Frasi su cielo
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“Ho sempre un po' | di blues in fondo | agli occhi c'è sempre | un po' di blu | in questo cielo.”

Zucchero (1955) composto chimico chiamato comunemente zucchero

Origine: Musiche Per Viole &... altri Organi D'Amore, p. 8

“[Sulla divisione dell'orazione di Louis Bourdaloue] Ora, per darvene una giusta idea, io mi fermerò alle parole del mio testo, la cui esposizione letterale svilupperà tosto il mio disegno. Vedetene l'ordine e la divisione. Ecce merces vestra copiosa est in coelis. Questa ricompensa che Dio prepara a' suoi eletti, è una ricompensa sicura: Ecce, vedetela, è un Dio che ve la promette; e se la volete di buona fede, ella è vostra: Ecce merces vestra. È una ricompensa abbondante, che non avrà altra che la magnificenza d'un Dio, e che metterà ella sola il colmo a tutte le vostre brame: Ecce merces vestra copiosa. Finalmente è una ricompensa eterna che voi non perderete mai, perché vi attende nel cielo dove non è cangiamento o vicenda: Ecce merces vestra copiosa est in coelis. […] La ricompensa degli eletti di Dio è una ricompensa sicura; mentre quelle del mondo sono fallibili ed incerte: sarà il primo punto. La ricompensa degli eletti di Dio è una ricompensa abbondante; mentre quelle del mondo sono vuote e difettose: sarà il secondo punto. La ricompensa degli eletti di Dio è una ricompensa eterna; mentre quelle del mondo sono fragili e passeggere: sarà l'ultimo punto.
Forse mi direte essere alquanto lunga una tal divisione, e che sarebbesi potuta spedire con tre voci, dicendo che la mercede de' giusti è mercede sicura, piena, eterna.”

Guglielmo Audisio (1802–1882)

Origine: Lezioni di eloquenza sacra, p. 89

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“Nel cielo passano le nuvole | che vanno verso il mare | sembrano fazzoletti bianchi | che salutano il nostro amore.”

Domenico Modugno (1928–1994) cantautore, chitarrista e attore italiano

da Dio, come ti amo, 1966

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“Dalla "Vetta del cielo" scrivo la storia per dire io c’ero | secondo Marco come il Vangelo.”

Rayden (1985) rapper e beatmaker italiano

da Una volta e per sempre -Raige
Collaborazioni

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“O larghe nubi come fonderei | volentieri il mio passo | dentro quel cielo che racchiude tutta | tutta l'avversità del mio destino.”

