Frasi su stanza

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema stanza, essere, vita, due-giorni.

Frasi su stanza

Noyz Narcos photo

“Fanculo la finanza la polizia i caramba l'antidroga nella stanza apre la danza ho l'ansia di chi c'ho vicino.”

Noyz Narcos (1979) rapper, beatmaker e writer italiano

da Tajerino
La calda notte

J-Ax photo
Fabrizio Moro photo
Charles Bukowski photo

“Certe volte questa stanza è l'unico posto dove voglia stare. Eppure mi alzo, e mi sento un guscio vuoto.”

Charles Bukowski (1920–1994) poeta e scrittore statunitense

Il capitano è fuori a pranzo

Charles Baudelaire photo
Gue Pequeno photo
George R. R. Martin photo
Groucho Marx photo

“Trovo che la televisione sia molto educativa. Ogni volta che qualcuno l'accende, vado in un'altra stanza a leggere un libro.”

Groucho Marx (1890–1977) comico

Variante: Trovo la televisione molto educativa. Ogni volta che qualcuno la accende, vado in biblioteca e leggo un buon libro.

Adolf Hitler photo

“L'inizio di ogni guerra è come aprire la porta su una stanza buia. Non si sa mai che cosa possa esserci nascosto nel buio.”

Adolf Hitler (1889–1945) dittatore della Germania nazista dal 1933 al 1945

Origine: Frase pronunciata il 21 giugno 1941, il giorno precedente l'attacco militare all'Unione Sovietica. Citato in John Lukacs, L'attacco alla Russia, Edizioni Corbaccio, p. 105

Gesù photo
Charles Bukowski photo
Haruki Murakami photo
Roald Dahl photo
Vasco Rossi photo

“Con una mano una mano ti sfiori | Tu sola dentro la stanza | E tutto il mondo fuori.”

Vasco Rossi (1980) cantautore italiano

da Albachiara, n.° 6

Francesco De Gregori photo
Erri De Luca photo
Luigi Pirandello photo
Bassi Maestro photo
Pierpaolo Lauriola photo
Ezio Bosso photo
Khaled Hosseini photo
Peter Høeg photo

“Sai cosa c'è alla base della matematica?» dico, «Alla base della matematica ci sono i numeri. Se qualcuno mi chiedesse che cosa mi rende davvero felice, io risponderei: i numeri. La neve, il ghiaccio e i numeri. E sai perché?»
Spacca le chele con uno schiaccianoci e ne estrae la polpa con una pinzetta curva.
«Perché il sistema matematico è come la vita umana. Per cominciare ci sono i numeri naturali. Sono quelli interi e positivi. I numeri del bambino. Ma la coscienza umana si espande. Il bambino scopre il desiderio, e sai qual è l'espressione matematica del desiderio?»
Versa nella zuppa la panna e alcune gocce di succo d'arancia.
«Sono i numeri negativi. Quelli con cui si dà forma all'impressione che manchi qualcosa. Ma la coscienza si espande ancora, e cresce, e il bambino scopre gli spazi intermedi. Fra le pietre, fra le parti di muschio sulle pietre, fra le persone. E tra i numeri. Sai questo a cosa porta? Alle frazioni. I numeri interi più le frazioni danno i numeri razionali. Ma la coscienza non si ferma lì. Vuole superare la ragione. Aggiunge un'operazione assurda come la radice quadrata. E ottiene i numeri irrazionali».
Scalda il pane nel forno e mette il pepe in un macinino.
«È una sorta di follia. Perché i numeri irrazionali sono infiniti. Non possono essere scritti. Spingono la coscienza nell'infinito. E addizionando i numeri irrazionali ai numeri razionali si ottengono i numeri reali».
Sono finita al centro della stanza per trovare posto. È raro avere la possibilità di chiarirsi con un'altra persona. Di norma bisogna combattere per avere la parola. Questo per me è molto importante.
«Non finisce. Non finisce mai. Perché ora, su due piedi, espandiamo i numeri reali con quelli immaginari, radici quadrate dei numeri negativi. Sono numeri che non possiamo figurarci, numeri che la coscienza normale non può comprendere. E quando aggiungiamo i numeri immaginari ai numeri reali abbiamo i sistemi numerici complessi. Il primo sistema numerico all'interno del quale è possibile dare una spiegazione soddisfacente della formazione dei cristalli di ghiaccio. È come un grande paesaggio aperto. Gli orizzonti. Ci si avvicina a essi e loro continuano a spostarsi. È la Groenlandia, ciò di cui non posso fare a meno! È per questo che non voglio essere rinchiusa.”

