Frasi su alloro
pagina 33

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“Ho premesso che le coppie dello stesso sesso vanno tutelate e riconosciute dalle legge. Ma che ci posso fare? Non sono favorevole all'adozione e, prima ancora, al matrimonio, che è per definizione l'unione di un uomo e di una donna. Non accetta il mio argomento? Provi a seguirmi. Perché, allora, il matrimonio non può essere fra tre persone? O fra quattro? O fra tre uomini, due donne e un avatar? Se la sua risposta fosse «Eh no, bisogna essere in due!», vuol dire che anche per lei esiste una definizione di matrimonio, basata su una categoria: il numero. Per me ce n'è un'altra: la differenza di sesso. Non lo chiede solo la religione cattolica; lo suggeriscono il buon senso, la storia e la natura (che punta, implacabile, alla procreazione e alla conservazione della specie). Aggiungo: l'adozione da parte di coppie omosessuali mi lascia perplesso; molto perplesso quando ha risvolti pubblici e mondani, come nel caso di Elton John. Un bambino ha bisogno di mamma e papà, figure diverse e complementari. Può accadere che debba crescere solo con una o solo con l'altro. Ma svantaggiarlo da subito mi sembra ingiusto. Solo nel caso di adolescenti, la cui l'adozione si rivelasse difficile, sono pronto a rivedere il mio parere. Questo fa di me un troglodita politico? Non credo. Forse, in parte, un conservatore. Credo infatti che qualcosa da conservare ci sia, nella tradizione e nella fabbrica sociale degli uomini. Molto altro, invece, si può e si deve cambiare. E in Italia non lo facciamo, porca miseria.”

Beppe Severgnini (1956) giornalista italiano

Italians, Corriere.it
Origine: Da Le adozioni degli omosessuali http://italians.corriere.it/2011/02/03/le-adozioni-degli-omosessuali/, 3 febbraio 2011.

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“Se ci fosse qualcosa non vuota, qualcosa allora sarebbe vuota. Ma di non vuoto non esiste nulla: e quindi come potrà essere un vuoto?”

Nāgārjuna (150–250) monaco buddhista indiano

XIII.7
Le stanze del cammino di mezzo

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“Ciascuno di noi ha più qualità di quel che non si creda, ma solo il successo le mette in luce, forse perché allora ci si aspetta di vederci smettere d'esercitarle.”

III, 2: p. 100
Memorie di Adriano
Variante: Ciascuno di noi ha più qualità di quel che non si creda, ma solo il successo le mette in luce, forse perché allora ci si aspetta di vederci smettere di esercitarle.

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“[…] sono tratti costitutivi della fede la disponibilità a soffrire ma anche il coraggio di lottare. Ciò non manca certo a quegli uomini che dicono: la fede dovrebbe essere protesta e resistenza contro il potere di questo mondo. Ma quando si va a vedere più da vicino ci si rende conto che in realtà tali gruppi vogliono per lo più avere un altoparlante per le loro grida e per i loro slogan di partito. Accade tutt'altra cosa, invece, quando la Chiesa si oppone ai veri poteri e peccati di quest'epoca, quando essa denuncia la distruzione del matrimonio, la distruzione della famiglia, l'uccisione dei bambini non ancora nati, le deformazioni della fede: allora le si contrappone subito un Gesù che sarebbe stato solo misericordioso, sarebbe stato sempre comprensivo e non avrebbe mai fatto male a nessuno. E viene formulata la massima: non si può essere cristiani a spese dell'essere uomini; e per essere uomini si intende poi ciò che pare e piace a ciascuno. Esser cristiani è un optional gradito, ma non deve costare nulla… Cristo è salito sulla croce: un Gesù disponibile a tollerare tutto non sarebbe stato crocifisso.”

Papa Benedetto XVI (1927) 265° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

da Collaboratori della verità, San Paolo, 1994
Origine: Citato in Quanto Ratzinger metteva in guardia dall'inganno del «Gesù solo misericordioso» che piace al mondo http://www.iltimone.org/33773,News.html, il Timone.org.