Alda Merini (1931–2009) poetessa italiana

Anche oggi sarà dentro la storia
Destinati a morire. Poesie vecchie e nuove

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“Penetrando nel museo, la scorsi subito in fondo ad una sala, e bella proprio come l'avevo immaginata. Non ha la testa, le manca un braccio; mai tuttavia la forma umana mi è parsa più meravigliosa e più seducente. Non è la donna vista dal poeta, la donna idealizzata, la donna divina o maestosa, come la Venere di Milo, è la donna così com'è, così come la si ama, come la si desidera, come la si vuole stringere. È robusta, col petto colmo, l'anca possente e la gamba un po' forte, è una Venere carnale che si immagina coricata quando la si vede in piedi. Il braccio caduto nascondeva i seni; con la mano rimasta, solleva un drappeggio col quale copre, con gesto adorabile, i fascini più misteriosi. Tutto il corpo è fatto, concepito, inclinato per questo movimento, tutte le linee vi si concentrano, tutto il pensiero vi confluisce. Questo gesto semplice e naturale, pieno di pudore e di impudicizia, che nasconde e mostra, che vela e rivela, che attrae e che fugge, sembra definire tutto l'atteggiamento della donna sulla terra. Ed il marmo è vivo. Lo si vorrebbe palpeggiare, con la certezza che cederà sotto la mano, come la carne. Le reni soprattutto sono indicibilmente animate e belle. Si segue, in tutto il suo fascino, la linea morbida e grassa della schiena femminile che va dalla nuca ai talloni, e che, nel contorno delle spalle, nelle rotondità decrescenti delle cosce e nella leggera curva del polpaccio assottigliato fino alle caviglie, rivela tutte le modulazioni della grazia umana. Un'opera d'arte appare superiore soltanto se è, nello stesso tempo, il simbolo e l'esatta espressione di una realtà. La Venere di Siracusa è una donna, ed è anche il simbolo della carne. Dinnanzi al volto della Gioconda, ci si sente ossessionati da non so quale tentazione di amore snervante e mistico. Esistono anche donne viventi i cui occhi ci infondono quel sogno di tenerezza irrealizzabile e misteriosa. Si cerca in esse qualcos'altro dietro le apparenze, perché sembrano contenere ed esprimere un po' di quell'ideale inafferrabile. Noi lo inseguiamo senza mai raggiungerlo, dietro tutte le sorprese della bellezza che pare contenere un pensiero, nell'infinito dello sguardo il quale è semplicemente una sfumatura dell'iride, nel fascino del sorriso nato da una piega delle labbra e da un lampo di smalto, nella grazia del movimento fortuito e dell'armonia delle forme. Così i poeti, impotenti staccatori di stelle, sono sempre stati tormentati da una sete di amore mistico. L'esaltazione naturale di un animo poetico, esasperato dall'eccitazione artistica, spinge quegli esseri scelti a concepire una specie di amore nebuloso, perdutamente tenero, estatico, mai sazio, sensuale senza essere carnale, talmente delicato che un nonnulla lo fa svanire, irrealizzabile sovrumano. E questi poeti sono, forse, i soli uomini che non abbiano mai amato una donna, una vera donna in carne ossa, con le sue qualità di donna, i suoi difetti di donna, la sua mente di donna, ristretta ed affascinante, i suoi nervi di donna e la sua sconcertante femminilità. Qualsiasi creatura davanti a cui si esalta il loro sogno diventa il simbolo di un essere misterioso, ma fantastico: l'essere celebrato da quei cantori di illusioni. E la creatura vivente da loro adorata è qualcosa come la statua dipinta, immagine di un dio di fronte al quale il popolo cade in ginocchio. Ma dov'è questo dio? Qual è questo dio? In quale parte del cielo abita la sconosciuta che quei pazzi, dal primo sognatore fino all'ultimo, hanno tutti idolatrata? Non appena essi toccano una mano che risponde alla stretta, la loro anima vola via nell'invisibile sogno, lontano dalla realtà della carne. La donna che stringono, essi la trasformano, la completano, la sfigurano con la loro arte poetica. Non sono le sue labbra che baciano, bensì le labbra sognate. Non è in fondo agli occhi di lei, azzurri o neri, che si perde così il loro sguardo esaltato, è in qualcosa di sconosciuto e di inconoscibile. L'occhio della loro dea non è altro che un vetro attraverso cui essi cercano di vedere il paradiso dell'amore ideale. Se tuttavia alcune donne seducenti possono dare alle nostre anime una così rara illusione, altri non fanno che eccitare nelle nostre vene l'amore impetuoso che perpetua la razza. La Venere di Siracusa è la perfetta espressione della bellezza possente, sana e semplice. Questo busto stupendo, di marmo di Paros, è - dicono - La Venere Callipigia descritta da Ateneo e Lampridio, data da Eliogabalo ai siracusani. Non ha testa! E che importa? Il simbolo non è diventato più completo. È un corpo di donna che esprime tutta l'autentica poesia della carezza. Schopenhauer scrisse che la natura, volendo perpetuare la specie, ha fatto della riproduzione una trappola. La forma di marmo, vista a Siracusa, è proprio l'umana trappola intuita dall'artista antico, la donna che nasconde rivela l'incredibile mistero della vita. È una trappola? Che importa! Essa chiama la bocca, attira la mano, offre ai baci la tangibile realtà della carne stupenda, della carne soffice bianca, tonda e soda e deliziosa da stringere. È divina, non perché esprima un pensiero, bensì semplicemente perché è bella.”

Guy de Maupassant (1850–1893) scrittore e drammaturgo francese

Incipit di alcune opere, Viaggio in Sicilia

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“Ahimè al cielo, ahimè alla luna sole e stelle mi portan fortuna! Io vivo per soffrire, e vorrei sol morire!”

