Frasi su dimora

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema dimora, essere, mondo, terra.

Frasi su dimora

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“Si devono amare gli animali per essere più vicini a Dio perché ti danno tutto, senza chiedere niente. Perché contro il potere dell'uomo con le armi sono indifesi. Perché sono eterni bambini. Perché non conoscono il denaro e si consolano solamente con un posto dove rifugiarsi dal freddo. Perché si fanno capire senza proferire parola. Perché non conoscono invidia né rancore. Perché il perdono è ancora naturale in loro. Perché sanno amare con lealtà e fedeltà. Perché vivono senza avere una lussuosa dimora. Perché non comprano l'amore, semplicemente lo aspettano. Perché sono nostri compagni, eterni amici che niente potrà separare. Perché sono vivi. Per questo e altre mille cose meritano il nostro amore. Se impariamo ad amarli come meritano, saremo molto vicini a Dio.”

Madre Teresa di Calcutta (1910–1997) religiosa e beata albanese

Attribuite
Origine: Brano citato da Silvio Berlusconi in un discorso agli iscritti del suo partito e postato sulla propria pagina Facebook il 29 marzo 2014; citato in Berlusconi a caccia di nuovi consensi. «Ogni cane, un voto» http://www.iltempo.it/politica/2014/03/30/news/berlusconi-a-caccia-di-nuovi-consensi-ogni-cane-un-voto-934081/, IlTempo.it, 30 marzo 2014. Il brano è rintracciabile su internet già prima di tale data, in varie pagine web di argomento animalista, con un inizio leggermente diverso ("Perché amare gli animali? Perché ti danno tutto, senza chiedere niente", in inglese "Why Should We Love Animals? Because they give everything asking for nothing back").

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“Forse non esistono nemmeno amici buoni o cattivi, forse ci sono solo amici, persone che prendono le tue parti quando stai male e che ti aiutano a non sentirti solo. Forse per un amico vale sempre la pena avere paura e sperare e vivere. Forse vale anche la pena persino morire per lui, se così ha da essere. Niente amici buoni. Niente amici cattivi. Persone e basta che vuoi avere vicino, persone con le quali hai bisogno di essere; persone che hanno costruito la loro dimora nel tuo cuore.”

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Variante: Forse non esistono nemmeno amici buoni o cattivi, forse ci sono solo amici, persone che prendono le tue parti quando stai male e che ti aiutano a non sentirti solo. Forse per un amico vale sempre la pena avere paura e sperare e vivere. Forse vale anche la pena perfino morire per lui, se così ha da essere. Niente amici buoni. Niente amici cattivi. Persone e basta che vuoi avere vicino, persone con le quali hai bisogno di essere; persone che hanno costruito la loro dimora nel tuo cuore

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“Preso nella morsa di questa sfida [il nostro ambiente in pericolo], il genere umano diventa per la prima volta uno solo, che lo sappia già o no, saccheggiando la propria dimora terrena, condividendo il destino della propria rovina, essendo l'unico possibile salvatore di entrambi: la terra e se stesso. Una nuova solidarietà di tutto il genere umano sta sorgendo tra noi. Una colpa comune ci lega, un interesse comune ci unisce, un destino comune ci attende, una responsabilità comune ci chiama […]. Lasciatemi concludere con una valutazione simbolica di come la "condizione umana" sia venuta trasformandosi. Una volta era la religione a dirci che eravamo tutti peccatori a causa del peccato d'origine. Oggi è l'ecologia del nostro pianeta che ci accusa di essere tutti peccatori a causa dell'eccessivo sfruttamento dell'ingegno umano. Una volta era la religione a terrorizzarci con il Giudizio universale alla fine dei tempi. Oggi è il nostro torturato pianeta a predirci l'approssimarsi di quel giorno senza alcun intervento divino. L'ultima rivelazione, che non giungerà da alcun monte Sinai né da alcun monte delle beatitudini, né da alcun albero della bodhi di Buddha, è il grido silenzioso delle cose stesse, quelle che dobbiamo sforzarci di risolvere per arginare i nostri poteri sul mondo, altrimenti moriremo tutti su questa terra desolata che un tempo era il creato.”

Hans Jonas (1903–1993) filosofo tedesco

Origine: Da Il concetto di Dio dopo Auschwitz, pp. 48-49.

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“Il linguaggio è la casa dell'essere e nella sua dimora abita l'uomo.”

