Frasi sul disegno
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“[Canaletto] Il gusto contemporaneo predilige nuovamente le minuziose e vivaci telette dei pittori di vedute veneziane, tra i quali non v'è dubbio che Canaletto emerga, come già dominava ai suoi tempi. È una visione lieta e solare, quella della Venezia canalettiana, espressa da un linguaggio che piega il gioco delle luci reali all'espressione di una vitalità fantastica sempre ripetuta e sempre nuova. A quel segreto si riferisce anche tutta la produzione grafica dell'artista, dalle incisioni ai numerosissimi disegni. Di questi conosciamo tutti i tipi possibili: dai rapidi cenni a matita agli schizzi prospettici, dagli studi di macchiette ai disegni "finiti", da vendere a carissimo prezzo. L'immagine grafica, per Canaletto, non è più solamente un mezzo per giungere alla espressione poetica, ma è spesso addirittura l'espressione poetica stessa […]. Crediamo che non vi siano molti altri disegni (tolti forse quelli contemporanei del Tiepolo) che sappiano suggerire analoghi profondissimi squarci di luminosità, di biancore solare.”

Terisio Pignatti (1920–2004) critico e storico dell'arte italiano

da Il quaderno di disegni di Canaletto alle Gallerie di Venezia, 1958
Origine: Citato in Canaletto, I Classici dell'arte, a cura di Cinzia Manco, pagg. 181 - 188, Milano, Rizzoli/Skira, 2003. IT\ICCU\CAG\0608462 http://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=solr_iccu&rpnquery=%2540attrset%2Bbib-1%2B%2540and%2B%2540and%2B%2B%2540attr%2B1%253D13%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522759.5%2522%2B%2B%2540attr%2B1%253D4005%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522classici%2Bdell%2527arte%2522%2B%2B%2540attr%2B1%253D4018%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522rizzoli%252Fskira%2522&totalResult=13&select_db=solr_iccu&nentries=1&rpnlabel=+Codice+Classificazione+Dewey+%3D+759.5+&format=xml&resultForward=opac%2Ficcu%2Ffull.jsp&searchForm=opac%2Ficcu%2Ferror.jsp&do_cmd=search_show_cmd&refine=4005%7C%7C%7Cclassici+dell%27arte%7C%7C%7Cclassici+dell%27arte%7C%7C%7CCollezione%404018%7C%7C%7Crizzoli%2Fskira%7C%7C%7Crizzoli%2Fskira%7C%7C%7CEditore&saveparams=false&&fname=none&from=11

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“Il Disegno si avvolge sempre più strettamente intorno a te» disse Moiraine. «Ora più che mai hai bisogno di me.»
«Non ho bisogno di te» replicò Rand, brusco «E non ti voglio. Non voglio avere niente a che fare con questa storia.» Ricordò che l'avevano chiamato Lews Therin… non solo Ba'alzamon, ma anche Artur Hawkwing. «Non voglio. Luce santa, si suppone che il Drago causi di nuovo la Frattura del Mondo, che faccia a pezzi ogni cosa. Non sarò io il Drago.»
«Tu sei ciò che sei» disse Moiraine. «Già agiti il mondo. Per la prima volta in duemila anni l'Ajah Nera ha rivelato la propria esistenza. Arad Doman e Tarabon sono sull'orlo della guerra; e sarà ancora peggio, quando giungeranno le notizie di Falme. Nel Cairhien è scoppiata la guerra civile.»
«Nel Cairhien non ho fatto niente» protestò Rand. «Non puoi darmene la colpa.»
«Fare niente è sempre stata una tattica del Grande Gioco» sospirò Moiraine. «In particolare, come lo giocano adesso. Sei stato la scintilla e Cairhien è esplosa come fuoco d'artificio degli Illuminatori. Cosa accadrà, secondo te, quando le notizie di Falme arriveranno nell'Arad Doman e nel Tarabon? Sono sempre esistiti uomini disposti a proclamarsi in favore di chiunque si dichiari il Drago, ma non hanno mai avuto segni portentosi come questo.”

Robert Jordan (1948–2007) scrittore statunitense

Rand al'Thor e Moraine Damodred, capitolo 49
La ruota del tempo. La grande caccia

