Frasi su confuso
pagina 3

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“Negli anni della maturità pochi uomini sanno, in fondo, come son giunti a se stessi, ai propri piaceri, alla propria concezione del mondo, alla propria moglie, al proprio carattere e mestiere e loro conseguenze, ma sentono di non poter più cambiare di molto. Si potrebbe sostenere persino, che sono stati ingannati; infatti è impossibile scoprire una ragione sufficiente per cui tutto sia andato proprio così come è andato; avrebbe anche potuto andare diversamente; essi hanno influito pochissimo sugli avvenimenti, che per lo più sono dipesi da circostanze svariate, dall'umore, dalla vita, dalla morte di tutt'altri individui; e solo in quel dato momento si sono abbattuti su di loro. Quand'erano giovani la vita si stendeva loro dinanzi come un mattino senza fine, colmo di possibilità e di nulla, e già al meriggio ecco giungere all'improvviso qualcosa che pretende di essere ormai la loro vita; e tutto ciò è così sorprendente come vedersi davanti tutt'a un tratto una persona con la quale siamo stati vent'anni in corrispondenza, senza conoscerla, e ce la siamo immaginata completamente diversa. Ancora più strano, però, che quasi nessuno, se ne accorga; adottano la persona che è venuta a loro, la cui vita si è incorporata alla loro vita, giudicano le sue vicende ed esperienze ormai come le espressioni delle loro qualità, e il suo destino diventa merito o disgrazia loro. […] E non hanno più che un ricordo confuso della giovinezza, quando c'era in loro qualcosa come una forza opposta.”

cap. 34, pp. 144-145
L'uomo senza qualità

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“[Riguardo Dario Fo e Franca Rame] A parte il disprezzo, intende dire? Una specie di pena. Perché v'era un che di penoso in quei due vecchi che per piacere ai giovani radunati in piazza si sgolavano e si sbracciavano sul palcoscenico montato dinanzi a Santa Croce, quindi dinanzi al porticato che un tempo immetteva al Sacrario dei Caduti Fascisti. In loro non vedevo dignità, ecco. A un certo punto l'amico che con me li guardava alla tv ha sussurrato: Ma lo sai che lui militava nella Repubblica di Salò?. Non lo sapevo, no. Come essere umano non mi ha mai interessato. Come giullare, non m'è mai piaciuto. Come autore l'ho sempre bocciato, e la sua biografia non mi ha mai incuriosito. Così sono rimasta sorpresa, io che parlo sempre di fascisti rossi e di fascisti neri. Io che non mi sorprendo mai di nulla e non batto ciglio se vengo a sapere che prima d'essere un fascista rosso uno è stato un fascista nero, prima d'essere un fascista nero uno è stato un fascista rosso. E mentre lo fissavo sorpresa ho rivisto mio padre che nel 1944 venne torturato proprio da quelli della Repubblica di Salò. M'è calata una nebbia sugli occhi e mi sono chiesta come avrebbe reagito mio padre a vedere sua figlia oltraggiata e calunniata in pubblico da uno che era appartenuto alla Repubblica di Salò. Da un camerata di quelli che lo avevano fracassato di botte, bruciacchiato con le scariche elettriche e le sigarette, reso quasi completamente sdentato. Irriconoscibile. Talmente irriconoscibile che, quando ci fu permesso di vederlo e andammo a visitarlo nel carcere di via Ghibellina, credetti che si trattasse d'uno sconosciuto. Confusa rimasi lì a pensare – chi è quest'uomo, chi è quest'uomo – e lui mormorò tutto avvilito: Oriana, non mi saluti nemmeno?. L'ho rivisto in quelle condizioni, sì e mi son detta: Povero babbo. Meno male che non li ascolti, non soffri. Meno male che sei morto.”

Oriana Fallaci (1929–2006) scrittrice italiana

Origine: Dall'intervista di Riccardo Mazzoni Oriana Fallaci risponde http://archivio.panorama.it/Oriana-Fallaci-risponde, Panorama.it, 21 novembre 2002.

