Frasi su tettoia

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema tetto, tettoia, casa, stesso.

Frasi su tettoia

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“Capirai che il cielo è bello perché | in fondo fa da tetto a un mondo pieno di paure e lacrime.”

Cesare Cremonini (1980) cantautore, attore e musicista italiano

da Vieni a vedere perché, n. 10
Bagus

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“Il pianeta più strano di cui ho sentito raccontare è il pianeta della Sacra Merda. In esso la merda è la più grande ricchezza, la moneta con cui si compra tutto. Gli abitanti non hanno portafogli: ma grossi vasi che portano in giro, e più sono grossi e puzzano e più si vantano. Le banche sono dei giganteschi pozzi neri, guardati a vista da poliziotti e vigilantes. Qua si effettuano i versamenti. Dai più piccoli, alla vecchina che viene a consegnare due palline da coniglio, tutti i suoi risparmi, al commerciante che viene a portare l'incasso della giornata, una carriolona ben odorosa. Naturalmente, nelle case non si dice "vado nel bagno", ma si dice "metto nel salvadanaio". Ogni bambino ha il suo vasino fatto a maialino. Ahimè! Anche in questo paese c'è chi vende anima e corpo, per diventare merdoso a dismisura! C'è chi rapina, e sotto la minaccia di una pistola ti obbliga a depositare lì, per strada, tutto il malloppo che hai in pancia! Se qualcuno, incautamente, si ferma in un prato per fabbricare un po' di contante, stia attento che nel breve tempo che si tira su i pantaloni, qualcuno gli avrà già sottratto il suo bene. Per non parlare degli esibizionisti: quelli che quando entrano al ristorante, eccoli mettere merda qua e là in mano ai camerieri: e lasciano come mancia uno stronzo come un cotechino: e dicono, non per vantarmi, ma ho tanta merda che non so più dove metterla! L'economia in questo pianeta è naturalmente soggetta agli sbalzi di questo genere primario: qui la mancanza di investimenti si chiama stipsi, e l'inflazione si chiama diarrea. Speriamo di mantenere il tetto della diarrea sotto il dieci per cento, dicono i governanti. E poi scoppiano gli scandali, e si scopre che segretamente i governanti prendevano quintali di merda dagli industriali e chiudevano un occhio sul contrabbando di merda all'estero. Esistono anche le cambiali, uno può acquistare una macchina, ad esempio, prendendo dieci purganti al momento dell'acquisto: ma poi se la cambiale andrà in protesto, sarà dichiarata panciarotta. E ci saranno perquisizioni e a volte anche sequestri da parte di chirurghi-finanzieri. Ma questo capita ai pochi sfortunati: questo pianeta è ricco. Tutti i mesi, ogni giorno sei, San Libero, si fa la festa della Santa Merda. I più grandi merdoni del paese convengono con grandi macchine color crema e marron, e riempiono saloni pieni di lampadari e bei quadri e porcellane da bagno. Le signore sono vestite tutte di bianco e i signori in rosa. Si sente dire: lo vedi quello? Ha fatto la merda con le bische: è un parvenù. Quello invece: uh, è di sangue blu, la sua famiglia è sempre stata un letamaio. E tutti ballano, e soprattutto scorreggiano, per mostrare la loro ricchezza. Le grosse signore scorreggiano in tonalità di bordone gonfiando come vele i vestitoni stretti di raso, le giovani signori scorreggiano deliziosamente con virtuosismi di flauto e clarinetto, i ricchi commercianti petano come cannoni scambiandosi pacche sulle spalle, gli intellettuali sfiatano con grande sofferenza, spiegando che la merda non è poi tutto al mondo, i giovani brillanti tirano bronze pungenti che alzano le falde dei loro frac in eleganti impennate, i vecchi nobili brontolano e spetazzano e non raramente nel far ciò cade nelle loro mutande qualche spicciolo, i bambini trillano ventini, i neonati pigolano e il padrone di casa, apparendo sulla soglia rosso e trionfale, spara un peditone storico con fremente interminabile premito che scrolla le cristallerie e a voce alta dice: "Il pranzo è servito!" E tutti vanno a lavarsi le mani.”

Stefano Benni (1947) scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano
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“Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue, ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite. Di rado gli appartenenti ad una famiglia crescono sotto lo stesso tetto.”