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“[Su Giorgio Morandi] Non ebbe mai un atelier nel senso pomposo del termine. Viveva e lavorava in una camera di media grandezza, una finestra della quale dava su un piccolo cortile ricoperto di verde […]. Qui si trovava anche la sua brandina, un vecchio scrittoio e il tavolo da disegno, una specie di libreria, il cavalletto e poi tutt'intorno su stretti scaffali l'arsenale, in attesa discreta, delle semplici cose che noi tutti conosciamo attraverso le sue nature morte: bottiglie, recipienti, vasi, brocche, utensili da cucina, scatole. Le aveva scovate chissà dove, per lo più da rigattieri, si era innamorato di ciascuna di esse, le aveva portate a casa una ad una, per poi disporre in fila questi trovatelli quali suoi compagni di stanza, in via sperimentale e con grandi speranze. Qui si trovavano dunque i suoi modelli veri e propri: le "cose" nel loro isolamento silenzioso, gli interlocutori del suo incessante dialogo. […] Quanto più essi diventavano parte del suo mondo abituale, dimostrando il proprio diritto di cittadinanza attraverso un crescente strato di polvere, tanto più gli stavano a cuore. Tutto ciò sembrava molto ordinato in modo piuttosto piccolo-borghese, relativamente ordinato; infatti attorno, davanti e dietro al cavalletto vi era abbastanza spesso una traccia evidente di inquietudine e di caos. Là si trovava una consolle a tre ripiani. Nel settore più basso, che poteva comprendere anche il pavimento, giaceva una confusione di quegli oggetti che l'avevano colpito a un primo esame ma che poi gli si erano dimostrati insufficienti per un discorso prolungato. Al piano di sopra si trovavano oggetti come comparse in attesa di una ancor possibile entrata in scena. Ma la scena, sulla quale comparivano i protagonisti scelti come interlocutori di un lungo dialogo, si trovava nell'ultimo ripiano, situato pressoché all'altezza degli occhi. Lì si trovavano queste cose scelte in tutta la loro imperturbabile solitudine; nelle mutevoli composizioni acquisivano una sconcertante personalità e cercavano anche di allacciare tra loro delle sottili relazioni dalle quali si costituiva pian piano, lenta-mente dalla loro prossimità, una compagine armonica. L'arrangiatore paziente era Morandi, che stava a vedere con dedizione ed ansia estreme il lento formarsi della comparsa delle cose; tutto ciò poteva durare dei giorni. […] E in questa comunicazione meditativa, che si faceva sempre più stretta, la distanza tra le cose e l'io contemplante era abolita […], sicché l'immagine infine raggiunta, la controimmagine che rispondeva al pittore, era al tempo stesso la sua autorappresentazione. Giunto a questo punto, Morandi si metteva a dipingere e trasponeva questa realtà, che egli aveva prefigurato con tanta cura, nella visualità del quadro, nella "seconda", più comprensiva realtà. Il vero e proprio atto pittorico durava spesso solo poche ore. Alcuni quadri mostrano chiaramente le tracce di una certa corsività nella pennellata. Sono segni di spontaneità, di un'estrema visione creatrice divampante come la fiamma di una candela che sprigiona l'ultimo guizzo.”

Werner Haftmann (1912–1999) storico dell'arte tedesco

Origine: Citato in Marilena Pasquali, Morandi, Art Dossier, n°50, Giunti, Firenze, ISBN 88-09-76143-X, pp. 6-8.

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“Il disegno dei borghi fu commesso, con opportuna delibera, ad otto architetti siciliani; perché fin dal suo sorgere (nella luce nuova delle opere e dei giorni attesi) l'edilizia rurale dell'appoderamento ripetesse dagli autori e inventori, nati nell'isola, forme congeniali alla natura e ai paesi di Sicilia: direi al senso del suo costume e della sua storia mediterranea, al suo essere: antico e nuovo. E davvero le forme han corrisposto, per felicità intera e nativa, all'aspettazione ed alla fede. Ho veduto i raduni bianchi dei cubi nella immensità della terra, quasi gregge portatovi da Geometria: e una limpida disciplina di masse, riquadri, diedri, gradi; e li avviva una grazia semplice, un'opportunità dell'atto, una speranza. E mi parvero già custoditi dal senno: non nati dall'arbitrio tetro, come può accadere a chi ha matita tra mano da fare i rettangoli, e soltanto matita. E vi erano brevi, puri portici: tinti alla calce i volti, i pilastri: e a sfondo il sereno. Archi a sesto, campiti di turchese. E la torre. Sul lastrico del cortile erano portate le ombre, come ore. E gli sgrondi cadevano alla serpentina lunga dei tegoli veduti in taglio, quasi ghirigoro o belluria: ma non ghirigoro, disegno sano anzi e venuto da necessità. E la porta era accesso già sacro, e la cucina in luce, con l'acquaio, pareva sbandire tutti i mali del luogo come dèmoni il fulgore dell'Arcangelo.”

Carlo Emilio Gadda (1893–1973) scrittore italiano

Origine: Da I nuovi borghi della Sicilia rurale http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/essays/borghisici.php, La Nuova Antologia, Roma, 1941, 1° febbraio 1941, p. 7.

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“L'unico requisito a mio avviso intrinseco alla stesura di un romanzo è, come ho già detto, la sincerità. Questa libertà è un privilegio splendido, e la prima lezione per il giovane romanziere è imparare a esserne degno. 'Apprezzala come merita', gli direi; 'prendine possesso, esplorala fino al limite ultimo, divulgala, gioiscine. La vita intera ti appartiene, e non prestare ascolto a chi vorrebbe stringerti nei suoi angoli dicendoti che soltanto qua o là dimora l'arte, o a chi vorrebbe persuaderti che questo messaggero divino si libra al di fuori della vita, respirando un'aria rarefatta e torcendo il capo dalla verità delle cose. Non v'è impressione di vita, né modo di vederla e sentirla, cui il disegno del romanziere non sappia offrire uno spazio; considera soltanto che talenti dissimili come Alexandre Dumas e Jane Austen, Charles Dickens e Gustave Flaubert, hanno operato entro questo territorio con pari dignità. Non dare troppo peso all'ottimismo e al pessimismo; sforzati di cogliere il colore della vita stessa. […] Ricorda che il tuo primo dovere è di essere il più completo possibile – e di rendere l'opera perfetta. Sii prodigo, sii riguardoso, e ambisci al premio.”

