Frasi su tronco

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema tronco, albero, terra, mondo.

Frasi su tronco

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“Nessun essere, eccetto l'uomo, si stupisce della propria esistenza; per tutti gli animali essa è una cosa che si intuisce per se stessa, nessuno vi fa caso. Nella pacatezza dello sguardo degli animali parla ancora la saggezza della natura; perché in essi la volontà e l'intelletto non si sono ancora distaccati abbastanza l'uno dall'altro per potersi, al loro reincontrarsi, stupirsi l'uno dell'altra. Così qui l'intero fenomeno aderisce ancora strettamente al tronco della natura, dal quale è germogliato, ed è partecipe dell'inconsapevole onniscienza della grande Madre. Solo dopo che l'intima essenza della natura (la volontà di vivere nella sua oggettivazione) s'è elevata attraverso i due regni degli esseri incoscienti e poi, dopo essere passata, vigorosa ed esultante, attraverso la serie lunga e vasta degli animali, è giunta infine, con la comparsa della ragione, cioè nell'uomo, per la prima volta alla riflessione: allora essa si stupisce delle sue proprie opere e si chiede che cosa essa sia. La sua meraviglia, però, è tanto più seria, in quanto essa si trova qui per la prima volta coscientemente di fronte alla morte, e, accanto alla caducità di ogni esistenza, le si rivela anche, con maggiore o minore consapevolezza, la vanità di ogni aspirazione. Con questa riflessione e con questo stupore nasce allora, unicamente nell'uomo, il bisogno di una metafisica: egli è dunque un animal metaphysicum.”

Il mondo come volontà e rappresentazione
Origine: Citato in Umberto Antonio Padovani, Andrea Mario Moschetti, Grande antologia filosofica, Marzorati, Milano, 1971.

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“Folle! Come mi ero illuso che potesse vivere un tronco reciso dalle sue radici?”

XVII; 1993, p. 219
Il fu Mattia Pascal

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“Nella vita di Herr Cazotte trascorrere la prima notte di luglio all'aperto era una specie di rito. Ad esso fedele, anche il primo luglio di quell'anno, subito dopo che la Corte e tutti gli abitanti di Rosenbad si erano ritirati per la notte, egli uscì sotto le stelle pallide in un cielo terso, in un mondo rorido di rugiada e colmo di fragranza. A tutta prima camminò rapidamente per allontanarsi, poi rallentò il passo per guardarsi intorno. E men­tre così faceva sentì che il suo cuore traboccava di gratitudine. Si tolse il cappello. "Quale tremendo, insondabile potere di immaginazione" si disse "ha formato ognuno dei più piccoli oggetti che ho d'intorno, e li ha combinati in una possente unità! Io non sono una persona modesta, ho una notevole considerazione per i miei talenti, e oso cred­ere che avrei anche potuto immaginare l'una o l'altra delle cose che mi circondano. Avrei potuto inventare i lunghi fili d'erba, ma sarei stato capace di inventare la rugiada? Avrei potuto inventare l'oscurità, ma sarei stato capace di inventare le stelle? Di una cosa sono sicuro" disse tra sé mentre rimaneva perfettamente immobile e ascoltava "che non sarei mai stato capace d'inventare l'usignolo".
"I fiori del castagno" continuò "si tengono dritti come i ceri degli altari. I fiori del lillà sembrano erompere in tutte le direzioni dal tronco e dai rami, dando a tutto l'arbusto l'aspetto di un lussureggiante bouquet e i fiori del cìtiso si inchinano penduli come do­rati ghiaccioli estivi nell'aria di un pallido azzurro. Ma i fiori del biancospino si spandono lungo i rami come fragili strati di neve bianca e rosea. Non è possibile che una varietà così infinita sia necessaria all'economia della Natura, dev'essere per forza la manifestazione di uno spirito universale, inventivo, ottimista e giocondo all'estremo, incapace di trattenere i suoi scherzosi torrenti di felicità. E davvero, davvero: Domine, non sum dignus."”