Peter Høeg (1957) scrittore danese

da Il senso di Smilla per la neve

Fabrizio De André photo
Carlo Collodi photo
Henrik Ibsen photo

“La nostra casa non è stata altro che una stanza dei giochi. Qui io sono stata la tua moglie-bambola. Questo è stato il nostro matrimonio, Torvald.”

Henrik Ibsen (1828–1906) scrittore, drammaturgo e poeta norvegese

da Una casa di bambola, Nora a Torvald

Gabriel García Márquez photo
Giovannino Guareschi photo

“Scrissi col lapis, sopra la punteggiatura, come vogliono appunto le convenzioni internazionali che tutelano il diritto delle genti: "Signora, robustizza pacco pentachìlo a 1/2 cedola all'uopàta evitando medicincarte et infiammabili. Pàccami lancorredo, sigartabacco e seccacastagne. Se però credi castagne ben cotte possano giovare al bambino, non inviarle. Non mi manca niente. Di una sola cosa ti prego: che la sera della vigilia di Natale tu imbandisca la tavola nel modo più lieto possibile. Fai schiodare la cassa delle stoviglie e quella della cristalleria; scegli la tovaglia migliore, quella nuovissima piena di ricami; accendi tutte le lampade. E prepara un grosso albero di Natale con tante candeline, e prepara con cura il presepe vicino alla finestra, come l'anno scorso. Signora, io ho bisogno che tu faccia questo. Il mio pensiero ogni notte varca il reticolato: lo so, ti riesce difficile figurarti il mio pensiero che varca il reticolato. Il pensiero è un soffio di niente e non ha volto: e allora figurati che io stesso, ogni notte, esca dal recinto. Figurati un Giovannino leggero come un sogno e trasparente come il vento delle serenissime e gelide notti invernali. Io, ogni notte, approfitto del sonno degli altri e mi affido all'aria e trasvolo rapido gli sconfinati silenzi di terre straniere e città sconosciute. Tutto è buio e triste sotto di me, e io affannosamente vado cercando luce e serenità. Rivedo la Madonnina del Duomo, ma le strade e le piazze non sono più quelle di un tempo, e stento a ritrovare il nostro quarto piano. Signora, non dire che sono il solito temerario se entro in casa dal tetto: anzi, loda la mia prudenza se non mi avventuro lungo le macerie della scala. E poi il tetto è scoperchiato e si fa più presto. Riconosco lo scheletro delle nostre stanze e ricerco i nostri ricordi nascosti sotto i rottami dei muri crollati. Tutto è buio, freddo e triste anche qui, e soltanto se la luna mi assiste riesco a scoprire sui brandelli delle tappezzerie che ancora pendono alle pareti, i riquadri chiari e la topografia dei nostri mobili. Per le strade deserte, cammina soltanto la paura vestita di luna. Su un brano di tappezzeria dell'ex-anticamera vedo un fiorellino. Uno strano fiore nero a cinque petali. Signora, rammenti quando Albertino decorò le nostre stanze con la piccola sciagurata mano intinta nell'inchiostro di China? Inutilmente vado a ricercare vestigia di giorni lieti fra le pareti dell'ufficio; le pareti non ci sono più, e il grande edificio è un cupo mucchio di cemento annerito dal fumo. Fuggo dalla città buia e silenziosa, e rivedo i luoghi dove, zitella, tu mi conoscesti zitello. Ma anche qui è squallida malinconia, e io mi rifugio alla fine nella casupola dove si accatastano i miei ultimi effetti e i miei primi affetti. Tu dormi, Albertino dorme, mia madre, mio padre dormono. Tutti dormono, e cercano forse di ritrovare in sogno il mio ignoto, lontano rifugio. I nostri mobili si affollano disordinatamente nelle esigue stanze immerse nell'ombra, e dentro le polverose casse del solaio le parole dei miei libri si sono gelate. Signora, io cerco un po' di luce, un po' di tiepida serenità, e invece non trovo che buio e freddo, e non posso ravvisare nel buio il volto di mio figlio, e sui laghi e sulle spiagge tutto è spento e abbandonato, tutto è silenzio, e io rinavigo verso il recinto e torno al mio pagliericcio portando il gelo nelle ossa del numero 6865. Signora, bisogna che, almeno la notte di Natale, il mio pensiero, fuggendo dal recinto, possa trovare un angolo tiepido e luminoso in cui sostare. Voglio tanta luce: voglio rivedere il vostro volto, voglio rivedere il volto dell'antica serenità. Altrimenti che gusto c'è a fare il prigioniero?" Qui ebbi la sensazione che le 24 righe stessero per finire, e mi interruppi. Le righe erano in effetti 138, e io avevo riempito le 24 mie, le 24 della risposta e altri cinque foglietti che stazionavano nei paraggi. Con estrema cura cancellai tutto e ricominciai da capo: "Signora, robustizza pacco pentachìlo a 1/2 cedola all'uopàta evitando medicincarte et infiammabili. Pàccami lancorredo, sigartabacco…"”