Henry James (1843–1916) scrittore e critico letterario statunitense

Origine: Da L'arte della narrativa; citato in Lilla Maione, introduzione a Robert Louis Stevenson, L'isola del tesoro, traduzione di Lilla Maione, Universale Economica Feltrinelli, X ed., Milano, 2014, p. 31.

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“[Su Stephen Hawking] Se il grande astrofisico ricordasse un po' della filosofia studiata nel primo anno di liceo non dimenticherebbe che una delle tesi più note del materialismo classico, che ha attraversato la cultura moderna (Karl Marx, per esempio, ne è un grande estimatore), è quella del greco Democrito. La sua teoria delle klinamen, spiegava l'origine del mondo dal contatto di particelle di materia, che si incontrano a causa di una determinata inclinazione, formando il Tutto, così a caso, senza un disegno divino.”

Stefano Zecchi (1945) scrittore, giornalista e docente italiano

Origine: In merito a questa citazione venne pubblicato un commento su L'espresso: «Se il grande filosofo Zecchi ricordasse un po' della filosofia studiata al liceo non dimenticherebbe che la teoria del clinamen non è di Democrito bensì di Epicuro e il clinamen viene nominato come tale da Lucrezio (De rerum natura II, 29), con la c e non con la k, e naturalmente al singolare (il clinamen è il fenomeno dell'inclinazione) e non al plurale come lo mette lui come se "le klinamen" fossero tante cose.» L'espresso, rubrica Riservato, a cura di Enrico Arosio e Primo di Nicola, n. 37 anno LVI, 16 settembre 2010, p. 13.
Origine: Da Stephen Hawking ci dice com'è nato l'universo Ma non affronta il perché http://www.ilgiornale.it/cultura/stephen_hawking_ci_dice_come_nato_luniverso_ma_non_affronta_perche/esistenza_dio-cultura-hawking-scienza/03-09-2010/articolo-id=470784, il Giornale.it, 3 settembre 2010.

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“Nel maggio del 1949 fu istituito a Strasburgo il Consiglio d'Europa, organismo allora privo di poteri politici effettivi e incaricato solo di «porre le basi per la costruzione di una federazione europea». Così nell'atto della sua fondazione. L'anno dopo – dunque, nel 1950 – quel Consiglio bandì un concorso di idee, aperto a tutti gli artisti, per una bandiera della futura Europa unita. Un allora giovane disgnatore alsaziano, Arsène Heitz, partecipò con un bozzetto, dove dodici stelle bianche campeggiavano in un cerchio su uno sfondo azzurro. Come rivelò poi, l'idea non era casuale: devoto della Madonna, recitava ogni giorno il rosario. Proprio quando seppe del concorso europeo e decise di partecipare stava leggendo la storia di santa Catherine Labouré e – stimolato da quella lettura – si era deciso a procurarsi, per sé e per la moglie, una «Medaglia miracolosa», che sino allora non conosceva. Le stelle, dunque, del suo disegno vennero da lì: e, lì, venivano direttamente dall'Apocalisse e dalla sua «Donna vestita di sole» con la corona attorno al capo. Quanto all'azzurro, era il colore tradizionale della Vergine. Tra i 101 bozzetti giunti da tutto il mondo, «inspiegabilmente», come disse lo stesso Heitz (che aveva partecipato al concorso senza troppe speranze, quasi solo per rispondere a un impulso datogli dalla scoperta della Medaglia), il Consiglio d'Europa scelse proprio il suo. Si noti, tra l'altro, che il responsabile della commissione che procedeva alla scelta era un ebreo, Paul M. G. Lévy, direttore del Servizio di stampa e informazione del Consiglio. Non agirono, dunque, motivazioni confessionali […] Inoltre, a conferma della singolarità della scelta, contro la proposta di Heitz stava il fatto che, se dodici erano le stelle sulla bandiera proposta, non altrettanti erano allora gli Stati del Consiglio. In effetti, di fronte alle critiche, il disegnatore dovette replicare che il dodici rappresentava un «simbolo di pienezza» (e tale è, infatti, anche nell'Antico Testamento: dodici, tra l'altro, i figli di Giacobbe, come dodici le tribù di Israele; ed è perciò che dodici è il numero voluto da Gesù per i suoi apostoli, a significare che la Chiesa è il «nuovo popolo eletto»). Avendo adottato questa prospettiva simbolica, le autorità comunitarie, quando gli Stati membri dell'Europa finirono col superare la dozzina, stabilirono ufficialmente che il numero delle stelle sulla bandiera era da considerare immutabile.”

