Frasi su vetro

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema vetro, mondo, essere, vita.

Frasi su vetro

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“Siamo fatti per sbagliare | E poi tornare indietro | E desiderare sempre quello che sta dietro al vetro.”

Fabrizio Moro (1975) cantautore e chitarrista italiano

da Parole, rumori e giorni, n. 1
Pensa

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“Bottiglie di vetro rotte, strisce di argentata nere, come trasformare una serata in mille sporche sere.”

Noyz Narcos (1979) rapper, beatmaker e writer italiano

da Nel Teschio
Guilty

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“Gli occhi come due pezzi di vetro, tu non sei come ti credevo io.”

Claudio Baglioni (1951) cantautore italiano

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“Ma forse, le venne da pensare, avere qualcuno non era mai davvero possibile. Forse, per quanto si possa amare una persona, lei può sempre scivolarti via dalle dita come acqua, senza che tu possa farci niente. Ora capiva perché la gente parlava di cuori "infranti": si sentiva come se il suo fosse di vetro rotto, con le schegge come coltelli che le trafiggevano il petto ogni volta che respirava.”

City of Fallen Angels
Shadowhunters, Città degli angeli caduti
Variante: Come poteva desiderare dell'altro, quando aveva Jace?
Ma forse, le venne da pensare, avere qualcuno non era mai davvero possibile. Forse, per quanto si possa amare una persona, lei può sempre scivolarti via dalle dita come acqua, senza che tu possa farci niente. Ora capiva perché la gente parlava i cuori ‘infranti’: si sentiva come se il suo fosse di vetro rotto, con le schegge come coltelli che le trafiggevano il petto ogni volta che respirava.

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“Un lavoratore fornisce abbondantemente agli altri ciò di cui necessitano ed essi gli procurano ampiamente ciò di cui necessita, e una generale abbondanza si diffonde attraverso tutti gli strati della società. Osserva la sistemazione del più comune artigiano o lavoratore giornaliero in un paese civile e fiorente, e ti accorgerai che del numero di persone della sua industria una parte, sebbene una piccola parte, che è stata impiegata per procurargli questa sistemazione, eccede ogni calcolo. Il cappotto di lana, per esempio, che copre i lavoratori giornalieri, grossolano e grezzo come può apparire, è il lavoro congiunto di una gran moltitudine di lavoratori. Il pastore, lo sceglitore, il pettinatore di lana o il cardatore, il tintore, il filatore, il tessitore, il lavatore, il sarto, con molti altri, devono tutti unire i loro differenti mestieri al fine di completare anche questo prodotto casalingo. Quanti mercanti e trasportatori, inoltre, devono essere impiegati nel trasportare i materiali da alcuni di questi lavoratori ad altri che spesso vivono in parti molto distanti del paese. Quanto commercio e quanta navigazione in particolare, quanti costruttori di navi, marinai, fabbricanti di vele e di funi devono essere stati impiegati al fine di mettere insieme le diverse sostanze usate dal tintore che spesso vengono dagli angoli più remoti del mondo! Che varietà di lavoro è anche necessario per produrre gli utensili del più umile di quei lavoratori! Per non parlare di quelle macchine complicate come la nave del marinaio, la fabbrica del follatore, o perfino il telaio del tessitore, consideriamo solo quale varietà di lavoro è richiesta per costruire quella semplicissima macchina, le cesoie con le quali il pastore tosa la lana. Il minatore, il costruttore delle fornaci per la fusione del minerale, il tagliaboschi, il bruciatore di carbone per far funzionare le fornaci, il produttore di mattoni, il dispositore di mattoni, i lavoratori che supervisionano la fornace, il riparatore di mulini, l'operaio della fucina, il fabbro devono tutti mettere insieme i loro differenti mestieri al fine di produrre questi. Dobbiamo esaminare allo stesso modo tutte le diverse parti del suo abito la mobilia di casa, la ruvida canottiera che indossa sulla pelle, le scarpe che coprono i suoi piedi, il letto in cui dorme, e tutte le diverse parti che lo compongono, la grata di cucina su cui prepara i suoi viveri, il carbone di cui fa uso per questo scopo, scavato dalle viscere della terra e portatogli forse attraverso un lungo trasporto per mare e per terra, tutti gli altri utensili della sua cucina, tutta la apparecchiatura del suo tavolo, i coltelli, le forchette, i piatti di coccio o di peltro sopra i quali egli serve e divide i suoi cibi, le differenti mani impiegate nel preparare il suo pane e la sua birra, le finestre di vetro che lasciano penetrare il caldo e al luce, e isolano dal vento e dalla pioggia con tutte le conoscenze e i requisiti del mestiere per preparare quella bellissima e felice invenzione senza cui queste parti nordiche del mondo avrebbero potuto scarsamente procurare un habitat confortevole, insieme con gli utensili di tutti i diversi lavoratori impiegati nel produrre queste diverse comodità; se noi esaminiamo, io dico, tutte queste cose, e consideriamo quale varietà di lavoro è utilizzato per ciascuna di esse, saremo coscienti che senza l'assistenza e la cooperazione di molte migliaia la persona più misera in un paese civilizzato non potrebbe provvedere perfino in accordo a quello che noi potremmo falsamente immaginare, la facile e semplice maniera in cui egli è comunemente sistemato.”

