Frasi su soldato

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema soldato, guerra, essere, esercito.

Frasi su soldato

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“Un codardo muore un migliaio di volte. Un soldato muore, ma una sola volta.”

Tupac Shakur (1971–1996) rapper, attivista e attore statunitense

A coward dies a thousand deaths. A soldier dies but once.
Senza fonte

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“Le guerre vanno e vengono, ma i miei soldati vivono in eterno.”

Tupac Shakur (1971–1996) rapper, attivista e attore statunitense

Wars come and go, but my soldiers stay eternal.
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“…il soldato tedesco ha stupito il mondo, il Bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco…”

Erwin Rommel (1891–1944) generale tedesco

Origine: http://www.esercito.difesa.it/organizzazione/armi-e-corpi/fanteria/le-specialita/i-bersaglieri Minsitero della Difesa, Bersaglieri.

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“Buoni soldati, cattivi ufficiali; ma ricordate che senza di loro non avremmo la civiltà.”

Erwin Rommel (1891–1944) generale tedesco

riferito agli italiani

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“Per me, i soldati sono tutti uguali. I negri vestono la vostra stessa divisa, hanno combattuto al vostro fianco, e quindi starete rinchiusi nello stesso recinto.”

Erwin Rommel (1891–1944) generale tedesco

risposta ad un ufficiale sudafricano bianco catturato in nord Africa alla sua richiesta di essere inserito in una zona separata dai soldati neri
Origine: Citato in Arrigo Petacco, L'armata nel Deserto. Il segreto di El Alamein.

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“Definire la libertà come indipendenza nasconde un pericoloso equivoco. Non esiste per l'uomo indipendenza assoluta (un essere finito che non dipenda da nulla, sarebbe un essere separato da tutto, eliminato cioè dall'esistenza). Ma esiste una dipendenza morta che lo opprime e una dipendenza viva che lo fa sbocciare. La prima di queste dipendenze è schiavitù, la seconda è libertà. Un forzato dipende dalle sue catene, un agricoltore dipende dalla terra e dalle stagioni: queste due espressioni designano realtà ben diverse. Torniamo ai paragoni biologici che sono sempre i più illuminanti. In che consiste il "respirare liberamente"? Forse nel fatto di polmoni assolutamente "indipendenti"? Nient'affatto: i polmoni respirano tanto più liberamente quanto più solidamente, più intimamente sono legati agli altri organi del corpo. Se questo legame si allenta, la respirazione diventa sempre meno libera e, al limite, si arresta. La libertà è funzione della solidarietà vitale. Ma nel mondo delle anime questa solidarietà vitale porta un altro nome: si chiama amore. A seconda del nostro atteggiamento affettivo nei loro confronti, i medesimi legami possono essere accettati come vincoli vitali, o respinti come catene, gli stessi muri possono avere la durezza oppressiva della prigione o l'intima dolcezza del rifugio. Il fanciullo studioso corre liberamente alla scuola, il vero soldato si adatta amorosamente alla disciplina, gli sposi che si amano fioriscono nei "legami" del matrimonio. Ma la scuola, la caserma e la famiglia sono orribili prigioni per lo scolaro, il soldato o gli sposi senza vocazione. L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell'esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare. Così il problema della libertà non si pon in termini di indipendenza, ma in termini di amore. La potenza del nostro attaccamento determina la nostra capacità di libertà. Per terribile che sia il suo destino, colui che può amare tutto è sempre perfettamente libero, ed è in questo senso che si è parlato della libertà dei santi. All'estremo opposto, coloro che non amano nulla, hanno un bello spezzare catene e fare rivoluzioni: rimangono sempre prigionieri. Tutt'al più arrivano a cambiare schiavitù, come un malato incurabile che si rigira nel suo letto.”

Gustave Thibon (1903–2001) filosofo e scrittore francese

Origine: Ritorno al reale, p. 109-110

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“È un onore accogliere un valoroso soldato. Che sia amico o nemico non ha alcuna importanza per me.”