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“Una cosa è certa sul tifo: non è un piacere parassita, anche se tutto farebbe pensare il contrario, e chi dice che preferirebbe fare piuttosto che guardare non capisce il concetto fondamentale. Il calcio è un contesto in cui guardare diventa fare – non in senso aerobico, perché guardare una partita con il fumo che esce dalle orecchie, e poi bere e mangiare patatine per tutta la strada del ritorno è assai improbabile che ti faccia del gran bene, nel senso in cui te ne fa la ginnastica di Jane Fonda o lo sbuffare su e giù per il campo. Ma nel momento del trionfo il piacere non si irradia dai giocatori verso l'esterno fino ad arrivare ormai smorzato e fiacco a quelli come noi in cima alle gradinate; il nostro divertimento non è una versione annacquata del divertimento della squadra, anche se sono loro che segnano i gol e che salgono i gradini per incontrare la principessa Diana. La gioia che proviamo in queste occasioni non nasce dalla celebrazione delle fortune altrui, ma dalla celebrazione delle nostre; e quando veniamo disastrosamente sconfitti il dolore che ci inabissa, in realtà, è autocommiserazione, e chiunque desideri capire come si consuma il calcio deve rendersi conto prima di tutto di questo. I giocatori sono semplicemente i nostri rappresentanti, e certe volte, se guardi bene, riesci a vedere anche le barre metalliche su cui sono fissati, e le manopole alle estremità delle barre che ti permettono di muoverli. Io sono parte del club, come il club è parte di me; e dico questo perfettamente consapevole del fatto che il club mi sfrutta, non tiene in considerazione le mie opinioni, e talvolta mi tratta male, quindi la mia sensazione di unione organica non si basa su un fraintendimento confuso e romantico di come funziona il calcio professionistico.”

Nick Hornby (1957) scrittore inglese

Origine: Febbre a 90, pp. 184-185

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“Due domande per Thiago Silva. Primo, perché parli di me nella tua intervista prima di Psg-Barca? Molto strano. Seconda, ti sei operato o no? Sono confuso, è un uomo che è diventato donna o una donna che è diventata uomo? Non riesco a capire.”

Joey Barton (1982) calciatore inglese

Origine: Da twitter, citato in Barton contro Thiago Silva: "È un transessuale, perché parla di me?” http://www.gazzetta.it/Calcio_Estero/Primo_Piano/03-04-2013/barton-contro-thiago-silva-transessuale-perche-parla-me-92804052386.shtml, Gazzetta.it, 3 aprile 2013.

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“Molti artisti contemporanei, – compreso l'autore di questo articolo – hanno subito crisi simili e confuso l'énorme con il grande, la violenza con l'energia. Ma è generalmente una follia romantica della gioventù e quella d'un tempo in cui il cuore si esalta a caso prima che il gusto abbia scelto. Il fatto strano è che essa si sia verificata in Van Lerberghe all'età di quarant'anni, come un improvviso richiamo delle forze dell'adolescenza in un'anima poco a poco rinnovata. Questo ribollire disordinato non è certo inutile ed il genio di Emile Verhaeren ha potuto trarne soprendenti capolavori. In Van Lerberghe esso si è presto contenuto e si è risolto in lirismo.
No, certo, questo nuovo stato non si è riflesso direttamente nella sua opera, ma senza dubbio è servito a darle una più viva ampiezza. Lui, Charles Van Lerberghe non somigliava più al poeta. Aveva da poco iniziato l'ammirevole Chanson d'Eve, e mi mostrò anche l'abbozzo di una commedia leggendaria in tre atti che nulla doveva allo stoicismo. Era una sorta di satira, di spirito pagano, insieme ironica e veemente. Io terminavo le ultime pagine di Clartés e lavoravo ancora ad alcune Banalités indiscrètes impertinenti e talvolta sbrigliate. Essendoci scambiati i nostri scritti, restammo stupefatti; poiché singolare era il contrasto fra il profondo accordo di tutte le nostre tendenze di artisti e la divergenza del nostro spirito. Ma la trasformazione proseguiva in Charles Van Lerberghe e a sua insaputa. A Firenze, dove vivemmo insieme per molti mesi era improvvisamente ridivenuto il sognatore di un tempo. Non lo stesso, tuttavia; era gioioso, più appassionato di ciò che la vita contiene, più lirico. E, in verità, il lirismo trionfa lungo tutti questi poemi della Chanson d'Eve, molti dei quali furono scritti in un giardino di oleandri, all'ombra della vecchia torre che corona la collina di Arcetri, mentre un immenso paesaggio mostrava in lontananza l'Arno che bagnava i palazzi fiorentini.”

