Frasi su lungo

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema lungo, tempo, vita, essere.

Frasi su lungo

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“Cammino lungo questa strada da solo, la colpa non è di nessuno, è solo mia, questo è il sentiero che ho scelto di percorrere.”

Eminem (1972) rapper, attore e produttore discografico statunitense

Space Bound

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“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.”

Luigi Pirandello (1867–1936) drammaturgo, scrittore e poeta italiano premio Nobel per la Letteratura nel 1934

Uno, nessuno e centomila - Quaderni di Serafino Gubbio operatore

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“La nostra vita è un'opera d'arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l'impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all'altezza della sfida. L'incertezza è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.”

Zygmunt Bauman (1925–2017) sociologo e filosofo polacco

da L'arte della vita, trad. it., Bari, 2009

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“Non produce alcun frutto, a lungo andare, nei rapporti personali, comportarsi come se si fosse diversi da come si è.”

Carl Rogers (1902–1987) psicologo statunitense

La terapia centrata sul cliente

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“Sono trascorsi molti anni, ma ricordo come se fosse ieri. Ero giovanissimo, avevo l'illusione che l'intelligenza umana potesse arrivare a tutto. E perciò m'ero ingolfato negli studi oltre misura. Non bastandomi la lettura di molti libri, passavo metà della notte a meditare sulle questioni più astruse. Una fortissima nevrastenia mi obbligò a smettere; anzi a lasciare la città, piena di tentazioni per il mio cervello esaurito, e a rifugiarmi in una remota campagna umbra. Mi ero ridotto a una vita quasi vegetativa: ma non animalesca. Leggicchiavo un poco, pregavo, passeggiavo abbondantemente in mezzo alle floride campagne (era di maggio), contemplavo beato le messi folte e verdi screziate di rossi papaveri, le file di pioppi che si stendevano lungo i canali, i monti azzurri che chiudevano l'orizzonte, le tranquille opere umane per i campi e nei casolari. Una sera, anzi una notte, mentre aspettavo il sonno, tardo a venire, seduto sull'erba di un prato, ascoltavo le placide conversazioni di alcuni contadini lì presso, i quali dicevano cose molto semplici, ma non volgari né frivole, come suole accadere presso altri ceti. Il nostro contadino parla di rado e prende la parola per dire cose opportune, sensate e qualche volta sagge. Infine si tacquero, come se la maestà serena e solenne di quella notte italica, priva di luna ma folta di stelle, avesse versato su quei semplici spiriti un misterioso incanto. Ruppe il silenzio, ma non l'incanto, la voce grave di un grosso contadino, rozzo in apparenza, che stando disteso sul prato con gli occhi volti alle stelle, esclamò, quasi obbedendo ad una ispirazione profonda: «Com'è bello! E pure c'è chi dice che Dio non esiste». Lo ripeto, quella frase del vecchio contadino in quel luogo, in quell'ora: dopo mesi di studi aridissimi, toccò tanto al vivo l'animo mio che ricordo la semplice scena come fosse ieri. Un eccelso profeta ebreo sentenziò, or sono tremil'anni: «I cieli narrano la gloria di Dio». Uno dei più celebri filosofi dei tempi moderni scrisse: «Due cose mi riempiono il cuore di ammirazione e di reverenza: il cielo stellato sul capo e la legge morale nel cuore.»”

Enrico Fermi (1901–1954) fisico italiano

Quel contadino umbro non sapeva nemmeno leggere. Ma c'era nell'animo suo, custoditovi da una vita onesta e laboriosa, un breve angolo in cui scendeva la luce di Dio, con una potenza non troppo inferiore a quella dei profeti e forse superiore a quella dei filosofi.
Origine: Cfr. Immanuel Kant: «il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me».
Origine: Citato in M. Micheli, Enrico Fermi e Luigi Fantappié: Ricordi personali, Responsabilità del sapere, 31, 1979, pp. 21-23.

