Frasi su danno
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“Chi non ha visto l'Alba non può dire | che Fisionomia abbia – | chi presume di vedere, presume a danno | dell'Esperienza.”

Emily Dickinson (1830–1886) scrittrice e poetessa inglese

J1018 – F1028, vv. 1-4
Lettere

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“Si danno consigli, ma non si ispirano condotte.”

François de La Rochefoucauld (1613–1680) scrittore, filosofo e aforista francese

378
Massime, Riflessioni morali
Origine: In una variante del 1693: «Si danno dei consigli, ma non si dà il giudizio per trarne profitto». (citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 452)
On donne des conseils, mais on ne donne point la sagesse d'en profiter.

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“Veramente più volte appaion cose | che danno a dubitar falsa matera | per le vere ragion che son nascose.”

Dante Alighieri (1265–1321) poeta italiano autore della Divina Commedia

XXII, 28-30

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“I malati sono il pericolo massimo per i sani; non dai più forti viene il danno per i forti, bensì dai più deboli.”

Friedrich Nietzsche (1844–1900) filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco

III, 14; 1991

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“Chi in un'arte è diventato maestro, può senza danno scordarsi le regole.”

Arturo Graf (1848–1913) poeta, aforista e critico letterario italiano

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“Nel viaggio della vita non si danno strade in piano: sono tutte o salite o discese.”

Arturo Graf (1848–1913) poeta, aforista e critico letterario italiano

Ecce Homo

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“Ogni ora di tempo perduto è una probabilità di danno per l'avvenire.”

Napoleone Bonaparte (1769–1821) politico e militare francese, fondatore del Primo Impero francese

L'arte di comandare, Pensieri morali

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“Il concetto del «bello» ha fatto qualche danno.”

Ludwig Wittgenstein (1889–1951) filosofo e logico austriaco

1946
Pensieri diversi

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“[A proposito delle battute sul suo bere] Non mi danno fastidio, ma sono un po' sciocche. Se uno bevesse tanto, secondo lei per quanto tempo continuerebbero a scritturarlo? Intendiamoci, bevo. Ma non mi ubriaco praticamente mai.”

Dean Martin (1917–1995) cantante e attore statunitense

Origine: Citato in Peter Bogdanovich, Chi c'è in quel film? Ritratti e conversazioni con le stelle di Hollywood, Fandango Libri, 2008.

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“Michelagnolo Amerigi fu uomo satirico e altiero; e usciva tal'ora a dir male di tutti li pittori passati e presenti per insigni che si fussero, poiché a lui pareva d'aver solo con le sue opere avanzati tutti gli altri della sua professione […] molti giovani ad essempio di lui si danno a imitare una testa del naturale, e non studiando né fondamenti del disegno e della profondità dell'arte, solamente del colorito appagansi, onde non sanno mettere due figure insieme, né tessere istoria veruna, per non comprendere la bontà di sì nobil'arte.
Fu Michelagnolo, per soverchio ardimento di spiriti, un poco discolo, e tal'ora cercava occasione di fiaccarsi il collo o di mettere a sbaraglio l'altrui vita. Pratticavano spesso in sua compagnia uomini per natura anch'essi brigosi; e ultimamente affrontatosi con Ranuccio Tomassoni giovane di molto garbo, per certa differenza di giuoco di palla a corda, sfidaronsi, e venuti all'armi, caduto a terra Ranuccio, Michelagnolo gli tirò una punta, e nel pesce della coscia feritolo, il diede a morte. Fuggirono tutti da Roma, e Michelagnolo andossene a Pellestrina, ove dipinse una S. Maria Maddalena. E d'indi giunse a Napoli, e quivi operò molte cose.
[…] Se Michelagnolo Amerigi non fusse morto sì presto, averia fatto gran profitto nell'arte per la buona maniera che presa avea nel colorire del naturale; benché egli nel rappresentar le cose non avesse molto giudicio di scegliere il buono e lasciare il cattivo. Nondimeno lasciò gran credito e più si pagavano le sue teste che l'altrui istorie, tanto importa l'aurea popolare, che non giudica con gli occhi ma guarda con l'orecchie. E nell'Accademia il suo ritratto è posto.”