Leiji Matsumoto (1938) fumettista e animatore giapponese

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Capitan Harlock serie classica Space Pirat, Episodio 21, Goram!

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“Soldati, a voi la gloria di piantare il Tricolore d'Italia su i termini sacri che natura pose a confine della Patria nostra, a voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata.”

Vittorio Emanuele III di Savoia (1869–1947) re d'Italia dal 1900 al 1946

dal proclama del 24 maggio 1915, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 605
Citazioni di Vittorio Emanuele III
Origine: http://www.cimeetrincee.it/breviario.htm

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“Perché non vi siano né l'oppressione del popolo né le inutili guerre, e perché nessuno s'indigni più contro coloro che sembrano essere i colpevoli di tutto ciò, occorrerebbe in realtà ben poco, e precisamente e unicamente che gli uomini capiscano come stanno veramente le cose, e le chiamino con il loro nome; e sappiano che un esercito è uno strumento d'omicidio e che il costruire e comandare un esercito – ovverosia ciò di cui si occupano con tanta disinvoltura i re, gli imperatori, i presidenti – è soltanto una preparazione all'omicidio.
Basterebbe che ogni re, imperatore, o presidente comprendesse che i suoi doveri di comandante in capo delle forze armate non sono affatto un incarico onorevole e importante, come gli fan credere i suoi adulatori, bensì un malvagio e vergognoso prepararsi all'omicidio; e che ogni privato cittadino comprendesse che il pagamento delle tasse, con le quali si arruolano e si armano i soldati, e a maggior ragione il prestar servizio militare, non sono affatto azioni senza importanza, bensì azioni malvagie e vergognose, e costituiscono non soltanto una connivenza ma una vera e propria complicità ad un omicidio – e subito si vanificherebbe da sé tutto quel potere degli imperatori, dei presidenti e dei re che tanto ci indigna, e per il quale adesso si continua ad assassinarli.
Per cui non occorre assassinare gli Alessandri, i Carnot, gli Umberti e gli altri, ma occorre spiegar loro che sono essi stessi degli assassini, e occorre soprattutto non permettere loro di assassinare altra gente, rifiutare di assassinare su loro comando.”

Lev Nikolajevič Tolstoj (1828–1910) scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo
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“[Sulla battaglia di Maida] […] il primo giugno, una squadra inglese venne a gettare l'ancora nel golfo di Eufemia per sbarcare sulla spiaggia, fra la foce del Lamato e quella dell'Angitola, un contingente di seimila soldati britannici comandati da sir John Stuart, nonché alcuni personaggi atti a capeggiare una insurrezione popolare nel paese. Era allora di stanza a Nicastro una compagnia di polacchi al comando del capitano Laskowsky. Essa si portò sulla riva insieme a un corpo di volontari a cavallo formato dai giovani della nobiltà cittadina, che, come già nel 1799, aveva abbracciato la causa dei francesi. Ma dopo un breve combattimento la piccola formazione dovette ripiegare su Maida, dove il generale Reynier stava raccogliendo in tutta fretta le forze francesi più vicine. Subito la plebe di Nicastro prese le armi e risollevò la bandiera dei Borboni, mise a sacco le case dei nobili sostenitori del re Giuseppe e sgozzò i soldati francesi malati che gremivano l'ospedale civile. «Nella città di Nicastro» scriveva qualche giorno dopo Giuseppe a Napoleone, «il comandante delle guardie d'onore è stato accecato e poi crocifisso; era un principe che mi aveva accolto in casa sua». La sera del 3 il generale Reynier, scorgendo Nicastro illuminata dal balcone della casa da lui occupata a Maida, disse agli ufficiali del suo stato maggiore: «Domani batteremo gli inglesi e dopodomani bruceremo Nicastro». […] Reynier disponeva solo di 4.000 uomini. Tutto gli imponeva di attendere gli inglesi nella posizione eccezionalmente forte di Maida, da dove difficilmente lo avrebbero potuto scacciare. Ma egli credette che anche dei britannici, come già dei napoletani, sarebbe venuto a capo con facilità. Commise perciò l'errore, enorme, di scendere in pianura per attaccare in campo loro le forze di sir John Stuart, superiori di numero, e per giunta appoggiate dall'artiglieria della flotta. Lo scontro ebbe luogo il 4 luglio; esso fu breve e terminò con la disfatta delle nostre truppe. In questa occasione, come in quasi tutte le battaglie che ebbero luogo in quello stesso periodo tra le due nazioni, il sangue freddo e la precisione di tiro degli inglesi fermarono nettamente l'impeto dei francesi e inflissero loro perdite enormi rispetto al numero degli arruolati. Era la prima volta, da lunghissimo tempo, che i francesi subivano una sconfitta per terra. Sir John Stuart ne fu tanto orgoglioso che arrivò ad insultare i vinti. «Mai» disse nel suo rapporto, «la vanità del nostro presuntuoso nemico è stata più duramente mortificata, mai la superiorità delle truppe britanniche più gloriosamente provata come negli avvenimenti di questa giornata memorabile». Sebbene da entrambe le parti pochissime fossero le truppe schierate, la battaglia ebbe conseguenze rilevanti. I francesi perdettero per qualche tempo tutta la Calabria. Il generale Reynier fu costretto a ritirarsi in disordine per la vallata del Lamato su Catanzaro, che raggiunse con molta fatica l'indomani.
Fortunatamente, per lui, gli inglesi non pensarono ad inseguirlo. Di lì a qualche giorno, pago del suo successo, sir John Stuart fece nuovamente imbarcare i suoi uomini, dopo aver calato a terra il materiale necessario ad armare una insurrezione calabrese, a capo della fu designato il maggiore Gualtieri, soprannominato Pane di Grano.”