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“Tutto ciò che è buono, onesto e vero… se lo tieni lontano abbastanza a lungo, lo perdi del tutto? Se nessuno ti vuole bene, esisti veramente?”

Cassandra Clare (1973) scrittrice statunitense

Will Herondale
Shadowhunters – Le origini, Il principe

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“Il viaggio più lungo è quello che conduce alla casa di fronte.”

Antonio Bello (1935–1993) vescovo cattolico italiano

Fatti per essere felici

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“Ho raggiunto ciò che i dottori chiamano la Fine della Strada, e non durerò a lungo. Ma sapere che voi fate quello che fate, pensare che voi sarete qui quando io non ci sarò più, mi aiuta parecchio a esercitare quel dovere contro il nemico. A non dargli pace finché avrò un filo di fiato.”

Oriana Fallaci (1929–2006) scrittrice italiana

Origine: Dal discorso http://www.lisistrata.com/newlisistrata2007/013Fallaci11Annetayloraward.htm tenuto il 28 novembre 2005 in occasione della consegna dell'Annie Taylor Award e riportato in Libero, 1 dicembre 2005.

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“I genitori che si servono abitualmente ed a lungo della televisione come una specie di bambinaia elettronica, abdicano al ruolo di primari educatori dei propri figli.”

Papa Giovanni Paolo II (1920–2005) 264° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

Origine: La potenza dei media, p. 51

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“Quello che so a sessant'anni lo sapevo altrettanto bene a venti. Quarant'anni di un lungo, superfluo lavoro di verifica…”

Emil Cioran (1911–1995) filosofo, scrittore e saggista rumeno

L'inconveniente di essere nati

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“Ehm, sei sicuro di volermi raccontare tutte queste cose?
Perché, quali cose?

Dei tuoi genitori, la paranoia…
Be', cos'è che ti sto raccontando, in fondo? Non ti sto dando proprio niente. Ti sto dando cose che Dio sa, che chiunque sa. I miei genitori sono famosi nella loro morte. E questo sarà il mio monumento costruito alla loro memoria. Io do a te tutte queste cose, ti racconto delle gambe di mio padre e delle parrucche di mia madre – più avanti in questo capitolo – e ti racconto i miei dubbi sull'opportunità o meno di fare sesso davanti all'armadio a specchi dei miei genitori la notte del funerale di mio padre, ma dopo tutto, cosa ti ho mai dato di così prezioso? Potresti pensare di sapere qualcosa di me, a quel punto, ma invece non sai ancora nulla. Io racconto, e un secondo dopo è tutto sparito. Non mi interessa – e come potrebbe? Ti racconto con quante ragazze sono andato a letto (trentadue), o di come i miei genitori hanno lasciato questo mondo, e alla fin fine che cosa ti ho dato? Niente. Posso dirti i nomi dei miei amici, i loro numeri di telefono…
Marny Requa: 415-431-2435
K. C. Fuller: 415-922-7893
Kirsten Stewart: 415-614-1976
Ma cos'è che hai in mano? Nulla. Tutti mi hanno dato il permesso di farlo. E perché? Perché tu non hai nulla, al massimo qualche numero di telefono. Può sembrare qualcosa di prezioso al massimo per uno o due secondi. Tu puoi avere solo quello che io posso permettermi di dare. E tu sei il mendicante che implora una qualsiasi cosa, mentre io sono il passante frettoloso che butta un quarto di dollaro nel bicchiere di carta che protendi verso di me. Questo è quanto ti posso dare. E non mi annienta. Ti do virtualmente tutto quello che possiedo. Ti do le cose migliori di me, anche se si tratta di cose che amo, ricordi di cui faccio tesoro, belli o brutti che siano, come le foto della mia famiglia appese al muro, posso mostrartele senza che esse per questo ne vengano sminuite. Posso permettermi di darti anche tutto quanto. Trasaliamo di fronti agli sciagurati che nei programmi pomeridiani rivelano i loro orrendi segreti di fronte a milioni di telespettatori, eppure… che cosa abbiamo tolto loro, e loro che cosa ci hanno dato? Niente. Sappiamo che Janine ha scopato con il fidanzato di sua figlia, ma… e allora? Moriremo un giorno e avremo protetto… che cosa? Avremo protetto dal mondo il fatto che facciamo questo o quello, che muoviamo le braccia in questo o quest'altro modo, e che la nostra bocca ha prodotto questi e questi altri suoni? Ma per favore. Ci sembra che rivelare cose imbarazzanti o private, tipo, che ne so, le nostre abitudini masturbatorie (quanto a me, circa una volta al giorno, perlopiù sotto la doccia), significhi – proprio come per i primitivi che temono che la macchina fotografica gli possa portare via l'anima – che abbiamo dato a qualcuno una cosa che noi identifichiamo come i nostri segreti, il nostro passato e le sue zone oscure, la nostra identità, nella convinzione che rivelare le nostre abitudini o le nostre perdite o le nostre imprese in qualche modo ci deprivi di qualcosa. Ma in realtà è proprio il contrario, di più è di più è di più, più si sanguina più si dà. Queste cose, i dettagli, le storie e quant'altro, sono come la pelle di cui i serpenti si spogliano, lasciandola a chiunque da guardare. Che cosa gliene frega al serpente di dov'è la sua pelle, di chi la vede? La lascia lì dove ha fatto la muta. Ore, giorni o mesi dopo, noi troviamo la pelle e scopriamo qualcosa del serpente, quant'era grosso, quanto era lungo approssimativamente, ma ben poco altro. Sappiamo dove si trova il serpente adesso? A cosa sta pensando? No. Per quel che ne sappiamo adesso il serpente potrebbe girare in pelliccia, potrebbe vendere matite a Hanoi. Quella pelle non è più la sua, la indossava perché ci era cresciuto dentro, ma poi si è seccata e gli si è staccata di dosso, e lui e chiunque altro adesso possono vederla.”

