Frasi su eroica

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema eroica, vita, essere, grande.

Frasi su eroica

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“Segesta. Il tempio si incastra nel paesaggio in una compatta unità di forza selvaggia e di armonia. Era una giornata nuvolosa e tirava vento; il moto delle nubi e l'equilibrio dei monti sembravano subire il dominio del santuario. Se non ci fosse il tempio a concedere una dilazione, le forze della natura si scaglierebbero titanicamente l'una sull'altra. Il rapporto ideale tra potenza e ordine è raggiunto nella distribuzione in linea orizzontale e verticale: con la contemplazione lo spirito acquista sicurezza e quietudine.
Simili edifici sono installazioni di ordine superiore, nella cui sfera d'influenza la vita artistica ed eroica si nutre per secoli. Vi si esterna in una volta sola l'intera forza terrestre; in questo senso è il suolo a sospingerli, come per effetto di un processo di cristallizzazione. Si sente che tra questi edifici e il suolo c'è un'affinità; eppure sono composizioni dello spirito – perciò si tratta al tempo stesso di formazioni della potenza incosciente e di quella cosciente.
Durante la salita verso il teatro mi voltavo spesso verso il santuario, constatando che il prodigio cresce con la distanza. Torna a onore dei greci la cognizione del rango della riduzione e del suo rapporto con la grandezza; similmente, anche il cristallo appare come il modello ridotto ma insieme intellegibile della terra.”

Ernst Jünger (1895–1998) filosofo e scrittore tedesco

da La Conca d'oro, Mondello 23 aprile 1929, pp. 31-32
Viaggi in Sicilia

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“L'uomo non vive soltanto la sua vita personale come individuo, ma – cosciente o incosciente – anche quella della sua epoca e dei suoi contemporanei, e qualora dovesse considerare dati in modo assoluto e ovvio i fondamenti generali e obiettivi della sua esistenza ed essere altrettanto lontano dall'idea di volerli criticare quanto lo era in realtà il buon Castorp, è pur sempre possibile che senta vagamente compromesso dai loro difetti il proprio benessere morale. Il singolo può avere di mira parecchi fini, mete, speranze, previsioni, donde attinge l'impulso ad elevate fatiche e attività; se il suo ambiente impersonale, se l'epoca stessa, nonostante l'operosità interiore, è in fondo priva di speranze e prospettive, se furtivamente gli si rivela disperata, vana, disorientata e al quesito formulato, coscientemente o no, ma pur sempre formulato, di un ultimo significato, ultrapersonale, assoluto, di ogni fatica e attività, oppone un vacuo silenzio, ecco che proprio nel caso di uomini dabbene sarà quasi inevitabile un'azione paralizzante di questo stato di cose, la quale, passando attraverso il senso morale psichico, finisce con l'estendersi addirittura alla parte fisica e organica dell'individuo. Per aver voglia di svolgere un'attività notevole che sorpassi la misura di ciò che è soltanto imposto, senza che l'epoca sappia dare una risposta sufficiente alla domanda "a qual fine?", occorre o una solitudine e intimità morale che si trova di rado ed è di natura eroica o una ben robusta vitalità.”

La montagna incantata

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“Nella fervida speranza che possiate risorgere come uomini e come guerrieri.”

Yukio Mishima (1925–1970) scrittore, drammaturgo e saggista giapponese

nell'atto di uccidersi, il 25 novembre 1970; citato in Lydia Origlia, Nota a La voce degli spiriti eroici, 1998, p. 91

