Frasi su declino

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema declino, vita, essere, due-giorni.

Frasi su declino

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“E se fossi una stellina vorrei sempre essere a sera nell'ora in cui il giorno già declina per donarti un raggio di speranza.”

Teresa di Lisieux (1873–1897) religiosa e mistica francese

al signor Martin, 25 agosto 1885
Lettere

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“[Durante la conferenza stampa del primo ritiro] Ho raggiunto l'apice della carriera. Non ho più nulla da raggiungere, non posso più superare me stesso, ho perso ogni entusiasmo, mi sento demotivato. Ed è giusto, a questo punto, andarmene in pensione, senza aspettare l'inevitabile declino.”

Michael Jordan (1963) cestista statunitense

Origine: Citato in Arturo Zampaglione, Addio basket, mi hai stancato http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/10/07/addio-basket-mi-hai-stancato.html, la Repubblica, 7 ottobre 1993.

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“Dove ti ritiri? La tua ferita è leggera e l'incalzare dei nemici pressante! Abbiamo bisogno di te!”

Costantino XI di Bisanzio (1404–1453) imperatore bizantino

a Giovanni Giustiniani, dopo la caduta della Porta San Romano; citato in Declino e caduta dell'Impero romano di Edward Gibbon

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“Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro.”

Pier Paolo Pasolini (1922–1975) poeta, giornalista, regista, sceneggiatore, attore, paroliere e scrittore italiano

Origine: Da Saggi sulla letteratura e sull'arte; citato in Cesare Prandelli, Giuseppe Calabrese, Il calcio fa bene, Giunti, Firenze, 2012, p. 7 https://books.google.it/books?id=GpM7VLnrR9AC&pg=PA7#v=onepage&q&f=false. ISBN 88-0977-801-6

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“Bello è un termine che noi applichiamo a innumerevoli esseri; ma per quanta sia la differenza tra questi esseri, bisogna concludere o che noi facciamo una falsa applicazione del termine bello, o che in tutti questi esseri c'è una qualità di cui il termine bello è il segno.
Questa qualità non può rientrare nel numero di quelle che costituiscono la loro differenza specifica; poiché in questo caso non ci sarebbe che un solo essere bello, o tutt'al più una sola specie bella di esseri.
Ma fra le qualità comuni a tutti gli esseri che chiamiamo belli, quale sceglieremo per identificare la cosa di cui il termine bello è il segno? Quale? È evidente, mi sembra, che dovrà essere quella la cui presenza li rende tutti belli; la cui maggiore o minore intensità (se essa è suscettibile di maggiore o minore intensità) li rende più o meno belli; la cui assenza rende impossibile che siano belli; che non può cambiare natura senza che il bello cambi specie, e la cui qualità opposta renderebbe sgradevoli e brutti i più belli; in una parola, quella grazie alla quale la bellezza comincia, aumenta, varia all'infinito, declina e scompare. Ora, non c'è che la nozione di rapporti che abbia questa virtù.
Chiamo dunque bello fuori di me tutto ciò che contiene in sé qualcosa che possa risvegliare nel mio intelletto l'idea di rapporti; e bello per me tutto ciò che risveglia quest'idea.
Quando dico tutto, escludo però le qualità relative al gusto e all'odorato; benché queste qualità possano risvegliare in noi l'idea di rapporti, non si chiamano belli gli oggetti in cui esse risiedono, quando li si considera dal punto di vista di queste qualità. Diremo un cibo eccellente, un odore delizioso, ma non un bel cibo, un bell'odore. Dunque, quando diciamo questo è un bel pesce, questa è una bella rosa, consideriamo nella rosa e nel pesce qualità diverse da quelle relative ai sensi del gusto e dell'odorato.
Se faccio distinzione tra tutto ciò che contiene in sé qualcosa che possa risvegliare nel mio intelletto l'idea di rapporti, e tutto ciò che risveglia questa idea, è perché bisogna ben distinguere le forme che sono negli oggetti dalla nozione che io ne ho. Il mio intelletto non mette nulla nelle cose e non ne toglie nulla. Che io pensi o non pensi alla facciata del Louvre, tutte le parti che la compongono hanno ugualmente questa o quella forma e questa o quella rispondenza tra loro: che ci siano degli uomini o meno, essa è bella ugualmente, ma soltanto per possibili esseri costituiti di corpo e di spirito come noi; poiché per altri essa potrebbe non essere né bella né brutta, o anzi essere brutta. Ne consegue che, benché non ci sia un bello assoluto, ci sono due specie di bello per noi, un bello reale e un bello percepito.”

Denis Diderot (1713–1784) filosofo, enciclopedista, scrittore e critico d'arte francese

2001, pp. 39-41
Trattato sul bello

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“Ho dovuto constatare come la libertà declini laddove i diritti sono formulati dagli «esperti.»”

Ivan Illich (1926–2002) scrittore, filosofo, sociologo, teologo

introduzione, p. 14
Per una storia dei bisogni

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“Se la letteratura di una nazione declina, la nazione si atrofizza e decade.”