Origine: Ipotesi su Maria, pp. 107-108

“Il lavoro di Bill Watterson ha qualcosa di mistico. Ciò che abbiamo di fronte non è una qualunque striscia a fumetti. Possiede quella particolare dimensione riconosciuta un tempo in Krazy Kat di George Herriman e, più tardi, in Pogo di Walt Kelly. Il che è stato, comunque, molto tempo fa: dopo di loro non c'è stato più niente di simile nel mondo del cartoon. Ora abbiamo Calvin & Hobbes. In questa striscia non ci sono personaggi finti o sdolcinati. Il ragazzino è decisamente e irresistibilmente pestifero. La madre e il padre (i nomi non sono necessari) vivono a fianco della loro discendenza chiedendosi con perenne e agitato stupore che cosa abbiano fatto per meritarsi un figlio del genere. Il bambino, da parte sua, vive per un buon 70 per cento del suo tempo in un mondo parallelo popolato dalle creature indicibili della sua fantasia, e per il resto del tempo in un mondo reale popolato da altre creature indicibili (la maestra, la bambina, il bullo). E trova scampo da questo secondo mondo rifugiandosi nel primo. E poi c'è il tigrotto di pezza. È un animo nobile e molto più intelligente del bambino, di cui, con sarcastica e affettuosa saggezza, tempera l'esuberanza. Ci sono un sacco di strisce a fumetti in giro, alcune buone, altre passabili, la maggior parte semplicemente roba di secondo piano. Tutti hanno il loro cast di personaggi, più o meno indovinati, tenuti insieme dal dialogo, a volte buono, a volte no. Sono pochissimi quelli che posseggono quella magia particolare che li fa reggere il confronto con il meglio del passato. Guardando al lavoro dei nostri due paragoni, Herriman e Kelly, possiamo vedere un connubbio tra sceneggiatura e segno grafico che si trova raramente al giorno d'oggi, la sensazione che le parole migliorino il disegno e che il disegno faccia lo stesso con il testo, che la fusione attentamente miscelata di questi due ingredienti possa creare quell'incanto che rivela il genio. Volete la magia? L'alchimista Watterson ha portato avanti un lavoro che, per acume, carattere e profondità, è portentoso in rapporto alla sua giovane età. Gli auguro lunga vita e possano i poteri della sua stregoneria non venir mai meno. Volete la magia? Questa è una raccolta di ricette dello stregone per trasformare della semplice carta e del semplice inchiostro in oro puro. Lasciate che umilmente vi presenti Calvin (il bambino) e Hobbes (il tigrotto). Questo libro è magico.”

Pat Oliphant (1935)

dalla prefazione di Bill Watterson, C'è qualcosa che sbava sotto il letto, Comix, 1997. ISBN 9788881930197

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“Sono stufo di scappare» disse, stupito per la calma del proprio tono. «Stufo di vederti minacciare i miei amici. Non scapperò più.»
Anche Ba'alzamon aveva un cordone ombelicale: nero, molto più grosso del suo, così grande che avrebbe reso minuscolo il corpo umano e che invece era reso minuscolo da Ba'alzamon. Ogni pulsazione di quella vena nera consumava luce.
«Credi che faccia differenza, se scappi o ti fermi?» Le fiamme nella bocca di Ba'alzamon risero. Le facce nel focolare piansero all'ilarità del loro padrone. «Sei fuggito da me in molte occasioni, ma ogni volta ti raggiungo e ti costringo a ingoiare il tuo orgoglio condito di lacrime e di piagnistei. In molte occasioni ti sei fermato a combattere e poi, sconfitto, hai strisciato implorando pietà. Hai questa scelta, verme, e solo questa: mettiti in ginocchio ai miei piedi, servimi bene e ti darò potere sopra i troni; oppure diventa il burattino di Tar Valon e urla mentre vieni sgretolato nella polvere del tempo.»
Rand cambiò posizione, con un'occhiata al di là della porta, quasi a cercare una via di fuga. Che il Tenebroso lo pensasse pure. Al di là della porta c'era sempre il nero del nulla, diviso in due dal cavo lucente che partiva dal suo corpo. E c'era anche il cordone ombelicale di Ba'alzamon, così nero da risaltare nella tenebra come sulla neve. I due cordoni pulsavano fuori fase, uno al contrario dell'altro, e la luce resisteva a stento alle ondate di tenebra.
«Ci sono altre scelte» disse Rand. «La Ruota, non tu, tesse il Disegno. Sono sfuggito a tutte le trappole che hai predisposto per me. Sono sfuggito ai Fade e ai Trolloc e ai tuoi Amici delle Tenebre. Ti ho rintracciato qui e ho distrutto il tuo esercito. Non sei tu, a tessere il Disegno.”

Robert Jordan (1948–2007) scrittore statunitense

Rand al'Thor e Ba'alazamon, capitolo 51
La ruota del tempo. L'occhio del mondo

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“Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio. Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. […]Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere.”

Charles Antoine Manhès (1777–1854) generale francese

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“Se dovessi mettere un'insegna sopra la mia porta, scriverei: scuola di disegno e sono sicuro che farei dei pittori.”