L'opera struggente di un formidabile genio

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“Quante persone, lungo questo viaggio, stivano la barca fino a rischiare di farla affondare di cose sciocche che pensano essenziali al piacere e al comfort, ma che in realtà sono soltanto inutile zavorra? Come riempiono la povera piccola imbarcazione fino all'albero di bei vestiti e grandi case, di domestici inutili e di una miriade di amici alla moda ai quali non importa un fico secco di loro, e dei quali a loro importa ancora meno, di costosi divertimenti che non divertono nessuno, di formalità e mode, di finzioni e ostentazioni, e di – oh, la più pesante, la più folle delle zavorre! – della paura di che cosa penserà il vicino, di lussi che possono soltanto nauseare, di piaceri che annoiano, di vuote mostre di sé che, come la corona ferrea del criminale di un tempo, fanno sanguinare e tramortiscono il capo dolorante che la porta! È zavorra uomini… tutta zavorra! Gettatela fuoribordo. Rende la barca così pesante che remare vi sfinisce. La rende così lenta e pericolosa da manovrare che l'ansia e la preoccupazione non vi concendono mai un attimo libero; e non avete mai un momento di riposo per sognare pigramente, mai un momento per osservare le nuvole che sfiorano le onde spinte dal vento, o i scintillanti raggi di sole che giocano con le increspature, o i grandi alberi sull'argine che si curvano per fissare la loro immagine riflessa, o il bosco tutto verde e oro, o i gigli bianchi e gialli, o i giunchi che ondeggiano oscuri o i falaschi, o le orchidee o gli azzurri non-ti-scordar-di-me. Liberatevi della zavorra, uomini! Lasciate che l'imbarcazione della vostra vita sia leggera, carica soltanto di quello di cui avete bisogno: una casa accogliente e qualche semplice piacere, un paio di amici degni di questo nome, qualcuno da amare e che vi ami, un gatto, un cane, e una o due pipe, cibo e indumenti a sufficienza e da bere in abbondanza, perché la sete è una compagna pericolosa. La barca sarà più facile da governare, e non sarà tanto soggetta a capovolgimenti, e se si capovolgerà non sarà così grave; la merce semplice e di buona qualità sopporta un bagno. Avrete tempo per pensare oltre che per lavorare. Tempo per scaldarvi al sole della vita… tempo per ascoltare le melodie eoliche che il vento divino trae dalle corde del cuore umano tutt'intorno a noi… tempo per… Scusate tanto. Divagavo.”

