi mettiamo di noi, l'accordo, l'armonia che stabiliamo tra esso e noi, l'anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi.”

Luigi Pirandello (1867–1936) drammaturgo, scrittore e poeta italiano premio Nobel per la Letteratura nel 1934

Cap IX
Variante: Ogni oggetto in noi suol trasformarsi secondo le immagini ch’esso evoca e aggruppa, per così dire, attorno a sé. Certo un oggetto può piacere anche per se stesso, per la diversità delle sensazioni gradevoli che ci suscita in una percezione armoniosa; ma ben più spesso il piacere che un oggetto ci procura non si trova nell’oggetto per sé medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d’immagini care. Né noi lo percepiamo più qual esso è, ma così, quasi animato dalle immagini che suscita in noi o che le nostre abitudini vi associano. Nell’oggetto, insomma, noi amiamo quel che vi mettiamo di noi, l’accordo, l’armonia che stabiliamo tra esso e noi, l’anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi.

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“L'abitudine ci nasconde il vero aspetto delle cose.”

XXIII; 2014
Saggi, Libro I

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“Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e dell'abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare.
Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri… Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un po' di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Che garantisca l'ordine anzitutto! Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere.
Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo.”

citato in Umberto Eco, Considerazioni attuali, L'espresso, n. 20, anno LIV, 22 maggio 2008, p. 222
La democrazia in America

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“Ehm, sei sicuro di volermi raccontare tutte queste cose?
Perché, quali cose?

Dei tuoi genitori, la paranoia…
Be', cos'è che ti sto raccontando, in fondo? Non ti sto dando proprio niente. Ti sto dando cose che Dio sa, che chiunque sa. I miei genitori sono famosi nella loro morte. E questo sarà il mio monumento costruito alla loro memoria. Io do a te tutte queste cose, ti racconto delle gambe di mio padre e delle parrucche di mia madre – più avanti in questo capitolo – e ti racconto i miei dubbi sull'opportunità o meno di fare sesso davanti all'armadio a specchi dei miei genitori la notte del funerale di mio padre, ma dopo tutto, cosa ti ho mai dato di così prezioso? Potresti pensare di sapere qualcosa di me, a quel punto, ma invece non sai ancora nulla. Io racconto, e un secondo dopo è tutto sparito. Non mi interessa – e come potrebbe? Ti racconto con quante ragazze sono andato a letto (trentadue), o di come i miei genitori hanno lasciato questo mondo, e alla fin fine che cosa ti ho dato? Niente. Posso dirti i nomi dei miei amici, i loro numeri di telefono…
Marny Requa: 415-431-2435
K. C. Fuller: 415-922-7893
Kirsten Stewart: 415-614-1976
Ma cos'è che hai in mano? Nulla. Tutti mi hanno dato il permesso di farlo. E perché? Perché tu non hai nulla, al massimo qualche numero di telefono. Può sembrare qualcosa di prezioso al massimo per uno o due secondi. Tu puoi avere solo quello che io posso permettermi di dare. E tu sei il mendicante che implora una qualsiasi cosa, mentre io sono il passante frettoloso che butta un quarto di dollaro nel bicchiere di carta che protendi verso di me. Questo è quanto ti posso dare. E non mi annienta. Ti do virtualmente tutto quello che possiedo. Ti do le cose migliori di me, anche se si tratta di cose che amo, ricordi di cui faccio tesoro, belli o brutti che siano, come le foto della mia famiglia appese al muro, posso mostrartele senza che esse per questo ne vengano sminuite. Posso permettermi di darti anche tutto quanto. Trasaliamo di fronti agli sciagurati che nei programmi pomeridiani rivelano i loro orrendi segreti di fronte a milioni di telespettatori, eppure… che cosa abbiamo tolto loro, e loro che cosa ci hanno dato? Niente. Sappiamo che Janine ha scopato con il fidanzato di sua figlia, ma… e allora? Moriremo un giorno e avremo protetto… che cosa? Avremo protetto dal mondo il fatto che facciamo questo o quello, che muoviamo le braccia in questo o quest'altro modo, e che la nostra bocca ha prodotto questi e questi altri suoni? Ma per favore. Ci sembra che rivelare cose imbarazzanti o private, tipo, che ne so, le nostre abitudini masturbatorie (quanto a me, circa una volta al giorno, perlopiù sotto la doccia), significhi – proprio come per i primitivi che temono che la macchina fotografica gli possa portare via l'anima – che abbiamo dato a qualcuno una cosa che noi identifichiamo come i nostri segreti, il nostro passato e le sue zone oscure, la nostra identità, nella convinzione che rivelare le nostre abitudini o le nostre perdite o le nostre imprese in qualche modo ci deprivi di qualcosa. Ma in realtà è proprio il contrario, di più è di più è di più, più si sanguina più si dà. Queste cose, i dettagli, le storie e quant'altro, sono come la pelle di cui i serpenti si spogliano, lasciandola a chiunque da guardare. Che cosa gliene frega al serpente di dov'è la sua pelle, di chi la vede? La lascia lì dove ha fatto la muta. Ore, giorni o mesi dopo, noi troviamo la pelle e scopriamo qualcosa del serpente, quant'era grosso, quanto era lungo approssimativamente, ma ben poco altro. Sappiamo dove si trova il serpente adesso? A cosa sta pensando? No. Per quel che ne sappiamo adesso il serpente potrebbe girare in pelliccia, potrebbe vendere matite a Hanoi. Quella pelle non è più la sua, la indossava perché ci era cresciuto dentro, ma poi si è seccata e gli si è staccata di dosso, e lui e chiunque altro adesso possono vederla.”

