Frasi su occhio
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“Si può dire che le due grandi composizioni che Velázquez dipinse verso la fine della carriera, Le damine di corte e Le filatrici, offrono un esempio evidentissimo del senso spaziale che il grande spagnolo possedeva, e dell'arte con cui sapeva utilizzare e realizzare gli insegnamenti tratti a suo tempo dalle opere del Tintoretto. Velázquez comunica realmente allo spettatore la nozione delle dimensioni, in primo luogo giovandosi degli esseri animati, degli oggetti, delle scale, degli ordigni per tessere, dei soffitti a volta e delle pareti, e in secondo luogo con la vita che infonde nei personaggi, coi loro gesti professionali, con una genuflessione, con una mano tesa. Ma è soprattutto il modo armonioso con cui sfrutta ombre e luci che costringe l'occhio ad abbracciare l'intera visione e a cogliere la distanza tra l'uno e l'altro piano. Con queste variazioni animate, Velázquez ci trasporta nello spazio che egli stesso ha creato, ci fa vivere direttamente in esso; e attinge così le vette della realtà artistica e vivente.”

August Liebmann Mayer (1885–1944)

da Velázquez, 1936
Origine: Citato in Velázquez, I Classici dell'arte, a cura di Elena Ragusa, pagg. 183 - 188, Milano, Rizzoli/Skira, 2003. IT\ICCU\TO0\1279609 http://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?select_db=solr_iccu&searchForm=opac%2Ficcu%2Favanzata.jsp&do_cmd=search_show_cmd&db=solr_iccu&Invia=Avvia+la+ricerca&saveparams=false&resultForward=opac%2Ficcu%2Ffull.jsp&nentries=1&rpnlabel=+Identificativo+SBN+%3D+IT%5CICCU%5CTO0%5C1279609+%28parole+in+AND%29+&rpnquery=%2540attrset%2Bbib-1%2B%2B%2540attr%2B1%253D1032%2B%2540attr%2B4%253D6%2B%2522IT%255C%255CICCU%255C%255CTO0%255C%255C1279609%2522&&fname=none&from=1

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“Ti aspetti gloria?» disse Ba'alzamon. «Potere? Ti hanno detto che l'Occhio del Mondo sarà al tuo servizio? Quale gloria e quale potere toccano a un burattino? Le stringhe che ti muovono sono state intessute da secoli. Tuo padre fu scelto dalla Torre Bianca, come uno stallone legato alla cavezza e condotto al suo compito. Tua madre non era altro che una fattrice, per i loro piani. E questi piani portano alla tua morte.»
Rand strinse i pugni. «Mio padre è un brav'uomo e mia madre era una donna per bene. Non parlare di loro!»
Le fiamme risero. «C'è del coraggio in te, dopotutto. Forse sei proprio tu, quello che cerco. Ma il coraggio ti gioverà ben poco. L'Amyrlin Seat ti userà, finché non sarai consumato, proprio come furono usati Davian e Yurian Stonebow e Guaire Amalasan e Raolin Darksbane. Proprio come è usato Logain. Finché di te non resterà niente.»
«Non so…» Rand agitò la testa da una parte e dall'altra. Quel solo momento di pensiero chiaro, nato dall'ira, era sparito. I suoi pensieri continuavano a turbinare. Rand ne afferrò uno, zattera nel gorgo. Si costrinse a parlare, con voce man mano più forte. «Tu… sei imprigionato… a Shayol Ghul. Tu e tutti i Reietti… imprigionati dal Creatore fino alla fine del tempo.»
«La fine del tempo?» lo schernì Ba'alzamon. «Tu vivi come uno scarafaggio sotto la pietra e pensi che il tuo fango sia l'universo. La morte del tempo mi porterà un potere che non puoi nemmeno sognare, verme.»
«Tu sei imprigionato…»
«Sciocco, non sono mai stato imprigionato!» I fuochi del suo viso ruggirono con tanto calore che Rand indietreggiò, riparandosi con le mani. Il sudore sul palmo si asciugò per il calore. «Fui a fianco di Lews Therin Kinslayer, quando compì il misfatto che gli valse il soprannome. Fui io a dirgli di uccidere la propria moglie e i propri figli e tutta la propria stirpe e ogni persona che amava o da cui era amato. Fui io a dargli il momento di lucidità perché sapesse che cosa aveva fatto. Hai mai sentito un uomo urlare fino a perdere l'anima, verme? Poteva colpirmi, allora. Non avrebbe vinto, ma poteva tentare. Invece chiamò su di se il suo prezioso Potere, tanto che la terra si aprì e innalzò Montedrago per segnare la sua tomba. Mille anni dopo, mandai i Trolloc a depredare il meridione e per tre secoli essi devastarono il mondo. Quelle stolte e cieche di Tar Valon dissero che ero stato infine sconfitto, ma il Secondo Patto, il Patto delle Dieci Nazioni, era infranto senza rimedio e chi rimase a opporsi a me, allora? Io sussurrai nell'orecchio di Artur Hawkwing e la terra Aes Sedai morì in lungo e in largo. Io sussurrai di nuovo e il Gran Monarca mandò i suoi eserciti al di là dell'oceano Aryth e del Mare del Mondo, e con questo atto sancì due condanne. La condanna del suo sogno di una sola terra e di un solo popolo, e una condanna ancora da venire. Ero al suo capezzale, quando i consiglieri gli dissero che solo le Aes Sedai potevano salvargli la vita. Parlai, e lui ordinò d'impalare i consiglieri. Parlai, e le ultime parole del Gran Monarca furono l'ordine di distruggere Tar Valon. Se uomini del valore di costoro non hanno potuto opporsi a me, quale possibilità hai tu, rospo acquattato accanto a una pozza della foresta? Servirai me, oppure ballerai ai fili delle Aes Sedai, fino alla tua morte. E poi sarai mio! I morti appartengono a me!”