Martin Heidegger (1889–1976) filosofo tedesco

dalla Lettera sull'umanismo

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“La filosofia, se così vuol chiamarsi, che s'incarna in Wuthering Heights che tutto il creato, animato o inanimato, fisico e psichico, è espressione di certi vivi principi spirituali: da un lato quel che può definirsi il principio della tempesta – l'aspro, lo spietato, il selvaggio, il dinamico – dall'altro il principio della calma – il dolce, il demente, il passivo, il mansueto. I due principi sono in contrasto, e insieme compongono un'armonia. Così osserva David Cecil (Early Victorian Novelists, Londra 1934). […] Ai personaggi della Brontë è applicabile l'ordinaria antitesi tra bene e male. Essi non cercano di por freno alle loro passioni devastatrici, non si pentono dei loro atti di distruzione; ma siccome quegli atti e quelle passioni non sgorgano da impulsi di natura distruttiva, bensì da impulsi che son distruttivi solo perché stornati dal loro corso naturale, essi non sono " cattivi ". […] Sicché il conflitto a cui assistiamo nel suo libro non è quello consueto dei romanzi vittoriani, tra bene e male; è piuttosto un contrasto tra simile e dissimile. [.. ] In verità il sesso ha poco a che fare coi personaggi della Brontë: l'amore di Catherine è esente da sensualità come la forza che attrae la marea alla luna, il ferro alla calamita, e non ha più tenerezza che fosse odio. […] Da un lato Wuthering Heights, la terra della tempesta, su nell'arida brughiera, nuda all'assalto degli elementi, naturale dimora della famiglia Earnshaw, indomiti figli della tempesta. Dall'altro, protetta dalla frondosa valle sottostante, Thrushcross Grange, l'appropriata dimora dei figli della calma, i gentili, passivi, timidi Linton. […] È la distruzione (a opera di Heathcliff) e la restaurazione di quest'armonia che, secondo l'analisi del Cecil forma il tema del racconto. Che è molto complesso: c'è infatti una seconda generazione in cui la netta distinzione tra i figli della tempesta e i figli della calma s'è smussata; essi partecipano d'entrambe le nature. […] Tale lo schema del romanzo, logico come il profilo d'una fuga musicale, per adoperare la felice similitudine del Cecil: schema da poema epico e da tragedia più che da romanzo. Forse Chesterton ha toccato la nota giusta quando ha detto (in The Victorian Age in Literature): «Wuthering Heights avrebbe potuto essere scritto da un'aquila». Sta sospeso così tra cielo e terra, più vicino al cielo che alla terra: romanzo meteorico.”

Mario Praz (1896–1982) critico d'arte, critico letterario e saggista italiano

Origine: La letteratura inglese: Dai romantici al Novecento, p. 144-46

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“Mia dimora è negli occhi di mia nonna.”

Giovanni Lindo Ferretti (1953) cantautore e scrittore italiano

Origine: Bella gente d'Appennino, p. 15

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“Le rovine del tempo costruiscono dimore nell'eternità.”

William Blake (1757–1827) poeta, incisore e pittore inglese

Ruins of time build mansions in eternity.
Origine: Dalla lettera a William Hayley del 6 maggio 1800; citato in Ivan Illich, Pervertimento del cristianesimo: Conversazioni con David Cayley su vangelo, chiesa, modernità, traduzione di Aldo Serafini, Quodlibet, Macerata, 2012, p. 58. ISBN 978-88-7462-431-7