Giovannino Guareschi (1908–1968) scrittore italiano

Origine: Diario clandestino, pp. 31 a 34

Patch Adams photo
Tim Burton photo
Elsa Morante photo
Charles Darwin photo
Ray Bradbury photo
Gesualdo Bufalino photo
Andrzej Sapkowski photo

“Caldemeyn: Dove alloggerai? Perché non da me? C'è una stanza libera in soffitta, perché farsi pelare da quei ladri di locandieri? Così mi racconterai che cosa succede nel vasto mondo.
Geralt: Volentieri. Ma che cosa ne dirà la tua Libusze? L'ultima volta ho notato che non mi ama alla follia.
Caldemeyn: In casa mia le donne non hanno voce in capitolo. Però, detto tra noi, in sua presenza non rifare il numero che hai fatto l'ultima volta che hai cenato da noi.
Geralt: Alludi al fatto che ho lanciato la forchetta contro un ratto?
Caldemeyn: No, alludo al fatto che l'hai colpito, con tutto che era buio.”

Variante: "Ti tratterrai molto a Blaviken?"
"Poco. Non ho tempo per spassarmela. Arriva l'inverno."
"Dove alloggerai? Perché non da me? C'è una stanza libera in soffitta, perché farsi pelare da quei ladri di locandieri? Così mi racconterai che cosa succede nel vasto mondo."
"Volentieri. Ma che cosa ne dirà la tua Libusze? L'ultima volta ho notato che non mi ama alla follia."
"In casa mia le donne non hanno voce in capitolo. Però, detto tra noi, in sua presenza non rifare il numero che hai fatto l'ultima volta che hai cenato da noi."
"Alludi al fatto che ho lanciato la forchetta contro un ratto?"
"No, alludo al fatto che l'hai colpito, con tutto che era buio."

Vladimir Vladimirovič Nabokov photo
George Best photo
Mika photo
Fabio Volo photo
Eliel Saarinen photo
Rocco Scotellaro photo
Luciano De Crescenzo photo
José Saramago photo
Ernest Hemingway photo
Cheryl Strayed photo
Robert Louis Stevenson photo
Bertrand Russell photo
Antonio Gramsci photo
Christiaan Barnard photo
Morgan photo
Charles M. Schulz photo
Larry Bird photo
Morrissey photo
François Lenormant photo

“[Sulla battaglia di Maida] […] il primo giugno, una squadra inglese venne a gettare l'ancora nel golfo di Eufemia per sbarcare sulla spiaggia, fra la foce del Lamato e quella dell'Angitola, un contingente di seimila soldati britannici comandati da sir John Stuart, nonché alcuni personaggi atti a capeggiare una insurrezione popolare nel paese. Era allora di stanza a Nicastro una compagnia di polacchi al comando del capitano Laskowsky. Essa si portò sulla riva insieme a un corpo di volontari a cavallo formato dai giovani della nobiltà cittadina, che, come già nel 1799, aveva abbracciato la causa dei francesi. Ma dopo un breve combattimento la piccola formazione dovette ripiegare su Maida, dove il generale Reynier stava raccogliendo in tutta fretta le forze francesi più vicine. Subito la plebe di Nicastro prese le armi e risollevò la bandiera dei Borboni, mise a sacco le case dei nobili sostenitori del re Giuseppe e sgozzò i soldati francesi malati che gremivano l'ospedale civile. «Nella città di Nicastro» scriveva qualche giorno dopo Giuseppe a Napoleone, «il comandante delle guardie d'onore è stato accecato e poi crocifisso; era un principe che mi aveva accolto in casa sua». La sera del 3 il generale Reynier, scorgendo Nicastro illuminata dal balcone della casa da lui occupata a Maida, disse agli ufficiali del suo stato maggiore: «Domani batteremo gli inglesi e dopodomani bruceremo Nicastro». […] Reynier disponeva solo di 4.000 uomini. Tutto gli imponeva di attendere gli inglesi nella posizione eccezionalmente forte di Maida, da dove difficilmente lo avrebbero potuto scacciare. Ma egli credette che anche dei britannici, come già dei napoletani, sarebbe venuto a capo con facilità. Commise perciò l'errore, enorme, di scendere in pianura per attaccare in campo loro le forze di sir John Stuart, superiori di numero, e per giunta appoggiate dall'artiglieria della flotta. Lo scontro ebbe luogo il 4 luglio; esso fu breve e terminò con la disfatta delle nostre truppe. In questa occasione, come in quasi tutte le battaglie che ebbero luogo in quello stesso periodo tra le due nazioni, il sangue freddo e la precisione di tiro degli inglesi fermarono nettamente l'impeto dei francesi e inflissero loro perdite enormi rispetto al numero degli arruolati. Era la prima volta, da lunghissimo tempo, che i francesi subivano una sconfitta per terra. Sir John Stuart ne fu tanto orgoglioso che arrivò ad insultare i vinti. «Mai» disse nel suo rapporto, «la vanità del nostro presuntuoso nemico è stata più duramente mortificata, mai la superiorità delle truppe britanniche più gloriosamente provata come negli avvenimenti di questa giornata memorabile». Sebbene da entrambe le parti pochissime fossero le truppe schierate, la battaglia ebbe conseguenze rilevanti. I francesi perdettero per qualche tempo tutta la Calabria. Il generale Reynier fu costretto a ritirarsi in disordine per la vallata del Lamato su Catanzaro, che raggiunse con molta fatica l'indomani.
Fortunatamente, per lui, gli inglesi non pensarono ad inseguirlo. Di lì a qualche giorno, pago del suo successo, sir John Stuart fece nuovamente imbarcare i suoi uomini, dopo aver calato a terra il materiale necessario ad armare una insurrezione calabrese, a capo della fu designato il maggiore Gualtieri, soprannominato Pane di Grano.”

