Frasi sul sole
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“Il sole, se ce n'è un altro, è la giovinezza dell'uomo.”

Xavier Forneret (1809–1884) poeta, scrittore, giornalista, drammaturgo

Citato in Dictionnaire des citations, sous la direction de Robert Carlier, Jean-Louis Lalanne, Pierre Josserand e Samuel S. de Sacy, Citato in Maurice Toesca, Un homme heureux

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“Benevento, che bel nome. Si attaglia perfettamente a queste colline dolci, al sole fresco e alle nubi in corsa di questa giornata spettacolare.”

Paolo Rumiz (1947) giornalista e scrittore italiano

Origine: Da Alla ricerca dell'Appia perduta: nell'Arcadia italiana fra le pietre di Benevento http://www.repubblica.it/cultura/2015/08/15/news/alla_ricerca_dell_appia_perduta_nell_arcadia_italiana_fra_le_pietre_di_benevento-121023083/?ref=search, Repubblica.it, 15 agosto 2015.

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“[Su Maratea Inferiore] È situata alle falde di un monte a settentrione. Gode di un vago orizzonte, e di aria niente insalubre, sebbene da novembre fino a gennaio non gode affatto del sole venendo impedito dall'altezza della montagna.”

Lorenzo Giustiniani (1761–1824) letterato italiano

tomo V, p. 357 https://books.google.it/books?hl=it&id=ORrfeAbWVVkC&pg=PA357
Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli

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“È sufficiente passare mezz'ora nella mia città per capire che tifare Juve è una specie di delitto contro l'aria, il sole, le nuvole, le fontanelle col torello che sputa acqua, le case, le cose, la gente, la storia.”

Gianpaolo Ormezzano (1935) giornalista, scrittore e personaggio televisivo italiano

Origine: Citato in Giorgio Dell'Arti, Catalogo dei viventi http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=ORMEZZANO+Gian+Paolo, Corriere.it.

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“Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c'è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l'orizzonte con sorrisi di intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e teneri desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo. Ancora molto? No, basta attraversare quel fiume laggiù in fondo, oltrepassare quelle verdi colline. O non si è per caso già arrivati? Non sono forse questi alberi, questi prati, questa bianca casa quello che cercavamo? Per qualche istante si ha l'impressione di sì e ci si vorrebbe fermare. Poi si sente dire che il meglio è più avanti e si riprende senza affanno la strada. Così continua il cammino in un'attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto. Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualcosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa in tempo a fissarlo che già precipita verso il confine dell'orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l'una all'altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire. Chiudono a un certo punto alla nostre spalle un pesante cancello, lo rinserrano con velocità fulminea e non si fa in tempo a tornare.”

The Tartar Steppe

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“l’amor che move il sole e l’altre stelle…”