Karen Blixen (1885–1962) scrittrice e pittrice danese

Si aggirò a lungo per i boschi. "Stanotte" pensò "sto rendendo omaggio al grande dio Pan".
Ehrengard

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“"Comunque" continuò Hermione, come se non fossero stati appena aggrediti da un tronco di legno,"Lumacorno darà una festa di Natale, Harry, e non potrai evitarla stavolta, perché mi ha chiesto di controllare le tue serate libere in modo da organizzarla quando potrai esserci anche tu". Harry gemette. Nel frattempo Ron, che si era alzato in piedi e con tutta la sua forza stava cercando si spremere il baccello nella ciotola, sbottò, rabbioso: "E questa è un'altra festa riservata ai cocchi di Lumacorno, vero?" "Solo per il Lumaclub, sì" rispose Hermione.
Il baccello schizzò via dalla stretta di Ron, colpì il vetro della serra, rimbalzò sulla testa della professoressa Sprite e le fece volar via il vecchio cappello rappezzato. Harry andò a riprenderlo; quando tornò, Hermione stava dicendo: "Senti, non l'ho inventato io il nome Lumaclub…" "Lumaclub" ripeté Ron con un ghigno beffardo degno di Malfoy. "È penoso. Be', spero che ti diverta. Perché non provi a uscire con McLaggen, così Lumacorno potrà nominarvi Re e Regina dei Lumaconi…" "Possiamo portare degli ospiti" lo interruppe Hermione, che per qualche ragione era violentemente arrossita, "e stavo per chiederti di venire, ma se la pensi così allora lascio perdere!" Harry all'improvviso desiderò che il baccello fosse volato molto più lontano, in modo da non dover stare lì con quei due. Senza che lo notassero, prese la ciotola e cercò di aprire il baccello nel modo più rumoroso e violento che riuscisse a escogitare, ma questo purtroppo non gli impedì di sentire ogni parola.
"Stavi per invitare me?" chiese Ron in tutt'altro tono.
"Sì" rispose Hermione, adirata. "Ma se preferisci che esca con McLaggen…"
Ci fu una pausa durante la quale Harry continuò a pestare il baccello elastico con una paletta.
"No che non lo preferisco" bisbigliò Ron.
Harry mancò il baccello e colpì la ciotola, che andò in pezzi.
"Reparo" ordinò subito, picchiettando i frammenti con la bacchetta, e la ciotola tornò integra. Ma il fracasso evidentemente ricordò a Ron e Hermione che Harry era a un passo da loro. Hermione apparve turbata e cominciò subito a cercare la sua copia di Alberi Carnivori del Mondo per scoprire il modo corretto di spremere i baccelli di Pugnacio; da parte sua, Ron era imbarazzato ma anche compiaciuto.
[…] Non era veramente sorpreso, pensò Harry mentre lottava con un tralcio spinoso deciso a strangolarlo; aveva avuto il sospetto che prima o poi sarebbe potuto succedere. Ma non era sicuro di come si sentiva al riguardo. Lui e Cho ormai erano troppo imbarazzati per guardarsi, figuriamoci parlarsi; e se Ron e Hermione si fossero messi insieme e poi si fossero lasciati? La loro amicizia sarebbe sopravvissuta? Harry ricordò le poche settimane in cui non si erano parlati, al terzo anno; non si era affatto divertito a cercare di riconciliarli. E se invece non si fossero lasciati? Se fossero diventati come Bill e Fleur, e si fosse rivelato imbarazzante stare con loro, e lui fosse stato escluso per sempre?”

Origine: Harry Potter e il principe mezzosangue, pp. 260-262

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“Non può esserci un cristianesimo che non stia a priori ed intimamente in un essenziale contatto con il tronco sacro, come il ramo con la radice.”

Hans Urs Von Balthasar (1905–1988) presbitero e teologo svizzero

Dialogo solitario
Origine: Il tronco sacro è l'ebraismo, secondo l'immagine dell'olivo e dell'oleastro proposta da San Paolo.

