Frasi su sentimento
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“Dopo le metafore, la farmacia. Così si sgretolano i grandi sentimenti.”

Emil Cioran (1911–1995) filosofo, scrittore e saggista rumeno

Sillogismi dell'amarezza

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“Non ho paura del sesso, non ho paura dei sentimenti, non ho paura dei miei desideri.”

Aldo Busi (1948) scrittore italiano

Citazioni tratte da programmi televisivi

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“Lei è di quelli che credono che noi ricchi non abbiamo sentimenti.""Li avete. Ma meno drammatici. Le vostre sofferenze vi costano meno o le pagate meno”

Manuel Vázquez Montalbán (1939–2003) scrittore, saggista e poeta spagnolo

Origine: Da I mari del Sud, traduzione di Hado Lyria, Feltrinelli, 2016.

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“L'anima juventina è un complesso modo di sentire, un impasto di sentimenti, di educazione, di bohemien, di allegria e di affetto, di fede alla nostra volontà di esistere e continuamente migliorare.”

Enrico Canfari (1877–1915) calciatore e dirigente sportivo italiano

da un documento autografo citato dalla rivista ufficiale Hurrà il 26 dicembre 1915

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“La mente degli esseri umani è sottosviluppata: i sentimenti la condizionano ancora.”

Leiji Matsumoto (1938) fumettista e animatore giapponese

Cleo
Capitan Harlock serie classica Space Pirat, Episodio 40, La nave del miraggio

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“La gente mi definisce femminista quando esprimo sentimenti che mi rendono diversa da uno zerbino.”

Rebecca West (1892–1983) scrittrice britannica

citato in Sophie Grillet, Non sono femminista, ma...

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“La Juventus era una squadra che non avevo mai amato e che probabilmente non amerò mai, […]. La Juventus era un ambiente totalmente nuovo per me. Diverso. Non mi sono mai sentito a casa, mi sembrava di essere l'ingranaggio di una grande azienda. Per il sentimento, prego rivolgersi altrove. Sul lavoro tutto bene, fuori zero contatti.”

Carlo Ancelotti (1959) allenatore di calcio ed ex calciatore italiano

cap. 15
Preferisco la coppa
Origine: Ripreso dal quotidiano sportivo spagnolo Marca alla vigilia dell'incontro Juventus-Real Madrid del 5 maggio 2015, valevole per le semifianli di Champions League 2014/15. Ancelotti: «Juve? Un club che non ho mai amato» http://www.tuttosport.com/calcio/serie_a/juventus/2015/05/04-330041/Ancelotti%3A+%C2%ABJuve%3F+Un+club+che+non+ho+mai+amato%C2%BB, Tuttosport.com.

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“Il sipario si alza; ascolto attenta questi bei versi concisi e fermi che comprendo più facilmente della lingua parlata: è scultura greca e romana. Nei drammi di Alfieri, che chiamerei volentieri stoici, a forza di sobrietà nell'azione e di laconicità nel linguaggio, la commozione vi coglie, per così dire, senza che ve ne rendiate conto, s'impone a grandi tratti attraverso alcune figure che personificano con semplicità sentimenti eterni. Nell'Oreste, è prima di tutto Elettra che s'impossessa della nostra anima. Il suo lutto filiale, la sua angoscia incessante per un fratello che ritrova, ma che il trionfante assassino del loro padre cerca bramosamente e minaccia, sostengono l'azione fino al quarto Atto. Allora l'azione prorompe spaventosa e sublime; essa vi associa a tutti i combattimenti e a tutte le lacerazioni delle passioni umane: è come una mischia sconvolgente di istinti e dolori contrari […] Questo quarto atto dellOreste di Alfieri è una delle cose più belle che abbia visto a teatro: ascoltandolo pensavo alle puerili dispute di scuola, alle ingiustizie e agli accecamenti reciproci dei due campi che rinchiudono il sublime in uno stampo arbitrariamente prescritto. Il sublime piomba su noi come un uccello divino; si abbatte dall'alto, ci rapisce sulle sue ali che fremono e planano; noi ci abbandoniamo alla sua imperiosa ascesa, incuranti della forma e del colore delle sue penne: così fece la folla quella sera.”

Louise Colet
Oreste, Citazioni sull<nowiki>'</nowiki>Oreste

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“Il vero sentimento è un test in continua sperimentazione.”