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“E il babbo diceva è perché sei vergine: non vedi? Le donne non sono mai vergini. La purezza è uno stato negativo e perciò contronatura. È la natura che ti fa soffrire non Caddy e io dicevo Queste sono soltanto parole e lui diceva Anche la verginità è una parola e io dicevo tu non sai. Non puoi sapere e lui diceva Sì. Nell'attimo, in cui si arriva a rendersene conto si scopre che non è più una tragedia.
Dove cadeva l'ombra del ponte potevo spingere lo sguardo molto in basso, ma non fino al fondo. Quando lasci una foglia nell'acqua per molto tempo dopo un po' il tessuto se ne va e restano le fibre delicate a ondeggiare con la stessa lentezza dei movimenti che si fanno nel sonno. Non si toccano, anche se prima formavano un groviglio… E forse quando Lui dirà Sorgete anche gli occhi verranno a galla, dal silenzio e dal sonno dell'abisso, per contemplare la sua gloria.
Non vedevo il fondo ma potevo spingere lo sguardo molto in basso nel moto dell'acqua, prima che l'occhio si desse per vinto, e allora vidi un'ombra sospesa come una grossa freccia che andava contro corrente. Le effimere entravano e uscivano dall'ombra del ponte sfiorando la superficie. Se di là ci fosse almeno un inferno: la pura fiamma noi due più che morti. Allora tu avrai soltanto me allora solo me allora noi due tra l'esecrazione e l'orrore oltre la pura fiamma… Il vorticce che svaniva fu portato via fu portato via dalla corrente e allora rividi la freccia, ferma a un palmo dalla superficie, tremare appena al moto dell'acqua sopra la quale le effimere volteggiando si posavano.
Tu e io soltanto allora tra l'esecrazione e l'orrore in un cerchio di pura fiamma”

The Sound and the Fury

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“BIANCO- Non mi pare proprio. Lei lo vede, Gesù?
NERO- No. Non lo vedo.
BIANCO- Però ci parla.
NERO- Ogni santo giorno.
BIANCO- E lui parla con lei.
NERO- Mi ha parlato. Si.
BIANCO- Ma lei lo sente? Sente proprio la sua voce?
NERO- No, non sento la sua voce. Non sento neanche la mia, se è per questo. A lui però l'ho sentito.
BIANCO- Bè, allora Gesù non potrebbe essere soltanto nella sua testa?
NERO- Infatti è nella mia testa.
BIANCO- Allora non capisco cos'è che sta cercando di dirmi.
NERO- Lo so che non capisci, zuccherino. Sta' a sentire. La prima cosa che devi tenere presente è che io, nella testa, non ho manco un pensiero originale. Se non ho dentro la scia del profumo della divinità, allora non mi interessa.
BIANCO- La scia del profumo della divinità.
NERO- Esatto. Che te ne pare?
BIANCO- Non è male.
NERO- L'ho sentito alla radio. Da un predicatore nero. Ma il punto è che ci ho anche provato a fare nell'altro modo. E mica a spizzichi e bocconi, eh. Dico proprio benda sugli occhi, briglia sciolta e via a correre in mezzo ai boschi. Oddio. Ci ho provato eccome. Se trovi un cristiano che ci ha provato più di me, mi piacerebbe conoscerlo. Mi piacerebbe davvero. E secondo te che cosa ci ho guadagnato?
BIANCO- Non lo so. Che cosa ci ha guadagnato?
NERO- La morte in vita. Ecco cosa ci ho guadagnato.
BIANCO- La morte in vita.
NERO- Esatto. Ero un cadavere ambulante. Così morto che non sapevo manco stendermi nella tomba.”