L'opera struggente di un formidabile genio

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“Scegli il modo migliore di vivere; l'abitudine te lo renderà piacevole.”

Pitagora (-585–-495 a.C.) matematico, legislatore, filosofo, astronomo, scienziato e politico greco
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“L'amore che non si rinnova ogni giorno diventa un'abitudine e si trasforma in schiavitù.”

Khalil Gibran (1883–1931) poeta, pittore e filosofo libanese

Sabbia e spuma

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“Invecchio, sì; perdo il gusto di comandare. Me lo fa perdere la servilità che scopro in tutti. Uomini, vorrei uomini! Mi vedo attorno automi, fantocci che devo atteggiare così o così, e che mi restano davanti, quasi a farmi dispetto, nell'atteggiamento che ho dato loro, finché non lo cambio con una manata. Soltanto di fuori però, capisci? si lasciano atteggiare! Dentro… eh, dentro, restano duri, coi loro pensieri copert, nemici, vivi solamente per loro. Che puoi su questi? Docili di fuori, miti, malleabili, visi ridenti, schiene ossequiose, t'approvano, t'approvano sempre. Ah, che sdegno! Vorrei sapere perché mi arrovello così; perché e per chi lo faccio… Domani morrò. Ho comandato! Sì, ecco: ho assegnato la parte a questo e a quello, a tanti che non hanno mai saputo veder altro in me che la parte che rappresento per loro. E di tant'altra vita, vita d'affetti e di idee che mi s'agita dentro, nessuno che abbia mai avuto il più lontano sospetto… Con chi vuoi parlarne? Sono fuori dalla parte che devo rappresentare… Certe volte, a qualcuno che viene qua a visitarmi, a incensarmi, mi diverto a rivolgere certi sguardi, certi sguardi che sfondano la parete, e me lo vedo allora per un attimo, restar davanti sospeso, impacciato, goffo; Dio sa che forza devo fare su me stesso per non scoppiargli a ridere in faccia. Mi crederebbe ammattito, per lo meno. E anche tu, caro mo, se vedessi con che occhi mi stai guardando in questo momento…
– Io no! – disse subito Aurelio, riscuotendosi.
Flaminio Salvo rise, scotendo il capo:
– Anche tu, anche tu… È così; per forza è così… Ti posso io dire quello che vorrei veramente da te? Il piacere che mi faresti, se tu agissi com'io forse al tuo posto agirei?
– E perché no? – domandò Aurelio, levandosi. – Mi dica…
– Ma perché no, – negò subito il Salvo, stringendosi nelle spalle, – perché non posso… Puoi dirmi tu quel che pensi, quel che senti, la vita che hai dentro in questo momento?… Non puoi… Sei davanti a me nella relazioni che possono correre tra me e te: tu sei il mio ingegnere, il mio buon figliolo che amo, a cui questa sera, davanti a una ventina di marionette, ho dato l'incarico di recarsi a Colimbetra, messaggero di trionfo: e basta! Che altro potrei dirti? Questo soltanto, forse, per il tuo bene…
E Flaminio Salvo posò una mano sulla spalla di Aurelio:
– Non ti tracciar vie da seguire, figliuolo mio; né abitudini, né doveri; va', va', muoviti sempre; scròllati di tratto in tratto d'addosso ogni incrostatura di concetti; cerca il tuo piacere e non temere il giudizio degli altri e neanche il tuo, che puoi stimar giusto oggi e falso domani. Conosci don Cosmo Laurentano? Se sapessi quanta ragione ha quel matto! Va', va', è tardi; andiamo a dormire. Addio.”