François Lenormant (1837–1883) assiriologo e numismatico francese

citato in Viaggiatori stranieri nel Sud, a cura di Atanasio Mozzillo, Saggi di cultura contemporanea, 1982, Edizioni di Comunità, Milano, p. 288

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“Io non ho altra ambizione che quella di essere il primo soldato dell'indipendenza italiana.”

Vittorio Emanuele II d'Italia (1820–1878) re di Sardegna dal 1849 al 1861, quindi re d'Italia dal 1861 al 1878

dal Proclama ai Popoli del Regno, 20 giugno 1859, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 421
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“So assolutamente, o soldati, che le parole non aggiungono valore e che un esercito non diventa coraggioso da vile né forte da pavido per un discorso del generale. Quanto è grande il coraggio nell'animo di ciascuno per indole o per educazione, tanto grande è solito manifestarsi in guerra. Colui che né la gloria né i pericoli incitano, lo potresti esortare invano: il timore dell'animo tappa le orecchie. Ma io vi ho convocato per ammonirvi riguardo a poche cose e contemporaneamente per esporvi il motivo del mio piano. Invero certamente sapete, o soldati, qual grave danno abbiano portato a noi la viltà e l'indolenza di Lentulo, e anche a lui stesso, e per quale modo mentre aspettavo rinforzi dalla città, non sono potuto partire per la Gallia. Ora dunque a quale punto sia la nostra situazione, voi tutti lo capite insieme a me. Due eserciti nemici ci sbarrano la strada, uno dalla città e uno dalla Gallia; rimanere più a lungo in questi luoghi, anche se il nostro animo lo desidera moltissimo, lo impedisce la mancanza di frumento e di altre cose. Dovunque ci piaccia andare, bisogna aprirsi la strada con le armi. Perciò vi esorto ad essere forti e pronti e, quando entrerete in combattimento, a ricordare che voi portate nelle vostre mani destre ricchezze, onore, gloria, senza contare la libertà e la patria. Se vinceremo, non correremo più alcun pericolo; ci saranno vettovaglie in abbondanza, municipi e colonie spalancheranno le porte. Se, causa la paura, ci saremo ritirati, quei medesimi diventeranno ostili, nessun amico, nessun luogo potrà proteggere chi le armi non siano riuscite a proteggere. Inoltre, soldati, non è il medesimo bisogno ad incombere su di noi e su di loro: noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita; per loro è superfluo combattere per il potere di pochi. Perciò, attaccate con maggior audacia, memori dell'antico valore! Vi sarebbe stato concesso passare la vita in esilio con il massimo disonore: alcuni di voi avrebbero potuto bramare a Roma, dopo aver perso le proprie, le ricchezze di altri. Poiché quelle azioni sembravano turpi ed intollerabili agli uomini, avete deciso di seguire queste. Se volete abbandonare questa situazione, c'è bisogno di coraggio; nessuno, se non da vincitore, ha mai cambiato in pace una guerra. In guerra il massimo pericolo è quello di coloro che di più hanno paura; il coraggio è considerato come un muro. Quando vi guardo, o soldati, e quando considero le vostre azioni, mi prende una grande speranza di vittoria. L'animo, l'età, il valore vostri mi incoraggiano, e la necessità, inoltre, che rende coraggiosi anche i pavidi. E infatti l'inaccessibilità del luogo impedisce che la moltitudine dei nemici possa circondarci. Se la fortuna si sarà opposta al vostro valore, non fatevi ammazzare invendicati, e neppure, una volta catturati, non fatevi trucidare come bestie piuttosto che lasciare ai nemici una vittoria cruenta e luttuosa combattendo alla maniera degli eroi!”