Ezra Pound (1885–1972) poeta, saggista e traduttore statunitense

Origine: Aforismi e detti memorabili, p. 58

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“[Teodora] si augurava un quarto altare sul quale poter libare al dio dell'Amore.”

Declino e caduta dell'Impero romano, p. 457
Declino e caduta dell'Impero Romano
Origine: Alludendo a quel che dice Procopio di Cesarea riguardo all'uso "contro natura" che Teodora faceva del suo corpo.

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“Declina il mondo, e peggiorando invecchia.”

Pietro Metastasio (1698–1782) poeta italiano

II, 8
Demetrio

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“È d'obbligo ricordare Alessandra Kollontaj, i suoi ardori di agitatrice, la sua filosofia sconvolgente, i suoi incontri sbagliati, il suo malinconico declino.”

Enzo Biagi (1920–2007) giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano

Origine: Russia, p. 114

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“Molti giornali, compreso il mio, si lamentano del declino degli imprenditori: ma noi che abbiamo messo in piedi la più grande televisione commerciale e la più grande società produttrice di film d'Europa, noi chi siamo, dei martinitt?”

Silvio Berlusconi (1936) politico e imprenditore italiano

1989
Origine: Citato in I duellanti del nord alla sfida del duemila http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/02/19/duellanti-del-nord-alla-sfida-del.html, la Repubblica, 19 febbraio 1989.

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“La finzion del vizio | A vizio ver declina; A can, che lecca cenere, | Non gli fidar farina.”

Luigi Fiacchi (1754–1825) religioso, scrittore e filologo italiano

da Il fanciullo e il gatto, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 599

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“Osserva la creazione: alberi, uccelli, erba, animali… Sai una cosa? Tutta la creazione è colma di gioia. Tutta la creazione è felice! Si, lo so: c'è sofferenza, dolore, crescita, declino, vecchiaia e morte. Si, tutto ciò sta nella creazione, ma se voi comprendeste cosa realmente significa felicità! Solo l'essere umano ha sete, solo il cuore umano è inquieto. Non è strano? Perché l'essere umano è infelice e cosa si può fare per trasformare questa tristezza in gioia? Perché gli uomini sono tristi? Perché hanno idee distorte e atteggiamenti sbagliati. La prima idea distorta che gli uomini hanno è che gioia equivalga a euforia, sensazioni di piacere, divertimento. Con questa idea in testa gli uomini vanno in cerca di droghe e stimolanti, e finiscono con l'essere depressi. […] La seconda idea distorta consiste nel pensare che possiamo raggiungere la nostra felicità, che possiamo fare qualcosa per afferrarla. […] La terza e forse più determinante idea distorta sulla felicità consiste nel ritenere che essa si trovi fuori di noi, nelle cose esterne, nelle altre persone. «Cambio lavoro, così forse sarò felice»; oppure: «Cambio casa, mi sposo con un'altra persona…, così forse sarò felice», ecc. La felicità non ha nulla a che vedere con l'esterno. In genere si crede che i soldi, il potere, la rispettabilità possano rendere felici. Di fatto però non è così.”

Anthony de Mello (1931–1987) gesuita e scrittore indiano

Istruzioni di volo per aquile e polli

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“Chi ha compreso il declino e il crollo della civiltà occidentale riconoscerà in Nietzsche colui che ha risvegliato la coscienza dell'Europa.”

Ananda Coomaraswamy (1877–1947) storico dell'arte dello Sri Lanka

Origine: Da La visione cosmopolita di Nietzsche, in La danza di Śiva, traduzione di Giampiero Marano, Adelphi, Milano, 2011, p. 225.

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“Io mi diverto ad avere trent’anni, io me li bevo come un liquore i trent’anni: non li appassisco in una precoce vecchiaia ciclostilata su carta carbone. Ascoltami, Cernam, White, Bean, Armstrong, Gordon, Chaffee: sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perchè è finita l’angoscia dell’attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo, a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo. Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla nostra fortuna: e allora com’è che in voi non è così? Com’è che sembrate i miei padri schiacciati di paure, di tedio, di calvizie? Ma cosa v’hanno fatto, cosa vi siete fatti? A quale prezzo pagate la Luna? La Luna costa cara, lo so. Costa cara a ciascuno di noi: ma nessun prezzo vale quel campo di grano, nessun prezzo vale quella cima di monte. Se lo valesse, sarebbe inutile andar sulla Luna: tanto varrebbe restarcene qui. Svegliatevi dunque, smettetela d’essere così razionali, ubbidienti, rugosi! Smettetela di perder capelli, di intristire nella vostra uguaglianza! Stracciatela la carta carbone. Ridete, piangete, sbagliate. Prendetelo a pugni quel Burocrate che guarda il cronometro. Ve lo dico con umilità, con affetto, perché vi stimo, perché vi vedo migliori di me e vorrei che foste molto migliori di me. Molto: non così poco. O è ormai troppo tardi? O il Sistema vi ha già piegato, inghiottito? Sì, dev’esser così.”

Oriana Fallaci (1929–2006) scrittrice italiana
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