Jean Auguste Dominique Ingres (1780–1867) pittore francese

Si j'avais à mettre une enseigne au-dessus de ma porte, j'écrirais: école de dessin, et je suis sûr que je ferais des peintres.
Origine: Citato in Lionello Venturi, Storia della critica d'arte, p. 257

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“Io amo molto Fermo, […] la sorella carnale di Urbino, più bionda, più pingue e di carattere più aperto e dolce.”

Paolo Volponi (1924–1994) scrittore italiano

Origine: Da una lettera del 1976 allegata a una pubblicazione fuori commercio di 14 disegni su Fermo di Giuseppe Pende; citato in Corriere News, n. 16/2004, 13 agosto 2004, p. 21.

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“È un accordo che mi soddisfa molto, perché con quest'accordo posso ragionevolmente affermare che in Lombardia si vince. Andare da soli sarebbe una inevitabile sconfitta. Capisco qualche mal di pancia, ma ricordo a tutti quanti che se non ci fosse stato l'accordo con il Pdl allora, più di 400 Comuni sarebbero a rischio con i sindaci che dovrebbero dimettersi. Ci sono quindi tutte le ragioni per considerare l'accordo utile, positivo e coerente con il disegno illustrato nell'ultimo congresso. Non temo malumori territoriali, c'è qualcuno che non era d'accordo, in Veneto, come in Piemonte, ma a questi ricordo che, nel Veneto siamo al governo della Regione con il Pdl". Cosi' Roberto Maroni ha risposto a chi gli chiedeva se teme i mal di pancia dei veneti sull'accordo raggiunto tra Pdl e Lega. Ci sono tutte le ragioni per aver stretto questo accordo che e' utile, positivo e soprattutto coerente col disegno che ho fatto approvare al congresso federale. L'accordo con il Pdl serve per vincere in Lombradia. Con questo accordo vincerò in Lombardia con buona pace dei miei avversari. Albertini mi sembra destinato ad un modesto piazzamento. Aveva detto che se avessi vinto mi avrebbe regalato una Ferrari. Bene, allora gli dico di prenotarla. L'accordo per le politiche è conseguenza dell'accordo per la Regione, ma funzionale all'accordo per la Regione. Per questo nell'accordo si dice esplicitamente che Berlusconi non sarà il premier. È un fatto rilevante ed esprimo riconoscenza per questo gesto a Silvio Berlusconi. Ho sentito che Silvio Berlusconi ha indicato Angelino Alfano come candidato premier. È una persona che stimo, con cui ho lavorato, non mi dispiace. Ma io mi permetto di indicare Giulio Tremonti.”

Roberto Maroni (1955) politico italiano

giorno. it http://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/2013/01/07/826460-Maroni-Candidato-Governatore-Lombardia.shtml, 7 gennaio 2013

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“Il gusto è un'idea che segue l'inclinazione del pittore, o che egli si è formato attraverso l'educazione. Ogni scuola ha il proprio gusto nel disegno.”

Roger de Piles (1635–1709) pittore, biografo francese

Citato in Lionello Venturi, Storia della critica d'arte

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“[…] ah Larte è multo dificile quando si tiene per punto di vista che il disegnio è pane il colore è carne, queste due sostanze non costituiscono che il pitore. Ma Lartista dev'esere un individualità distinta e originale caraterizzata e improntata dal proprio sentimento coi mezi piú semplici della natura.”

Giovanni Segantini (1858–1899) pittore italiano

da Lettera a Vittore Grubicy de Dragon da [Carella] del I/21 82, p. 23
Venticinque lettere
Origine: L'edizione in bibliografia riproduce per la prima volta la lezione originaria, non emendata, delle venticinque lettere di Giovanni Segantini.

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“La comune concezione di Canaletto anzitutto come pittore e, più particolarmente, pittore topografico, è tutto sommato giustificata; ma essa impone qualche modifica al fine di conseguire un'esatta valutazione dell'importanza di lui come artista. Molti dei suoi disegni, tra i quali alcuni dei più belli, furono eseguiti come fini a se stessi, del tutto indipendentemente dalle opere pittoriche; e, come incisore, egli trovò un'espressione completa. Cosi, anche se non avesse mai posto pennello sulla tela, lo si sarebbe egualmente annoverato tra gli importanti maestri delle arti grafiche. […] L'opinione circa il suo lavoro topografico è mutata a fondo: un tempo lo si considerava poco più di un fotografo; oggi si tende ad accusarlo di frequenti inesattezze. Nella maggior parte dei suoi dipinti si mostrò straordinariamente attento ai fatti nei loro particolari, e tale interesse è attestato dai molti disegni diagrammatici che egli eseguì, in ispecie quelli del libro di schizzi dell'Accademia, nei quali si trovano non solo dettagli accuratamente indicati, ma vi sono aggiunti frequenti appunti per identificare gli edifici e registrare i colori. […] Canaletto non si limitò completamente alla topografia. Nell'iscrizione sul frontespizio delle acqueforti, fa egli stesso una distinzione tra vedute prese dai luoghi e vedute ideate, messa in rilievo da note occasionali sui suoi disegni, come veduta esatta e veduta dal naturale. Nelle sue mani, la veduta ideata assumeva due forme principali: la veduta immaginaria propriamente detta, e il capriccio, un insieme di motivi identificabili, tratti da differenti edifici e località, coi quali formava una composizione. La differenza tra le due è facilmente riconoscibile in casi estremi. […] Di regola, peraltro, elementi immaginari e identificabili erano mescolati.”