Elizabeth Gilbert (1969) scrittrice statunitense

Come, reza, ama

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“Comunque ho lasciato gli altri a pallavolare in palestra e sono uscita dalla scuola, c'era un sole pallido color miele. Sono andata al bar di fronte, a vedere le facce. Come faccio spesso, mi sono tappata le orecchie per concentrarmi e capire cosa succedeva intorno. E mi sono sentita strana. Qual'era il motivo del mio disagio? E quale segrato nascondeva la gente seduta?
L'uomo corpulento con la fronte sudata, che sbarrava gli occhi in segno di meraviglia, e disegnava rabbia con la mano. E l'uomo piccolo che ne seguiva il discorso scuotendo la testa e ricalcando i gesti dell'altro. E la giovane carica di gioielli come una Cleopatra che sibilava a bassa voce contro qualcuno, un veleno d'astio che le sue amiche assorbivano come un balsamo ristoratore, ammiccando tra loro per dividere il piacere. O il ragazzo che litigava ad alta voce con la ragazza, costringendola a guardarlo negli occhi, mentre lei si mordeva la mano per la vergogna, col volto rigato di lacrime. O la tavolata dove un giovane zerbinotto raccontava e tutti ridevano. O i due ragazzi che parlavano probabilmente di sport, uno battendo le mani su un giornale, l'altro interrompendolo con una voce roca.
E di colpo ho capito.
Quei signori e signore e ragazzi e ragazze seduti, tutti avevano ragione. E parlandone, si rafforzavano in questa loro certezza. E la loro ragione era costruita sul dileggio, sulla rovina, sul disprezzo degli altri. E più parlavano, più la ragione cresceva e chiedeva il suo tributo di parole, di minacce, di gesti. E sempre di più gli altri, quelli dalla parte del torto, diventavano lontani e miserabili. Ma guardando oltre la strada, nei bar di fronte, altra gente era seduta e anche loro avevano ragione. Una gigantesca, unica ragione divideva il mondo in quelli che l'avevano, cioè tutti, e gli altri, e cioè tutti.
E io, che sentivo di non avere ragione, cosa avrei fatto?
Sono tornata in classe e c'era aria pesante. Marra e Gasparrone avevano insultato Zagara chiamandolo terrone e figlio di galeotto. Lui li aveva assaltati con un tirapugni fatto con la maniglia di una porta. Erano finiti tutti e tre dal preside. Quante battaglie stupide e quante nobili e giuste ci sono nella giornata media di ognuno?”

Stefano Benni (1947) scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano

Margherita Dolce Vita

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“Sono entrato nella vita sapendo che la legge è di uscirne. Come aveva detto Saint-Savin, si impersona la propria parte, chi più a lungo, chi più in fretta, e si esce di scena. Me ne sono visti molti passar davanti, altri mi vedranno passare, e daranno lo stesso spettacolo ai loro successori. D'altra parte, per quanto tempo non sono stato, e per quanto non sarò più! Occupo uno spazio ben piccolo nell'abisso degli anni. Questo piccolo intervallo non riesce a distinguermi dal niente in cui dovrò andare. Non sono venuto al mondo che per far numero. La mia parte è stata così piccola che, anche se fossi rimasto dietro alle quinte, tutti avrebbero detto lo stesso che la commedia era perfetta. E' come in una tempesta: gli uni annegano subito, altri si spezzano contro uno scoglio, altri rimangono su un legno abbandonato, ma non per molto anch'essi. La vita si spegne da sola, come una candela che ha consumato la sua materia. E ci si dovrebbe essere abituati, perché come una candela abbiamo cominciato a disperdere atomi sin dal primo momento che ci siamo accesi. Non è una gran sapienza sapere queste cose, d'accordo. Dovremmo saperle dal momento che siamo nati. Ma di solito riflettiamo sempre e soltanto sulla morte degli altri. EH sì, tutti abbiamo abbastanza forza per sopportare i mali altrui. Poi viene il momento che si pensa alla morte quando il male è nostro, e allora ci si accorge che né il sole né la morte si possono guardare fissi. A meno che non si abbiano avuti dei buoni maestri.”