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“Ci chiediamo soltanto perché quell'educazione facesse sì che chi la riceveva fosse consciamente e inconsciamente in favore della guerra. Consciamente, perché, è ovvio, era obbligata a usare tutta la sua influenza per tenere in piedi il sistema che le forniva servitù, carrozze, bei vestiti, ricevimenti: che erano i mezzi per arrivare al matrimonio. Consciamente, doveva usare tutta la sua bellezza e le sue attrattive per adulare e blandire l'uomo d'affari, l'uomo d'armi, l'uomo di legge, l'ambasciatore, il ministro che volevano ricrearsi dopo le fatiche della giornata. Consciamente doveva accettare i loro punti di vista e assecondare i loro dettami perché solo così poteva indurli a concederle i mezzi per sposarsi o a sposarla. Insomma, ogni suo sforzo cosciente non poteva che essere in favore di quello che Lady Lovelace ebbe a definire "il nostro glorioso Impero"…"il cui prezzo", aggiunge, "viene pagato principalmente dalle donne". E chi può smentirla, o dubitare che fosse un prezzo molto alto? Ma ancora più decisamente in favore della guerra era forse la sua influenza inconscia. Come possiamo spiegare altrimenti l'assurda agitazione dell'agosto del 1914, quando si videro le figlie degli uomini colti che avevano ricevuto questo tipo di educazione precipitarsi negli ospedali, alcune accompagnate dalla cameriera, guidare autocarri, lavorare nei campi e nelle fabbriche di munizioni, e usare le loro inesauribili riserve di fascino e di simpatia per convincere i giovani che combattere era eroico, e che i feriti sul campo di battaglia erano degni di tutte le loro cure e di tutto il loro encomio? La spiegazione va cercata, ancora una volta, in quel tipo di educazione. Così profondo era il disgusto della figlia dell'uomo colto per la casa paterna, con la sua crudeltà, la sua grettezza, la sua ipocrisia, la sua immoralità, la sua vacuità, che era disposta a intraprendere qualunque lavoro, per servile che fosse, a esercitare qualunque fascino, per fatale che fosse, pur di sfuggirvi. Perciò consciamente voleva "il nostro glorioso Impero"; perciò inconsciamente voleva la nostra gloriosa guerra.”

Le tre ghinee

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“Mandiamo da questo congresso il saluto più fraterno e di operante solidarietà dei comunisti italiani agli eroici combattenti del Vietnam e della Cambogia.”

Enrico Berlinguer (1922–1984) politico italiano

Senza data
Origine: Da 14esimo congresso del Partito comunista italiano: atti e risoluzioni, Editori Riuniti, 1975.

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“Gli eroi sono eroi perché il loro comportamento è eroico, non perché vincano o perdano.”

Nassim Nicholas Taleb (1960) filosofo, saggista e matematico libanese

Giocati dal caso

“Garibaldi s'è rifugiato, s'è riposato qui; ma ha vissuto altrove, là dove ha agito, là dove c'erano uomini contro lui o dietro a lui, da villa Pamphily a Bezzecca, dove:
s'udivano | passi in cadenza ed i sospiri | de' petti eroici nella notte.”

Ugo Ojetti (1871–1946) scrittore, critico d'arte e giornalista italiano

Cose viste, Garibaldi piange
Origine: Giosuè Carducci, A Giuseppe Garibaldi, in Odi barbare, vv. 5-7.

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“Ci sono mille modi di suicidarsi. Balzac scelse il caffè, Verlaine l'assenzio, Rimbaud l'Etiopia, l'Occidente la democrazia, e Guevara la giungla.”

Jean Cau (1925–1993) scrittore e giornalista francese

Origine: Citato in Marcello Veneziani, Così il «Cavaliere» di Dürer diventò l'icona eroica della destra nobile e perduta http://www.ilgiornale.it/news/cultura/cos-cavaliere-d-rer-divent-licona-eroica-destra-nobile-e-927657.html, Il Giornale.it, 17 giugno 2013.

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“Secondo me | si sta arrendendo qui | l'eroica fedeltà. | L'amore è stanco | e non ne può più…”