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“Rapisti al ciel le folgori | Che debellate innante | Con tronche ali ti caddero | E ti lambîr le piante.”

Vincenzo Monti (1754–1828) poeta italiano

da Ode al signor di Montgolfier

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“Una ripida discesa, che si prolunga sul fianco del dirupo, ci conduce al fondo della vallata del torrente che sbocca alla Marina di Catanzaro. All'inizio di questo pendìo un gruppo di platani secolari, dal tronco marmorato, offrirebbe ai paesaggisti magnifici modelli per degli studi di alberi. Avvezzo alla abitudini del paese, io non stupisco né mi spavento di vedere il nostro cocchiere spingere le sue bestie a gran corsa nella discesa; so già per esperienza che i cavalli calabresi hanno il piede di una sicurezza mirabile, e sono abituati a scendere a tutto galoppo i più forti pendii, girando con una precisione meravigliosa nelle curve più brusche della strada, quando s'immaginerebbe che il loro slancio stia per trascinarli nell'abisso. In fondo alla vallata lasciamo sulla destra, a un centinaio di metri di distanza, una vasta chiusa di aranci e di altri alberi fruttiferi, perfettamente irrigua, di una vegetazione meravigliosa, circondata da tutti i lati da rocce a picco bruciata dal sole e coperte da cactus, di agavi e aloe. Questa chiusa passa per una delle meraviglie dei dintorni di Catanzaro; è uno dei siti in cui si conducono i forestieri. La si chiama il Paradiso, e tal nome è ben dato, perché è un vero paradiso di frescura e di ridente vegetazione, una deliziosa solitudine, nella quale è possibile credersi isolato dal resto del mondo.”

François Lenormant (1837–1883) assiriologo e numismatico francese

Origine: La Magna Grecia. Paesaggi e storia, La Calabria (vol. III), pp. 8-9

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“[Sull'impresa di Fiume]
Si deve dire che ci fu un uomo il quale prese ad un tratto in pugno tutto il destino dell'impresa. Fu il gigante che inarcò le spalle a sorreggere il peso immane di uno sforzo pauroso: quello necessario ad impugnare un revolver ed a spianarlo contro la fronte di un altro uomo, per la fulminea eliminazione dell'ostacolo insormontabile.
— Occorrono i camions? — interrogò egli.
— Per l'appunto.
— E vi disperate perché non ci sono?
— Precisamente.
— Allora, fermi tutti. Ci penso io!
Non disse altro. Non chiese nulla. Non esitò un istante. Balzò in automobile e si precipitò a rotta di collo verso Palmanova. […]
Furono a un tratto faccia a faccia: quegli che voleva i camions e quegli che doveva darli. Due capitani. Due italiani. […]
Alla breve luce di una lampada, entro l'angusto spazio di una cameretta uso baracca, la polemica fu subito troncata da un gesto di minaccia. L'ufficiale di d'Annunzio sollevò il pugno armato di rivoltella all'altezza di quella fronte curva nel diniego inesorabile. E le parole della intimazione furono scandite nel silenzio con la voce tronca che mozza il respiro.
— O tu cedi o io sparo!
L'altro impallidì. Poi disse:
— Cedo alla violenza.
Non si sentiva di morire per 40 camions. E poi, quegli che lo fronteggiava non era un austriaco. Gli brillavano sul petto tre medaglie d'argento. E coteste tre medaglie ne aspettavano un'altra: d'oro. Era dunque un eroe autentico. Ed era precisamente il capitano degli arditi Ercole Miani, triestino, conquistatore del Vodice.”

Piero Belli (1882–1957) giornalista e scrittore italiano

da La notte di Ronchi, pp. 19-22

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“Lo stipite umano è ordinato esso pure a spandere discosto da sé le propagini e i semi; e ogni germe nuovo dee nudrirsi del terreno ove cade, non del tronco da cui si origina.”