The Sunset Limited

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“Certa gente perde una creatura amata e tira dritto e sposta il proprio affetto su un'altra. Ma è doloroso. Troppo doloroso. L'amore supera l'istinto. Quando ami smetti di vivere per te stesso. Vivi per un'altra persona. La sofferenza è l'emozione più forte che un uomo o un bambino o un animale possano provare. E' una buona sensazione. La sofferenza ti spinge a lasciare te stesso. Esci dal tuo piccolo e limitato guscio. E non puoi soffrire se prima non hai amato. La sofferenza è l'esito finale dell'amore, perché è amore perduto. È il completamento del ciclo dell'amore: amare, perdere, soffrire, lasciare e lasciarsi, poi amare di nuovo. Soffrire è la consapevolezza che dovrai essere solo, e al di là di questo non c'è nulla, perché essere solo è il destino ultimo, definitivo di ogni creatura vivente. Ecco cos'è la morte: la grande solitudine. La conoscenza della mancanza di coscienza. Quando moriremo non ce ne accorgeremo, perché morire è perdere tutto quanto. Ma soffrire è morire ed essere vivi allo stesso tempo. L'esperienza più assoluta, più totale che si possa provare. È troppo. Il corpo arriva quasi a distruggersi, con tutti quei sussulti, quelle contorsioni. Ma io voglio provare dolore. Versare lacrime. La sofferenza ti unisce di nuovo a ciò che hai perso. E' una fusione. Te ne vai anche tu con la cosa o la persona amata che scompare. In un certo senso, ti dividi da te stesso e l'accompagni, fai con lei una parte del viaggio. La segui sin dove ti è concesso spingerti. Ma alla fine, la sofferenza se ne a e tu torni in sintonia con il mondo. Senza l'altro. E riesci ad accettarlo. Che altra scelta abbiamo? Piangi, continui a piangere, perché non torni mai del tutto indietro dal posto in cui sei andato con l'altro. Un frammento che si è staccato dal tuo cuore pulsante è ancora là. C'è una lesione. Una ferita che non guarisce mai. E se ti succede una volta e un'altra e un'altra volta ancora, col tempo se ne va una parte troppo grande del tuo cuore e non riesci più a soffrire. E allora tu stesso sei pronto a morire. Salirai la scala in diagonale e qualcun altro resterà indietro a soffrire per te.”

Flow My Tears, the Policeman Said

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“Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c'è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l'orizzonte con sorrisi di intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e teneri desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo. Ancora molto? No, basta attraversare quel fiume laggiù in fondo, oltrepassare quelle verdi colline. O non si è per caso già arrivati? Non sono forse questi alberi, questi prati, questa bianca casa quello che cercavamo? Per qualche istante si ha l'impressione di sì e ci si vorrebbe fermare. Poi si sente dire che il meglio è più avanti e si riprende senza affanno la strada. Così continua il cammino in un'attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto. Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualcosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa in tempo a fissarlo che già precipita verso il confine dell'orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l'una all'altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire. Chiudono a un certo punto alla nostre spalle un pesante cancello, lo rinserrano con velocità fulminea e non si fa in tempo a tornare.”

The Tartar Steppe

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“Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… /
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? /
E il rumore /
Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema /
Col mio cappello blu /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo /
Non è quel che vidi che mi fermò /
È quel chevidi /
Puoi capirlo, fratello?,… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne /
C’era tutto /
Ma non c’era. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro., sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. sei infinito. a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu /
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me /
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi /
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita /
Se quella tastiera è infinita, allora /
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio /
Cristo, ma le vedevi le strade? /
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /
A scegliere una donna /
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /
Tutto quel mondo /
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce /
E quanto ce n’è /
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… /
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.”