cap. 1 http://www.wsu.edu/~dee/ENLIGHT/WEALTH1.HTM
La ricchezza delle nazioni

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“Siamo in troppi, sono in troppi. Troppi, Troppo simili. Che ci fanno tutti qui? Questo starsene in piedi, seduti, parlare. Non c'è neppure un tavolo da biliardo, delle freccette, niente. Semplicemente un gran cazzeggiare, perdere tempo, bere birra da boccali di vetro spesso… Ho messo a repentaglio la mia vita per questo? Urge che accada qualcosa. Qualcosa di grosso. La conquista di qualcosa, che ne so, di un edificio, una città, un paese. Dovremmo tutti armarci e conquistare dei piccoli stati. Oppure dovremmo organizzare dei tafferugli. Oppure no, delle orge. Ecco, ci dovrebbe essere un'orgia. Tutta questa gente. Dovremmo chiudere le porte, abbassare le luci e spogliarci tutti insieme. Potremmo cominciare noi, K. C. e Jessica, e poi via alla grande. Allora sì che ne varrebbe la pena, allora sì che tutto troverebbe una giustificazione. Potremmo spostare i tavoli, portare dei divani, dei cuscini, degli asciugamani, degli animali di peluche… Ma tutto questo… tutto questo è osceno. Come possiamo starcene qui a parlare di nulla, invece di correre come un'unica fiumana di gente verso qualcosa, qualcosa di enorme, e ribaltarlo? Perché ci diamo la briga di venire qui in così gran numero, se poi non appicchiamo nemmeno un incendio e non facciamo a pezzi tutto quanto? Come osiamo starcene qui senza chiudere le porte, sostituire le lampadine a luce bianca con altre rosse, e dare inizio a un'orgia di massa in un gioioso mescolarsi di braccia gambe e seni? Che spreco.”

L'opera struggente di un formidabile genio

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“Anche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno.”