III; 1997, pp. 21-22
Tre uomini in barca

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“Quando il nazionalsocialismo avrà regnato per un periodo abbastanza lungo di tempo, non sarà più possibile concepire una forma di vita diversa dalla nostra.”

Adolf Hitler (1889–1945) dittatore della Germania nazista dal 1933 al 1945

notte tra l'11 e il 12 luglio 1941
Conversazioni a tavola

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“È così breve l'amore, ed è sì lungo l'oblio.”

Pablo Neruda (1904–1973) poeta e attivista cileno

da Posso scrivere i versi...
Venti poesie d'amore e una canzone disperata
Origine: in Venti poesie d'amore e una canzone disperata, traduzione di Giuseppe Bellini, Nuova Accademia Editrice, 1963

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“Scrissi col lapis, sopra la punteggiatura, come vogliono appunto le convenzioni internazionali che tutelano il diritto delle genti: "Signora, robustizza pacco pentachìlo a 1/2 cedola all'uopàta evitando medicincarte et infiammabili. Pàccami lancorredo, sigartabacco e seccacastagne. Se però credi castagne ben cotte possano giovare al bambino, non inviarle. Non mi manca niente. Di una sola cosa ti prego: che la sera della vigilia di Natale tu imbandisca la tavola nel modo più lieto possibile. Fai schiodare la cassa delle stoviglie e quella della cristalleria; scegli la tovaglia migliore, quella nuovissima piena di ricami; accendi tutte le lampade. E prepara un grosso albero di Natale con tante candeline, e prepara con cura il presepe vicino alla finestra, come l'anno scorso. Signora, io ho bisogno che tu faccia questo. Il mio pensiero ogni notte varca il reticolato: lo so, ti riesce difficile figurarti il mio pensiero che varca il reticolato. Il pensiero è un soffio di niente e non ha volto: e allora figurati che io stesso, ogni notte, esca dal recinto. Figurati un Giovannino leggero come un sogno e trasparente come il vento delle serenissime e gelide notti invernali. Io, ogni notte, approfitto del sonno degli altri e mi affido all'aria e trasvolo rapido gli sconfinati silenzi di terre straniere e città sconosciute. Tutto è buio e triste sotto di me, e io affannosamente vado cercando luce e serenità. Rivedo la Madonnina del Duomo, ma le strade e le piazze non sono più quelle di un tempo, e stento a ritrovare il nostro quarto piano. Signora, non dire che sono il solito temerario se entro in casa dal tetto: anzi, loda la mia prudenza se non mi avventuro lungo le macerie della scala. E poi il tetto è scoperchiato e si fa più presto. Riconosco lo scheletro delle nostre stanze e ricerco i nostri ricordi nascosti sotto i rottami dei muri crollati. Tutto è buio, freddo e triste anche qui, e soltanto se la luna mi assiste riesco a scoprire sui brandelli delle tappezzerie che ancora pendono alle pareti, i riquadri chiari e la topografia dei nostri mobili. Per le strade deserte, cammina soltanto la paura vestita di luna. Su un brano di tappezzeria dell'ex-anticamera vedo un fiorellino. Uno strano fiore nero a cinque petali. Signora, rammenti quando Albertino decorò le nostre stanze con la piccola sciagurata mano intinta nell'inchiostro di China? Inutilmente vado a ricercare vestigia di giorni lieti fra le pareti dell'ufficio; le pareti non ci sono più, e il grande edificio è un cupo mucchio di cemento annerito dal fumo. Fuggo dalla città buia e silenziosa, e rivedo i luoghi dove, zitella, tu mi conoscesti zitello. Ma anche qui è squallida malinconia, e io mi rifugio alla fine nella casupola dove si accatastano i miei ultimi effetti e i miei primi affetti. Tu dormi, Albertino dorme, mia madre, mio padre dormono. Tutti dormono, e cercano forse di ritrovare in sogno il mio ignoto, lontano rifugio. I nostri mobili si affollano disordinatamente nelle esigue stanze immerse nell'ombra, e dentro le polverose casse del solaio le parole dei miei libri si sono gelate. Signora, io cerco un po' di luce, un po' di tiepida serenità, e invece non trovo che buio e freddo, e non posso ravvisare nel buio il volto di mio figlio, e sui laghi e sulle spiagge tutto è spento e abbandonato, tutto è silenzio, e io rinavigo verso il recinto e torno al mio pagliericcio portando il gelo nelle ossa del numero 6865. Signora, bisogna che, almeno la notte di Natale, il mio pensiero, fuggendo dal recinto, possa trovare un angolo tiepido e luminoso in cui sostare. Voglio tanta luce: voglio rivedere il vostro volto, voglio rivedere il volto dell'antica serenità. Altrimenti che gusto c'è a fare il prigioniero?" Qui ebbi la sensazione che le 24 righe stessero per finire, e mi interruppi. Le righe erano in effetti 138, e io avevo riempito le 24 mie, le 24 della risposta e altri cinque foglietti che stazionavano nei paraggi. Con estrema cura cancellai tutto e ricominciai da capo: "Signora, robustizza pacco pentachìlo a 1/2 cedola all'uopàta evitando medicincarte et infiammabili. Pàccami lancorredo, sigartabacco…"”