Mina (1940) pagina di disambiguazione di un progetto Wikimedia

da Secondo me
Sì, buana

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“[…] questo «io eroico» non si pone più autonomamente dinanzi ai propri avversari, come al tempo dei cinismi giovanili o delle prime dispute contro la pedagogia istituzionale, ma è certo d'agire per conto di un'istanza superiore ben identificata e inesauribile, la dottrina del Vangelo – del testo greco dei Vangeli ritradotto dallo stesso Tolstòj (un'ottima traduzione). Una dottrina che Tolstòj fa valere integralisticamente, ignorando di proposito la distanza di diciotto secoli, rifiutandosi di «storicizzare» e di attenuare come che sia i comandamenti di Gesù, e aprendo così un fronte immenso sul quale battersi nel mondo «pseudo-cristiano» o «cristiano-ecclesiastico» (come egli lo chiama) in cui non c'è versetto del Vangelo che, tradotto fedelmente, non suoni completamente sconosciuto e scandaloso. In questa sua ultima ed enorme scommessa sulla propria energia e forza d'urto, a Tolstòj non rimane più tempo né spazio per una dimensione privata, per una qualche quinta in cui riprendere fiato: tutto è messo in gioco, e tutto è illuminato dai riflettori. Da questa condizione Tolstòj trae adesso la forza e il gusto di continuare a vivere; da questa condizione – e dalla forza e dal gusto di vivere che gliene vengono – la sua arte trae vigore, volontà, argomenti; e di questa sua arte Tolstòj vive – scrittore com'egli è, fino al midollo. In questo cerchio virtuoso, trionfante, percorre i suoi cicli la dialettica tra pubblico e privato dell'ultimo periodo della vita di Tolstòj, vecchio conte che è diventato in tutto attore e non lo è più in nulla. (Non per nulla questo Tolstòj fu l'ultima grande passione di Nietzsche, prima della follia, e Nietzsche lo leggeva e compulsava avidamente, riconoscendo in lui lo stesso mito al quale anch'egli si sentiva forzato: la consumazione del confine tra «arte» e «vita», tra «volontà» e «realtà».)”

Igor Sibaldi (1957) traduttore, saggista e scrittore italiano

p. L

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“Il merito grande del Provenzale, quello per cui tutta l'arte di un'epoca dovrà considerarsi derivata dalla sua iniziativa e dal suo travaglio, è di essere ritornato nel solco profondo ed eterno della pittura, scartando tutti gli apriorismi di ricerche tecniche (luminismo, divisionismo, complementarismo) cui aveva indotto l'epoca positivistica: di aver ripreso a dipingere la natura riflessa nel magico specchio dell'anima, vedendola non più sotto specie sensoria o sensibile (aggettivi che dominano tutta l'estetica impressionistica), ma attraverso un'intimità profonda, religiosa, eroica, che la storia ci permette di considerare essenzialmente italiana. […] Cézanne dipinge senza preoccupazioni di programmi più o meno rivoluzionari, ma sotto l'impulso di un'ansia mistica, che lo investe, lo tiranneggia, lo macera; e fa cantare, piangere, urlare la sua drammatica tavolozza. Nulla di edonistico, di descrittivo, di fenomenico nella sua arte. La pittura come la intendono Manet e Monet è di gran lunga superata nelle sue tele. Non si tratta più del "vero attraverso un temperamento" di zoliana memoria. C'è un elemento etico, religioso, trascendente nell'arte di Cézanne che la definizione zoliana non sospetta neppur lontanamente e che è proprio quello per cui l'opera cézanniana si riconnette all'arte dei sommi italiani: Giotto, Masaccio, Michelangelo, Tintoretto, Caravaggio. […] Cotesto il lato spirituale dell'italianismo di Cézanne, il suo sentimento, non italianeggiante, si badi, al modo del Poussin, ma italiano di polpa, intrinsecamente. E v'è poi il modo di esprimersi plasticamente di cotesto sentimento, modo strettamente inerente e coerente e quindi anch'esso italianissimo. Il modo stilistico di Cézanne è tornato ad essere il volume, inteso come rapporto di chiari e di scuri. Le molteplici possibilità di variazione (nell'intensità, nella posizione, nel dinamismo, o nella statica) di tale rapporto costituiscono la sintassi cézanniana. Cotesta sintassi è simultaneamente plastica e coloristica in quanto, appunto, è chiaroscurale. Per tali aspetti Cézanne si manifesta come un erede de' veneziani, non solo, ma di tutta la tradizione volumetrica italiana, fino alla sua sorgente eccelsa, a Giotto, cioè, titanico estrattore di moli poliedriche, a Masaccio che scolpisce le sue figure a colpi possenti d'ascia per entro massicci blocchi chiaroscurali.”

Mario Tinti (1885–1938) critico d'arte e giornalista italiano

Origine: Da Italianismo di Cézanne, in Pinacotheca, marzo-giugno 1929; citato in Stefania Lapenta, Cézanne, I Classici dell'arte, Rizzoli - Skira, Milano, 2003, pp. 183-188 e frontespizio. ISBN 88-7624-186-8

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“[Titta Ruffo] Con Titta Ruffo, e con qualche raro suo simile, non è morto il canto, ma è morto il canto eroico.”