Robert Jordan (1948–2007) scrittore statunitense

Rand e Ba'alzamon, capitolo 14
La ruota del tempo. L'occhio del mondo

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“La morte potrebbe essere il sogno se, tratto tratto, si potesse aprire un occhio.”

Jules Renard (1864–1910) scrittore e aforista francese

24 maggio 1902; Vergani, p. 196
Diario 1887-1910

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“L'uomo che per capire se è fresco bisogna guardargli l'occhio.”

Luciana Littizzetto (1964) attrice, cabarettista e doppiatrice italiana

31 gennaio 2016
Che tempo che fa

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“Occhio per occhio, in questo mondo siamo tutti ciechi.”

Rayden (1985) rapper e beatmaker italiano

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“Visto che gli elementi non sono percettibili all'occhio, come visibili potrebbero essere le cose fatte da essi? Così dicendo, Tu hai, ecco, negato la possibilità di percepire la materia.”

Nāgārjuna (150–250) monaco buddhista indiano

5
Quattro Laudi, Laude del Trascendente il Mondo
Origine: Il riferimento è ai cinque elementi cosmici delle tradizioni hindu.

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“[Michelangelo Merisi da Caravaggio] La sua ostinata deferenza al vero poté anzi confermarlo nella ingenua credenza che fosse "l'occhio della camera" a guardar lui e a suggerirgli tutto. Molte volte dovette incantarsi di fronte a quella "magia naturale"; e ciò che più lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non è punto necessaria la figura umana, se, uscita questa dal suo campo, esso seguita a specchiare il pavimento inclinato, l'ombra sul muro, il nastro caduto a terra. Che altro potesse conseguire a questa risoluzione di procedere dipingendo per specchiatura diretta della realtà, non è troppo difficile intendere. Ne conseguiva la tabula rasa del costume pittorico del tempo che, preparandosi gli argomenti in carta e matita per via di erudizione storica e di astrazione stilizzante, aveva elaborato una complessa classificazione del rappresentabile, dove, per meglio servire alla società di allora, non poteva che preferirsi l'aspetto della classe dominante. Ma il Caravaggio pensa invece alla vita comune, ai sentimenti semplici, all'aspetto feriale delle cose che valgono, nello specchio, come gli uomini. […] Anche il Caravaggio avvertiva il pericolo di ricadere nell'apologetica del corpo umano, sublimata da Raffaello o Michelangelo, o magari nel chiaroscuro melodrammatico del Tintoretto. Ma ciò che gli andava confusamente balenando era ormai non tanto il rilievo dei corpi quanto la forma delle tenebre che li interrompono. Lì era il dramma della realtà più portante ch'egli intravedeva dopo le calme specchiature dell'adolescenza. E la storia della religione, di cui ora si impadroniva, gli tornava come un seguito di drammi brevi e risolutivi la cui punta non può indugiarsi nella durata sentimentale delle trasparenze, anzi inevitabilmente s'investe del lampo abrupto della luce rivelante, fra gli strappi inconoscibili dell'ombra. Uomini e santi si sarebbero impigliati in quel tragico scherzo. Giacché, per restar fedeli alla natura del mondo, occorreva far sì che il calcolo dell'ombra apparisse come casuale, e non causato dai corpi; ove volesse esimersi dal riattribuire all'uomo la sua funzione umanistica dirimente, di eterno protagonista e signore del creato. Perciò il Caravaggio seguitò, e fu fatica di anni, ad osservare la natura della luce e dell'ombra incidentali. […] Chi non sa che il Tintoretto studiava al lume di lucerna, non già il vero, ma i modellini della Cappella Medicea? E che i modellini del Greco erano cere dove si stiravano in una poetica follia le ultime spire laocoontiche del disegno 'serpentinato'? Ma ora è la realtà stessa a venir sopraggiunta dal lume per 'incidenza': il caso, l'incidente luminoso, diventano causa efficiente della nuova pittura (o poesia). Non v'è Vocazione di Matteo senza che il raggio, assieme col Cristo, entri dalla porta socchiusa e ferisca quel turpe spettacolo dei giocatori d'azzardo. In effetto Caravaggio stagliò questa sua "descrizione di luce", questo poetico "fotogramma", quando l'attimo di cronaca gli parve emergere, non dico con un rilievo, ma con uno spicco, con un'evidenza così memorabile, invariabile, monumentale, come dopo Masaccio non s'era più visto.”