Giovannino Guareschi (1908–1968) scrittore italiano

Origine: Diario clandestino, pp. 31 a 34

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“Dove sono cavallo e cavaliere? Dov'è il corno dal suono violento?
Dove sono l'elmo e lo scudiere, e la fulgida capigliatura al vento?
Dov'è la mano sull'arpa, e il rosso fuoco ardente?
Dov'è primavera e la messe, ed il biondo grano crescente?
Son passati come pioggia sulla montagna, come raffiche di vento in campagna;
I giorni scompaiono ad ovest, dietro i colli che un mare d'ombra bagna.
Chi riunirà il fumo del legno morto incandescente?
Chi tornerà dal Mare e potrà mirare il tempo lungo e fuggente?”

Variante: "Dove sono cavallo e cavaliere? Dov'è il corno dal suono violento? Dove sono l'elmo e lo scudiere, e la fulgida capigliatura al vento? Dov'è la mano sull'arpa, e il rosso fuoco ardente? Dov'è primavera e la messe, ed il biondo grano crescente? Son passati come pioggia sulla montagna, come raffiche di vento in campagna; I giorni scompaiono ad ovest, dietro i colli che un mare d'ombra bagna. Chi riunirà il fumo del legno morto incandescente? Chi tornerà dal Mare e potrà mirare il tempo lungo e fuggente?"
Origine: Il Signore degli Anelli, Le due torri, p. 619, Rusconi