William George Constable (1887–1976)

da Canaletto, 1962
Origine: Citato in Canaletto, I Classici dell'arte, a cura di Cinzia Manco, pagg. 181 - 188, Milano, Rizzoli/Skira, 2003. IT\ICCU\CAG\0608462 http://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=solr_iccu&rpnquery=%2540attrset%2Bbib-1%2B%2540and%2B%2540and%2B%2B%2540attr%2B1%253D13%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522759.5%2522%2B%2B%2540attr%2B1%253D4005%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522classici%2Bdell%2527arte%2522%2B%2B%2540attr%2B1%253D4018%2B%2540attr%2B4%253D1%2B%2522rizzoli%252Fskira%2522&totalResult=13&select_db=solr_iccu&nentries=1&rpnlabel=+Codice+Classificazione+Dewey+%3D+759.5+&format=xml&resultForward=opac%2Ficcu%2Ffull.jsp&searchForm=opac%2Ficcu%2Ferror.jsp&do_cmd=search_show_cmd&refine=4005%7C%7C%7Cclassici+dell%27arte%7C%7C%7Cclassici+dell%27arte%7C%7C%7CCollezione%404018%7C%7C%7Crizzoli%2Fskira%7C%7C%7Crizzoli%2Fskira%7C%7C%7CEditore&saveparams=false&&fname=none&from=11

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“Un buio assoluto totale, simile a quello che avrà assillato l'ignoto autore dei bisonti volanti ad Altamira quando, in qualche notte senza luna, avrà messo il naso fuori della sua caverna… solo chi ha visto quel buio, presumibilmente (intendo quel vuoto assoluto di forme, di spiragli, di chiarori) può davvero capire il Disegno.”

Gianni de Luca (1927–1991) fumettista e pittore italiano

citato in Il commissario Spada, Black Velvet Editrice, Edizioni BD, 3° volume; in Renato Pallavicini, l'Unità, 2008, Le geometrie della mente di De Luca e Escher http://conversazionisulfumetto.wordpress.com/2013/05/15/le-geometrie-della-mente-di-de-luca-e-escher/
Origine: Vedi Grotte di Altamira.

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“Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio.
Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. […]
Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere. (Libro VII, Regno di Gioacchino Murat”

Pietro Colletta (1775–1831) patriota, storico e generale italiano

1808-1815), Capo II "Fatti di guerra e di brigantaggio, poi distrutto.", XXVII-XXVIII, Tip. e libreria Elvetica, Capolago, 1834
Storia del reame di Napoli

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“Qualunque cosa tu sia fisicamente, maschio o femmina, forte o debole, malato o sano… tutte queste cose contano meno di ciò che è contenuto nel tuo cuore. Se hai l'anima di un guerriero, sei un guerriero. Qualunque sia il colore, la forma, il disegno che la nasconde, la fiamma all'interno della lampada rimane la stessa. Tu sei quella fiamma.”

Jem Carstairs a Tessa Gray
Shadowhunters – Le origini, L'angelo
Variante: Qualunque cosa tu sia fisicamente, maschio o femmina, forte o debole, malato o sano… tutte queste cose contano meno di ciò che è contenuto nel tuo cuore. Se hai l’anima di un guerriero, sei un guerriero. Qualunque sia il colore, la forma, il disegno che la nasconde, la fiamma all’interno della lampada rimane la stessa. Tu sei quella fiamma.