Andrew Matthews (1948) scrittore britannico

Origine: Gatti, streghe e cavalieri, p. 87

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“I politici, che cercano oggi ingegnose soluzioni alla questione di Napoli, non si sono giammai chiesti in qual modo crescessero sotto i Borboni i figli del povero, in questo paese tanto malmenato e dalla stupidità e dall'ignoranza e dalla miseria, e dalla tirannia degli uomini, quanto beneficato da tutti i doni del Cielo. Quando il bambino staccavasi dal seno materno, e sovente anche prima, — dacché i fanciulli qui vengono allattati fino al terzo anno — stendeva la mano ai passeggeri e si struggeva in lacrime, giurando per tutti i santi del paradiso esser egli orfano di nascita, e morente per fame. Mancavano scuole ed asili, ed il pane era a sì mite prezzo, che i genitori non si trovavano costretti ad insegnare ai figli la necessità del lavoro. Il piccolo vagabondo restava dunque mendicante, e addiveniva ladro di buon'ora Rubava fazzoletti, col furto si assicurava ne' mercati il suo vitto, si impadroniva or qua or là di qualche piccola moneta di rame, e finiva un giorno o l'altro col risvegliarsi in prigione. Allora di due cose l' una : o avea coraggio, o ne difettava. Vigliacco, era sfruttato dalla camorra; coraggioso, aspirava a divenir camorrista. Ma per giungervi era mestieri che ei superasse i vari gradi di iniziamento. Dapprima, garzone di mala vita, era tenuto al servizio de' più rigorosi e de' meno produttivi, semplice servo de' servi de' settari, in realtà assai più di quello che il Papa sia servo de' servi di Dio. Rimaneva in questo stalo fino a che non avesse fornito prova di zelo e di ardire. Passando allora dal terzo grado al secondo, dalla candidatura al noviziato, diveniva picciotto di sgarro.”

Marc Monnier (1827–1885) scrittore italiano

Origine: La camorra, p. 6

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“M'accorgo del cielo infinito solo se una rondine ne percorre un tratto.”

Roberto Gervaso (1937) storico, scrittore, giornalista

Origine: Aforismi, p. 60

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“I signori erano tutti iscritti al Partito, anche quei pochi, come il dottor Milillo, che la pensavano diversamente, soltanto perché il Partito era il Governo, era lo Stato, era il Potere, ed essi si sentivano naturalmente partecipi di questo potere. Nessuno dei contadini, per la ragione opposta, era iscritto, come del resto non sarebbero stati iscritti a nessun altro partito politico che potesse, per avventura, esistere. Non erano fascisti, come non sarebbero stati liberali o socialisti o che so io, perché queste faccende non li riguardavano, appartenevano a un altro mondo, e non avevano senso. Che cosa avevano essi a che fare con il Governo, con il Potere, con lo Stato? Lo Stato, qualunque sia, sono «quelli di Roma», e quelli di Roma, si sa, non vogliono che noi si viva da cristiani. C'è la grandine, le frane, la siccità, la malaria, e c'è lo Stato. Sono dei mali inevitabili, ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Ci fanno ammazzare le capre, ci portano via i mobili di casa, e adesso ci manderanno a fare la guerra. Pazienza!
Per i contadini, lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall'altra parte. Non importa quali siano le sue formule politiche, la sua struttura, i suoi programmi. I contadini non li capiscono, perché è un altro linguaggio dal loro, e non c'è davvero nessuna ragione perché li vogliano capire. La sola possibile difesa, contro lo Stato e contro la propaganda, è la rassegnazione, la stessa cupa rassegnazione, senza speranza di paradiso, che curva le loro schiene sotto i mali della natura.”