Roberto Longhi (1890–1970) storico dell'arte italiano

citato in Caravaggio, pp. 187-188
Il Caravaggio

“Il Padre Cristoforo è certamente la persona più alta, più ideale del romanzo, è quella che rivela di più le vie misteriose che congiungono il finito con l'infinito. Pare che in lui la religione non sia, a così dire, che una forma che ha assunto la sua stoica virtù, il suo sentimento imprescindibile del dovere. Gli altri personaggi, se ebbero qualche merito in terra, ebbero pure in terra la loro ricompensa. Renzo e Lucia hanno sopravvissuto alla peste per unirsi insieme con nodi che non li separeranno più. Don Abbondio ha la consolazione, grandissima per lui, di veder sparire dal mondo colui che lo teneva in tanta paura. L'Innominato vede quelli stessi ch'egli aveva offeso, rispettarlo e riverirlo. Ma il Padre Cristoforo è cacciato, fatto viaggiare lungi da ciò che aveva di più caro; egli va attraverso la vita oscuro, mendico, paziente; egli va a raccogliersi dove sono più guai, dove più l'uomo soffre tra le piaghe e il tanfo, estenuato, col corpo oppresso ma coll'anima pronta e placida. Il nostro cuore che è affezionato a lui, che lo ammira, gode di vederlo uscire da tanta miseria, e appena ci si sottrae all'occhio qui sulla terra, noi non possiamo a meno di vederlo in cielo. È il Padre Cristoforo solo, adunque, che ci eleva l'anima a dire: dove e quando che sia la virtù non può fallire a una ricompensa. Se questo non fosse vero, la vita sarebbe un campo di guerra e di dolori spaventosi. L'anima ne sarebbe atterrita, ella non vorrebbe sostenerla. Dimenticate il cappuccio di P. Cristoforo, dimenticate i suoi zoccoli e la sua sporta che vi hanno talvolta fatto adirare, e troverete in lui un filosofo: non di coloro che gridano nelle cattedre per raccogliere a sera i plausi nei circoli, ma caritatevole e umile, e non rimane del cappuccino che quella cieca obbedienza colla quale lascia la contrada e Renzo e Lucia negli impacci.”

Giovita Scalvini (1791–1843) scrittore, poeta e patriota italiano

Origine: Foscolo, Manzoni, Goethe, pp. 245-246; in 1973, pp. 265-266

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“Se viene un marziano a Roma, vede una città allo sbando. Con periferie in condizioni difficilissime. Ad amici che dovevano andare a Tor Bella Monaca la polizia ha consigliato di non fermarsi ai semafori rossi con il motorino, per sicurezza. Hai una città nell’occhio del ciclone da anni per diecimila motivi. L’ultima cosa di cui hai bisogno sono le Olimpiadi.”

Roberto Perotti (1961) economista italiano

Origine: Dall'intervista Spesa pubblica, Perotti: «Dalle partecipate ai troppi sussidi, ecco perché le riforme hanno fallito» http://www.corriere.it/economia/16_settembre_03/spesa-pubblica-perotti-dalle-partecipate-troppi-sussidi-ecco-perche-riforme-hanno-fallito-7998c5de-7217-11e6-a5ab-6335286216cb.shtml, Corriere.it, 3 settembre 2016.