Lucio Sergio Catilina (-109–-62 a.C.) militare e senatore romano

Citato in Gaio Sallustio Crispo 1994

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“Un soldato deve confidare sulla sua spada e sul suo coraggio, non perdere tempo ad adornarsi di oro e argento. […] Un soldato deve adornarsi del suo valore.”

Lucio Papirio Cursore: IX, 40; 1997
[H]orridum militem esse debere, non caelatum auro et argento sed ferro et animis fretum. […] Virtutem esse militis decus.
Ab urbe condita, Proemio – Libro X

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“Favorito dalla fortuna, io ebbi l'onore nei due mondi di combattere accanto ai primi soldati, ed ho potuto persuadermi che la pianta uomo nasce in Italia, non seconda a nessuno; ho potuto persuadermi che quegli stessi soldati che noi combattemmo nell'Italia meridionale, non indietreggeranno davanti ai più bellicosi, quando saranno raccolti sotto il glorioso vessillo emancipatore.”

Giuseppe Garibaldi (1807–1882) generale, patriota e condottiero italiano

Origine: Citato in Martino Cellai, Fasti militari della Guerra dell'Indipendenza d'Italia dal 1848 al 1862, vol. 4, Tip. e litografia degli Ingegneri, 1867, p. 471 http://books.google.it/books?id=GwRAAAAAcAAJ&pg=PA471; citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921.

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“Non basta sottomettere più o meno pacificamente le masse al nostro regime, inducendole ad assumere una posizione di neutralità nei confronti del regime. Vogliamo operare affinché dipendano da noi come da una droga.”

Joseph Göbbels (1897–1945) politico e giornalista tedesco

citato in Michael Zezima, Salvate il soldato potere, Il Saggiatore 2004
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“Lesbiche, gay, bisessuali e transgender americani sono nostri colleghi, insegnanti soldati, amici, i nostri cari e sono cittadini a tutti gli effetti, uguali a noi e meritano i diritti di cittadinanza. Questo include il matrimonio.”

Hillary Clinton (1947) politica e avvocata statunitense

Origine: Citato in Hillary Clinton a favore dei matrimoni gay http://video.corriere.it/usa-video-hillary-clinton-favore-matrimoni-gay/98316d9e-9010-11e2-a149-c4a425fe1e94, corriere.it, 18 marzo 2013.

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“Gli mancavano due cose che l'Italia pena a produrre: generali e soldati.”

Louis Philippe de Ségur (1753–1830) storico, diplomatico

citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 665-666

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“Un soldato deve temere il proprio ufficiale più dei pericoli ai quali viene esposto.”