Illusions: The Adventures of a Reluctant Messiah
Illusioni
Variante: Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue, ma quello del rispetto e della gioia. Di rado gli appartenenti a una famiglia crescono sotto lo stesso tetto.

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“Scrissi col lapis, sopra la punteggiatura, come vogliono appunto le convenzioni internazionali che tutelano il diritto delle genti: "Signora, robustizza pacco pentachìlo a 1/2 cedola all'uopàta evitando medicincarte et infiammabili. Pàccami lancorredo, sigartabacco e seccacastagne. Se però credi castagne ben cotte possano giovare al bambino, non inviarle. Non mi manca niente. Di una sola cosa ti prego: che la sera della vigilia di Natale tu imbandisca la tavola nel modo più lieto possibile. Fai schiodare la cassa delle stoviglie e quella della cristalleria; scegli la tovaglia migliore, quella nuovissima piena di ricami; accendi tutte le lampade. E prepara un grosso albero di Natale con tante candeline, e prepara con cura il presepe vicino alla finestra, come l'anno scorso. Signora, io ho bisogno che tu faccia questo. Il mio pensiero ogni notte varca il reticolato: lo so, ti riesce difficile figurarti il mio pensiero che varca il reticolato. Il pensiero è un soffio di niente e non ha volto: e allora figurati che io stesso, ogni notte, esca dal recinto. Figurati un Giovannino leggero come un sogno e trasparente come il vento delle serenissime e gelide notti invernali. Io, ogni notte, approfitto del sonno degli altri e mi affido all'aria e trasvolo rapido gli sconfinati silenzi di terre straniere e città sconosciute. Tutto è buio e triste sotto di me, e io affannosamente vado cercando luce e serenità. Rivedo la Madonnina del Duomo, ma le strade e le piazze non sono più quelle di un tempo, e stento a ritrovare il nostro quarto piano. Signora, non dire che sono il solito temerario se entro in casa dal tetto: anzi, loda la mia prudenza se non mi avventuro lungo le macerie della scala. E poi il tetto è scoperchiato e si fa più presto. Riconosco lo scheletro delle nostre stanze e ricerco i nostri ricordi nascosti sotto i rottami dei muri crollati. Tutto è buio, freddo e triste anche qui, e soltanto se la luna mi assiste riesco a scoprire sui brandelli delle tappezzerie che ancora pendono alle pareti, i riquadri chiari e la topografia dei nostri mobili. Per le strade deserte, cammina soltanto la paura vestita di luna. Su un brano di tappezzeria dell'ex-anticamera vedo un fiorellino. Uno strano fiore nero a cinque petali. Signora, rammenti quando Albertino decorò le nostre stanze con la piccola sciagurata mano intinta nell'inchiostro di China? Inutilmente vado a ricercare vestigia di giorni lieti fra le pareti dell'ufficio; le pareti non ci sono più, e il grande edificio è un cupo mucchio di cemento annerito dal fumo. Fuggo dalla città buia e silenziosa, e rivedo i luoghi dove, zitella, tu mi conoscesti zitello. Ma anche qui è squallida malinconia, e io mi rifugio alla fine nella casupola dove si accatastano i miei ultimi effetti e i miei primi affetti. Tu dormi, Albertino dorme, mia madre, mio padre dormono. Tutti dormono, e cercano forse di ritrovare in sogno il mio ignoto, lontano rifugio. I nostri mobili si affollano disordinatamente nelle esigue stanze immerse nell'ombra, e dentro le polverose casse del solaio le parole dei miei libri si sono gelate. Signora, io cerco un po' di luce, un po' di tiepida serenità, e invece non trovo che buio e freddo, e non posso ravvisare nel buio il volto di mio figlio, e sui laghi e sulle spiagge tutto è spento e abbandonato, tutto è silenzio, e io rinavigo verso il recinto e torno al mio pagliericcio portando il gelo nelle ossa del numero 6865. Signora, bisogna che, almeno la notte di Natale, il mio pensiero, fuggendo dal recinto, possa trovare un angolo tiepido e luminoso in cui sostare. Voglio tanta luce: voglio rivedere il vostro volto, voglio rivedere il volto dell'antica serenità. Altrimenti che gusto c'è a fare il prigioniero?" Qui ebbi la sensazione che le 24 righe stessero per finire, e mi interruppi. Le righe erano in effetti 138, e io avevo riempito le 24 mie, le 24 della risposta e altri cinque foglietti che stazionavano nei paraggi. Con estrema cura cancellai tutto e ricominciai da capo: "Signora, robustizza pacco pentachìlo a 1/2 cedola all'uopàta evitando medicincarte et infiammabili. Pàccami lancorredo, sigartabacco…"”

Giovannino Guareschi (1908–1968) scrittore italiano

Origine: Diario clandestino, pp. 31 a 34

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“Chi mai ti amerà se non ti ami da te?”