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“[Michelangelo Merisi da Caravaggio] La sua ostinata deferenza al vero poté anzi confermarlo nella ingenua credenza che fosse "l'occhio della camera" a guardar lui e a suggerirgli tutto. Molte volte dovette incantarsi di fronte a quella "magia naturale"; e ciò che più lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non è punto necessaria la figura umana, se, uscita questa dal suo campo, esso seguita a specchiare il pavimento inclinato, l'ombra sul muro, il nastro caduto a terra. Che altro potesse conseguire a questa risoluzione di procedere dipingendo per specchiatura diretta della realtà, non è troppo difficile intendere. Ne conseguiva la tabula rasa del costume pittorico del tempo che, preparandosi gli argomenti in carta e matita per via di erudizione storica e di astrazione stilizzante, aveva elaborato una complessa classificazione del rappresentabile, dove, per meglio servire alla società di allora, non poteva che preferirsi l'aspetto della classe dominante. Ma il Caravaggio pensa invece alla vita comune, ai sentimenti semplici, all'aspetto feriale delle cose che valgono, nello specchio, come gli uomini. […] Anche il Caravaggio avvertiva il pericolo di ricadere nell'apologetica del corpo umano, sublimata da Raffaello o Michelangelo, o magari nel chiaroscuro melodrammatico del Tintoretto. Ma ciò che gli andava confusamente balenando era ormai non tanto il rilievo dei corpi quanto la forma delle tenebre che li interrompono. Lì era il dramma della realtà più portante ch'egli intravedeva dopo le calme specchiature dell'adolescenza. E la storia della religione, di cui ora si impadroniva, gli tornava come un seguito di drammi brevi e risolutivi la cui punta non può indugiarsi nella durata sentimentale delle trasparenze, anzi inevitabilmente s'investe del lampo abrupto della luce rivelante, fra gli strappi inconoscibili dell'ombra. Uomini e santi si sarebbero impigliati in quel tragico scherzo. Giacché, per restar fedeli alla natura del mondo, occorreva far sì che il calcolo dell'ombra apparisse come casuale, e non causato dai corpi; ove volesse esimersi dal riattribuire all'uomo la sua funzione umanistica dirimente, di eterno protagonista e signore del creato. Perciò il Caravaggio seguitò, e fu fatica di anni, ad osservare la natura della luce e dell'ombra incidentali. […] Chi non sa che il Tintoretto studiava al lume di lucerna, non già il vero, ma i modellini della Cappella Medicea? E che i modellini del Greco erano cere dove si stiravano in una poetica follia le ultime spire laocoontiche del disegno 'serpentinato'? Ma ora è la realtà stessa a venir sopraggiunta dal lume per 'incidenza': il caso, l'incidente luminoso, diventano causa efficiente della nuova pittura (o poesia). Non v'è Vocazione di Matteo senza che il raggio, assieme col Cristo, entri dalla porta socchiusa e ferisca quel turpe spettacolo dei giocatori d'azzardo. In effetto Caravaggio stagliò questa sua "descrizione di luce", questo poetico "fotogramma", quando l'attimo di cronaca gli parve emergere, non dico con un rilievo, ma con uno spicco, con un'evidenza così memorabile, invariabile, monumentale, come dopo Masaccio non s'era più visto.”

Roberto Longhi (1890–1970) storico dell'arte italiano

citato in Caravaggio, pp. 187-188
Il Caravaggio

“In principio, quando l'universo fu creato dal nulla, subito si sbriciolò per mancanza di coesione. Simili a migliaia di minuscoli tasselli, in apparenza privi di ogni scopo e significato, tutti i pezzi erano identici per forma e dimensione, pur differendo nel colore e nella struttura. Noi non abbiamo la minima idea di quale fosse il mosaico originale, nessuna traccia o disegno a guidarci… Non possiamo sapere a cosa somiglierà… No, finché l'ultimo tassello non sarà rimesso al suo posto… Tre strumenti abbiamo a disposizione per completare quest'opera: totale non interferenza, controllo di ogni singolo atto, alternanza di poteri fino al raggiungimento di un equilibrio soddisfacente. Nessuno dei tre metodi, può avere successo senza il concorso degli altri due; questo dobbiamo accettarlo come un principio basilare, altrimenti non potremmo spiegarci gli eventi è passati… Il problema è tuttora irrisolto; ma noi procediamo per gradi. Un progresso è seguito da una battuta d'arresto e dalla perdita di qualcosa, che sarà poi riconquistata e perfezionata nella nuova ondata di progresso. La differenza tra il mosaico e l'Universo è che un mosaico è un disegno statico, immobile: la raffigurazione della Morte. Noi non tendiamo ad un tempo in cui tutto sarà immoto, ma ad un tempo in cui tutto sarà in movimento armonico col tutto: roccia pianta pesce uccello animale e uomo. Non è mai stato, né mai sarà un compito facile. Ma la via costruita nella speranza risulta più agevole al viandante di quella tracciata nella disperazione, anche se entrambe conducono alla stessa meta.”

Le luci di Atlantide

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“Dopo la sentenza di ieri, milioni di italiani hanno ben capito il disegno politico condotto da anni contro Silvio Berlusconi. Sono certo che, in queste ore, anche tanti cittadini che magari non hanno votato per lui si rendano perfettamente conto di come alla difesa dei diritti del cittadino Berlusconi sia legata la difesa dei diritti e delle libertà di tutti.”

Daniele Capezzone (1972) politico italiano

citato in Firmata (e sospesa) l'esecuzione della pena, Berlusconi: riforma della Giustizia o si torna al voto http://notizie.tiscali.it/articoli/politica/13/08/02/diretta_condanna_berlusconi.html, Tiscali. it, 2 agosto 2013

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“Quando mi si mostra un disegno, lo guardo giusto il tempo necessario per preparare quello che devo dirne.”

Jules Renard (1864–1910) scrittore e aforista francese

9 marzo 1890; p. 44
Diario 1887-1910

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“Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti. Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.”