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“La filosofia, se così vuol chiamarsi, che s'incarna in Wuthering Heights che tutto il creato, animato o inanimato, fisico e psichico, è espressione di certi vivi principi spirituali: da un lato quel che può definirsi il principio della tempesta – l'aspro, lo spietato, il selvaggio, il dinamico – dall'altro il principio della calma – il dolce, il demente, il passivo, il mansueto. I due principi sono in contrasto, e insieme compongono un'armonia. Così osserva David Cecil (Early Victorian Novelists, Londra 1934). […] Ai personaggi della Brontë è applicabile l'ordinaria antitesi tra bene e male. Essi non cercano di por freno alle loro passioni devastatrici, non si pentono dei loro atti di distruzione; ma siccome quegli atti e quelle passioni non sgorgano da impulsi di natura distruttiva, bensì da impulsi che son distruttivi solo perché stornati dal loro corso naturale, essi non sono " cattivi ". […] Sicché il conflitto a cui assistiamo nel suo libro non è quello consueto dei romanzi vittoriani, tra bene e male; è piuttosto un contrasto tra simile e dissimile. [.. ] In verità il sesso ha poco a che fare coi personaggi della Brontë: l'amore di Catherine è esente da sensualità come la forza che attrae la marea alla luna, il ferro alla calamita, e non ha più tenerezza che fosse odio. […] Da un lato Wuthering Heights, la terra della tempesta, su nell'arida brughiera, nuda all'assalto degli elementi, naturale dimora della famiglia Earnshaw, indomiti figli della tempesta. Dall'altro, protetta dalla frondosa valle sottostante, Thrushcross Grange, l'appropriata dimora dei figli della calma, i gentili, passivi, timidi Linton. […] È la distruzione (a opera di Heathcliff) e la restaurazione di quest'armonia che, secondo l'analisi del Cecil forma il tema del racconto. Che è molto complesso: c'è infatti una seconda generazione in cui la netta distinzione tra i figli della tempesta e i figli della calma s'è smussata; essi partecipano d'entrambe le nature. […] Tale lo schema del romanzo, logico come il profilo d'una fuga musicale, per adoperare la felice similitudine del Cecil: schema da poema epico e da tragedia più che da romanzo. Forse Chesterton ha toccato la nota giusta quando ha detto (in The Victorian Age in Literature): «Wuthering Heights avrebbe potuto essere scritto da un'aquila». Sta sospeso così tra cielo e terra, più vicino al cielo che alla terra: romanzo meteorico.”

Emily Brontë (1818–1848) scrittrice e poetessa inglese

Mario Praz

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“Come, invece, l'ape raccoglie il succo dei fiori, senza danneggiarne colore e profumo, così dimori l'asceta nel villaggio.”

Gautama Buddha (-563–-483 a.C.) monaco buddhista, filosofo, mistico e asceta indiano, fondatore del Buddhismo

49; 1994, p. 56
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“La moschea è la dimora del pio.”

Maometto (570–632) fondatore e profeta dell'Islam

Origine: Citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 73. ISBN 9788858018330

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“La pedagogia liturgica ci insegna che, anche noi, come Maria e accompagnati dalla sua materna ed efficace intercessione, possiamo essere dimora di Gesù”

Angelo Amato (1938) cardinale e arcivescovo cattolico italiano

Lo sviluppo del dogma mariano

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“Non esiste alcuna istituzione che possa permettere di far concorrere ogni persona all'esercizio del potere, dal momento che il potere è il comando, e non è possibile che tutti comandino. La sovranità del popolo non è altro che una finzione, e una finzione che, alla lunga, può essere soltanto distruttiva delle libertà individuali. Il medioevo non ha affatto conosciuto questo genere di difficoltà; per esso la legge era fissa, la legge era data. Solo dal momento che la legge divina verrà respinta come superstizione e la consuetudine come routine, sarà indispensabile fare la legge. Occorre allora una potenza legislativa. Autrice della regola suprema, essa sarà una potenza necessariamente suprema [quindi lesiva della libertà individuale].
Siamo abituati a considerare l'assolutismo monarchico con la sua organizzazione oppressiva, come l'opposto dello Stato moderno. Il sovrano è finalmente riuscito a sbarazzarsi di quanto di sacro e inviolabile gli stava sopra e ne arginava l'azione. Ma in origine valeva per esempio l'imprecazione dell'antica legge norvegese: "Se il re viola la dimora di un uomo libero, tutti andranno verso di lui per ucciderlo". Ci si chieda pure chi e quanti erano allora gli uomini liberi; resta il fatto che il concetto di libertà nacque associato alla fede nell'esistenza di diritti individuali intangibili, superiori a qualunque autorità. E gli uomini liberi facevano valere con energia questi loro diritti: la Rivoluzione d'Inghilterra incomincia, in nome del diritto di proprietà offeso, come resistenza a un'imposta territoriale lieve, la shipmoney.
Ci si aggrappa a quel grido di "libertà!" che risuona all'inizio di qualsiasi rivoluzione, e non ci si accorge che non è mai esistita rivoluzione che non sia sfociata in un pesante accrescimento del potere. Prima c'era l'autorità di Carlo I, di Luigi XVI, di Nicola II. Poi vi sarà quella di Cromwell, di Napoleone, di Stalin. Questi sono i padroni verso i quali si troveranno assoggettati i popoli che si erano sollevati contro la "tirannide" dello Stuart, del Borbone o del Romanov.”