Eugenio Montale (1896–1981) poeta, giornalista e critico musicale italiano

Prime alla Scala, p. 49, Leonardo, Milano, 1995

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“L'artista più attaccato, più maltrattato, da quindici anni, dalla stampa e dal pubblico, è Cézanne. Non c'è epiteto offensivo che non venga accostato al suo nome, e le sue opere hanno ottenuto un successo d'ilarità che dura ancora. […] Cézanne appare come un greco della belle époque; le sue tele hanno la calma, la serenità eroica dei dipinti e delle terrecotte antiche, e gli ignoranti che ridono davanti ai Bagnanti, per esempio, mi fanno l'effetto di barbari che criticano il Partenone. Cézanne è un pittore, e un grande pittore. Quelli che non hanno mai preso in mano un pennello o una matita hanno detto che non sapeva disegnare, e gli hanno rimproverato "imperfezioni" che non sono che una raffinatezza ottenuta grazie a un'enorme abilità. So bene che, nonostante tutto, Cézanne non può avere il successo dei pittori alla moda […] ma la sua pittura ha l'inesprimibile fascino dell'antichità biblica e greca, i movimenti dei personaggi sono semplici e grandi come nelle sculture antiche, i paesaggi hanno una maestà imponente, e le sue nature morte così belle, così esatte nei rapporti tonali, hanno, nella loro verità, qualcosa di solenne. In tutti i suoi dipinti, l'artista commuove, perché egli stesso prova, davanti alla natura, un'emozione violenta che l'abilità trasmette alla tela.”

Georges Riviere (1855–1943)

da L'Impressionniste, 1 aprile 1877
Origine: Citato in Stefania Lapenta, Cézanne, I Classici dell'arte, Rizzoli - Skira, Milano, 2003, pp. 183-188 e frontespizio. ISBN 88-7624-186-8

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“Un eroe non può essere eroe se non in un modo eroico.”

Nathaniel Hawthorne (1804–1864) scrittore statunitense

dai Diari

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“In Dante veggo essere grandissime e bellissime parti, e le principali tutte che si richieggon a un gran Poema. Che vi sia poi qualche difettuzzo o mancamento, io non lo niego: sia dell'uomo o dell'età, non rileva a questo punto di qual sia più perfetto e migliore, se ben serve o per iscusa o per qualche altra cosa: come non servirebbe a fare che una figura di Giotto fusse più bella d'una d'Andrea del Sarto, il dire che nell'età di colui l'arte della Pittura non era tanto inluminata, quanto ella fu poi; servirà bene a dire che Giotto in tante tenebre fece miracoli, e non ebbe pari; dove questo altro ebbe manco difficultà assai, e de' pari, e forse de' superiori qualcuno. Ma io non credo che il punto in Dante consista qui, se bene questa scusa ci bisognerà in alcune poche voci solamente quanto attiene alla comparazione del Petrarca. Ma il punto vero sarà qual sia di maggior lode degno o un Epico o Eroico poema grande, non interamente perfetto, o un piccolo e minuto che sia perfetto: perché può bene stare che si truovi una cosa piccola bellissima, pogniam caso una cappellina con bellissima proporzione d'architettura e ricchezza di cornici, che nondimeno non d'un gran tempio con pochi ornamenti; e in simili comparazione sogliono dire i nostri uomini a tanto per tanto, o pur del tanto, come disse il Villani…”

Vincenzo Borghini
Divina Commedia, Citazioni sulla Divina Commedia

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“Non vi è oggetto del piacere bramoso o passivo che non possa, in via di principio, essere anche oggetto del piacere eroico o positivo, e viceversa.”