cap. VIII
I promessi sposi

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“Il complicato disegno sui pavimenti del Castello del Cristallo Oscuro rappresentava un sentiero. Chiunque lo vedeva non aveva dubbi in proposito, ma quello che veniva lasciato all'interpretazione individuale era il punto d'inizio e quello d'arrivo, oltre allo scopo del tragitto.
Con le sue biforcazioni e intersecazioni, i suoi archi, i suoi cerchi e le sue spirali che portavano di stanza in stanza, avrebbe potuto essere interpretato, secondo un modo di vedere trascendentale, come la strada che un pellegrino doveva percorrere per raggiungere i più alti gradi dell'illuminazione. Il viaggiatore, fatto in origine di materia bruta, si sarebbe a poco a poco elevato fino a diventare un puro spirito, senza però mai procedere in linea retta ma seguendo un percorso contorto, che continuava anche quando pareva che il percorso fosse stato compiuto. (Perché anche l'anima, fatta di puro spirito, ha ancora dei compiti da assolvere, e per questo il ciclo del disegno dei pavimenti si snodava all'infinito.)
Gli Skeksis, tuttavia, non la pensavano a questo modo. Il presupposto che la pura spiritualità fosse superiore alla materia bruta era qualcosa che sfuggiva alla loro comprensione. Uno dei significati del labirinto fu chiaro ai loro occhi il giorno successivo a quello dei funerali dell'Imperatore: era la via che conduceva al trono.
Colui che aspirava a stringere fra gli artigli lo scettro, sapeva come seguirne il tracciato. Doveva farlo con apparente umiltà, con rispetto, dimostrando di volersi sottomettere a una debita disciplina. Così quei tre – il Maestro delle Cerimonie, il Generale dei Garthim e il Ciambellano – stavano percorrendo da alcune ore il labirinto, con la dovuta solennità, sotto lo sguardo attento degli altri Skeksis. I tre seguivano le circonvoluzioni del percorso, ne studiavano le difficoltà, si soffermavano alle biforcazioni, e scoprivano infine che portavano invariabilmente al punto di partenza.”

Dark Crystal

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“Non v'è arte buona a leggere nel volto i disegni della mente.”

William Shakespeare (1564–1616) poeta inglese del XVI secolo

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“Un disegno dieci minuti di pan tostato è un zilione di volte meglio di un disegno a zero minuto di pan tostato.”

Art Before Breakfast: A Zillion Ways to be More Creative No Matter How Busy You Are

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“(…) Ma perché non siete mai a scuola? vi vedo ogni giorno, in giro, sempre vagabonda…"
"Oh, non soffrono troppo della mia mancanza, credetemi" rispose lei. "Sono un temperamento asociale, dicono. Non mi mescolo con gli altri. Ed è strano, perché io sono piena di senso sociale, invece. Tutto dipende da che cosa si intenda per senso sociale, non vi sembra? Per me significa parlare con voi di cose come queste. (…) O anche parlare di quanto è strano questo mondo. Stare con la gente è una cosa bellissima. Ma non mi sembra sociale riunire un mucchio di gente, per poi non lasciarla parlare, non sembra anche a voi? Un'ora di lezione davanti alla TV, un'ora di pallacanestro, o di baseball o di footing, un'altra ora di storia riassunta o di riproduzione di quadri celebri e poi ancora sport, ma, capite, nopn si fanno domande, o almeno quasi nessuno le fa; loro hanno già le risposte pronte, su misura, e ve le sparano contro in rapida successione, bang, bang, bang, e intanto noi stiamo seduti là per più di quattr'ore di lezioni con proiezioni. Tutto ciò per me non è sociale. E' tutt'acqua rovesciata a torrenti, risciacquatura è, mentre loro ci dicono che è vino quando non lo è. Ci riducono in condizioni così pietose, quando viene la sera, che non possiamo fare altro che andarcene a letto o rifugiarci in qualche Parco Divertimenti a canzonare o provocare la gente, a spaccare vetri nel Padiglione degli spaccavetri o a scassare automobili, nel Recinto degli scassamacchine, con la grossa sfera d'acciaio. O non ci resta che salire in macchina e correre pazzamente per le strade, cercando di vedere quanto da vicino si possano sfiorare i lampioni e quanto strette si possano fare le curve, magari sulle due ruote laterali. Può darsi benissimo che io sia proprio quello che dicono, d'accordo. Non ho amici, io. E questo dovrebbe provare che sono anormale. Ma tutte le persone che conosco urlano e ballano intorno come impazzite o addirittura si battono a vicenda, selvaggiamente. Avete notato come la gente si faccia male, di questi tempi? (…) Ho paura dei ragazzi della mia età. Si uccidono a vicenda. (…) Sei amici miei sono morti d'arma da fuoco da un solo anno a questa parte. Dieci ne sono morti in incidenti automobilistici. Mi fanno paura e loro non mi hanno in simpatia perché ho paura
(…)
Soprattutto mi piace studiare la gente. A volte passo l'itera giornata nella Ferrovia Sotterranea, a sentir le persone parlare, a guardarle. Mi piace indovinare chi sia quel tale, che cosa voglia quell'altro, dove vadano. Spesso scivolo come un serpente su una vettura della Sotterranea a sentire cosa dicono le persone. O nelle mescite di bibite e dolci, e sapete cosa ho scoperto? (…) Che la gente non dice nulla. (…) Parla di una gran quantità di automobili, parla di vestiti e di piscine e dice che sono una meraviglia! Ma non fanno tutti che dire le stesse cose e nessuno dice mai qualcosa di diverso dagli altri. E quasi sempre nei caffè hanno le macchinette d'azzardo in funzione, si raccontano le stesse barzellette, oppure c'è la parete musicale accesa con i disegni a colori che vanno e vengono.”

Ray Bradbury (1920–2012) scrittore statunitense
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