Bertrand de Jouvenel (1903–1987) filosofo (futurista), economista

da Del potere: storia naturale della sua crescita

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“Per vedere la maga figlia del gran sole, | spingendoti fuori da questi rifugi, | senza ostacoli verrai nel dominio Circeo, | che non è affatto racchiuso entro angusti confini. | Per vedere le belanti pecore e i muggenti buoi, | per vedere i saltellanti padri dei capretti, | tu verrai, e per vedere tutti quanti gli animali del campo, | e tutte le belve della selva. | Con vario ed armonioso canto si leveranno qua e là i volatili nel cielo, | aggirandosi per la terra, sull'onda e nell'aere. | Mentre lasceranno che tu passi indisturbato i pesci del mare, | mantenendosi nel loro naturale silenzio. | Bada però che quando ti accosterai alla dimora, | per ritrovare gli animali domestici: | allora infatti proprio di fronte alle porte ed all'ingresso dell'atrio | facendosi avanti tutto fangoso, | ti correrà incontro il porco, e se per caso gli andrai troppo accosto, | col fango, colle zanne e con gli zoccoli | quello ti morderà, ti sporcherà, ti calpesterà, | e col suo grugnito t'importunerà. | Sulla soglia poi, e nello stesso ingresso dell'atrio, | il genere di bestie latranti che là se ne sta in ozio, | ti sarà molesto per il gran abbaiare, | e terribile per le fauci. | Se per questo non smarrirai il senso, e se neanche i cani si infurieranno, | per timore tu delle loro zanne, quelli del tuo bastone, | quelli non ti morderanno, tu non li picchierai: | sarai libero di passare, né quelli ti saranno di ostacolo. | Superate con solerte industria tutte queste prove, | mentre ti addentri nei luoghi più celati, | ti verrà incontro il solare volatile, il gallo, | per condurti in presenza della figlia del sole.”

Giordano Bruno (1548–1600) filosofo e scrittore italiano

da Giordano al libro; 2008

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“La sapienza ha dunque tre dimore: la prima inedificata, eterna, perché è essa stessa la sede dell'eternità; la seconda, sua primogenita, è questo mondo visibile; la terza, sua secondogenita, è l'anima dell'uomo.”

Giordano Bruno (1548–1600) filosofo e scrittore italiano

Origine: DallOratio valedictoria; citato in Nicoletta Tirinnanzi, Note ai testi, in Giordano Bruno, Dialoghi filosofici italiani, Mondadori, Milano, 2000, p. 1244. ISBN 88-04-47416-5

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“Nel tempio della scienza ci sono molte dimore… e diversi davvero sono coloro che le abitano e i motivi che ve li hanno condotti. Molti cercano nella scienza l'esaltante sensazione di superiore capacità intellettuale; la scienza è lo sport da cui trarre un'esperienza vivida e il soddisfacimento delle ambizioni; nel tempio ci saranno anche i molti che hanno immolato i prodotti del loro cervello a fini puramente utilitaristici. Se venisse un angelo del Signore a cacciare tutta la gente che appartiene a queste due categorie, il tempio si svuoterebbe di molti fedeli, ma qualcuno rimarrebbe: uomini sia dell'epoca presente sia di quella passata… Se le categorie che abbiamo appena espulso fossero le sole a popolare quel luogo, il tempio non sarebbe mai esistito, così come non può esistere un bosco fatto di soli rampicanti. Coloro che troveranno favore presso l'angelo […] sono tipi isolati, poco comunicativi, solitari, in realtà molto meno simili tra loro degli appartenenti alla schiera dei cacciati. Quel che li ha portati al tempio […] non c'è un'unica risposta per spiegarlo, […] l'evasione dalla vita quotidiana, dalla sua penosa crudezza, da una disperata monotonia, la fuga dalla schiavitù dei propri desideri. Una natura nobile desidera con tutte le sue forze di sfuggire al suo ambiente affollato e rumoroso per rifugiarsi nel silenzio delle vette più alte, dove l'occhio spazia liberamente nell'aria ancura pura e segue con sguardo amorevole i placidi contorni che paiono costruiti per l'eternità.”

Albert Einstein (1879–1955) scienziato tedesco
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“Noi eravam lunghesso mare ancora, | come gente che pensa a suo cammino, | che va col cuore e col corpo dimora.”

Dante Alighieri (1265–1321) poeta italiano autore della Divina Commedia

II, 10-12

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“Il comico come il sublime, non dimora mai nell'oggetto, ma nel soggetto.”

Jean Paul (1763–1825) scrittore e pedagogista tedesco

Introduzione all'estetica

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“La medicina è l'arte di accompagnare con parole greche all'estrema dimora.”