Julius Evola (1898–1974) filosofo, pittore e poeta italiano

da "Cavalcare la tigre", Edizioni Mediterranee, 1961
Cavalcare la tigre

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“Cicada: Da qua si vede che l'ignoranza è madre della felicità e beatitudine sensuale; e questa medesima è l'orto del paradiso de gli animali; come si fa chiaro nelli dialogi de la Cabala del cavallo Pegaseo e per quel che dice il sapiente Salomone: chi aumenta sapienza, aumenta dolore.
Tansillo: Da qua avviene che l'amore eroico è un tormento, perché non gode del presente, come il brutale amore; ma e del futuro e de l'absente, e del contrario sente l'ambizione, emulazione, suspetto e timore. Indi dicendo una sera dopo cena un certo de nostri vicini: – Giamai fui tanto allegro quanto sono adesso; – gli rispose Gioan Bruno, padre del Nolano: – Mai fuste piú pazzo che adesso. –
Cicada: Volete dunque, che colui che è triste, sia savio, e quell'altro ch'è piú triste, sia piú savio?
Tansillo: Non, anzi intendo in questi essere un'altra specie di pazzia, ed oltre peggiore.
Cicada: Chi dunque sarà savio, se pazzo è colui ch'è contento, e pazzo è colui ch'è triste?
Tansillo: Quel che non è contento, né triste.
Cicada: Chi? quel che dorme? quel ch'è privo di sentimento? quel ch'è morto?
Tansillo: No; ma quel ch'è vivo, vegghia ed intende; il quale considerando il male ed il bene, stimando l'uno e l'altro come cosa variabile e consistente in moto, mutazione e vicissitudine (di sorte ch'il fine d'un contrario è principio de l'altro, e l'estremo de l'uno è cominciamento de l'altro), non si dismette, né si gonfia di spirito, vien continente nell'inclinazioni e temperato nelle voluptadi; stante ch'a lui il piacere non è piacere, per aver come presente il suo fine. Parimente la pena non gli è pena, perché con la forza della considerazione ha presente il termine di quella. Cossí il sapiente ha tutte le cose mutabili come cose che non sono, ed afferma quelle non esser altro che vanità ed un niente; perché il tempo a l'eternità ha proporzione come il punto a la linea.”

Giordano Bruno (1548–1600) filosofo e scrittore italiano

parte prima, dialogo II

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“Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.”

Carlo Carretto (1910–1988) religioso italiano

Beata te che hai creduto

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“Oltre ai significati storico-politici, la sostanza di questo dramma shakespeariano è fortemente psicologica, in quanto al centro del testo è posta la crisi – che psicanaliticamente definiremmo narcisistica – del protagonista, il quale è progressivamente condotto a fare i conti con il passaggio da una visione eroica di Sé come "anointed King", re di origine divina prescelto dal destino, a un'immagine infranta del suo Io […]. Nello scoprirsi subjected – termine da intendersi nella duplice accezione di "suddito", ma anche di "soggetto umano"”

Riccardo scopre la vanità (egli definirà hollow, "vuota", la sua corona) del suo essere e, di conseguenza, la fallacia della sua regalità legittima. Ciò che la crisi narcisistica del protagonista del dramma in ultima analisi esprime è un ben preciso messaggio di carattere culturale: alla crisi narcisistica di Riccardo fa da specchio un mutamento epocale, poiché il Re non è più tale in virtù della sua natura divina e trascendente, bensì in forza del consenso popolare e delle contingenze. Con Bolingbroke, possiamo ben dire, finisce il tempo della Cavalleria e ha inizio quello della modernità, aprendo la strada a una visione secolarizzata del potere umano e delle sue prerogative. Il capolavoro di Shakespeare fotografa questa mutazione radicale nello spirito e nella storia dell'Europa. (Cesare Catà, Eretico Potere Ieratico. Il Liber Augustalis di Federico II di Svevia e il Riccardo II di Shakespeare, in "Tabulae. Rivista del Centro Studi Federiciani", XXIV, (Dicembre 2012), pp. 137-158)
Riccardo II, Citazioni sull'opera