1990, pp. 67-68
Cristo si è fermato a Eboli

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“Siete qui per celebrar la conquista del Diluvio? Come mai celebrate una vittoria che vi ha lasciati conquistati? Poiché, col soggiogar i propri abissi, Noè non ha soggiogato i vostri, ma ha solo indicato la via per farlo. E guardate, i vostri abissi son pieni di collera e minacciano di farvi affondare. Se non avete superato il vostro Diluvio, voi non siete degni di questo Giorno. Ognuno di voi è un diluvio, un'arca e un capitano. Ma fino a che non sarà giunto il giorno in cui potrete sbarcar su una terra vergine ed appena lavata, non abbiate fretta di celebrar la vostra vittoria. Voi vorrete sapere come ha fatto l'Uomo a divenir un diluvio per se stesso. Ebbene, allorché il Divino Volere Supremo spaccò Adamo in due – sì da fargli conoscer se stesso e realizzar la sua identità con l'Uno – questi divenne un maschio ed una femmina; un Adamo maschio ed un Adamo femmina. Egli fu allora inondato di desideri, che erano il prodotto del Dualismo; desideri così numerosi, così variati nel colore, così immensi nella grandezza, così sregolati e così prolifici, che fino al giorno d'oggi l'Uomo è un relitto sulle loro onde. Un'onda non fa a tempo a sollevarlo ad altezze vertiginose, che un'altra lo trascina sul fondo. E ciò perché i suoi desideri sono appaiati, così come è appaiato egli stesso. E sebbene, in realtà, due opposti non fan che completarsi a vicenda, all'ignorante essi appaiono in conflitto e mai disposti a dichiarar un momento di tregua. È questo il diluvio che l'Uomo è chiamato a fronteggiar ora per ora, giorno per giorno, attraverso la sua lunga ed ardua vita dualistica. È questo il diluvio le cui possenti sorgenti, sgorgando dal cuore, trascinan voi nella loro precipitosa corsa. È questo il diluvio il cui arcobaleno non adornerà il vostro cielo prima che quest'ultimo abbia sposato la vostra terra e si sia identificato con essa. È da quando Adamo seminò se stesso in Eva che gli uomini stanno raccogliendo trombe d'aria e diluvi. Quando le passioni di un certo tipo predominano, la vita degli uomini viene a trovarsi sbilanciata; allora gli uomini vengono inghiottiti da un diluvio o dall'altro affinché l'equilibrio possa esser ristabilito.”

Mikha'il Nu'ayma (1889–1988) scrittore e poeta libanese

Origine: Il libro di Mirdad, pp. 254-255

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“Era grande: e perciò dové cadere. | Cielo e terra s'unirono ad abbatterlo. | Gli invidi uomini di fango non potevano | sopportar la sua grandezza, | e neppure potevano gli dei | sopportare chi a loro somigliava.”

Mihály Vörösmarty (1800–1855) poeta ungherese

Napoleone
Origine: In Lirici ungheresi, scelti e tradotti da Folco Tempesti, con introduzione e note, Vallecchi Editore, Firenze, 1950, p. 43.

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“Il cielo chiude volentieri gli occhi a nostri difetti, quando non son fatti avanti gli occhi del mondo, e quando per mancanza di testimoni non possa compire perfettamente il processo contra di noi.”

Girolamo Gigli (1660–1722) letterato e commediografo italiano

atto III, scena V
Il Don Pilone
Origine: Citato in Harbottle, p. 312.

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“Ecco la meta a cui tende la Chiesa: è, come dice la Bibbia, la «Gerusalemme nuova», il «Paradiso». Più che di un luogo, si tratta di uno "stato" dell'anima in cui le nostre attese più profonde saranno compiute in modo sovrabbondante e il nostro essere, come creature e come figli di Dio, giungerà alla piena maturazione. Saremo finalmente rivestiti della gioia, della pace e dell'amore di Dio in modo completo, senza più alcun limite, e saremo faccia a faccia con Lui! (cfr 1Cor 13,12). È bello pensare questo, pensare al Cielo. Tutti noi ci troveremo lassù, tutti. È bello, dà forza all'anima. […] Nello stesso tempo, la Sacra Scrittura ci insegna che il compimento di questo disegno meraviglioso non può non interessare anche tutto ciò che ci circonda e che è uscito dal pensiero e dal cuore di Dio. L'apostolo Paolo lo afferma in modo esplicito, quando dice che «anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Altri testi utilizzano l'immagine del «cielo nuovo» e della «terra nuova» (cfr 2Pt 3,13; Ap 21,1), nel senso che tutto l'universo sarà rinnovato e verrà liberato una volta per sempre da ogni traccia di male e dalla stessa morte. Quella che si prospetta, come compimento di una trasformazione che in realtà è già in atto a partire dalla morte e risurrezione di Cristo, è quindi una nuova creazione; non dunque un annientamento del cosmo e di tutto ciò che ci circonda, ma un portare ogni cosa alla sua pienezza di essere, di verità, di bellezza.”

Papa Francesco (1936) 266° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

Udienze, 26 novembre 2014

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“Cos'è quella sensazioni che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l'addio. Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo.”

On the Road
Sulla strada
Variante: Cos'è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l'Addio. Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo.

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“Gli aforismi son come le bolle di sapone: alcune scoppiano sul nascere, altre s'innalzano al cielo, s'incendiano, come meteore, di colori iridati, splendono per un istante di luce abbagliante.”