Albert Mockel (1866–1945)
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“[A Silvio Berlusconi] Bisogna trovare un'etichetta, un nome nuovo, un simbolo, un qualcosa che possa unire gli elettori moderati che un tempo votavano per il pentapartito. Con l'arma che tu hai in mano delle televisioni, attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante, ti basterà organizzare un'etichetta, un contenitore. Hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso, ma anche deciso a non farsi governare dai comunisti, e salvare il salvabile.”

Bettino Craxi (1934–2000) politico italiano

Origine: Da una riunione avvenuta il 4 aprile 1993 a Villa San Martino, residenza di Berlusconi, e riportata da Ezio Cartotto, lì presente; citato in Gianni Barbacetto, Berlusconi, 20 anni fa la discesa in campo. Con la regia di Craxi e Dell’Utri http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/26/berlusconi-20-anni-fa-la-discesa-in-campo-con-la-regia-di-craxi-e-dellutri, IlFattoQuotidiano.it, 26 gennaio 2014.

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“Senza un contatto con la scienza l'epistemologia diventa uno schema vuoto. La scienza senza epistemologia, se pure la si può concepire, è primitiva e confusa.”

Albert Einstein (1879–1955) scienziato tedesco

Origine: Da Reply to Criticism; in Albert Einstein: Philosopher-Scientist, a cura di Paul Schilpp, Library of Living Philosophers, Evanston, 1949, p. 684.
Origine: Pensieri di un uomo curioso, p. 120

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“Baldina, – esclamò Livio precipitandosi su di lei, soffocando coi baci un suo piccolo grido di paura e di piacere.
L'afferrò alla vita, la sollevò di peso come una bimba e premendola incontro al suo petto, nell'atteggiamento cupido geloso e contesa, uscì dalla sala da pranzo, attraversò quasi correndo il salone Luigi decimosesto, quindi uno studio appena illuminato dove inciampò in alcune poltrone di cuoio, quindi un gabinetto da bagno dalle pareti coperte di specchi nei quali egli si vide passare rapidamente curvo sul suo tesoro, con le labbra pallide e un volto contratto da ladro inseguito, e penetrò finalmente nella camera nunziale.
Allora sul letto coperto d'una gran pelle di ermellino egli depose con delicatezza la sua preziosa conquista e la chiamò dolcemente per nome due, tre, molte volte, tentando di sorriderle ancora.
Ella non sorrise più e non rispose. Guardò coi suoi grandi occhi dilatati cerchiati d'azzurro a una a una le luci che si spegnevano, guardò le pupille di Livio che s'intorbidivano.
Udì ch'egli le parlava sulla bocca con una voce mutata, con parole sconnesse, con le sue membra calde e veementi di maschio avvinghiate alla sua tenera carne di bambina. Udì il battito confuso dei loro due cuori premuti l'uno sull'altro, confusi nel loro irrompente palpitare, e s'abbandonò spasimando a quell'avidità meravigliosa e brutale che la torturava come un divino martirio.”