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“Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti. Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.”

cap. VIII
I promessi sposi

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“Occhio a chi spinge a cambiare Ranieri. Quando sono arrivato ho sempre fatto di più di chi mi aveva preceduto, e quando sono andato via chi è arrivato ha fatto peggio.”

Claudio Ranieri (1951) allenatore di calcio e ex calciatore italiano

Origine: Citato in Ranieri: "Occhio a mandarmi via" http://www.sport.it/calcio/roma/roma-ranieri-occhio-a-mandarmi-via/, Sport.it, 29 ottobre 2010.

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“Perché l'importante non è mai il libro, ma l'occhio con cui lo leggi. Ed è un occhio che si forma a furia di leggere, ma soprattutto di vivere: a occhi aperti.”

Massimo Gramellini (1960) giornalista e scrittore italiano

Illusioni della convalescenza, pos. 3502
Cuori allo specchio

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“[Riferendosi al suo periodo al Brescia] Quando Roby si allenava, dava sempre tutto. Sembrava sempre un ragazzino, ed io lo invidiavo. In quel periodo faceva da chioccia a molti di noi. Diceva sempre, per ogni problema o consiglio, io sono qui… All'epoca ero giovane, ed a volte capitava che mi alzavo dal letto con zero voglia di allenarmi. Capitò un periodo in cui fallivo molte occasioni da goal. La porta non la vedevo proprio. Un giorno Roby, in allenamento, mi vide giù di morale, si avvicinò a me e disse: Luca, nel calcio capitano quei momenti, non ti abbattere, se posso darti un consiglio, quando sei davanti alla porta, prima di tirare, con l'occhio guarda per un secondo il portiere. Sembra una stronzata, ma in quel momento capisci che intenzioni ha. Ricordati che la porta è di sette metri, ed il portiere occupa solo un settimo dello specchio… A fine allenamento, rimaniamo a fare un po' di uno contro uno con il portiere. Parto prima io e poi tu. Guardami però, così vedi un po' quello che faccio io… Non sto qui a raccontarvi che lui fece sempre goal. Da lì però imparai ad essere più calmo, e da quel giorno anche grazie a Roberto, non mi sono più fermato.”

Luca Toni (1977) calciatore italiano

Origine: Da un'intervista rilasciata al Corriere dello Sport, citato in Luca Toni racconta Roberto Baggio http://hellaslive.it/news/luca-toni-racconta-roberto-baggio/, HellasLive.it, 25 gennaio 2016.

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“E il babbo diceva è perché sei vergine: non vedi? Le donne non sono mai vergini. La purezza è uno stato negativo e perciò contronatura. È la natura che ti fa soffrire non Caddy e io dicevo Queste sono soltanto parole e lui diceva Anche la verginità è una parola e io dicevo tu non sai. Non puoi sapere e lui diceva Sì. Nell'attimo, in cui si arriva a rendersene conto si scopre che non è più una tragedia.
Dove cadeva l'ombra del ponte potevo spingere lo sguardo molto in basso, ma non fino al fondo. Quando lasci una foglia nell'acqua per molto tempo dopo un po' il tessuto se ne va e restano le fibre delicate a ondeggiare con la stessa lentezza dei movimenti che si fanno nel sonno. Non si toccano, anche se prima formavano un groviglio… E forse quando Lui dirà Sorgete anche gli occhi verranno a galla, dal silenzio e dal sonno dell'abisso, per contemplare la sua gloria.
Non vedevo il fondo ma potevo spingere lo sguardo molto in basso nel moto dell'acqua, prima che l'occhio si desse per vinto, e allora vidi un'ombra sospesa come una grossa freccia che andava contro corrente. Le effimere entravano e uscivano dall'ombra del ponte sfiorando la superficie. Se di là ci fosse almeno un inferno: la pura fiamma noi due più che morti. Allora tu avrai soltanto me allora solo me allora noi due tra l'esecrazione e l'orrore oltre la pura fiamma… Il vorticce che svaniva fu portato via fu portato via dalla corrente e allora rividi la freccia, ferma a un palmo dalla superficie, tremare appena al moto dell'acqua sopra la quale le effimere volteggiando si posavano.
Tu e io soltanto allora tra l'esecrazione e l'orrore in un cerchio di pura fiamma”

The Sound and the Fury

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“Solo quello che vedi con la coda dell'occhio ti tocca nel profondo.
(E. M. Forster)”