Novecento. Un monologo

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“Io mi diverto ad avere trent’anni, io me li bevo come un liquore i trent’anni: non li appassisco in una precoce vecchiaia ciclostilata su carta carbone. Ascoltami, Cernam, White, Bean, Armstrong, Gordon, Chaffee: sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perchè è finita l’angoscia dell’attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo, a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo. Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla nostra fortuna: e allora com’è che in voi non è così? Com’è che sembrate i miei padri schiacciati di paure, di tedio, di calvizie? Ma cosa v’hanno fatto, cosa vi siete fatti? A quale prezzo pagate la Luna? La Luna costa cara, lo so. Costa cara a ciascuno di noi: ma nessun prezzo vale quel campo di grano, nessun prezzo vale quella cima di monte. Se lo valesse, sarebbe inutile andar sulla Luna: tanto varrebbe restarcene qui. Svegliatevi dunque, smettetela d’essere così razionali, ubbidienti, rugosi! Smettetela di perder capelli, di intristire nella vostra uguaglianza! Stracciatela la carta carbone. Ridete, piangete, sbagliate. Prendetelo a pugni quel Burocrate che guarda il cronometro. Ve lo dico con umilità, con affetto, perché vi stimo, perché vi vedo migliori di me e vorrei che foste molto migliori di me. Molto: non così poco. O è ormai troppo tardi? O il Sistema vi ha già piegato, inghiottito? Sì, dev’esser così.”

Oriana Fallaci (1929–2006) scrittrice italiana
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“Non ho mai capito come allora quanto sia laboriosa la morte di un uomo.”

Primo Levi (1918–1987) scrittore, partigiano e chimico italiano

If This Is a Man / The Truce

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“Molte cose furono allora fra noi dette e fatte; ma di queste è bene che non resti memoria.”

Primo Levi (1918–1987) scrittore, partigiano e chimico italiano

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“Sono entrato nella vita sapendo che la legge è di uscirne. Come aveva detto Saint-Savin, si impersona la propria parte, chi più a lungo, chi più in fretta, e si esce di scena. Me ne sono visti molti passar davanti, altri mi vedranno passare, e daranno lo stesso spettacolo ai loro successori. D'altra parte, per quanto tempo non sono stato, e per quanto non sarò più! Occupo uno spazio ben piccolo nell'abisso degli anni. Questo piccolo intervallo non riesce a distinguermi dal niente in cui dovrò andare. Non sono venuto al mondo che per far numero. La mia parte è stata così piccola che, anche se fossi rimasto dietro alle quinte, tutti avrebbero detto lo stesso che la commedia era perfetta. E' come in una tempesta: gli uni annegano subito, altri si spezzano contro uno scoglio, altri rimangono su un legno abbandonato, ma non per molto anch'essi. La vita si spegne da sola, come una candela che ha consumato la sua materia. E ci si dovrebbe essere abituati, perché come una candela abbiamo cominciato a disperdere atomi sin dal primo momento che ci siamo accesi. Non è una gran sapienza sapere queste cose, d'accordo. Dovremmo saperle dal momento che siamo nati. Ma di solito riflettiamo sempre e soltanto sulla morte degli altri. EH sì, tutti abbiamo abbastanza forza per sopportare i mali altrui. Poi viene il momento che si pensa alla morte quando il male è nostro, e allora ci si accorge che né il sole né la morte si possono guardare fissi. A meno che non si abbiano avuti dei buoni maestri.”