Pitigrilli (1893–1975) scrittore e aforista italiano

da La vergine a 18 carati, Sonzogno, 1936

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“Come un pesce tolto dalla sua acquatica dimora e gettato sul pavimento, trema questo [nostro] pensiero, allorché deve rinunciare ad essere dominato da Māra.”

Gautama Buddha (-563–-483 a.C.) monaco buddhista, filosofo, mistico e asceta indiano, fondatore del Buddhismo

34; 1994, p. 54
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“È tornata dalla Germania a Downing Street [la dimora ufficiale del Primo Ministro inglese a Londra] una pace con onore. Credo che sia pace per il nostro tempo.”

Neville Chamberlain (1869–1940) politico inglese

Origine: Frase pronunciata al ritorno da Monaco di Baviera, dopo la firma dell'accordo fra Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna, che concedeva alla Germania l'annessione dei Sudeti a scapito della Cecoslovacchia; citato in Winston Churchill, op. cit., Volume I The gathering storm, 17° capitolo The Tragedy of Munich, p. 280.

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“La verità è essa stessa la dimora dell'amore; la verità si dona originariamente, dotata di un riferimento a se stessa.”

Jean-Marie Lustiger (1926–2007) cardinale e arcivescovo cattolico francese

Testimoniare la verità

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“Ciò che differenzia i pagani da noi, è che all'origine di tutte le loro credenze vi è un terribile sforzo per non pensare in quanto uomini, per mantenere il contatto con l'intera creazione, cioè con la divinità.
So bene che il più piccolo slancio d'amore vero ci avvicina molto di più a Dio che tutta la scienza che possiamo avere della crezione e dei suoi gradi.
Ma l'Amore che è una forza non va senza la Volontà.
Non si ama senza la volontà, la quale passa attraverso la coscienza; – è la coscienza della separazione consentita che ci conduce al distacco dalle cose, che ci riconduce all'unità di Dio.
Si conquista l'amore prima attraverso la coscienza e attraverso la forza dell'amore poi.
Tuttavia, vi sono molte dimore nella casa di mio padre. E colui che, gettato sulla terra con la coscienza dell'idiota, dopo Dio solo sa quali fatiche o quali colpe in altri stati o altri mondi che gli hanno valso la sua idiozia; ma con quel tanto di coscienza che gli necessita per amare, e amare in un distacco senza grandi parole, in un meraviglioso slancio spontaneo; colui al quale tutto ciò che è il mondo sfugge, che dell'amore non conosce che la fiamma, la fiamma senza l'irraggiamento e la moltitudine del focolare, avrà meno di quell'altro accanto il cui cervello domina l'intera creazione, e per il quale l'amore è un minuzioso e orribile scollamento.
Ma – ed è sempre come la storia del ditale – avrà sempre tutto ciò che può assorbire. Godrà d'una felicità chiusa, ma che, riempiendo tutta la sua misura, darà anche a lui la sensazione dell'immensità.
Sino al giorno in cui questo povero in ispirito sarà spazzato via come le altre cose. Gli verrà ritirata la sua immensità. Verremo tutti giudicati, grandi e piccoli, dopo il nostro paradiso di delizie, dopo la felicità che non è tutto, voglio dire, che non è il grande Tutto, cioè Niente. Verremo mescolati, verremo fusi sino all'Uno, Uno Solo, il grande Uno cosmico che presto farà posto allo Zero infinito di Dio.”