Giovanni Baglione (1566–1643) pittore italiano

da Le Vite dè Pittori, Scultori et Architetti, Roma, 1642

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“Il danno arrecato alla nostra reputazione e al nostro credito è maggiore di quello che può essere eventualmente stimato.”

III, 72; 2006
Nam famae quidem ac fidei damna maiora esse quam quae aestimari possent.
Ab urbe condita, Proemio – Libro X

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“[Riferendosi al Cenacolo di Leonardo da Vinci] Quella cagata di affresco non lo si può danneggiare più di così, è già un fantasma.”

Vittorio Sgarbi (1952) critico d'arte, politico e opinionista italiano

citato in Sgarbi: «L'unico danno l'ha fatto Leonardo» http://www.corriere.it/vivimilano/politica/articoli/2007/10_Ottobre/26/sgarbi_cenacolo.shtml, Corriere della sera, 26 ottobre 2007
Da interviste

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“L'idea del copyright non esisteva in tempi antichi, quando gli autori copiavano estesamente altri autori in opere non narrative. Questa pratica era utile, ed è il solo modo attraverso cui almeno parte del lavoro di alcuni autori è sopravvissuto. La legislazione sul copyright fu creata espressamente per incoraggiare l'originalità. Nel campo per cui fu inventata, cioè i libri, che potevano essere copiati a basso costo solo con apparecchiature tipografiche, non fece molto danno e non pose ostacoli alla maggior parte dei lettori.
Tutti i diritti di proprietà intellettuale sono solo licenze concesse dalla società perché si riteneva, correttamente o meno, che concederle avrebbe giovato alla società nel suo complesso. Ma data una situazione particolare dobbiamo chiederci: facciamo realmente bene a concedere queste licenze? Che atti permettiamo di compiere con esse?Il caso dei programmi ai giorni nostri differisce enormemente da quello dei libri un secolo fa. Il fatto che la via più facile per passare una copia di un programma sia da persona a persona, che il programma abbia un codice sorgente ed un codice oggetto che sono cose distinte, ed infine il fatto che un programma venga usato più che letto e gustato, combinandosi creano una situazione in cui qualcuno che impone un copyright minaccia la società nel suo insieme, sia materialmente che spiritualmente, una situazione in cui quel qualcuno non dovrebbe farlo, che la legge lo permetta o no.”

Manifesto GNU

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“Fauno: La troppa audacia torna spesso in danno.”

Giambattista Giraldi Cinzio (1504–1574) letterato, poeta e drammaturgo italiano

Atto II, Scena II
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“I pottibakiani danno prova di grande riserbo. Coltivano le loro terre, si son rivelati improvvisamente dotati di temperamento artistico, e si dice che abbiano dato vita a una nobile letteratura che tratta pochissimo del sesso. Questo è un enigma per noi, come lo è l'indissolubilità del matrimonio, un provvedimento in pro del quale la chiesa ha vanamente battagliato altrove. Paga del trionfo qui ottenuto, essa si dà oggi anima e corpo al benessere della nazione, e l'archimandrita di Praz ha reinterpretato certi passi della Scrittura o li ha decretati spuri. Permangono parecchi punti oscuri, soprattutto perché ci mancano i dati atti a spiegare il periodo di transizione, e siccome non abbiamo modo di procurarci i romanzi di Alekko, non possiamo neppure risalire le tappe attraverso le quali gli impulsi della natura furono convertiti in patrimonio nazionale. Pare, tuttavia, che si siano succeduti tre stadi: dapprima i pottibakiani si vergognarono di fare quel che volevano, poi assunsero un atteggiamento aggressivo al riguardo, e ora fanno ciò che vogliono. E qui debbo lasciarli. Ne sentiremo parlar poco in avvenire, giacché le potenze limitrofe non osano dichiarar loro la guerra. Esse ritengono, forse a giusto motivo, che il paese sia diventato così infetto, che qualora se lo annettessero, ne promuoverebbero solo l'espansione.”

Edward Morgan Forster (1879–1970) scrittore britannico

da Che cosa importa?: p. 174
La vita che verrà

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