The Island of the Day Before

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“Nel sole di marzo, mentre era seduto su una catasta di ceppi di faggio che scricchiolavano per il caldo, avvenne che egli pronunciasse per la prima volta la parola «legno». Aveva già visto il legno centinaia di volte, aveva sentito la parola centinaia di volte. La capiva anche, infatti d'inverno era stato mandato fuori spesso a prendere legna. Ma il legno come oggetto non gli era mai sembrato così interessante da darsi la pena di pronunciarne il nome. Ciò avvenne soltanto quel giorno di marzo, mentre era seduto sulla catasta. La catasta era ammucchiata a strati, come una panca, sul lato sud del capannone di Madame Gaillard, sotto un tetto sporgente. I ceppi più alti emanavano un odore dolce di bruciaticcio, dal fondo della catasta saliva un profumo di muschio, e dalla parete d'abete del capannone si diffondeva nel tepore un profumo di resina sbriciolata.
Grenouille era seduto sulla catasta con le gambe allungate, la schiena appoggiata contro la parete del capannone, aveva chiuso gli occhi e non si muoveva. Non vedeva nulla, non sentiva e non provava nulla. Si limitava soltanto ad annusare il profumo del legno che saliva attorno a lui e stagnava sotto il tetto come sotto una cappa. Bevve questo profumo, vi annegò dentro, se ne impregnò fino all'ultimo e al più interno dei pori, divenne legno lui stesso, giacque sulla catasta come un pupazzo di legno, come un Pinocchio, come morto, finché dopo lungo tempo, forse non prima di una mezz’ora, pronunciò a fatica la parola «legno». Come se si fosse riempito di legno fin sopra le orecchie, come se il legno gli arrivasse già fino al collo, come se avesse il ventre, la gola, il naso traboccanti di legno, così vomitò fuori la parola. E questa lo riportò in sé, lo salvò, poco prima che la presenza schiacciante del legno, con il suo profumo, potesse soffocarlo. Si alzò a fatica, scivolò giù dalla catasta, e si allontanò vacillando come su gambe di legno. Per giorni e giorni fu preso totalmente dall'intensa esperienza olfattiva, e quando il ricordo saliva in lui con troppa prepotenza, borbottava fra sé e sé «legno, legno», a mo' di scongiuro.”

Perfume: The Story of a Murderer

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“«Una volta» disse mia madre «non esisteva il buio totale. Persino di notte, la luna era luminosa quanto il sole. L’unica differenza stava nella luce, che era blu. Vedevi tutto per chilometri e chilometri e non faceva mai freddo. Si chiamava crepuscolo».
«Perché crepuscolo?».
«Perché è una parola in codice per cielo blu». Mi ero ricordata che si diceva codice blu quando moriva qualcuno, e anche questo aveva a che fare con il cielo.
Un giorno Dio aveva chiamato il pipistrello per dargli una cesta da portare sulla Luna. La cesta era piena di buio, ma Dio non aveva detto al pipistrello cos’era, solo “Portala sulla luna, poi quando torni ti spiego tutto”. Così il pipistrello parte in cerca della luna con la cesta in groppa. Mentre vola verso il cielo, la luna lo vede e si nasconde dietro una nuvola. Il pipistrello è stanco, e si ferma a riposare. Depone la cesta e va in cerca di qualcosa da mangiare. Mentre è a caccia, arrivano altri animali (più che altro lupi e cani, e anche un tasso con una zampa rotta). Pensando che nella cesta ci sia del cibo, gli animali alzano il coperchio, ma dentro c’è solo il buio, e loro non l’hanno mai visto. I cani e i lupi cercano di tirarlo fuori e di giocarci, ma gli guizza tra i denti e scivola via. In quel momento torna il pipistrello, apre la cesta e la trova vuota. Gli altri animali spariscono nella notte e il pipistrello si alza in volo per andare a riprendere il buio. Lo vede dappertutto, ma non riesce proprio a infilarlo di nuovo nella cesta. Per questo il pipistrello ancora oggi dorme tutto il giorno e vola di notte. Cerca sempre di riprendere il buio.”

Jenny Offill (1968)

Le cose che restano

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“Non aveva voglia di morire. La era bella. Il sole caldo. E gli esseri umani?”