Alan Bennett (1934) scrittore, drammaturgo e sceneggiatore britannico

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“In biblioteca, attraverso la porta aperta, vide Blay e Saxton che parlavano. Poi suo cugino fece un passo avanti e prese Blay tra le braccia. Rimasero cosi, stretti l'uno contro l'altro; Qhuinn fece un respiro profondo e si sentì morire un pochino anche lui. Ecco come siamo finiti, pensò. Vite separate, futuri separati. Difficile credere che all'inizio erano inseparabili… All'improvviso gli occhi azzurri di Blay incrociarono i suoi.
E ciò che Qhuinn vi colse lo fece vacillare: quel volto splendeva d'amore, un amore puro e inalterato dalla timidezza che era parte integrante del suo riserbo. Blay non distolse lo sguardo. E per la prima volta… non lo fece neanche Qhuinn. Non sapeva se quell'emozione era legata a suo cugino - probabilmente sì - ma decise di godersela: guardò Blaylock dritto negli occhi, lasciando trasparire sul suo viso tutto ciò che aveva nel cuore. Lo lasciò trapelare in piena libertà. Perché c'era una lezione nella cerimonia funebre di quella sera: possiamo perdere in un batter d'occhio quelli che amiamo. E quando succede, c'è da scommetterci, non pensiamo a tutti i motivi che avrebbero potuto dividerci: pensiamo a tutti i motivi che ci univano. E di sicuro rimpiangiamo amaramente di non aver avuto più tempo a disposizione, anche se abbiamo avuto secoli e secoli… Da giovani pensiamo che il tempo sia un peso, qualcosa da scaricare il prima possibile per poter crescere. Ma è un tragico errore… da adulti capiamo che i minuti e le ore sono la cosa più preziosa che abbiamo. Nessuno ha a disposizione tutta l'eternità ed è un delitto sprecare il tempo che ci è dato da vivere. Basta, pensò Qhuinn. Basta con le scuse, basta scappare, basta cercare di essere qualcun altro, chiunque altro. Anche se restava fregato, anche se il suo prezioso piccolo ego e il suo stupidissimo cuoricino andavano in mille pezzi, era ora di piantarla con le stronzate. Era ora di comportarsi da persona matura. Esatto, amico, pensò Qhuinn vedendo che Blay cominciava a raddrizzarsi come se avesse colto il messaggio. Il nostro futuro è arrivato.”

Jessica Bird (1969) scrittrice statunitense

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“L'occhio di Parigi. (Henry Miller)”

Brassaï (1899–1984) fotografo ungherese
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“Nel laboratorio medico della colonia Bishop era chino su una sonda ottica. Sotto le lenti giaceva un frammento campione di uno dei mostriciattoli morti, prelevato da un esemplare del più vicino cilindro di stasi. Anche morta, la creatura sembrava minacciosa, stesa sul dorso sul banco di dissezione. Le zampe prensili sembravano costruite appositamente per artigliare il volto di chi si avvicinasse troppo, la potente coda per far balzare la bestia attraverso la stanza con un solo colpo.
La struttura interna era affascinante come quella esterna, e Bishop era assorbito dallo studio di un occhio. Combinando la potenza analizzatrice della sonda con la versatilità della propria vista artificiale, era in grado di scoprire una quantità di elementi sfuggiti ai coloni.
Una delle domande che lo interessavano in modo particolare e a cui era ansioso di trovare risposta riguardava la precisa possibilità di un parassita alieno di introdursi in un organismo sintetico come il suo, radicalmente diverso dalla struttura di un essere umano esclusivamente biologico. Un parassita sarebbe stato in grado di avvertire la differenza? E se avesse cercato di utilizzare un androide come ospite, quali potevano essere i risultati di questa unione forzata? Si sarebbe semplicemente staccato alla ricerca di un altro corpo, od avrebbe tranquillamente deposto l’embrione di cui era portatore in un ospite artificiale? Se così, l’embrione sarebbe stato capace di crescere, oppure sarebbe stato il più sorpreso dei due scoprendo di dover maturare all’interno di un corpo privo di carne e sangue?
Un robot poteva essere attaccato dai parassiti?”

Alan Dean Foster (1946) scrittore statunitense

Origine: Aliens scontro finale, p. 86

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“L'occhio di Parigi.”

Henry Miller (1891–1980) scrittore, pittore e saggista statunitense

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“Gli ambasciadori sono l'occhio e l'orecchio degli stati.”

Francesco Guicciardini (1483–1540) scrittore, storico e politico italiano

Storia d' Italia (1537-1540)

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“In terra di ciechi chi vi ha un occhio è signore.”

Niccolo Machiavelli (1469–1527) politico, scrittore, storico italiano

The Mandrake (1524)

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