Antonin Artaud (1896–1948) commediografo, attore teatrale e scrittore francese

Origine: Eliogabalo o l'anarchico incoronato, pp. 55-56

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“Avevo lasciato questo pianeta, abbandonando i poveri terrestri alle loro occupazioni tanto molteplici quanto inutili; finalmente vivevo nello splendore scintillante delle stelle, che mi apparivano grandi come milioni di soli! In altre occasioni non ero riuscito ad ottenere quel tipo di illuminazione per le scene delle mie opere: nel grande teatro dell'Opéra i fondali troppo spesso rimangono in ombra. Ormai non dovevo più rispondere alle lettere, avevo detto addio alle prime rappresentazioni, alle discussioni letterarie e a tutto ciò che vi si mescolava.
Niente giornali, niente cene, niente notti agitate!
Ah! se avessi potuto consigliare ai miei amici di raggiungermi dove mi trovavo. Non avrei esitato a chiamarli a me. Ma l'avrebbero fatto?
Prima di ritirarmi in questo soggiorno lontano avevo scritto le mie ultime volontà (un marito infelice avrebbe approfittato di questa occasione testamentaria per scrivere con voluttà «Le Mie Prime Volontà»). Avevo soprattutto espresso il desiderio di essere inumato a Egreville, vicino alla dimora familiare nella quale avevo vissuto per tanto tempo. Oh! Il buon cimitero! In aperta campagna: in un silenzio che si conviene a coloro che vi abitano.
Avevo evitato che si evitasse di appendere alla mia porta quelle tende nere, fatte apposta per i clienti. Desideravo che una vettura anonima mi facesse lasciare Parigi. Il viaggio, secondo le mie volontà, aveva avuto luogo alle otto di mattina. Un paio di giornali della sera ritennero di dover informare i loro lettori della mia morte.
Alcuni amici – ne avevo ancora la sera prima – andarono ad informarsi dal mio portinaio se la notizia era vera, e lui rispose: «Ahimè! Monsieur è partito senza lasciare indirizzo.» E la sua risposta era vera, perché non sapeva dove mi portasse quella macchina.
All'ora di pranzo, alcuni conoscenti mi fecero l'onore di condolersi; nel pomeriggio si parlò dell'avvenimento addirittura nei teatri, qua e là:
«– Adesso che è morto non lo eseguiranno più così spesso, vero?
«– Sapete che ha lasciato un'opera inedita? Ma non smetterà mai di togliere il lavoro alla gente?
«– Io, parola mia, gli volevo bene! Nelle sue opere avevo sempre dei grossi successi!
Ed era una bella voce di donna a dire quest'ultima frase.
Dal mio editore, piangevano: mi volevano tanto bene!
A casa mia, Rue de Vaugirard, mia moglie e mia figlia, i miei nipoti i miei bisnipoti erano riuniti: e nei singhiozzi quasi provavano una consolazione.
La mia famiglia doveva arrivare a Egreville la sera stessa del mio seppellimento.
E la mia anima (l'anima sopravvive al corpo) sentiva venire tutti questi rumori dalla città che avevo abbandonata. Man mano che la macchina me ne allontanava, le parole, i rumori, si confondevano, e io sapevo, visto che mi ero fatto costruire da parecchio tempo la tomba, che la fatal pietra, una volta sigillata, sarebbe diventata nel giro di poche ore la porta dell'oblio.”

Jules Massenet (1842–1912) compositore francese

da Epilogo in cielo, l'Echo de Paris, 11 luglio 1912; citato nell'epilogo a Don Quichotte, prefazione di Piero Faggioni, Stagione Lirica 1985-86, E. A. Teatro San Carlo, Napoli 1985, p. 84

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“[Michelangelo Merisi da Caravaggio] Si esercitò da giovine nell'arte di murare e portò lo schifo della calce nelle fabbriche […] s'incontrò a far le colle ad alcuni pittori che dipingevano a fresco, e tirato dalla voglia di usare i colori accompagnossi con loro, applicandosi tutto alla pittura. […] Dopo, essendo egli d'ingegno torbido e contenzioso, per alcune discordie fuggitosene da Milano giunse in Venezia, ove si compiacque tanto del colorito di Giorgione che se lo propose per iscorta nell'imitazione. […] Condottosi a Roma vi dimorò senza ricapito e senza provvedimento […] sichè dalla necessità costretto, andò a servire il cavaliere Giuseppe d'Arpino, da cui fu applicato a dipinger fiori e frutti sì bene contrafatti che da lui vennero a frequentarsi a quella maggior vaghezza che tanto oggi diletta. […] Ma esercitandosi egli di mala voglia in queste cose, e sentendo gran rammarico di vedersi tolto alle figure, incontrò l'occasione di Prospero, pittore di grottesche, e uscì di casa di Giuseppe per contrastargli la gloria del pennello. […] …era solito usare drappi e velluti nobili per adornarsi; ma quando poi si era messo un abito, mai lo tralasciava finché non gli cadeva in cenci […] …era negligentissimo nel pulirsi; mangiò molti anni sopra la tela di un ritratto, servendosene per tovaglio mattina e sera.”

Giovanni Pietro Bellori (1613–1696) scrittore italiano

da Le vite de' pittori, scultori et architetti moderni, parte prima, pp. 201-214

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“Ciascuno dimori nell'istituzione con rispetto e con amore, come nella casa di Dio.”

Luigi Guanella (1842–1915) presbitero italiano

Regolamento interno dei Figli del Sacro Cuore nella Casa divina Provvidenza

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