Virginia Woolf (1882–1941) scrittrice, saggista e attivista britannica

Mrs. Dalloway

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“Dall'archivio magnetico del signor Alex D. Alla fine, l'equilibrio interiore non é da cercare. Forse ce l'abbiamo già, e più ci muoviamo o agitiamo o altro, e più ce ne alltonatniamo. Il fatto é che a parlare di equlibrio interiore mi sento un povero stronzo. Mi sembra uno di quei termini che si usano nelle sedute di psicoanalisi liberatoria collettiva o nei rifugi per donne violentate.
Okay. Tutto mi dice di essere forte, determinato negli scopi, capace di andare avanti nella Vita, ma se uno sente che é arrivato il momento di cambiare un pò rotta o anche solo il bisogno di fermarsi a ragionare sul serio per proprio conto? Voglio dire: e i cazzi di sette e mezzo in latino, per esempio, che da semplici strumenti sono diventati una specie di fine ultimo?… Insomma, a quanto ne so dovrei studiare per strappare un titolo di studio che a sua volta mi permetta di strappare un buon lavoro che a sua volta mi permetta di strappare abbastanza soldi per strappare una qualche cavolo di serenità tutta guerregiata e ferita e massacrata dagli sforzi inauditi per raggiungerla.
Cioè, uno dei fini ultimi é questa cavolo di serenità martoriata. Il ragionamento é così. Non ci vuole un genio. E allora, perché dovrei sacrificare i momenti di serenità che mi vengono incontro spontaneamente lungo la strada?
Perché dovrei buttarli in un pozzo, se fanno parte anche loro del fine a cui tendere? Se un pomeriggio posso andare a suonare o uscire con una ragazza che mi piace, perché cavolo devo starmene in casa a trascrivere le versioni dal traduttore o far finta di leggereil sunto di filosofia? La realtà é che mi trovo a sacrificare il me diciassettenne felice di oggi pomeriggio a un eventuale me stesso calvo e sovrappeso, cinquantenne soddisfatto, che apre la porta del garage col comando a distanza e dentro c'ha una bella macchina, una moglie che probabilmente gli fa le corna col commercialista e due figli gemelli con i capelli a caschetto identici in tutto ai bambini nazisti della kinders. Tutti dentro il garage, magari, no. Diciamo più o meno intorno. Cioè, circondato. Dovunque la domanda è: un orrore di queste proporzioni vale più del sole e del gelato di oggi pomeriggio? Più di qualunque ragazza? Più di Valentina che arriva sorridendo all'appuntamento con dieci minuti di ritardo e una maglietta blu con dentro quel ben di Dio sorprendente?”

Jack Frusciante Has Left the Band: A Love Story- with Rock 'n' Roll

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“Il processo durò tre anni, nientemeno! tre anni di prigione e senza vedere il sole. Sicché quegli accusati parevano tanti morti della sepoltura, ogni volta che li conducevano ammanettati al tribunale. […] Li facevano alzare in piedi ad uno ad uno. - Voi come vi chiamate? - E ciascuno si sentiva dire la sua, nome e cognome e quel che aveva fatto. Gli avvocati armeggiavano, fra le chiacchiere, coi larghi maniconi pendenti, e si scalmanavano, facevano la schiuma alla bocca, asciugandosela subito col fazzoletto bianco, tirandoci su una presa di tabacco. I giudici sonnecchiavano, dietro le lenti dei loro occhiali, che agghiacciavano il cuore. Di faccia erano seduti in fila dodici galantuomini, stanchi, annoiati, che sbadigliavano, si grattavano la barba, o ciangottavano fra di loro. Certo si dicevano che l'avevano scappata bella a non essere stati dei galantuomini di quel paesetto lassù, quando avevano fatto la libertà. E quei poveretti cercavano di leggere nelle loro facce. Poi se ne andarono a confabulare fra di loro, e gli imputati aspettavano pallidi, e cogli occhi fissi su quell'uscio chiuso. Come rientrarono, il loro capo, quello che parlava colla mano sulla pancia, era quasi pallido al pari degli accusati, e disse: - Sul mio onore e sulla mia coscienza!…
Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: - Dove mi conducete? - In galera? - O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c'era la libertà!… -

[, 1882]”