The Island of the Day Before

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“Vale la pena soffermarci su quest’incubo [della fine della letteratura e delle arti], per come Borges ce lo racconta in una sua conversazione sui sogni e gli incubi.
Il terribile sogno è del poeta inglese William Wordsworth e si trova nel secondo [rectius: quinto] libro del poema The Prelude — un poema autobiografico, come dice il sottotitolo. Fu pubblicato nel 1850, l’anno stesso della morte del poeta. Allora non si pensava, come invece oggi, a un possibile cataclisma cosmico che annientasse ogni grande opera umana, se non l’umanità interamente.
Ma Wordsworth ne ebbe la preoccupazione e, in sogno, la visione.
Ed ecco come Borges l’assume e riassume nel suo discorso: “Nel sogno la sabbia lo circonda, un Sahara di sabbia nera. Non c’è acqua, non c’è mare. Sta al centro del deserto — nel deserto si sta sempre al centro — ed è ossessionato dal pensiero di come fare per sfuggire al deserto, quando vede qualcuno vicino a lui. Stranamente, è un arabo della tribù dei beduini, che cavalca un cammello e ha nella mano destra una lancia.
Sotto il braccio sinistro ha una pietra; nella mano una conchiglia. L’arabo gli dice che ha la missione di salvare le arti e le scienze e gli avvicina la conchiglia all’orecchio; la conchiglia è di straordinaria bellezza. Wordsworth ci dice che ascoltò la profezia (‘in una lingua che non conoscevo ma che capii’): una specie di ode appassionata, che profetizzava che la Terra era sul punto di essere distrutta dal diluvio che l’ira di Dio mandava. L’arabo gli dice che è vero, che il diluvio si avvicina, ma che egli ha una missione: salvare l’arte e le scienze. Gli mostra la pietra. La pietra, stranamente, è la Geometria di Euclide pur rimanendo una pietra. Poi gli avvicina la conchiglia, che è anche un libro: è quello che gli ha detto quelle cose terribili. La conchiglia è, anche, tutta la poesia del mondo, compreso, perche' no?, il poema di Wordsworth.
Il beduino gli dice: ‘Devo salvare queste due cose, la pietra e la conchiglia, entrambi libri’. Volge il viso all’indietro, e vi è un momento in cui Wordsworth vede che il volto del beduino cambia, si riempie di orrore. Anche lui si volge e vede una gran luce, una luce che ha inondato metà del deserto. Questa luce è quella dell’acqua del diluvio che sta per sommergere la Terra. Il beduino si allontana e Wordsworth vede che è anche don Chisciotte, che il cammello è anche Ronzinante e che allo stesso modo che la pietra è il libro e la conchiglia il libro, il beduino è don Chisciotte e nessuna delle due cose ed entrambe nello stesso tempo”…
l’immagine di don Chisciotte che si allontana invincibilmente richiama quella dipinta da Daumier, forse contemporaneamente. E ci è lecito, in aura borgesiana, chiederci se il poeta e il pittore non abbiano fatto lo stesso sogno.”

Leonardo Sciascia (1921–1989) scrittore e saggista italiano

Ore di Spagna

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“Per Wallander la vita era un succedersi di problemi pratici che dovevano essere risolti, allo stesso tempo sapeva di non aveva la capacità di migliorare la propria esistenza o quella di altri con formule filosofiche. E non si era mai lamentato di vivere nell'epoca che il caso o il destino gli avevano assegnato. Si nasce quando si nasce e si muore quando viene la nostra ora, e questi per Wallander erano i limiti dell'esistenza. Ma in quella notte passata insieme a Baiba Liepa in quella gelida chiesa fu costretto a guardare dentro se stesso come non aveva mai fatto prima. Durante quella notte interminabile si rese conto che la ricca Svezia non era il mondo e che quelle che fino ad allora aveva considerato delle difficoltà apparivano insignificanti se paragonate al terrore con cui Baiba Liepa doveva vivere giorno dopo giorno. Quella notte il ricordo del massacro di cui era stato testimone lo colpì con tutta la sua violenza. Quello a cui aveva assistito none era stato un incubo, le armi erano armi vere e le pallottole che avevano brutalmente interrotto delle vite umane erano pallottole vere. Si chiese se il supplizio peggiore al quale un essere umano potesse essere condannato fosse una paura senza fine. Improvvisamente, il nostro è diventato il tempo della paura, pensò. Questa è l'epoca in cui io vivo ed è solo adesso che me ne rendo conto.”