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“[I quattro gradi dell'amore]
[…] bisogna che il nostro amore cominci dalla carne. Se poi è diretto secondo un giusto ordine, […] sotto l'ispirazione della Grazia, sarà infine perfezionato dallo spirito. Infatti non viene prima lo spirituale, ma ciò che è animale precede ciò che è spirituale. […] Perciò prima l'uomo ama sé stesso per sé […]. Vedendo poi che da solo non può sussistere, comincia a cercare Dio per mezzo della fede, come un essere necessario e Lo ama.
Nel secondo grado, quindi, ama Dio, ma per sé, non per Lui. Cominciando però a frequentare Dio e ad onorarlo in rapporto alle proprie necessità, viene a conoscerlo a poco a poco con la lettura, con la riflessione, con la preghiera, con l'obbedienza; cosí gli si avvicina quasi insensibilmente attraverso una certa familiarità e gusta pura quanto sia soave.
Dopo aver assaporato questa soavità l'anima passa al terzo grado, amando Dio non per sé, ma per Lui. In questo grado ci si ferma a lungo, anzi, non so se in questa vita sia possibile raggiungere il quarto grado.
Quello cioè in cui l'uomo ama sé stesso solo per Dio. […] Allora, sarà mirabilmente quasi dimentico di sé, quasi abbandonerà sé stesso per tendere tutto a Dio, tanto da essere uno spirito solo con Lui. Io credo che provasse questo il profeta, quando diceva: "-Entrerò nella potenza del Signore e mi ricorderò solo della Tua giustizia-".”

Bernardo di Chiaravalle (1090–1153) religioso, abate e teologo francese

[…]
cap. XV
De diligendo Deo

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“Be', non è proprio il modo in cui pensavo di svegliarmi oggi. Dopo aver avuto la notizia, Malia è entrata e ha detto: papà, hai vinto il Nobel per la Pace ed è il compleanno di Bo (il cane). E poi Sasha ha aggiunto: e sta arrivando un week-end lungo. È bene avere bambini che mantengano le cose entro una prospettiva.”

Barack Obama (1961) 44º Presidente degli Stati Uniti d'America

2009
Origine: Citato in Il Nobel per la pace a Barack Obama. Il presidente: "Non so se lo merito" http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/esteri/nobel-obama/nobel-obama/nobel-obama.html, Repubblica.it, 9 ottobre 2009.

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“Vista dai giovani la vita è un avvenire infinitamente lungo, vista dai vecchi un passato molto breve.”

Arthur Schopenhauer (1788–1860) filosofo e aforista tedesco

VI, "La differenza delle età"
Aforismi sulla saggezza del vivere

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“Tu sei la mia sveglia» disse il ragazzo. «La mia sveglia è l'età» disse il vecchio. «Perché i vecchi si svegliano così presto? Sarà perché la giornata duri più a lungo?”

«You're my alarm clock,» the boy said. «Age is my alarm clock,» the old man said. «Why do old men wake so early? Is it to have one longer day?»
Il vecchio e il mare

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“Una volta usciti dall'infanzia, occorre soffrire molto a lungo per rientrarvi.”

Georges Bernanos (1888–1948) scrittore francese

da Pensieri, parole, profezie

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“Nella "vita reale", se vuoi riuscire, se vuoi resistere a lungo, devi sempre arrivare a un compromesso con la tua emotività.”

Daniel Glattauer (1960) giornalista e scrittore austriaco

Le ho mai raccontato del vento del Nord

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“Io sento fra le dita | ancor color di rosa | un lungo filo bianco, | cui relegata sta, | in alto, molto in alto, | la mia felicità.”

Michele Marzulli (1908–1991) poeta, pittore e scrittore italiano

da Aquilone, vv. 12-17, p. 48
C'è sempre un po' di buio

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“Vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l'appunto è di quelle che hanno il naso lungo.”

Carlo Collodi (1826–1890) scrittore italiano

La fata nel Capitolo 17
Le avventure di Pinocchio

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“Quando un brivido ti scende lungo la schiena mentre stai suonando il sax significa che stai facendo la cosa giusta.”

Andrea Poltronieri (1965) comico, polistrumentista e cantante italiano

da 23 marzo 2007, 24 marzo 2007

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“Ci pare sempre di essere vissuti a lungo nei luoghi in cui abbiamo vissuto intensamente.”

Marguerite Yourcenar (1903–1987) scrittrice francese

Archivi del nord

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“Sulla strada dell'eternità, ognuno procederà lungo la propria scala, portando il proprio fardello”

Esterad Thyssen, cap. 8
La torre della rondine
Variante: «Sulla strada dell’eternità, ognuno procederà lungo la propria scala, portando il proprio fardello.»