Giovanni Verga (1840–1922) scrittore italiano
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“«Alex, non ti capita mai di pensare come la nostra storia sia assolutamente folle e fuori da tutti i canoni, e di come la gente non la capisca e di come nessuno la potrà mai capire?»
«Se è per questo, ci penso praticamente tutti i giorni. Anzi, spesso mi domando quanto ne capisco io»
«Un sacco di gente mi chiede perché non stiamo insieme e… non so, è strano, a pensarci bene. Effettivamente, visti dal di fuori dobbiamo dare l'idea di due che stanno insieme.»
«Io non sto con te perché… perché va bene così, perché giugno è fantastico, e sapere che c'è l'America che arriva, e allora dirsi tutto perché tra una settimana è troppo tardi, è magnifico. Qualcosa mi manca, e lo sai. Io vorrei baciarti e tutto il resto, ma non tanto per il gesto in sé… Davvero. E’ difficile… E’ come mettere le basi per addomesticarti un po’ di più. Farai più fatica a dimenticarti di me, così. Resteremo più attaccati ogni cosa in più che faremo. Io ho paura, per l'anno prossimo. Bacerò cento ragazze, andrò a letto con gente di cui non m'importa, ma non sarà come uscire con te e non dirsi niente per tutto il pomeriggio. Io so già che l'anno prossimo farò le cose più facili, più banali. E con te è tutto così trasparente e da ragazzini… Se penso che non ti ho mai baciata, Aidi…»
«Lo sai, bisogna sempre fare solo Quello Che Ci Si Sente.»
«Certo, dicevo così. Dicevo Quello Che Mi Sento.»
«E cosa ti senti, ancora?»
«Sento che questo giugno, questo scoprirsi ogni giorno di più, e ogni pezzo di me che scopro trovarne uno nuovo di te, e ogni pezzo di me che ti regalo trovarne in cambio uno che tu mi lasci nel calzino di lana di fianco al camino mentre dormo, è bello. A me non era mai successo. E vedere crescere Aidi e Alex, ogni giorno, ogni mattina di sole, che per il resto della gente non vuol dire niente di particolare, è sovvertire tutti i pronostici, è ridere di fronte all'Uomo con le Previsioni Sicure, quello che era certo che la Danimarca avrebbe preso una vagonata di gol e sarebbe stata eliminata nelle qualificazioni e invece si è qualificata e agli Europei giocherà con squadre molto più forti, e l'Uomo con le Previsioni Sicure non si raccapezza. La Gente capisce solo quando le cose sono già successe, mai mentre accadono. E per noi due è lo stesso. La Gente che non capisce come sia possibile, visto che l'Uomo dei Sondaggi aveva negato categoricamente che due come noi potessero avere una pazza storia del genere.»
«Fantastico. E la Danimarca come gioca?»
«Bene. Si vede che si divertono.»
«Alex», aveva detto lei, stringendogli le mani con una strana intensità che l'aveva turbato. «Io voglio che la Danimarca vinca.»”

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“Esterina, i vent’anni ti minacciano,
grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.
Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal fiotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un’avventura più lontana
l’intento viso che assembra
l’arciera Diana.
Salgono i venti autunni,
t’avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell’elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d’incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.
La dubbia dimane non t’impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola
ferma sul masso brullo;
te insidia giovinezza,
quella il lacciòlo d’erba del fanciullo.
L’acqua’ è la forza che ti tempra,
nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
noi ti pensiamo come un’alga, un ciottolo
come un’equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma torna al lito più pura.
Hai ben ragione tu!
Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortilizî
del tuo domani oscuro.
T’alzi e t’avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.
Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra”

Eugenio Montale (1896–1981) poeta, giornalista e critico musicale italiano

Tutte le poesie

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“Una fiamma d’ultimo sole lo disegna.”

Jorge Luis Borges (1899–1986) scrittore, saggista, poeta, filosofo e traduttore argentino
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“La Natura assegna il Sole – | Questa – è Astronomia – | la Natura non può decretare un Amico – | Questa – è Astrologia.”

Emily Dickinson (1830–1886) scrittrice e poetessa inglese

J1336 – F1371, vv. 1-4
Lettere

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“Il livido sole, poeta ossesso, ateo, peloso di villi.”

Primo Levi (1918–1987) scrittore, partigiano e chimico italiano

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Calore vorticoso

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“L'uomo è come il sole, la donna come la luna.”

Martín Lutero (1483–1546) teologo tedesco

Origine: Breviario, p. 120