Luigi Pirandello (1867–1936) drammaturgo, scrittore e poeta italiano premio Nobel per la Letteratura nel 1934
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“Non avvicinarti ai litigiosi per non essere costretto ad uscire dalle tue abitudini di pace.”

Isacco di Ninive (640–700) monaco, mistico, religioso (vescovo di Ninive)

Discorsi ascetici – prima collezione

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“Venuta meno l'influenza anestetizzante dell'abitudine, mi mettevo a pensare, a sentire cose infinitamente tristi.”

I, I; 1990, p. 9
Alla ricerca del tempo perduto, Dalla parte di Swann

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“Nei parchi tedeschi, ci sono panchine speciali, che portano la scritta 'soltanto per adulti', e il bambino tedesco, anche se ha voglia di sedersi, leggendo quel cartello passa oltre a va a caccia di una panchina sulla quale ai bambini sia permesso di riposare; là siede stando ben attento a non toccare il legno con le scarpe infangate. Ve l'immaginate una panchina in Regent's Park su cui spiccasse la scritta 'Soltanto per adulti'?… Tutti i bambini per un raggio di cinque chilometri arriverebbero di corsa per occuparla, e cercherebbero di sloggiare gli altri che vi fossero già seduti. E nessun adulto riuscirebbe mai ad arrivare nemmeno in vista della panchina a causa della gran folla di bambini. Il bambino tedesco che, senza rendersene conto, si sieda su una di quelle panchine, salta su con un balzo, non appena qualcuno gli fa notare il suo errore, e se ne va a capo chino, arrossendo sino alla radice dei capelli, per la vergogna e il rimorso. in Germania, le strade di campagna sono fiancheggiate da alberi da frutta. Non c'è niente che impedisca ai ragazzi di raccogliere e mangiare la frutta, eccetto la voce della coscienza. In Inghilerra un simile stato di cose provocherebbe l'indignazione generale; i bambini morirebbero di colera a centinaia per le conseguenze di un'eccessiva ingestione di mele agre e noci acerbe. L'opinione pubblica reclamerebbe che gli alberi venissero recintati e, in tal modo, resi innocui. Ma in Germania un ragazzo è capace di percorrere chilometri e chilometri per una strada solitaria fiancheggiata da alberi da frutta per andare a comprarsi un soldo di pere al paese situato in fondo la strada. In Germania non è permesso mettersi in maschera per le strade. Uno scozzese di mia conoscenza che era andato a passare l'inverno a Dresda, sprecò i primi giorni della sua permanenza in discussioni con le autorità. Gli domandarono perché andasse vestito a quel modo. Lo scozzese non era un tipo cordiale, e rispose che non poteva circolare nudo. I funzionari vollero sapere perché andasse vestito così. Rispose che lo faceva per stare caldo e coperto. Gli dissero francamente che non gli credevano, e lo rimandarono a casa con una carrozza chiusa. Adesso in genere hanno fatto l'abitudine al turista inglese; però a un signore del Leicesteshiere, invitato un giorno alla caccia da alcuni ufficiali tedeschi, capitò, apparendo sulla porta dell'albergo, di essere prontamente acciuffato e condotto in questura, affinché desse spiegazioni sulla frivolezza della propria tenuta.”