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“Federico scrisse lAntimachiavelli, ma non si trattava di ipocrisia, era semplicemente letteratura. Amava l'umanesimo, la ragione, la secca chiarezza — un amore problematico, derivato dagli elementi demoniaci e utilitari riuniti in lui. Così amava Voltaire, il figlio dello spirito, il padre dell'illuminismo e di ogni cultura antieroica. Baciava la mano magra che scriveva: «Odio tutti gli eroi», ed egli stesso faceva dell'ironia sulla guerra dei sette anni con le parole «debolezze eroiche». Metteva però anche nero su bianco: se avesse voluto punire una provincia, l'avrebbe fatta governare da letterati; il suo illuminismo era così superficiale, che se ne sentiva immune. Quando poi vuole chiarire il vero motivo che lo ha indotto a scambiare la dolce quiete di una vita dedita alla letteratura con i tremendi sforzi ed i sanguinosi orrori della guerra, parla in generale di un «segreto istinto». Ciò che egli definisce in questo modo era più forte della letteratura: diresse le sue azioni e decise della sua vita; ed è un concetto tipicamente tedesco che questo istinto segreto, questo elemento demoniaco fosse in lui sovrumano: era la forza del destino, lo spirito della Storia.
In fondo era una vittima. Egli pensava ad ogni modo di essersi sacrificato: nella giovinezza per il padre e nella maturità per lo Stato. Ma sbagliava se pensava che sarebbe stato libero di agire diversamente. Era una vittima. Doveva agire ingiustamente e vivere contrariamente al pensiero; non gli fu concesso di essere un filosofo, ma dovette fare il re, perché un grande popolo compisse la sua missione nel mondo.”

Thomas Mann (1875–1955) scrittore e saggista tedesco

Origine: Federico e la grande coalizione, pp. 77 sg.

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“Se tutte le cose rimangono quali erano, è perché sono sempre cose eroiche; se tutte le cose rimangono quali erano, è perché sono sempre nuove. Un anime sola è data ad ogni uomo, e a ogni anima, una sola piccola potenza, – la potenza di superarsi in certi momenti e di assorbir le stelle. Se, di età in età, gli uomini sono dotati di questa potenza, tutto ciò che dà loro è grande. Tutto quello che fa credere loro di essere vecchi, è basso – sia un impero o una bottega in rovina. Tutto ciò che fa creder loro di essere giovani è grande, – sia una grande guerra, o una storia d'amore. E nel più oscuro libro di Dio, c'è una verità ch'è anche un enigma: gli uomini si affaticano per delle novità, siano mode, disegni, riforme, mutamenti; ma sono le cose vecchie quelle che stupiscono e colpiscono profondamente; sono le cose vecchie veramente giovani. Non v'è scettico che non sappia che molti hanno dubitato prima di lui; non v'è ricco o frivolo che non senta che tutte le novità sono vecchiumi; non c'è fanatico del mutamento che non senta la sua nuca curva sotto il peso della stanchezza dell'universo; ma a noi che ci dedichiamo alle cose antiche, la natura dà una giovinezza eterna. Nessun innamorato pensa che prima di lui vi sono stati altri innamorati; nessun padre pensa che vi son altri figliuoli prima del suo; e il popolo che lotta per la sua patria, non è preoccupato della solita storia degli Imperi scomparsi. Sì, voce tenebrosa, il mondo è sempre lo stesso, giacché tutto in esso è sempre imprevisto!”

Origine: Il Napoleone di Notting Hill, pp. 279-280

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“Aveva raggiunto quello stadio in cui si vedono al tempo stesso l'orrore e la piccolezza dell'universo – quel crepuscolo della doppia visione in cui sono avvolte tante persone anziane. Se questo mondo non è di nostro gusto, ebbene, in ogni caso c'è il Cielo, l'Inferno, il Nulla – l'una o l'altra di queste grandi cose, quell'immenso fondale di stelle, fuochi, atmosfera azzurra o nera. Ogni sforzo eroico, e tutto ciò che è conosciuto come arte, suppone che ci sia quel fondale, proprio come ogni sforzo pratico, quando il mondo è di nostro gusto, suppone che il mondo sia Ritto. Ma nel crepuscolo della doppia visione si deposita una mota spirituale per cui non si possono trovare parole altisonanti; non possiamo né agire né astenerci dall'azione, non possiamo né ignorare né rispettare l'Infinito. La signora Moore era sempre stata incline alla rassegnazione. Non appena sbarcata in India tutto le era parso bello, e quando aveva visto l'acqua viva nella vasca lustrale della moschea, o il Gange, o la luna, presa nello scialle della notte con tutte le stelle, le era parso di aver raggiunto una meta bella e anche facile. Essere tutt'uno con l'universo! Cosí dignitoso e semplice. Ma prima bisognava sempre compiere qualche piccolo dovere, sempre i irar fuori dal mazzo che si assottigliava una nuova carta da mettere al suo posto, e mentre lei si affannava tanto, il Marabar aveva battuto il suo gong.”