Federico II di Prussia (1712–1786) re di Prussia

citato in Paul Henissart, Il nuovo volto dell'esercito tedesco, Selezione dal Reader's Digest, giugno 1973

“Sono come un soldato che ha perso tutto: fermo, innamorato e pure sconfitto.”

Niccolò Agliardi (1974) cantautore italiano

da Resto n. 9
Non vale tutto

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“Cittadini e soldati, siate un esercito solo! Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento.”

Vittorio Emanuele III di Savoia (1869–1947) re d'Italia dal 1900 al 1946

dal proclama alla nazione dopo le giornate di Caporetto
Citazioni di Vittorio Emanuele III

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“Niente odio né violenza, né soldati né armi | forse è proprio l'isola che non c'è.”

Edoardo Bennato (1946) cantautore, chitarrista e armonicista italiano

da L'isola che non c'è
Sono solo canzonette

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“Per mano insieme | soldati e spose.”

Zucchero (1955) composto chimico chiamato comunemente zucchero

da Diamante

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“Con le guerre non si risolvono i problemi. Se ne creano dei nuovi. Tutte le guerre creano nuovi problemi, in particolare quelle grandi, quelle mondiali. E in fondo la guerra è ingiusta. Di solito sono leader incapaci e avventati a causare le guerre, ma poi sono le popolazioni civili e i soldati, per lo più innocenti, che le patiscono. La Grande Guerra, in seguito detta Prima guerra mondiale, è un chiaro esempio di questo tragico assunto. Non era necessaria, non era inevitabile. Il mondo e l'umanità non erano destinati a questa deriva morale. Ma così fu deciso dai leader politici e militari, erroneamente convinti che la guerra avrebbe risolto problemi e sarebbe stata di breve durata. Niente di tutto questo era vero. Questa ecatombe mondiale durata quattro anni non risolse alcun problema. Al contrario, nuovi problemi si aggiunsero. Fino al punto che, dopo venti anni, l'umanità venne travolta da un altro, ancor più terribile conflitto mondiale. E questo fu così incomprensibilmente mostruoso da cancellare la memoria storica dell'orrore della Prima guerra mondiale.”

Sergio Mattarella (1941) 12º Presidente della Repubblica Italiana

2016
Origine: Dall<nowiki>'</nowiki> Intervento del Presidente della Repubblica di Slovenia Borut Pahor in occasione dell'inaugurazione di una targa commemorativa dei caduti sloveni nella Prima Guerra Mondiale a Doberdò del Lago http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=465, Doberdò del Lago, 26 ottobre 2016.

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“Gesù Cristo è morto per me. | Perché dunque dovrei disperarmi? | Signore, io sono stato un tuo soldato, | io ho marciato nella tua armata.”

Bálint Balassi (1554–1594) poeta ungherese

Origine: Citato in Folco Tempesti, Lirici ungheresi , scelti e tradotti da Folco Tempesti, con introduzione e note, Vallecchi Editore, Firenze, 1950, p. 23.
Origine: Balassi pronunciò queste ultime parole prima di morire mentre gli venivano amputate le gambe colpite da una cannonata nell'assedio di Esztergom: «Christus mortuus est pro me et ego diffidam? Tuus miles fui, Domine! tua castra secutus sum». Paolo Ruzicska, Storia della letteratura ungherese, Nuova Accademia Editrice, Milano, 1963, p. 353.

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“Un regno | con un solo soldato | che cercava le streghe, | voleva cacciarle a sassate; | un regno | che ogni giorno viveva | di mille e mille e mille | "c'era una volta".| Se | non m'avessero detto mai | che le fiabe son storie non vere, | ora là io sarei.”

Luigi Tenco (1938–1967) cantautore italiano

da Il mio regno, n. 5
Luigi Tenco (1962)
Origine: Una variante, una versione uscita postuma nel 1969 presenta alcuni versi leggermente differenti: «ogni dì riviveva» e, nel finale, «il mio regno ora avrei». Enrico De Angelis, Luigi Tenco. Io sono uno. Canzoni e racconti, p. 41.