Hermann Hesse (1877–1962) scrittore, poeta e aforista tedesco

da Il giuoco delle perle di vetro; citato anche nel film Il caso Thomas Crawford

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“"Comunque" continuò Hermione, come se non fossero stati appena aggrediti da un tronco di legno,"Lumacorno darà una festa di Natale, Harry, e non potrai evitarla stavolta, perché mi ha chiesto di controllare le tue serate libere in modo da organizzarla quando potrai esserci anche tu". Harry gemette. Nel frattempo Ron, che si era alzato in piedi e con tutta la sua forza stava cercando si spremere il baccello nella ciotola, sbottò, rabbioso: "E questa è un'altra festa riservata ai cocchi di Lumacorno, vero?" "Solo per il Lumaclub, sì" rispose Hermione.
Il baccello schizzò via dalla stretta di Ron, colpì il vetro della serra, rimbalzò sulla testa della professoressa Sprite e le fece volar via il vecchio cappello rappezzato. Harry andò a riprenderlo; quando tornò, Hermione stava dicendo: "Senti, non l'ho inventato io il nome Lumaclub…" "Lumaclub" ripeté Ron con un ghigno beffardo degno di Malfoy. "È penoso. Be', spero che ti diverta. Perché non provi a uscire con McLaggen, così Lumacorno potrà nominarvi Re e Regina dei Lumaconi…" "Possiamo portare degli ospiti" lo interruppe Hermione, che per qualche ragione era violentemente arrossita, "e stavo per chiederti di venire, ma se la pensi così allora lascio perdere!" Harry all'improvviso desiderò che il baccello fosse volato molto più lontano, in modo da non dover stare lì con quei due. Senza che lo notassero, prese la ciotola e cercò di aprire il baccello nel modo più rumoroso e violento che riuscisse a escogitare, ma questo purtroppo non gli impedì di sentire ogni parola.
"Stavi per invitare me?" chiese Ron in tutt'altro tono.
"Sì" rispose Hermione, adirata. "Ma se preferisci che esca con McLaggen…"
Ci fu una pausa durante la quale Harry continuò a pestare il baccello elastico con una paletta.
"No che non lo preferisco" bisbigliò Ron.
Harry mancò il baccello e colpì la ciotola, che andò in pezzi.
"Reparo" ordinò subito, picchiettando i frammenti con la bacchetta, e la ciotola tornò integra. Ma il fracasso evidentemente ricordò a Ron e Hermione che Harry era a un passo da loro. Hermione apparve turbata e cominciò subito a cercare la sua copia di Alberi Carnivori del Mondo per scoprire il modo corretto di spremere i baccelli di Pugnacio; da parte sua, Ron era imbarazzato ma anche compiaciuto.
[…] Non era veramente sorpreso, pensò Harry mentre lottava con un tralcio spinoso deciso a strangolarlo; aveva avuto il sospetto che prima o poi sarebbe potuto succedere. Ma non era sicuro di come si sentiva al riguardo. Lui e Cho ormai erano troppo imbarazzati per guardarsi, figuriamoci parlarsi; e se Ron e Hermione si fossero messi insieme e poi si fossero lasciati? La loro amicizia sarebbe sopravvissuta? Harry ricordò le poche settimane in cui non si erano parlati, al terzo anno; non si era affatto divertito a cercare di riconciliarli. E se invece non si fossero lasciati? Se fossero diventati come Bill e Fleur, e si fosse rivelato imbarazzante stare con loro, e lui fosse stato escluso per sempre?”

Origine: Harry Potter e il principe mezzosangue, pp. 260-262

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“La lirica di Trakl è simile al volgere di un caleidoscopio fantastico, che dietro il suo vetro opalescente, nel bagliore lunare, ripete poche, ma pure pietre, in combinazioni monotone.”

Ernst Jünger (1895–1998) filosofo e scrittore tedesco

da Nota di diario del 14 marzo 1945, Kirchhorst, p. 512
Irradiazioni. Diario 1941-1945

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“E mi svolse (fors'anche perché fossi preparato a gli esperimenti spiritici, che si sarebbero fatti questa volta in camera mia, per procurarmi un divertimento) mi svolse, dico, una sua concezione filosofica, speciosissima, che si potrebbe forse chiamare lanterninosofia. Di tratto in tratto, il brav'uomo s'interrompeva per domandarmi: – Dorme, signor Meis? E io ero tentato di rispondergli: – Sì, grazie, dormo, signor Anselmo. Ma poiché l'intenzione in fondo era buona, di tenermi cioè compagnia, gli rispondevo che mi divertivo invece moltissimo e lo pregavo anzi di seguitare. E il signor Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non siamo come l'albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l'aria, la pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch'esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna. E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione? – Dorme, signor Meis? – Segua, segua pure, signor Anselmo: non dormo. Mi par quasi di vederlo, codesto suo lanternino. – Ah, bene… Ma poiché lei ha l'occhio offeso, non ci addentriamo troppo nella filosofia, eh? e cerchiamo piuttosto d'inseguire per ispasso le lucciole sperdute, che sarebbero i nostri lanternini, nel bujo della sorte umana. Io direi innanzi tutto che son di tanti colori; che ne dice lei? secondo il vetro che ci fornisce l'illusione, gran mercantessa, gran mercantessa di vetri colorati. A me sembra però, signor Meis, che in certe età della storia, come in certe stagioni della vita individuale, si potrebbe determinare il predominio d'un dato colore, eh? In ogni età, infatti, si suole stabilire tra gli uomini un certo accordo di sentimenti che dà lume e colore a quei lanternoni che sono i termini astratti: Verità, Virtù, Bellezza, Onore, e che so io… E non le pare che fosse rosso, ad esempio, il lanternone della Virtù pagana? Di color violetto, color deprimente, quello della Virtù cristiana. Il lume d'una idea comune è alimentato dal sentimento collettivo; se questo sentimento però si scinde, rimane sì in piedi la lanterna del termine astratto, ma la fiamma dell'idea vi crepita dentro e vi guizza e vi singhiozza, come suole avvenire in tutti i periodi che son detti di transizione. Non sono poi rare nella storia certe fiere ventate che spengono d'un tratto tutti quei lanternoni. Che piacere! Nell'improvviso bujo, allora è indescrivibile lo scompiglio delle singole lanternine: chi va di qua, chi di là, chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via: si urtano, s'aggregano per un momento in dieci, in venti; ma non possono mettersi d'accordo, e tornano a sparpagliarsi in gran confusione, in furia angosciosa: come le formiche che non trovino più la bocca del formicajo, otturata per ispasso da un bambino crudele. Mi pare, signor Meis, che noi ci troviamo adesso in uno di questi momenti. Gran bujo e gran confusione! Tutti i lanternoni, spenti. A chi dobbiamo rivolgerci? Indietro, forse? Alle lucernette superstiti, a quelle che i grandi morti lasciarono accese su le loro tombe?”