cap. XXIII, p. 229
Passaggio in India

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“Non m'interessa parlare della notte che cambiò la vita, che ha reso il mio carattere per sempre sospettoso e diffidente. Avevo visto la durezza della guerra. Il giorno prima con i miei amici, partigiani, giocavamo a calcio, il giorno dopo erano nella chiesetta, cadaveri, sfigurati in viso dagli scarponi chiodati. Ho visto la fucilazione dei gerarchi fascisti, ero a piazzale Loreto quando appesero Mussolini a testa in giù come un maiale, sapevo cos'era la cattiveria, ma ignoravo l'infamia. Ho aspettato due mesi che Compagnoni venisse a darmi una pacca sulla schiena, a dirmi che aveva fatto una fesseria, a chiedere scusa, perché può capitare di essere vigliacchi, ma deve anche capitare di ammetterlo. Invece niente, invece sono finito sul banco degli accusati, ero io la carogna, non loro che avevano mentito sull'uso delle bombole, delle maschere, sull'orario del balzo finale alla vetta. Nella relazione ufficiale di Desio che il Cai ha accettato è sbagliata la quota del mio bivacco, quella del campo di Compagnoni e Lacedelli, l'uso e la durata delle bombole di ossigeno, niente affatto esaurito prima dei duecento metri di dislivello sotto il K2, e l'ora in cui dettero l'assalto alla vetta. E tutto questo perché? Perché l'impresa oltre ad avere successo doveva essere anche eroica. Far vedere che gli italiani erano stati non solo bravi, ma anche straordinari. Ne abbiamo fatto una montagna di merda, coperta di menzogne, perfino la stampa straniera ci chiede "perché?". E tutto questo perché non riusciamo ad essere un paese pulito, dobbiamo strumentalizzare le occasioni, la verità, sporcare gli uomini. L' Italia è un paese di complici, dove non esiste solidarietà tra onesti, ma solo scambio tra diversi interessi, dove il sogno di Desio doveva restare immacolato. Dove solo io potevo essere infangato, disprezzato, accusato. Non solo, ma qualsiasi controversia non viene mai affrontata, si preferisce accantonarla, non prendere la responsabilità di una scelta. Mentre oggi agli idoli sportivi imbottiti di droga tutto viene perdonato perché sono l'immagine del paese. E se solo guardo quello che passa in tv mi viene schifo: quelle persone sull'isola, che si fanno riprendere, quella buffonata. Con quale rispetto verso i padri dell'avventura, verso chi ha cercato frontiere e parole nuove come Melville, Jack London e Stanley? Io sul K2 in una notte del '54 sono quasi morto, ma quello che mi ha ucciso è questo mezzo secolo di menzogna. Ho urlato così tanto quella notte nella mia disperazione che adesso non voglio avere più voce. La puzza del K2 la lascio a voi, io preferisco respirare […].”

Walter Bonatti (1930–2011) alpinista italiano
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“La figura di santa Teresina, a volte presentata con l'immagine melensa di una fanciulla, oggi è riconosciuta eroica nel quadro di una giovinezza piena di vigore e capace di trasformare il mondo.”

Paulo Evaristo Arns (1921–2016) cardinale e arcivescovo cattolico brasiliano

da Pastorale per una Unita di Chiesa e di Popolo, traduzione di Laura Valente, Editoriale Jaca Book, 1975, p. 107

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“Il fanatismo è caratterizzato da un sentimento di potenza, che fa compiere azioni a volte eroiche, ma più spesso distruttive ed incivili.”

Willy Pasini (1938) psichiatra, sessuologo e saggista italiano

pag. 52
La vita è semplice

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“Gloria agli eroici soldati dell'Esercito!”

Kim Jong-il (1941–2011) dittatore nordcoreano

Commento ad una rivista militare nel 1992, e l'unica volta della voce di Kim in onda http://observer.guardian.co.uk/7days/story/0,,1816145,00.html

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“Vogliono i destini d'Italia che al compiersi del cinquantenario si celebrino, conquistati per virtù di popolo e di esercito eroici, gli inviolabili termini segnati dalla natura e dalla storia.”

Vittorio Emanuele III di Savoia (1869–1947) re d'Italia dal 1900 al 1946

telegramma del 20 settembre 1920, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 605
Citazioni di Vittorio Emanuele III