Prevale (1983) disc jockey, produttore discografico e conduttore radiofonico italiano

Origine: prevale.net

“Einstein, per quel sentimento di umiltà, riverenza e meraviglia e per il suo senso di unità con l'universo, va annoverato tra i grandi mistici.”

Banesh Hoffmann (1906–1986)

Origine: Da Albert Einstein: Creator and Rebel, Viking, New York, 1972, p. 94.

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“Certamente non siamo gli unici animali che vivono l'esperienza del dolore e della sofferenza. In altre parole, non c'è una linea netta tra l'animale uomo e il resto del regno animale. È una linea indistinta e lo sarà sempre…
La paura in una scimmia, un cane, un maiale, viene vissuta verosimilmente alla stessa maniera della specie umana. Giovani animali, umani o di altre specie, mostrano, difatti, comportamenti simili quando sono ben nutriti e sicuri – sono vivaci, saltellano, fanno piroette, rimbalzano, fanno capriole – tanto che è difficile non credere che non provino sentimenti molto simili. Essi sono, in altre parole, pieni di gioia di vivere – sono felici… un giovane scimpanzé, dopo la morte della sua mamma, mostra un comportamento simile alla depressione che affligge i bambini – postura incurvata, dondolio, occhi offuscati fissi nel vuoto, perdita di interesse per quanto accade attorno a sé. Se un piccolo d'uomo può soffrire di dolore, così può soffrire un giovane scimpanzé…
…stare a chiedersi se scimpanzé, elefanti, cani e così via, sperimentino felicità, tristezza, disperazione, rabbia, è uno spreco di tempo – poiché queste cose sono evidenti a chiunque abbia… sperimentato nella sua vita una conoscenza degli animali.”

Jane Goodall (1934) etologa e antropologa britannica

Origine: Da Premessa, in Marc Bekoff, La vita emozionale degli animali; citato in Marini, [//books.google.it/books?id=fDaVAwAAQBAJ&pg=PA185 p. 185].

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“Bisognerebbe saper attendere, raccogliere, per una vita intera e possibilmente lunga, senso e dolcezza, e poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide. Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano precocemente), sono esperienze. Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprendere il gesto con cui i piccoli fiori si aprono al mattino. Bisogna saper ripensare a itinerari in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell'infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando portavano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a malattie infantili che cominciavano in modo così strano con tante profonde e grevi trasformazioni, a giorni in stanze silenziose e raccolte e a mattine sul mare, al mare sopratutto, a mari, a notti di viaggio che passavano con un alto fruscio e volavano assieme alle stelle - e ancora non è sufficiente poter pensare a tutto questo. Bisogna avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si rimarginano. Ma bisogna anche essere stati accanto ad agonizzanti, bisogna essere rimasti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori intermittenti. E non basta ancora avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando diventano sangue in noi, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, soltanto allora può accadere che in un momento eccezionale si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso.”

The Notebooks of Malte Laurids Brigge

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“Sentimento senza azione è la rovina dell'anima.”

Edward Abbey (1927–1989) scrittore

Deserto solitario

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“Io non sono vecchio! Non vogliono dir nulla settantaquattro anni! Cinquant'anni non sono nulla, non mi separano affatto dalla giovinezza. Se mi volto, dietro le mie spalle c'è la giovinezza chiara, nitida, e dietro c'è la fanciullezza, ancora più chiara e nitida di quando avevo vent'anni. I pensieri sono con me, li devo ancora sviluppare, e così i sentimenti, i desideri: li devo ancora appagare! Io non sono affatto sazio di vita, comincio appena ora ad assaporarla! Perché mi mettete addosso questi dolori artritici, queste rughe che mi fanno ghignare mentre non ghigno affatto, queste borse di pelle? Perché m'impastoiate come un mulo e mi accecate? Perché mi otturate le orecchie? E perché mi guardate con quegli occhi che trovano maturale che io muoia? C'è un errore, ve lo giuro! Arrivate alla mia età e ve ne accorgerete! Ma allora avrete anche voi un bel gridare, e quelli che avranno i venti, i trenta, i quaranta, i cinquant'anni che adesso avete voi non vi crederanno, e vi conforteranno col tono bonario che si usa con i pazzi quando dicono d'essere sani!". Paolo uscì; tremava leggermente. Come poteva un uomo ridursi così? Era chiaro: niente mai meditazione, niente mai volontà, niente mai autocritica, e quindi niente coraggio, niente dignità, niente luce intellettuale, niente superiorità sulla morte. Lo spirito, relegato nella stiva del corpo, costretto a servirlo per renderne infiniti i godimenti, ora si limitava a sbattere le sue catene per annunziare che il padrone colava a picco.”