François Lenormant (1837–1883) assiriologo e numismatico francese

citato in Viaggiatori stranieri nel Sud, a cura di Atanasio Mozzillo, Saggi di cultura contemporanea, 1982, Edizioni di Comunità, Milano, p. 288

Joseph L. Mankiewicz photo
Franco Califano photo
Claudio Baglioni photo
Elisa photo
Vinicio Capossela photo

“Non c'è disaccordo nel cielo né nuvole gonfie o mistero né pacchi né stupri né soglie né stanze svuotate d'addio.”

Vinicio Capossela (1965) cantautore e polistrumentista italiano

da Non c'è disaccordo nel cielo, n. 12
Da Solo

Rino Gaetano photo
Mihály Babits photo
Robert Pattinson photo
Paolo Sorrentino photo
Hermann Hesse photo
Gabriele d'Annunzio photo
Jules Verne photo
Gabriel García Márquez photo
Muhammad Ali photo
Francis Scott Fitzgerald photo
Morgan photo
Harold Abelson photo

“Se non ho visto lontano come altri è perché portavo dei giganti sulle spalle.”

Abelson la attribuisce a Jeff Goll, suo compagno di stanza a Princeton
Senza fonte

Ronald Laing photo
David Lynch photo
Sándor Márai photo
Paolo Conte photo

“E ti offro l'intelligenza degli elettricisti | cosi almeno un po' di luce avrà | la nostra stanza negli alberghi tristi | dove la notte calda ci scioglierà.”

Paolo Conte (1937) cantautore, paroliere e polistrumentista italiano

da Un gelato al limon, lato B, n. 1
Un gelato al limon

Lucio Battisti photo
Franco Battiato photo

“Però in una stanza vuota la luce si unisce allo spazio, | sono una cosa sola, indivisibili.”

Franco Battiato (1945) musicista, cantautore e regista italiano

da Io chi sono?, n. 8
Il vuoto

Johann Strauss (figlio) photo
Enzo Biagi photo
Nek photo
Erri De Luca photo

“A riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco.”

Erri De Luca (1950) scrittore, traduttore e poeta italiano

Tre Cavalli

Dalila Di Lazzaro photo
Charlie Chaplin photo
William Seward Burroughs photo
Luca Carboni photo
Nina Nikolaevna Berberova photo
Dino Buzzati photo
Rainer Maria Rilke photo

“Bisognerebbe saper attendere, raccogliere, per una vita intera e possibilmente lunga, senso e dolcezza, e poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide. Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano precocemente), sono esperienze. Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprendere il gesto con cui i piccoli fiori si aprono al mattino. Bisogna saper ripensare a itinerari in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell'infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando portavano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a malattie infantili che cominciavano in modo così strano con tante profonde e grevi trasformazioni, a giorni in stanze silenziose e raccolte e a mattine sul mare, al mare sopratutto, a mari, a notti di viaggio che passavano con un alto fruscio e volavano assieme alle stelle - e ancora non è sufficiente poter pensare a tutto questo. Bisogna avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si rimarginano. Ma bisogna anche essere stati accanto ad agonizzanti, bisogna essere rimasti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori intermittenti. E non basta ancora avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando diventano sangue in noi, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, soltanto allora può accadere che in un momento eccezionale si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso.”

The Notebooks of Malte Laurids Brigge

Rainer Maria Rilke photo
Franco Battiato photo