Giorgia (1971) cantautrice, musicista e produttrice discografica italiana

da La gatta (sul tetto), 2003

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“Ora faccio il cantante, anche se non so cantare. Ora faccio il contante, anche se non so contare.”

Gue Pequeno (1980) rapper italiano

da Sul tetto del mondo
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“Ora tirano dalla strada, dal campanile e dalle case più lontane. Gli sono addosso, non gli lasciano scampo. Di Nanni toglie di tasca l'ultima cartuccia, la innesta nel caricatore e arma il carrello. Il modo migliore di finirla sarebbe di appoggiare la canna del mitra sotto il mento, tirando il grilletto poi con il pollice. Forse a Di Nanni sembra una cosa ridicola; da ufficiale di carriera. E mentre attorno continuano a sparare, si rovescia di nuovo sul ventre, punta il mitra al campanile e attende, al riparo dei colpi. Quando viene il momento mira con cura, come fosse a una gara di tiro. L'ultimo fascista cade fulminato col colpo. Adesso non c'è più niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica. Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si vedono apparire uno alla volta fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e sconcertati, guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano. È in quell'attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta col pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia aperte nella strada stretta, piena di silenzio.”

Giovanni Pesce (1918–2007) partigiano e politico italiano

cap. VI, Morte e Trasfigurazione, pp. 144-145
Senza tregua: La guerra dei GAP

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“Lo sposi per attrazione sessuale? Vuoi costruire la casa cominciando dal tetto?”

Maria Luisa Spaziani (1922–2014) poetessa, traduttrice e aforista italiana

Aforismi

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“Dopo il tacchino sul tetto, la mucca in corridoio e il giaguaro da smacchiare, in 5 anni completo lo zoo.”

Pier Luigi Bersani (1951) politico italiano

Origine: 18 febbraio 2013; citato in Politica e casta, un anno da dimenticare Le 100 dichiarazioni peggiori del 2013 http://espresso.repubblica.it/palazzo/2013/12/30/news/politica-e-casta-che-anno-da-dimenticare-le-100-dichiarazioni-peggiori-del-2013-1.147398, Espresso.repubblica.it, 30 dicembre 2013.

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Questa traduzione è in attesa di revisione. È corretto?
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“Quando brucia il tetto, non serve né pregare né lavare il pavimento. Comunque pregare è più pratico.”

Karl Kraus (1874–1936) scrittore, giornalista e aforista austriaco

Detti e contraddetti

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“Spesso un tetto sul capo non permette alla gente di crescere.”

Stanisław Jerzy Lec (1909–1966) scrittore, poeta e aforista polacco

Pensieri spettinati

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“Si è tentato più volte, e ancora si tenta, di esprimere attraverso metafore la differenza tra il nostro mondo nordico e quello mediterraneo, suggerendo via via contrapposizioni come forma e movimento, sole e nebbia, il cipresso e la quercia, il tetto piatto e il tetto a punta. Credo che la contrapposizione fra la cisterna e la sorgente non sia meno adeguata. […] Lo stesso vale per la letteratura antica; la sua struttura complessiva non assomiglia a una rete fluviale ma a un sistema di locali chiusi collegati per mezzo di acquedotti. Di qui la straordinaria facilità di ricavarne citazioni, e di qui anche il fatto che i suoi «classici» sono tali in un senso del tutto diverso dal nostro. Questa possibilità di trovare ristoro nelle forme chiuse si riscontra anche nella grammatica; certe costruzioni participiali e soprattutto l'ablativo assoluto si incastonano nella prosa come piccole cisterne. Lo spirito della cisterna trova forse la sua rappresentazione più icatica nel racconto delle Mille e una notte sul facchino e le tre dame, mentre lo spirito della sorgente si esprime in modo insuperabile nella ballata goethiana del pescatore.
Ritrovato lo slancio, e conversando di queste cose, muovemmo verso la cima. Friedrich Georg fece qui l'osservazione che il Don Chisciotte è una vera cisterna di buon umore.”