Luigi Pirandello (1867–1936) drammaturgo, scrittore e poeta italiano premio Nobel per la Letteratura nel 1934

Cap XIII

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“E non hai capito ancora come mai, gli hai lasciato in un minuto tutto quel che hai.”

Francesco De Gregori (1951) cantautore italiano

da Pezzi di vetro, lato A, n.° 2

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“Se i mattatoi avessero le pareti di vetro, tutti sarebbero vegetariani.”

Linda McCartney (1941–1998) fotografa e musicista statunitense

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“Adesso avvertimenti di diverso tipo segnalano un olocausto ambientale senza precedenti. Ma dov'è la vigilanza morale che potrebbe renderci più sensibili al nuovo modello di cambiamento ambientale? Ancora una volta, i leader mondiali cianciano, sperando che il pericolo si dissolva. Eppure oggi l'evidenza di una Notte dei cristalli ecologica è chiara come il suono di un vetro che s'infrange a Berlino.”

Origine: Now warnings of a different sort signal an environmental holocaust without precedent. But where is the moral alertness that might make us more sensitive to the new pattern of environmental change? Once again, world leaders waffle, hoping the danger will dissipate. Yet today the evidence of an ecological Kristallnacht is as clear as the sound of glass shattering in Berlin. Da Earth in Balance: Healing the Global Environment, Routledge, 2013, p. 177 https://books.google.it/books?id=FYfcAAAAQBAJ&pg=PA177. ISBN 1134038380

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“Era, il dopoguerra, un tempo in cui tutti pensavano d'essere dei poeti, e tutti pensavano d'essere dei politici; tutti s'immaginavano che si potesse e si dovesse anzi far poesia di tutto, dopo tanti anni in cui era sembrato che il mondo fosse ammutolito e pietrificato e la realtà era stata guardata come di là da un vetro, in una vitrea, cristallina e muta immobilità. Romanzieri e poeti avevano, negli anni del fascismo, digiunato, non essendovi intorno molte parole che fosse consentito usare; e i pochi che ancora avevano usato parole le avevano scelte con ogni cura nel magro patrimonio di briciole che ancora restava. Nel tempo del fascismo, i poeti s'erano trovati ad esprimere solo il mondo arido, chiuso e sibillino dei sogni. Ora c'erano di nuovo molte parole in circolazione, e la realtà di nuovo appariva a portata di mano; perciò quegli antichi digiunatori si diedero a vendemmiarvi con delizia. E la vendemmia fu generale, perché tutti ebbero l'idea di prendervi parte; e si determinò una confusione di linguaggio fra poesia e politica, le quali erano apparse mescolate insieme. Ma poi avvenne che la realtà si rivelò complessa e segreta, indecifrabile e oscura non meno che il mondo dei sogni; e si rivelò ancora situata di là dal vetro, e l'illusione di aver spezzato quel vetro si rivelò effimera. Cosí molti si ritrassero presto sconfortati e scorati; e ripiombarono in un amaro digiuno e in un profondo silenzio. Cosí il dopoguerra fu triste, pieno di sconforto dopo le allegre vendemmie dei primi tempi. Molti si appartarono e si isolarono di nuovo o nel mondo dei loro sogni, o in un lavoro qualsiasi che fruttasse da vivere, un lavoro assunto a caso e in fretta, e che sembrava piccolo e grigio dopo tanto clamore; e comunque tutti scordarono quella breve, illusoria compartecipazione alla vita del prossimo. Certo, per molti anni, nessuno fece piú il proprio mestiere, ma tutti credettero di poterne e doverne fare mille altri insieme; e passò del tempo prima che ciascuno riprendesse sulle sue spalle il proprio mestiere e ne accettasse il peso e la quotidiana fatica, e la quotidiana solitudine, che è l'unico mezzo che noi abbiamo di partecipare alla vita del prossimo, perduto e stretto in una solitudine uguale.”