Terenzio Mamiani (1799–1885) filosofo, politico e scrittore italiano

Origine: Dell'ottima congregazione umana, p. 11, VII

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“[Su Francavilla Fontana] Il cinguettare a canto dell'oritano, l'accento tronco rapido e sonoro di quei di San Vito, la frase a larga cadenza del francavillese in posa spavalda e del tutto spagnola, la interiezione piana di quei di Latiano.”

Giovanni Antonucci (1941) storico italiano

Origine: Citato in Fulgenzio Clavica e Rosario Jurlaro (a cura di), Francavilla Fontana, Milano, Mondadori Electa, 2007. ISBN 978-88-370-4736-8

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“[Dopo i fatti di Calciopoli] Se chi ha la possibilità non tronca la piovra in modo tale da rendere chiaro che certi scandali non si ripeteranno mai più, allora il calcio è finito. Chi ha sbagliato paghi e paghi in modo tale da far passare in futuro la voglia di ripensarci.”

Gianfranco Fini (1952) politico italiano

Origine: Citato in Gli azzurri pagheranno ai Mondiali http://www.repubblica.it/2006/05/dirette/sezioni/calcio/scandalocalcio/sabato20maggio/, Repubblica; 20 maggio 2006.

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“Dove l'orso spiccava le api dai tronchi, e l'orsa mugolando allattava gli stupidi orsacchiotti: dove l'alce spaventata fuggiva il dilaniare dei lupi, e i lupi insegnavano ai lupicini a urlare e a sbranare; dove l'astore e i suoi piccini divorarono assai cuciattoli, e i corvi a stormi ci rubavano le oche; ecco, vedete, fuggita è di là ogni gioia, e solo le cornacchie ora cantano lo squallore autunnale. Gli uccellini, con i loro canti, stretti l'uno all'altro si rannicchiano, e, senza affanni, finché dura il freddo, dormono e sognano.”

Kristijonas Donelaitis (1714–1780) scrittore lituano

Origine: Da Le stagioni, Ricchezze d'autunno, in Giuseppe Morici, Il poeta nazionale della Lituania, Cristiano Donalitius, Studi Baltici, 3, 1933, pp. 41-61, traduzione di Giuseppe Morici; citato in Kristijonas Donelaitis, Le Stagioni, traduzione, introduzione e note di Adriano Cerri, prefazione di Pietro U. Dini, Edizioni Joker, Novi Ligure, 2014, appendice testuale, p. 281. ISBN 978-88-7536-353-6

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“[Rodrigo Manrique in cospetto della Morte che si rivolge a lui:] «Buon cavaliero, | ti prepara al dì sereno | di tua festa: | lascia il mondo menzognero; | l'alto cor, che porti in seno | manifesta. | Se la vita posta hai spesso | in terribili cimenti | per la fama, | di costanza l'arma adesso; | né la voce ti sgomenti | che ti chiama. || «Non ti sia l'uscita amara; | né la pugna ti spauri | che t'attende; | la tua gloria si rischiara | e ne' secoli futuri si distende, | questa vita dell'onore, | benché labile e mortale, | passi anch'essa, | della vita è ben migliore | che al caduco vostro frale | vien concessa. || «Una vita in ciel rimane: | dal potente non si merca | con tesori; | né l'ottien chi in gioie vane | l'età sua perdendo cerca | solo i fiori; | ma l'ottiene con preghiere | nella tacita spelonca | l'eremita; e l'ottiene | il cavaliere | cui dal Mauro ferro tronca | fu la vita. || «Or tu nobile campione, | che cotanto sangue hai sparso | d'infedeli, | ti rallegra, un guiderdone | a' tuoi merti non più scarso | danno i cieli. | Con la Speme e con la Fede, | cui sacrasti ognor dell'alma | gli alti affetti, | sali incontro alla mercede, | sali al trono ed alla palma | degli Eletti». || «Bella Morte, io non indugio; | affannato il cor ti chiama | con desio; | il Signore è mio rifugio; | quel che farsi Ei di me brama, | bramo anch'io. | Il mio spirito con gioia | della creta, ov'è sepolto, | si dispoglia; | quando Dio vuol che si muoia | voler vivere è d'uom stolto | pazza voglia. || Tu che in terra per lavarne | dalla colpa pellegrino | discendesti, | e col vel di nostra carne | il principio tuo divino | nascondesti; | tu che pendi, il fianco aperto | dalla lancia, sovra il legno | sanguinoso, | non guardare al nostro merto; | ma per grazia al servo indegno | sii pietoso». || Tal pregava il guerrier forte | e moria, l'usato aspetto | non mutando.”