Mario Praz (1896–1982) critico d'arte, critico letterario e saggista italiano

Origine: Da Aforismi trionfanti http://digitale.bnc.roma.sbn.it/tecadigitale/giornale/CFI0415092/1980/n.271/3, Il Tempo, 11 ottobre 1980.

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“L' infinito del cielo | ha disperso la tua voce | sulle ali dei gabbiani | lasciandoci solo silenzi.”

Pietro Nigro (1939) poeta italiano

da In morte di Bruno Vilar, vv. 10-13
L' attimo e l' infinito

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“Santo cielo! Se questo è il Messico, non mi piacerà!”

Nancy Hartwell (1890–1974)

Origine: Intermezzo messicano, p. 38

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“[Su Georg Trakl] Erano assai lontani gli occhi suoi. | Da ragazzo era già stato in cielo. || Perciò le sue parole sgorgavano | su nuvole azzurre e su bianche.”

Else Lasker-Schüler (1869–1945) poetessa tedesca

Origine: Citato in Georg Trakl, Poesie, introduzione, traduzione e note di Ervino Pocar, Rizzoli, Milano, 1974, p. 161.

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“La Sicilia è una terra con una cultura molto forte, molto potente, quindi è materia che per un attore diventa quasi una manna dal cielo.”

Luca Zingaretti (1961) attore e doppiatore italiano

Origine: Audio disponibile in Amos Oz vince premio Tomasi di Lampedusa: "Sicilia come Israele" http://video.ilsole24ore.com/TMNews/2012/20120810_video_12361874/00005453-amos-oz-vince-premio-tomasi-di-lampedusa-sicilia-come-israele.php, Il Sole 24 Ore, 12 agosto 2012.

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“Il mondo è un gran teatro nel quale vi sono tanti commedianti quanti sono gli uomini. Procura, il più possibile, di essere uno spettatore, non un personaggio. Coloro che recitano faticano; ma quelli che guardano ridono e si divertono.”

Giovanni Bona (1609–1674) cardinale e letterato italiano

da Guida al cielo
Origine: Citato in Frasi celebri della letteratura italiana, Vallardi, Milano, 1994, p. 62. ISBN 88-11-93614-4

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“Maestro, cosa succede?
UrSu ansimò prima di rispondere.
– Nacqui… – disse, e il resto della frase si perse in un mormorìo indistinto.
Jen piegò la testa per indicare che non aveva capito. Il Maestro agitò debolmente una mano come a dirgli di aver pazienza, e finalmente riuscì a mormorare: – Nacqui sotto un cielo tempestoso.
Jen deglutì a vuoto, sforzandosi di mantenere la calma. – Per favore – disse. – Sono io, Jen.
Il vecchio saggio tornò a sollevare la mano, e mosse le labbra come per guidare le parole. – Un Cristallo cantava… – ansimò. – Un Cristallo cantava i tre divenuti uno. La colonna oscura, la colonna, la colonna rosea… e la luce…
Jen si avvicinò, chinandosi per parlargli.
– Ascolta – mormorò il Maestro. – Devi capire. Tu devi… Dopo novecentonovantanove triadi più una triade… La Grande Congiunzione, cantava il Cristallo… Io nacqui, ah… anche Skeksis…
Jen rimaneva lì immobile, timoroso all'idea che la sua vita dovesse cambiare, smarrito al pensiero delle responsabilità che, nel suo sconnesso mormorìo, il Maestro dava l'impressione di volergli imporre. Non aveva idea del significato di quei frammenti di cognizioni – se si trattava di cognizioni e non di parole prive di senso mormorate da un essere agonizzante – più di quanto non riuscisse a immaginare cosa avrebbe potuto fare per venire in aiuto al suo Maestro.
– Sei malato. Devi riposare – gli disse.
Se riusciva a calmarlo, sarebbe andato a chiamare UrIm il Guaritore, che, con la sua sensibilità all'aura, avrebbe imposto le mani e poi forse tutto sarebbe tornato come prima.
UrSu non l'aveva sentito. – Tre volte sei erano gli urSkeks – proseguì cantilenando, come se così gli riuscisse meglio di respirare. – Oscuro il Cristallo, oh… Tempestoso il cielo, grande dolore, gli Skeksis, essi… Male, oscurità, il loro governo…
Jen si sforzava di dare un senso a quelle parole sconnesse, perché il Maestro gli aveva detto che doveva capire, ma nello stesso tempo era disperato perché s'era reso conto che UrIm, che aveva visto sulla soglia della caverna, doveva aver già visitato il suo Maestro, e se si era allontanato significava che non c'era più niente da fare.
– Grande potere – continuò lentamente urSu dopo aver ripreso fiato. – Non ancora, non rinnovato, non Skeksis, non se i Ghelfling, tu, ah… – emise un gemito di dolore.”