1963, pp. 165-166
Lessico famigliare

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“Una croce nera sul petto dell'italiano, | senza intaglio, rabesco, splendore, | conservata da una famiglia povera | e portata dall'unico figlio…| Giovane nativo di Napoli! | Cos'hai lasciato sui campi di Russia? | Perché non hai potuto esser felice, | circondato dal celebre golfo? | Io che ti ho ucciso vicino a Mozdòk | sognavo tanto il vulcano lontano! | O, come sognavo nelle distese del Volga | almeno una volta di andare in gondola! | Ma io non son venuto con la pistola | a portarti via l'estate italiana | e le mie pallottole non hanno fischiato | sulla santa terra di Raffaello! | Qui ho sparato! Qui dove sono nato, | dov'ero orgoglioso di me e degli amici, | dove gli epici canti dei nostri popoli | non risuonano mai in traduzioni. | Forse che l'ansa del medio Don | è studiata da uno scienziato straniero? | La nostra terra, la Russia, la Rus, | l'ha seminata una camicia nera? | T'hanno portato qui in una tradotta | per conquistare lontane colonie, | perché la croce del cofanetto familiare | crescesse alle dimensioni d'una croce di tomba… | Non permetterò che la mia patria sia portata | oltre le distese di mari stranieri! | Io sparo. E non c'è giustizia | più giusta della mia pallottola! | Non sei mai stato né vissuto qui!… | Ma è sparso sui campi nevosi | l'azzurro cielo italiano, | sotto il vetro degli occhi morti.”

Michail Arkad´evič Svetlov (1903–1964) poeta russo

L'Italiano
Origine: Traduzione di Vittorio Strada, citato in Salvatore Giujusa, Uomini e tempi, [Corso di Storia per il triennio degli Istituti Tecnici, vol. 3, Dai combattenti delle barricate quarantottesche ai pedoni dello spazio], Morano Editore, Napoli, 1970, pp. 419-420.

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“Ai miei occhi sembra un diamante tra pezzi di vetro.”

William Shakespeare (1564–1616) poeta inglese del XVI secolo

Taisa; atto II, scena III
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“[A proposito del vestito di Marilyn Monroe]… non c'era altro che pelle e perline di vetro… solo che io non vidi le perline!”

Adlai Ewing Stevenson II (1900–1965) politico statunitense

citato in Mike Evans, Marilyn, p. 372

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“Sembra talvolta che ci siano due Tolstoj. Uno, il più conosciuto, è il romanziere celebre […].
L'altro Tolstoj, che pare nascere, già vecchio, dopo il 1880, è il pensatore anarchico e cristiano che mette sotto accusa la società com'è e condanna la ricchezza, il sesso, l'arte come «vizi» del nostro mondo; contrapposto a quello vitalistico, è un Tolstoj etico (non moralista, com'è talvolta detto: Tolstoj non è un moralista, se mai il contrario) e razionalista, uno che a ogni passo si guarda vivere, e vivendo cerca le ragioni della vita. Per questo verifica di continuo, come in una colossale equazione, i dati della coscienza con quelli della realtà. L'esercizio, anche se svolto con forza logica prodigiosa (tanto che Ludwig Wittgenstein considerava Tolstoj uno dei suoi maestri), appare a molti vagamente maniacale e, alla fine, noioso. I biografi tolstoiani simpatizzano di solito col primo Tolstoj, che si presta al cliché facile del genio sregolato e fa più scena, e mettono il secondo, dato che non possono ignorarlo, come dietro un vetro spesso: si vede il gesticolare, ma non si capisce quel che dice, e l'effetto è curioso.
I Diari di Tolstoj (che tiene, con qualche interruzione, per sessantatré anni) fanno giustizia di questa dicotomia. La forza vitale e il pensiero, la vita e la riflessione su di essa, che possono sembrare contrastanti, appaiono qui complementari e inscindibili, fusi, per tutto il corso dell'esistenza tolstoiana, in un unico modo di capire e sentire il mondo. Essi ci mostrano il filo ininterrotto che lega il primo e il secondo Tolstoj […].”

dall'introduzione a Lev Nikolaevič Tolstoj, I diari, Longanesi, Milano, 1980, pp. 9-10

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“Quando mi trovo nella mia sala di vetro, non voglio sentire né vedere niente del mondo esterno.”

Paul Scheerbart (1863–1915) scrittore e disegnatore tedesco

da Glasarchitektur, Milano 1982

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