Jorge Manrique (1440–1479) poeta spagnolo

Origine: Da Stanza per la morte del padre, pp. 20-22

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“In questo istante di estatica sospensione («Affocato meriggio dorme sui campi. Non cantare! Taci!»), sacro al sonno del dio Pan che si riposa dalla caccia, la natura stessa sembra sepolta in un misterioso, impenetrabile sopore: i venti sono caduti e il sole, a perpendicolo sull'orizzonte, è come un'alta fiamma pietrificata. A questo punto si tronca repentinamente lo scorrere del tempo («Non se n'è volato via il tempo?») e Zarathustra sprofonda nel pozzo dell'eternità («Fiel ich nicht – horch! in den Brunnen der Ewigkeit?») ed ecco che emerge silenziosamente il mondo dalla sua perfezione, o meglio quella eternità, calata nella profondità del mondo, che costituisce la sua perfezione («Die Welt ist vollkommen»). Gli stessi attributi di questa perfezione, «maturo» e «rotondo» («Non era infatti il mondo perfetto, rotondo e maturo?», rimandano alla perfezione del circolo, in cui il movimento è conchiuso in se stesso e non si dispiega più in una progressione indefinita. L'anima e il mondo sono ora immersi in una trasognata mescolanza che ha lo stupore del possesso.”

Ferruccio Masini (1928–1988) germanista, critico letterario e traduttore italiano

da Parte seconda, cap. settimo, Il "mezzodì" come metafora cosmico-estatica della eternità, pp. 200-201
Lo scriba del caos
Origine: Da Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra; Schlechta, Werke in drei Bänden, II, p. 514 (Mittags) Lo scriba del caos, nota a p. 200.

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“Volendo assegnare una paternità ideale a Paul Cézanne, le grandi immagini di Michelangelo e di Eschilo apparirebbero fra le prime alla fantasia. Al pari del toscano, egli ha compreso la forza mistica che scoppia dalle cose mute, dai tronchi e dalle rocce; al pari del greco, ha sentito la potenza selvaggia che erompe dal cuore ingenuo del popolo, e queste due energie ha racchiuse nei suoi paesi e nelle sue figure. Così come la loro, la sua opera è un rozzo terreno, spoglio, pietroso, atroce, scorticato, dal quale sbocciano piante, fiori ed erbe, mestamente, castamente, con semplice spontaneità naturale. Per arrivare a suggerire pittoricamente delle immagini tanto solenni, è naturale che Paul Cézanne abbia dovuto sfrondare le sue fantasie e presentarle religiosamente, col solo magistero dello stile. Infatti il suo colore e il suo disegno sono agri, poveri e brutali. Nella sua pittura si riscontrano i conflitti cromatici che, per il primo, Masaccio suscitò realisticamente negli affreschi della cappella Brancacci al Carmine; ed anche le torsioni vigorose del Tintoretto. Senza legge, senza scrupoli, il suo stile accusa le asperità dei contorni degli esseri e di ciò che li circonda.”

Ardengo Soffici (1879–1964) scrittore italiano

da Scoperte e massacri, 1929
Origine: Citato in Stefania Lapenta, Cézanne, I Classici dell'arte, Rizzoli - Skira, Milano, 2003, pp. 183-188 e frontespizio. ISBN 88-7624-186-8

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“Un contadino è un tronco d'albero che può spostarsi.”

Jules Renard (1864–1910) scrittore e aforista francese

6 marzo 1894; Vergani, p. 74
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