The Dogs of Riga

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“Dal Ka-Be la musica non si sente bene: arriva assiduo e monotono il martellare della grancassa e dei piatti, ma su questa trama le frasi musicali si disegnano solo a intervalli, col capriccio del vento. Noi ci guardiamo l'un l'altro nei nostri letti, perchè tutti sentiamo che questa è musica infernale.
I motivi sono pochi, una dozzina, ogni giorno gli stessi, mattina e sera: marce e canzoni popolari care a ogni tedesco. Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l'ultima cosa del Lager che dimenticheremo: sono la voce del Lager, l'espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomoni per ucciderci poi lentamente.
Quando questa musica suona, noi sappiamo che i compagni, fuori nella nebbia, partono in marcia come automi; le loro anime sono morte e la musica li sospinge, come il vento le foglie secche, e si sostituisce alla loro volontà. Non c'è più volontà, ogni pulsazione diventa un passo, una contrazione rilflessa dei muscoli sfatti. […] Ma dove andiamo non sappiamo. Potremo forse sopravvivere alle malattie e sfuggire alle scelte, forse anche resistere al lavoro e alla fame che ci consumano: e dopo? Qui, lontani momentaneamente dalle bestiemme e dai colpi, possiamo rientrare in noi stessi e meditare, e allora diventa chiaro che non ritorneremo. Noi abbiamo viaggiato fin qui nei vagoni piombati; noi abbiamo visto partire verso il niente le nostre donne e i nostri bambini; noi fatti schiavi abbiamo marciato centro volte avanti e indietro alla fatica muta, spenti nell'anima prima che dalla morte anonima. Noi non ritorneremo. Nessuno deve uscire di qui, che potrebbe portare al mondo, insieme col segno impresso nella carne, la mala novella di quanto ad Auschwitz, è bastato animo all'uomo di fare all'uomo.”

Primo Levi (1918–1987) scrittore, partigiano e chimico italiano
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“Se ora penso agli anni di allora, mi colpisce quanto poco ci fosse in realtà da vedere, quante poche immagini illustrassero la vita e la morte nei Lager. Conoscevamo di Auschwitz il portale con la sua scritta, i pancacci di legno a più piani, i mucchi di capelli, occhiali e valigie; di Birkenau l'entrata con la torre, i corpi laterali e il passaggio per i treni; e da Bergen-Belsen ci venivano le montagne di cadaveri trovate e fotografate dagli alleati al momento della liberazione. Conoscevamo alcune testimonianze di detenuti, ma molti libri apparvero subito dopo la guerra e vennero ristampati solo negli anni Ottanta, visto che nel frattempo non rientrarono nei programmi delle case editrici. Ora ci sono così tanti libri e film che il mondo dei Lager è ormai parte dell'immaginario collettivo che completa il mondo reale. La fantasia lo conosce ormai bene, e a partire dalla serie televisiva Olocausto e da film come La scelta di Sophie e soprattutto Schindler's list si muove anche in quel mondo. E non ne prende solo atto, ma integra e abbellisce. Allora la fantasia stentava a muoversi; riteneva che allo sgomento di cui era debitrice al mondo dei Lager non si confacessero le movenze della fantasia. Quelle poche immagini che doveva alle foto degli alleati e alle testimonianze dei detenuti, le ha poi guardate riguardate, fino a farne dei cliché.”

The Reader

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“Un mercante, una volta, mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini. Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna. Là viveva il Saggio che il ragazzo cercava. Invece di trovare un sant'uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un'attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie. E c'era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo. Il Saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto. Il Saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità. Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore. 'Nel frattempo, voglio chiederti un favore,' concluse il Saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d'olio. 'Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l'olio.' Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. In capo a due ore, ritornò al cospetto del Saggio. 'Allora,' gli domandò questi, 'hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei Giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?' Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d'olio che il Saggio gli aveva affidato. 'Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo,' disse il Saggio. 'Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa.' Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d'arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d'arte era disposta al proprio posto. Di ritorno al cospetto del Saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto. 'Ma dove sono le due gocce d'olio che ti ho affidato?' domandò il Saggio. Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate. 'Ebbene, questo è l'unico consiglio che ho da darti,' concluse il più Saggio dei saggi. 'Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza mai dimenticare le due gocce d'olio nel cucchiaino.' Il ragazzo tacque. Aveva capito la storia del vecchio re: un pastore ama viaggiare, ma non dimentica mai le sue pecore.”

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