Ernst Jünger (1895–1998) filosofo e scrittore tedesco

da Soggiorno in Dalmazia, pp. 39-40
Foglie e pietre

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“[Giovanni di Dio] Un riformatore poiché non mise che un solo malato per ciascun letto; egli fu il primo che pensò a dividere i malati in categorie; fu insomma il creatore dell'ospedale moderno; fu il primo a fondare il Workhouse aprendo nel suo ospizio una casa, dove i poveri senza tetto e i viaggiatori senza denari potevano dormire.”

Cesare Lombroso (1835–1909) medico, antropologo e criminologo italiano

Origine: Da L'uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all'estetica, Torino, 1894; citato in Igino Giordani, Il Santo della Carità ospedaliera.

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“[Alla domanda su cosa pensassero di lui i dirigenti Rai] Chillo ha da murì. […] Ci vogliono buttare fuori dal mercato. […] In teoria la Rai avrebbe un tetto massimo di raccolta pubblicitaria stabilito dal Parlamento. Non lo rispetta, sfora di 100 miliardi e nessuno la punisce. Adesso la magistratura indaga. Però sicuramente non se ne farà nulla. Parliamo d'informazione televisiva. È lottizzata. La Rai pensa solo al Palazzo.”

Silvio Berlusconi (1936) politico e imprenditore italiano

1989
Origine: Durante l'Excelsior Hotel Gallia di Milano; citato in Giorgio Lonardi, "La Rai vuole farci fuori" http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/10/04/la-rai-vuole-farci-fuori.html, la Repubblica, 4 ottobre 1989.

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“Il sonno del paradiso
Quella sera sorse la luna e saettò con le sue frecce d'argento la casa sotto l'albero del pane. La casa era vuota. Poi la luna, via via salendo, rischiarò tutto il mare e la scogliera. Penetrò la laguna fino ai più profondi e oscuri recessi. Illuminò le forme dei coralli e i fondi sabbiosi stampandovi sopra l'ombra dei pesci imbiancati anch'essi dal chiarore. L'equoreo signore della laguna emerse a salutarla, e il moto delle sue pinne ne ruppe i riflessi argentei sullo specchio dell'acqua, in mille lucenti increspature. Essa guardò le bianche ossa dello scheletro sulla scogliera. Poi, sbirciando attraverso gli alberi, s'insinuò giù nella valle, dove il grande idolo di pietra era rimasto a vigilare per cinquemila anni o forse più. Ai suoi piedi, nella sua ombra, quasi affidati alla sua protezione, nudi e avvinti, giacevano nel sonno profondo due esseri felici.
La lunga veglia dell'idolo, pur nella solitudine, non sarebbe stata triste, se allietata di quando in quando, a distanza di anni, da episodi come questo. Era avvenuto come tra le creature dell'aria. Un rito naturale, innocente, senz'ombra di colpa. Eran state nozze secondo Natura, senza pompa mondana, consumate con cinismo inconsapevole, all'ombra di una religione morta da migliaia d'anni.
Così felici si sentivano essi nella loro ignara maraviglia, che sapevano solo come la vita fosse d'improvviso mutata, il cielo e il mare fatti più azzurri, e se stessi divenuti magicamente l'uno parte dell'altra. E anche gli uccelli dell'albero proteso sopra l'umile tetto erano ugualmente beati nella loro ingenua ebbrezza d'amare.”

cap. IX, pp. 224-225
La laguna azzurra

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“Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all'incirca così. Su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi – suddivise in singoli strati – le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti gli altri, poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati. Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dall'orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali e coloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo. Larghi territori dei Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, in Africa la miseria di massa supera ogni immaginazione. Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rappresentata l'indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l'inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali… Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato.”