Amalia Guglielminetti (1881–1941) scrittrice e poetessa italiana

Origine: Gli occhi cerchiati d'azzurro, pp. 151-152

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“[Sui gay pride] Mi sembra una cosa da carnevale, li trovo confusi questi gay e trans in costume da bagno. Vadano a Cuba, dove c'è una marcia diversa senza tutto questo clamore. Bisogna avere anche un po' di pudore.”

Cristiano Malgioglio (1945) cantautore, paroliere e personaggio televisivo italiano

Origine: Dalla trasmissione radiofonica La zanzara, Radio24; citato in Malgioglio e pregiudizio - "No a matrimoni e adozioni gay: un bambino deve crescere con una donna. la parola mamma è troppo importante" - "Gay pride? Un carnevale, per strada ci vuole pudore. Sui diritti meglio Cuba dell'Italia" http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/malgioglio-pregiudizio-no-matrimoni-adozioni-gay-bambino-deve-86663.htm, Dagospia.com, 16 ottobre 2014.

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“Non c'è nulla che meglio si adatti a un'idea confusa quanto una parola che non si capisce.”

Emilio De Marchi (1851–1901) scrittore italiano

Giacomo l'idealista

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“Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. Cosí per noi anche l'ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempí gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso di pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai piú sarebbe potuto avvenire di cosí buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell'offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell'offesa, che dilaga come un contagio. È stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l'anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia.”

La tregua
Variante: Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo.
Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quello che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.
Così per noi anche l'ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso del pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell'offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell'offesa, che dilaga come un contagio. E' stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l'anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti; e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia.

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“Non ci accorgiamo subito, ma solo dopo, di quanto è importante la scelta né distratta, né casuale, di scrivere, di far durare le nostre visioni prima per noi, poi per qualcuno vicino e infine per tanti lontani e invisibili. Ma non è così semplice. A volte tutto questo diventa privilegio, abitudine, sopravvivenza. Scrivere non è necessariamente pubblicare, ripeto sempre. Ma ho scritto un solo libro e già soffro perché non riesco a pubblicarne un altro. E spesso mi irrito con quelli che vogliono entrare nel mio mondo, schernisco i miei compagni di desiderio, sono impaurito da questa orda di carta, da questa immigrazione di extracomunicanti. Perché volete entrare in questo mondo di premi farseschi, di parassiti accademici, di cretini televisivi elevati a saggisti e di saggisti che aspirano a diventare cretini televisivi? Perché, se ogni scrittore ben sa che un giorno, o tutta la vita, si sentirà sottovalutato e incompreso? Se un giorno deciderà di bruciare i suoi libri, e il giorno dopo vorrà segnare con una croce di sangue ogni volume non suo, acciocché l’Angelo Maceratore scenda e cancelli i suoi rivali dalla storia e dalle classifiche?
– E lei perché vuol vivere in questo difficile mondo? – disse il professor Virgilio.
– Giusto. Non perché non so fare altro. Ma perché non conosco niente di così confuso, inestricabile, e tuttavia sempre avventuroso.”

Achille piè veloce

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“Gli Stati Uniti d'America sono anzitutto la prima società super-nazionale. Il mondo è nei loro confini: Sassoni e Slavi, Latini e Africani, Baltici e Caucasici, con la carica di violenza e pregiudizi che è nella storia del mondo. […] Non esistono altri esempi d'una simile esperienza umana. L'URSS è super-nazionale come Stato, non come società. Ciascuno dei molti popoli sovietici ha un proprio territorio, mentre le genti degli Stati Uniti sono confuse, i loro gruppi nazionali formano al massimo piccole isole, grumi, quartieri etnici sparsi dovunque senza un ordine politico. (XIII. Il grattacielo di Babele”