Vitaliano Brancati (1907–1954) scrittore, sceneggiatore
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“E mi svolse (fors'anche perché fossi preparato a gli esperimenti spiritici, che si sarebbero fatti questa volta in camera mia, per procurarmi un divertimento) mi svolse, dico, una sua concezione filosofica, speciosissima, che si potrebbe forse chiamare lanterninosofia. Di tratto in tratto, il brav'uomo s'interrompeva per domandarmi: – Dorme, signor Meis? E io ero tentato di rispondergli: – Sì, grazie, dormo, signor Anselmo. Ma poiché l'intenzione in fondo era buona, di tenermi cioè compagnia, gli rispondevo che mi divertivo invece moltissimo e lo pregavo anzi di seguitare. E il signor Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non siamo come l'albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l'aria, la pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch'esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna. E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione? – Dorme, signor Meis? – Segua, segua pure, signor Anselmo: non dormo. Mi par quasi di vederlo, codesto suo lanternino. – Ah, bene… Ma poiché lei ha l'occhio offeso, non ci addentriamo troppo nella filosofia, eh? e cerchiamo piuttosto d'inseguire per ispasso le lucciole sperdute, che sarebbero i nostri lanternini, nel bujo della sorte umana. Io direi innanzi tutto che son di tanti colori; che ne dice lei? secondo il vetro che ci fornisce l'illusione, gran mercantessa, gran mercantessa di vetri colorati. A me sembra però, signor Meis, che in certe età della storia, come in certe stagioni della vita individuale, si potrebbe determinare il predominio d'un dato colore, eh? In ogni età, infatti, si suole stabilire tra gli uomini un certo accordo di sentimenti che dà lume e colore a quei lanternoni che sono i termini astratti: Verità, Virtù, Bellezza, Onore, e che so io… E non le pare che fosse rosso, ad esempio, il lanternone della Virtù pagana? Di color violetto, color deprimente, quello della Virtù cristiana. Il lume d'una idea comune è alimentato dal sentimento collettivo; se questo sentimento però si scinde, rimane sì in piedi la lanterna del termine astratto, ma la fiamma dell'idea vi crepita dentro e vi guizza e vi singhiozza, come suole avvenire in tutti i periodi che son detti di transizione. Non sono poi rare nella storia certe fiere ventate che spengono d'un tratto tutti quei lanternoni. Che piacere! Nell'improvviso bujo, allora è indescrivibile lo scompiglio delle singole lanternine: chi va di qua, chi di là, chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via: si urtano, s'aggregano per un momento in dieci, in venti; ma non possono mettersi d'accordo, e tornano a sparpagliarsi in gran confusione, in furia angosciosa: come le formiche che non trovino più la bocca del formicajo, otturata per ispasso da un bambino crudele. Mi pare, signor Meis, che noi ci troviamo adesso in uno di questi momenti. Gran bujo e gran confusione! Tutti i lanternoni, spenti. A chi dobbiamo rivolgerci? Indietro, forse? Alle lucernette superstiti, a quelle che i grandi morti lasciarono accese su le loro tombe?”

Luigi Pirandello (1867–1936) drammaturgo, scrittore e poeta italiano premio Nobel per la Letteratura nel 1934

Cap XIII

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“Vediamo dunque, qual è il processo da cui risulta quella particolar rappresentazione che si suol chiamare umoristica; se questa ha peculiari caratteri che la distinguono, e da che derivano; se vi è un particolar modo di considerare il mondo, che costituisce appunto la materia e la ragione dell'umorismo. […] Ho già detto altrove, e qui m'è forza ripetere– l'opera d'arte è creata dal libero movimento della vita interiore che organa le idee e le immagini in una forma armoniosa, di cui tutti gli elementi han corrispondenza tra loro e con l'idea madre che le coordina. […] Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un "avvertimento del contrario".
Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico. […] non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt'al più sorridere.”

Luigi Pirandello (1867–1936) drammaturgo, scrittore e poeta italiano premio Nobel per la Letteratura nel 1934

da L'umorismo
Citazioni di Jacopo marino