Max Horkheimer (1895–1973) filosofo tedesco

Origine: Citato in Lorenzo Guadagnucci, Restiamo animali, Terre di mezzo, Milano, 2012, p. 56. ISBN 978-88-6189-224-8

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“Questo non consolerà certo la Juventus, ma almeno la lotteria dell'Old Trafford è servita a sfatare la leggenda secondo cui, con l'eccezione degli ultimi Europei, sono gli italiani i più tremebondi dal dischetto nelle occasioni che contano. Gli errori di Donadoni e Serena nella semifinale di Napoli '90, quelli di Baresi, Massaro e Baggio a Pasadena '94, di Albertini e Di Biagio a Parigi '98: lapidi scolpite nel muro del pianto del calcio italiano. Stavolta no. […] E poi che significa autogestione, come fa Lippi a non decidere lui la lista? La decide, la decide. Ma solo scremando chi se la sente, chi non ha il muscolo che tira o l'occhio sbarrato dalla fatica e dalla tensione. E Carletto allora che ha tolto due rigoristi come Pirlo e Rui Costa quando ormai era chiaro che nessuno avrebbe fatto gol prima dell'alba? È il fascino – perverso – delle lotterie, a Roma nel '96 non aveva avuto paura Jugovic, a Manchester non l'ha avuta Shevchenko. E chissà se l'ha avuta Inzaghi, e davvero se l'è svignata come Falcao diciannove anni fa con il Liverpool, o se è stato Ancelotti a tenerlo lontano da un dischetto dove fa danni più della grandine. Il piatto destro di Platini a Tokyo issò la Juventus sul tetto del mondo. Due anni dopo contro il Real nemmeno riuscì a batterlo il suo rigore. Lo ha ricordato giusto l'altra sera, aggiungendo perfido: «Vidi solo la buca sul dischetto che avevano fatto Brio e Favero».”

Gigi Garanzini (1948) giornalista, scrittore e conduttore radiofonico italiano

30 maggio 2003

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“[…] chi è nato sotto un tetto di paglia non ha necessariamente paglia nel cranio.”

Abraham a Sancta Clara (1644–1709) predicatore e scrittore austriaco

Origine: Citato in François Fédier, Heidegger e la politica, p. 27

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“New York non è stata esattamente ciò che pensavo non mi ha accolta a braccia aperte. Il primo anno sono stata violentata sul tetto di un edificio dopo essere stata trascinata su con un coltello puntato alla schiena.”

Madonna (cantante) (1958) cantante statunitense

Citazioni di Madonna
Origine: Citato in Madonna: "Non vale la pena denunciare uno stupro, io non lo feci. È umiliante" http://www.repubblica.it/spettacoli/people/2015/03/13/news/madonna_non_vale_la_pena_denunciare_uno_stupro_io_non_lo_feci_e_umiliante_-109461000/, Repubblica.it, 15 marzo 2015.

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“[Sulla Porta Nuova a Palermo] L'altra porta guarda occidente e mezzogiorno. I due schiavi dalle braccia mozze ai lati ascoltano i venti che vengono d'Africa. Tutto il giorno ruote, scalpicii, il richiamo dei venditori ambulanti e quello dei dispensatori d'acqua su le panchette colorate – l'acqua nell'ombra dell'arco è splendida – con il loro frastuono sembrano ostacolare transiti più leggeri. Allato è un'abitazione di poche stanze, finestre con sbarre orizzontali, ricavata dalla base stessa del bastione. Ma il sole se ne và più presto qui, dietro le montagne che s'imbrunano subito, nelle costole della salita l'erbe si risvegliano per le mani dell'erborista, e in compenso di questo suo celarsi in anticipo il sole che nimbi che aloni lascia sui profili e le cime, raggiere simili a stecche d'un ventaglio d'opaco scarlatto o venato di viola, e su una nuvoletta varca e si colora di mese e di stagione, fa immaginare le fiammate del tramonto su le sabbie d'occidente. Così la sera viene prima, e col suo arrivo i rimbombi sotto la volta vanno affievolendo, i passaggi meno frequenti. […] L'ombra cresce, ancora poco e lo spazio dell'arco si colmerà d'azzurro già notturno, la calma peschiera dove estinguere ogni ansia. Le stelle seguono la loro strada, attente, come di grado in grado, forse sanno che le segue uno sguardo dal foro del tetto più alto o da una mobile piattaforma di acciaio. Una mano poi segnerà i loro umori negli annali delle piogge e dei venti.”

Lucio Piccolo (1901–1969) poeta italiano

da Le esequie della luna

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“Quando alla casa del linguaggio vola via il tetto e le parole non guariscono, io parlo.”

Alejandra Pizarnik (1936–1972) poetessa argentina

da Frammenti per dominare il silenzio, II, p. 75