Tu lo renderai intero, tu devi, tu devi, tutto intero, Ghelfling. Di nuovo.
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“Quando è infranto l'ultimo ponte che lega alla vita, una cosa rimane – trascinarsi verso la terra dei venti. L'alba nel cielo invernale e la sua pioggia di splendida luce rimane.”

Gustav Suits (1883–1956)

Origine: Da La terra dei venti, citato in Ants Oras (Letteratura estone), Ernests Blese (Letteratura lettone) e Alfred Senn (Letteratura lituana), Storia delle letterature baltiche, a cura di Giacomo Devoto, Nuova Accademia Editrice, 1963, traduzione per Ants Oras (Letteratura estone) di Olga Rossi, p. 31.

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“Sono Gagarin, il figlio della terra | Io sono Gagarin. | Per primo ho volato, | e voi volaste dopo di me. | Sono stato donato/per sempre al cielo, dalla terra, | come il figlio dell'umanità.”

Evgenij Aleksandrovič Evtušenko (1932–2017) poeta e romanziere russo

da Sono Gagarin, il figlio della terra; citato in Pier Paolo Pasolini, Pagine corsare http://www.pasolini.net/poesia_evtuschenko.htm

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“«Il dubbio è voce infernale | che grida al cielo: | – Non c'è un Dio lassù | che pensi al genere umano? – || E certamente | chi dice questo | merita che da lui | ritragga le mani il buon Dio. || Perché c'è un Padre del genere umano, | un fedele, provvido Padre, | e chiunque da Lui non si scosti | può bene vederlo. || Ma non siamo impazienti! | Egli ha tanti figliuoli. | Non pretendiamo che ponga | noi, dinanzi a tutti! || Questa è la legge: «Attendi il tuo turno» | e non aspetterai invano. | Come il sole attorno alla terra, così | gira la sua bontà. || Nessuno ne resta privo. | Se Egli non viene oggi, giunge domani | e finché l'uomo non è felice | non può morire. || E la felicità non giunge mai troppo tardi, | e questa è magica cosa; | se solo una goccia ve ne cadesse dentro | addolcirebbe un mare». || A lungo ancora parlò il giovane | e il vecchio ognor più attento, ascoltava. | Così la sua anima assorbì quei discorsi | come il piccolo succhia il latte materno. || E quando quello cessò di parlare | il vecchio chiese meravigliato: | «Dove imparasti tu queste cose? | Chi sei, giovanotto, qual è il tuo nome?». || Già il giovane si era annoiato | d'aver sfoggiata tanta gravità, | e allegramente, e biricchino | diede codesta risposta: || «Dove ho imparato tali cose? | Me le disse una nottola | quando, in una notte di tempesta, | dormii con essa nel cavo di un albero. || Chi sono? Un vagabondo | senza paese e senza casa; | un qualche uccello di passo | mi fu forse antenato. || Me ne vado in giro pel mondo; | oggi qua, domani là, | e mi levo il cappello | dinanzi a chi lo desidera. || Quanto più soffro il freddo e la fame | tanto più io godo | poiché migliore sarà il futuro | se più brutto è il presente. || E come mi chiamo? Confesso | che il mio nome l'ho quasi scordato, | ma so dirti che ora nel mondo | mi chiamano Stefano il folle».”

Sándor Petöfi (1823–1849) poeta e patriota ungherese

da Stefano il folle, pp. 145-146
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“Vorrei una prosa trasparente, non voglio che il lettore inciampi su di me; voglio che lui veda attraverso le mie parole ciò che sto descrivendo. Non voglio che lui dica "Oh, santo cielo, com'è scritto bene!": sarebbe un fallimento.”

Vidiadhar Surajprasad Naipaul (1932–2018) scrittore trinidadiano

citato in un' intervista di Jonathan Rosen http://www.theparisreview.org/interviews/1069/the-art-of-fiction-no-154-v-s-naipaul

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