Alberto Ronchey (1926–2010) giornalista italiano

L'America «post-industriale»), p. 202
Atlante ideologico
Variante: Gli Stati Uniti d'America sono anzitutto la prima società super-nazionale. Il mondo è nei loro confini: Sassoni e Slavi, Latini e Africani, Baltici e Caucasici, con la carica di violenza e pregiudizi che è nella storia del mondo. [... ] Non esistono altri esempi d'una simile esperienza umana. L'URSS è super-nazionale come Stato, non come società. Ciascuno dei molti popoli sovietici ha un proprio territorio, mentre le genti degli Stati Uniti sono confuse, i loro gruppi nazionali formano al massimo piccole isole, grumi, quartieri etnici sparsi dovunque senza un ordine politico. (XIII. Il grattacielo di Babele (L'America «post-industriale»), p. 202)

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“[…] Egli fu per il suo tempo quello che lo psicanalista è per il nostro: a suo modo non denunciava anche lui «il disagio della civiltà»? (In tutte le epoche confuse e raffinate, un Freud tenta di alleggerire le anime). Più che con Socrate, è con Epicuro che la filosofia scivolò verso la terapeutica. Guarire e soprattutto guarirsi, questa era la sua ambizione: benché volesse liberare gli uomini dalla paura della morte e da quella degli dèi, provava egli stesso sia l'una che l'altra. L'atarassia di cui si fregiava non costituiva la sua esperienza ordinaria: la sua «sensibilità» era notoria. Quanto al disprezzo per le scienze, disprezzo che gli è stato in seguito rimproverato, sappiamo come sovente sia proprio dei «cuori feriti». Questo teorico della felicità era un malato: vomitava, a quanto pare, due volte al giorno. In mezzo a quali miserie doveva dibattersi per aver tanto odiato i «turbamenti dell'anima»! Quel poco di serenità che riuscì a conquistare, senza dubbio la riservò ai suoi discepoli, i quali, riconoscenti e ingenui, gli crearono una reputazione da saggio. Siccome le nostre illusioni sono ben più deboli di quelle dei suoi contemporanei, intravediamo agevolmente il rovescio del suo Giardino…”

Emil Cioran (1911–1995) filosofo, scrittore e saggista rumeno

La tentazione di esistere
Variante: [... ] Egli fu per il suo tempo quello che lo psicanalista è per il nostro: a suo modo non denunciava anche lui « il disagio della civiltà»? (In tutte le epoche confuse e raffinate, un Freud tenta di alleggerire le anime). Più che con Socrate, è con Epicuro che la filosofia scivolò verso la terapeutica. Guarire e soprattutto guarirsi, questa era la sua ambizione: benché volesse liberare gli uomini dalla paura della morte e da quella degli dèi, provava egli stesso sia l'una che l'altra. L'atarassia di cui si fregiava non costituiva la sua esperienza ordinaria: la sua «sensibilità» era notoria. Quanto al disprezzo per le scienze, disprezzo che gli è stato in seguito rimproverato, sappiamo come sovente sia proprio dei «cuori feriti». Questo teorico della felicità era un malato: vomitava, a quanto pare, due volte al giorno. In mezzo a quali miserie doveva dibattersi per aver tanto odiato i «turbamenti dell'anima»! Quel poco di serenità che riuscì a conquistare, senza dubbio la riservò ai suoi discepoli, i quali, riconoscenti e ingenui, gli crearono una reputazione da saggio. Siccome le nostre illusioni sono ben più deboli di quelle dei suoi contemporanei, intravediamo agevolmente il rovescio del suo Giardino...

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“Da dove spunta il socialismo? Chi l'ha formulato? Molti sono confusi al riguardo. Noi diciamo che venne dal popolo musulmano. Diciamo che trova le sue radici nell'Islam.”

Mohammed Siad Barre (1919–1995) politico somalo

My Country and My People, Vol. II
Variante: Da dove ha origine il socialismo? Chi l'ha formulato? Molti sono confusi al riguardo. Noi diciamo che venne dal popolo musulmano. Diciamo che trova le sue radici nell'Islam.

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