Jerome Klapka Jerome (1859–1927) scrittore e giornalista britannico
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“L'abitudine rende sopportabile anche le cose spaventose.”

Esopo (-620–-564 a.C.) scrittore e favolista greco

da Favole, 42

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“Pater dice che «il fallimento consiste nel formarsi delle abitudini.»”

in Tutte le opere, p. 865
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“L'abitudine ci è data dall'alto: essa è il surrogato della felicità.”

Alexander Sergejevič Puškin (1799–1837) poeta, saggista, scrittore e drammaturgo russo

cap. II, st. XXXI
Evgénij Onégin

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“Le sciocche e laide abitudini sono le corruzioni della nostra natura.”

Ugo Foscolo (1778–1827) poeta italiano

Epistolario

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“È abitudine della Juventus dire e credere che quando le cose vanno bene il merito è dei giocatori, quando vanno meno bene la responsabilità è della società.”

Gianni Agnelli (1921–2003) imprenditore italiano

dalla lettera aperta a Luciano Lama Agnelli risponde a Lama sulla Juve http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,viewer/Itemid,3/page,0033/articleid,0860_01_1991_0050_0029_25301407/, La Stampa, 6 marzo 1991, p. 33

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“[Su Pier Paolo Pasolini] Sull'atroce morte di Pasolini s'è scritto tutto; ma sulle ragioni per cui egli non ha potuto non andarle incontro, penso quasi nulla. Cosa lo spingeva, la sera o la notte, a volere e a cercare quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi, credo, in un solo nodo e in un solo nome: la coscienza e l'angoscia dell'essere diviso, dell'essere soltanto una parte di un'unità che, dal momento del concepimento, non è più esistita; insomma, la coscienza e l'angoscia dell'essere nati e della solitudine che fatalmente ne deriva. La solitudine, questa cagna orrenda e famelica che ci portiamo addosso da quando diventiamo cellula individua e vivente e che pare privilegiare coloro che, con un aggettivo turpe e razzista, si ha l'abitudine di chiamare "diversi". Allora, quando il lavoro è finito (e, magari, sembra averci ammazzati per non lasciarci più spazio altro che per il sonno e magari neppure per quello); quando ci si alza dai tavoli delle cene perché gli amici non bastano più; quando non basta più nemmeno la figura della madre (con cui, magari, s'è ingaggiata, scientemente o incoscientemente, una silenziosa lotta o intrico d'odio e d'amore) e si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e come il nulla verso cui andiamo, comincia a crescere dentro di noi un bisogno infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un "qualcuno"; quel "qualcuno" che ci illuda, fosse pure per un solo momento, di poter distruggere e annientare quella solitudine; di poter ricomporre quell'unità lacerata e perduta.”

Giovanni Testori (1923–1993) scrittore, drammaturgo e storico dell'arte italiano

da A rischio della vita, L'Espresso, 9 novembre 1975

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“Non è sempre il dubbio che va debellato, ma le cattive abitudini.”

Fulton J. Sheen (1895–1979) arcivescovo cattolico statunitense

Origine: Tre per sposarsi, p. 19

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“Non è nella novità, ma nell'abitudine che si trovano i maggiori piaceri.”

Variante: Non è nella novità, è nell'abitudine che troviamo i più grandi piaceri.
Origine: Il diavolo in corpo, p. 67 ed. BUR

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